Spero che sarà di vostro gradimento!
Vittoria
Parte
I – Nei silenzi
Capitolo
uno
“Scorrono
morbide curve di una strada da percorrere
vanno via ruvidi giorni di un novembre senza nuvole
la rugiada è un velo di pellicole che avvolge luci
e prospettive surreali”
Lo sguardo
di Haylie vagò un paio di volte da destra a sinistra,
lasciando trasparire il
lieve disagio che si era impadronito di lei non molti minuti addietro.
Scrutò
velocemente la strada di fronte a lei, quasi sollevata nel rendersi
conto che
non vi era una sola anima viva.
Si sforzò
di sorridere, e questo le venne molto più facile quando le
parole che aveva
sentito prima di scendere in strada presero il posto del timore,
dell’assurda
preoccupazione che provocava in lei il non sapere cosa avrebbe detto lui.
Sbuffava,
alzava gli occhi al cielo, imprecava sottovoce. Ma poi si calcava il
berretto
sulla testa e metteva gli occhiali a posto sul naso, che quasi
scompariva sotto
le due grosse lenti.
Era un
vero peccato, perché quegli occhiali andavano a nascondere
proprio la parte più
bella del suo viso.
I suoi
occhi…
Occhi
leggermente a mandorla.
Occhi
dalle lunghe ciglia scure.
Occhi
color del legno. Di un legno giovane, fresco, pulito.
Calma che
calma non era.
Già, ma
loro non erano “altri” qualsiasi… Haylie
era ben felice di dedicare loro il
proprio tempo.
Se non
altro, era sicura che non fosse perso, quel tempo.
Nonostante
l’agitazione, non riuscì a non sorridere tra
sé.
Come poteva
essere perso, il tempo che passava con lui? Certo, non c’era
solo lui… Ma, in
certi momenti, era come se lo fosse.
Con il
tempo aveva imparato a stare anche con gli altri, ma
all’inizio non c’era stato
che lui.
Lui che
esigeva più tempo e cura degli altri, lui che sembrava
vivere in una dimensione
tutta sua, lui che invece era stato il primo ad accoglierla e con il
tempo
l’aveva inserita nel gruppo.
Per Haylie era
un po’ triste non
poter vedere fino in fondo il frutto del proprio lavoro, ma la sua
natura mite,
come al solito, aveva prevalso sulla parte di lei che avrebbe voluto
protestare.
Però era ingiusto che, dopo aver
passato ore a scegliere, provare e scartare vestiti non potesse
assistere al
servizio fotografico.
Era anche vero che lui le aveva detto
di non amare particolarmente quei servizi… Meno gente
c’era, meglio era. Non
che non amasse stare al centro dell’attenzione
–d’altra parte vi si era dovuto
abituare-, ma gli ricordavano troppo quelle tranquille passeggiate
sacrificate
per una seduta di due ore a base di foto e autografi con decine di
ragazze.
Quel giorno, però, sembrava davvero
soddisfatto.
- Non mi sembra che sia stato così
snervante! – osservò lei, vedendolo sorridere.
Quando sorrideva, sembrava che
tutto il suo volto s’illuminasse…
- No, per fortuna è stato breve. E
poi oggi sono di buon umore! –
Già, lui era lunatico.
Incredibilmente, irrimediabilmente lunatico. Non gli si poteva
rivolgere la
parola se aveva la luna storta, ma, quando lo si vedeva sorridere a
quel modo,
era impossibile non lasciarsi trascinare. Questo Haylie aveva avuto
occasione
di impararlo in meno di un mese che lavorava con il gruppo.
- E poi i vestiti che ci hai scelto
sono fantastici! –
Se Haylie fosse stata un filino più
sfacciata, gli avrebbe detto ciò che pensava di lui quando
se ne usciva con
affermazioni del genere: che, nonostante le malelingue, con una donna
non aveva
da condividere altro che la vanità. Ma anche quella, prima o
poi, sarebbe
passata in secondo piano.
- Non ho mica fatto tutto da sola.
Non posso certo prendere quattro stracci e metterveli addosso
così! –
- Però sembra che tu conosca i miei
gusti come se fossimo amici da una vita, sai? –
Non erano da lui tali
manifestazioni di confidenza.
Infatti Haylie ci aveva messo un
po’ per apprezzarle.
In quel momento, non aveva saputo
fare altro che arrossire.
- Oh, beh… -
- Credo che anche gli altri la
pensino così. Mio fratello, per lo meno, è
abbastanza esplicito da farlo
intendere. –
Rise. Era una risata diversa da
tutte quelle che Haylie aveva sentito.
