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Autore: Melabanana_    04/08/2013    3 recensioni
Hera Tadashi è un ragazzo apparentemente indifferente a tutto, che si lascia passare accanto gli eventi senza preoccuparsene molto.
Afuro Terumi è un idol emergente, ma già molto famoso, che nasconde il suo vero carattere.
Questa fic parla di come il loro incontro abbia modificato le loro vite, e di come la loro storia sia venuta ad intrecciarsi con quella dei loro amici.
Coppie: HerAfu, DemeKiri, ArteApo, vari ed eventuali.
{dedicata a ninjagirl, che mi ha fatto scoprire e amare queste pairings.}
~Roby
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Perché in ogni momento, il rosso e il viola sanno sempre trovarsi.
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Afuro Terumi/Byron Love, Altri, Hera Tadashi, Jonas Demetrius/Demete Yutaka
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Buongiorno.
Oggi mi è venuta voglia di aggiornare questa long \(*u*)/
Anche questo capitolo è incentrato su Hera -anche se io amo Arute, ahaha-
Buona lettura :3
Roby



Capitolo 26.
Si sentiva così debole che allacciarsi le scarpe si stava rivelando un'impresa.
Le dita si muovevano frenetiche, ansiose.
Ci riuscì e si alzò in piedi, andando verso la porta.
-Sai, potresti almeno salutare...- disse Arute alle sue spalle.
Hera mise la mano sulla maniglia della porta.
-Credevo che stessi dormendo.- rispose senza voltarsi.
-Ho un appuntamento con Hikaru.- spiegò Arute con una scrollata di spalle.
Osservava il suo amico di spalle, gli sembrava così curvo e cupo.
Sospirò e si portò una mano alla nuca, scuotendo il capo.
-Sei veramente incredibile. Prima mi inviti a casa tua a dormire, e poi cerchi di abbandonarmi qui alle sei di mattina. Cos'hai in mente?- chiese.
Hera chiuse gli occhi, la testa gli doleva per colpa delle parole di Afuro che continuavano ad ingombrargli la mente. Non lasciò la maniglia ma si girò.
-Devo fare una cosa molto importante... avrei dovuto farla molto tempo fa, ma non ne avevo il coraggio.-
-Non riuscirai ad andare avanti se non la farai, vero?- La voce di Arute si abbassò.
Hera annuì. Lo sguardo di Arute si addolcì.
-Okay. Per ora di pranzo ti aspetto qui allora.- disse.
-...no. Aspettami alla scuola... Sì, alla scuola elementare. Ci vediamo lì.-
Arute alzò lo sguardo sorpreso, ma Hera se n'era già andato.
Allora tornò nell'altra stanza, si vestì e accese la tv per fare qualcosa prima dell'appuntamento, che era verso le dieci. Cosa avrebbe fatto per quattro ore? Cielo.

xxx

Avrebbe dovuto farlo molto prima...
Già. Hera si odiava per la sua vigliaccheria, ma era più forte di lui.
Il domani gli aveva sempre fatto paura...
Il mondo dietro la porta di casa sua, la porta da cui suo padre se n'era andato, c'era dolore oltre quella porta, per questo da piccolo la guardava con timore e curiosità.
Ora quella porta apparteneva solo ad un vecchio appartamento che era stato venduto ad altri anni prima. Non l'avrebbe mai più vista, se non nei suoi ricordi.
Camminava a passo svelto sulla banchina della stazione.
Estrasse dalla tasca il foglietto stropicciato e lo fissò per lunghi minuti.
Riconosceva la propria inconfondibile calligrafia di qualche anno prima, che stupido, l'aveva scritto allora e nascosto finché non aveva capito che era il momento di aprirlo.
Lo rificcò nella tasca dei jeans e prese il primo treno.
Trovò subito posto, era quasi vuoto, e l'unico rumore era il cigolio delle rotaie. Al finestrino passavano veloci case, strade, fili del telefono. Oggetti insignificanti.
Mancavano sei fermate.
Socchiuse gli occhi, stringendo i pugni nelle tasche.
Non voleva pensare... voleva fare il vuoto nella mente.
Mancavano quattro fermate...
Kirigakure aveva detto di odiarlo perché era un debole, e non aveva poi tutti i torti.
Lui aveva preferito un silenzio vigliacco, invece di dire una qualunque cosa. Il ricordo di lei gli era tornato tanto prepotentemente in testa che non aveva potuto dire nulla.
Mancavano due fermate.
Si riscosse, tirandosi un po' su sul sedile. Il petto gli faceva male, ma era sicuro che anche Afuro stesse male. Sapeva bene cosa prova qualcuno che ferisce senza volerlo, o semplicemente uno che dice ciò che non pensa davvero.
“L'ho fatto piangere di nuovo. Sono un vero bastardo.” pensò, sospirando.
Si alzò, la sua fermata era la prossima.
Quando scese faceva freddo, più freddo che da dove veniva lui.
Tirò di nuovo fuori il foglietto e chiese informazioni ad un vigile per strada su come raggiungere la via che si era segnato: andava a trovare una persona.