Limpida, cristallina, come il
tintinnio di un bicchiere urtato gentilmente contro un altro in un
delicato
brindisi.
I suoi occhi, né scuri né chiari,
si socchiudevano, e le pupille quasi scomparivano sotto
l’alone di denso trucco
nero.
Quel trucco gli si addiceva.
Stranamente.
La sua risata scopriva dei denti
non perfettamente diritti, ma bianchi, senza alcun bisogno dei soliti
ritocchi
fotografici che spesso si applicavano a persone del suo stesso
“rango”.
Lui era diverso.
Lui era lui.
Lui era semplicemente Bill. Bill
Kaulitz.
Haylie
quasi si stupì nel ricordare le prime volte che aveva
lavorato con lui e gli
altri.
Quasi non
le sembrava possibile di essersi sentita fuori posto in un contesto
così…
normale. E adesso? Adesso quell’espressione non bastava a
rendere il suo stato
d’animo.
Cercò di
non distrarsi per non uscire di strada. Era già abbastanza
confusa per conto
proprio, meglio non peggiorare la situazione.
Certo,
tante volte si era sentita confusa, e non raramente si era sbagliata.
Come quella
volta… quel primo bacio…
Il concerto
era stato un successo.
Anzi no, meglio. Ma, d’altra parte, cosa ci si poteva
aspettare da quattro
ragazzi così pieni d’entusiasmo? Sapevano
trasmetterlo al pubblico meglio di
chiunque altro… Erano proprio quel che si dice
“animali da palcoscenico”.
Essendo parte dello staff, Haylie
non aveva potuto allontanarsi né mescolarsi tra il pubblico.
La sua presenza
non era necessaria dietro le quinte, ma contro le regole era inutile
combattere.
Non era la prima volta che Haylie
assisteva ad un loro concerto, o meglio, che avrebbe potuto assistervi.
Si era
sempre tenuta in disparte, si era limitata ad ascoltare la loro musica
da
lontano.
Ma ormai erano quattro mesi che
lavorava con loro, che si preoccupava di curare la loro immagine prima
di una
qualsiasi uscita pubblica. Era anche il momento di vedere parte del
frutto del
proprio lavoro.
Così si era appostata dietro le
quinte e l’aveva seguito tutto, dal primo
all’ultimo minuto, canzone per
canzone.
Non era la prima volta che le
sentiva. Ma fu come se.
Era ancora lì a chiedersi come
quelle note non avessero solleticato prima le sue orecchie e la sua
anima,
quando Bill le si avvicinò di corsa.
- Hai visto? – Sprizzava entusiasmo
da tutti i pori. – Cavoli, non avrei mai pensato che sarebbe
stato così… così! –
Era sudato, aveva ancora il
fiatone, gli era anche colato un po’ di trucco, ma era felice.
Come al solito, Haylie non poté
fare a meno di lasciarsi contagiare.
- E cosa ti aspettavi? – gli chiese
trattenendo a stento una risata.
La risposta non era giunta da lui,
ma da un’altra voce alle sue spalle.
- Figurati, ogni volta entra in
paranoia. Che gli lancino i pomodori addosso, ecco cosa si aspetta!
–
Al sorriso di Bill se n’era
aggiunto un altro.
Quello di Tom, il suo gemello.
Un sorriso che poteva sembrare
uguale al suo, ma che non lo era affatto.
Era un sorriso ugualmente ampio, ma
disegnato da labbra più carnose e piene e messo in risalto
dal discreto
luccichio di un piccolo piercing di metallo. Stampato su un viso
ugualmente
sudato, ugualmente minuto, solo leggermente più paffuto e
abbronzato. Un viso
incorniciato da lunghi dread biondi che spuntavano da dietro un
cappellino a
rombi bianchi e azzurri e che andavano ad adagiarsi dolcemente su due
spalle
non troppo larghe, ma possenti.
Un viso di una bellezza diversa da
quella di Bill, ma che avrebbe potuto colpire, affascinare e rapire
allo stesso
modo chiunque lo osservasse.
Ma in quel momento Haylie non gli
aveva badato più di tanto. Forse perché si era
bene o male abituata a vederlo
ogni giorno, forse perché la sua naturale riservatezza le
imponeva di non
fissarlo troppo a lungo, forse perché era catturata
dall’entusiasmo di Bill.