xxx

Nonostante il parco fosse affollato, e soprattutto nonostante la bassa altezza del suo partner, Arute riuscì ad intravedere Hikaru e lo chiamò per farsi vedere.
Il ragazzino si voltò e Arute corse verso di lui, ma si fermò di botto a mezza strada.
Hikaru non era da solo: con lui c'erano anche Demete, Kirigakure, e Afuro.
Arute rimase paralizzato dalla sorpresa.
-Il vostro appuntamento è rimandato.- dichiarò Kirigakure.
-Scusa?- Arute alzò un sopracciglio. -Chi l'avrebbe deciso?-
-Io!- esclamò il ninja con orgoglio, salvo poi ripararsi dietro Demete perché lo sguardo di Arute mostrava chiare intenzioni omicide (mai mettersi fra lui e Hikaru).
-Crediamo che ci siano questioni più importanti da risolvere...- disse Demete alzando le mani in segno di resa. Arute sbatté un paio di volte le palpebre, poi distolse lo sguardo e sospirò.
-Cos'è, vi improvvisate anche terapisti di coppia ora?- commentò sarcastico.
Aporo lo guardò torvo. -Afuro e Hera sono nostri amici. Vogliamo che facciano pace, non è ovvio? Potresti essere un po' più collaborativo!- esclamò, aggrappandosi alla sua felpa.
Arute non rispose, Aporo era l’unico che non avrebbe mai mandato a quel paese.
Afuro, che lo stava fissando da quando era arrivato, si alzò dal muretto su cui era seduto e fece un passo avanti, infilandosi fra Demete e Kirigakure.
-Artemis... tu sei amico di Tadashi da molti anni vero?- disse con voce ferma.
Arute continuò a fissare a terra ostinatamente.
-Tu sai sempre cosa gli passa per la testa! Ti prego, parlami di lui! Sei l'unico a conoscerlo così bene...!- Afuro scattò e nella sua voce si accentuò una nota disperata.
Più il silenzio incombeva fra di loro, più sentiva Hera allontanarsi.
-Ti prego, Arute... ti prego...- mormorò. -Non voglio più... essere un estraneo per lui.-
Avrebbe voluto che fosse Hera a dirgli cosa non andava, ma sapeva che lui non l'avrebbe fatto. Non per orgoglio, né per testardaggine: semplicemente perché non era da lui.
Se aveva capito qualcosa di Hera, era che avrebbe preferito mordersi la lingua pur di non dover esprimere i propri sentimenti.
-Ti capisco perfettamente. Sai, lui non mi dice mai quello che pensa. Non so neanche dove sia adesso.- La voce di Arute lo sorprese, era molto seria. Aporo cercò i suoi occhi, vedeva che era combattuto.
-Arute.- sussurrò, stringendogli le mani fra le sue.
Il suo ragazzo gli sorrise e lo prese in giro debolmente:- Cos'è quella faccia? Non sto mica morendo.-
Aporo non smise di fissarlo negli occhi, con lo stesso sguardo forte che lo aveva salvato.
Ora era Tadashi, ad dover essere salvato.
-Ho deciso.- disse. Per la prima volta, guardò Afuro dritto in faccia.
-Vi racconterò tutto... vi dirò tutto quello che so su Tadashi.-

xxx

Aveva seguito alla lettera le istruzioni ricevute, aveva trovato la via e la casa.
Ora, restava solo la parte più difficile: suonare il campanello.
Hera lanciò un altro guardo, l'ennesimo, al cognome inciso sulla porta: era proprio il suo.
“Forza.” si disse. Sembrava la cosa più semplice del mondo, alzare il dito e premere quello stupido campanello, ma la paura gli paralizzava il corpo.
Improvvisamente provò il forte impulso di fuggire.
Si morse forte il labbro, facendolo sanguinare. Doveva resistere...
La luce nella finestra di fronte si accese, facendolo sobbalzare.
Nella luce si stagliarono delle figure.
Una bambina dai lunghi capelli ricci, che correva imitando un aeroplano per la stanza. Rideva, aveva le guance rosse.
Dietro di lei c'era una donna sulla quarantina, che le somigliava in tutto e per tutto.
E poi c'era lui, un uomo sulla cinquantina il cui volto si aprì in un sorriso non appena le sue braccia forti trovarono la bambina e la sollevarono da terra, facendola girare in aria.
Hera sentì il respiro mozzarglisi in gola, mentre ogni paura, ogni sensazione, scivolava via lasciando posto ad un'insolita mollezza.
Sembravano così immensamente felici.
Forse, molto tempo prima, quell'uomo si era sentito felice anche stringendo lui fra le braccia, o forse no. Non se lo ricordava più.
-Addio, papà.- Il suo mormorio si perse nel vento che soffiava nella strada.
Si voltò e tornò sui suoi passi, senza suonare il campanello.
Il ronzio nelle orecchie sembrava assomigliare al rumore di una porta che sbatte...




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