Entusiasmo talmente puro e sincero
da togliergli il desiderio di rispondere a suo fratello con una battuta
ancor
più pungente, come faceva di solito.
- Sono felice che sia andata come
speravi. –
Bill si morse il labbro inferiore
senza smettere di sorridere e, in uno scatto istintivo, le prese le
mani tra le
proprie.
Haylie non avrebbe mai creduto che
mani così fredde e bagnate potessero provocare una
sensazione così piacevole.
- Comincio a credere che sia tu a
portarmi fortuna. –
Il dopo fu piuttosto confuso.
Bill sorrise di nuovo. Sembrava
quasi che cercasse di trattenersi. Poi rafforzò la presa
sulle mani di Haylie,
inclinò la testa di lato, la guardò per meno di
un secondo prima di sporgersi
in avanti e posare un leggero e furtivo bacio sulle sue labbra.
Meno di un secondo.
Un secondo che Haylie non avrebbe
saputo riempire in un’intera giornata.
Realizzò quanto fosse appena
successo solo quando si rese conto di aver esaurito completamente le
riserve di
ossigeno.
Riprese a respirare con una certa
irregolarità, e il lieve annebbiamento della vista che
quell’attimo le aveva
provocato non le impedì di constatare che il sorriso era
ancora al suo posto
sulle labbra di Bill.
Ma era cambiato.
Era un sorriso misurato. Tenero.
Trattenuto a stento, appena accennato, rivelato solo dalla luce che ora
gli
ravvivava gli occhi.
Ma, come al solito, il commento
arrivò da dietro le sue spalle.
- Era un modo implicito di
ringraziarti per averlo sopportato meglio di noi tre messi insieme!
–
Beh, in
fondo era anche un po’ “colpa” di Bill se
si trovava così spesso a sorridere,
apparentemente senza motivo.
Avevano
tante cose in comune, tra cui la poca espansività. Certo,
era un aspetto che si
manifestava diversamente in entrambi, ma non per questo passava
inosservato.
Era
fantastico stare a guardare i due gemelli, in qualsiasi momento della
giornata.
Battute a
volte divertenti e a volte quasi da bambini, finti calci e finte
gomitate,
sguardi enigmatici. Talvolta amichevoli. Talvolta taglienti.
Ma
fraterni, sempre.
Era
all’uscita del tourbus che Haylie poteva constatare quanto
Bill e Tom fossero
diversi.
Era una
diversità sottile, ben lontana dalla semplice distinzione
“l’ambiguo-e-il-piacione” che,
puntualmente, ogni fan o osservatore esterno
assumeva.
Era
davanti al pubblico che lui tirava fuori il suo scudo, la sua
– per molti
dubbia- timidezza, quasi la sua “maschera”,
l’elemento che lo differenziava dal
fratello.
Haylie si
era sempre protetta dietro quello scudo, e non lo avrebbe certo messo
da parte
a ventun anni.
Per un
verso, chiunque la vedesse per la prima volta, senza conoscerla, e
scambiasse
giusto qualche parola con lei, avrebbe potuto tranquillamente
attribuirgliene
almeno cinque o sei in più.
Forse per
quelle poche parole che uscivano –come a volerle forzare-
dalle sue labbra,
pronunciate a bassa voce, quasi con vergogna, o puro e semplice
riserbo, ma che
contenevano l’essenza di un intero discorso, la poesia di
un’esistenza.
Forse per
quelle piccole e delicate rughe agli angoli della bocca, lievissimi
segni che
avevano preso quel posto già un paio di anni prima, e che
potevano portare con
loro ricordi e immagini di un sorriso così come di una
smorfia di dolore.
Espressioni di una bocca che parlava anche senza proferire alcun suono.
Per un
altro verso, poteva anche sembrare una bambina.
Un po’ per
il fisico longilineo e dalle forme appena accennate; un po’
per i lunghi ciuffi
ramati sempre scompigliati, un dispetto, quasi, a quella che era la sua
professione, la sua immagine –che tuttavia risultava sempre
impeccabile,
sebbene fosse chiaro che la ragazza le prestasse la minima attenzione
necessaria-; un po’ per il calore emanato da due occhi color
delle castagne e
resi, se possibile, ancor più misteriosi
dall’arcata di lunghe ciglia nere,
senza bisogno di trucco, che li ornava.
Il tourbus
dei Tokio Hotel.
Casa sua,
in effetti.
Haylie
provava sempre un certo imbarazzo anche solo nel pensarlo.
Tecnicamente, non
era affatto casa sua. Ma se si pensava che da circa due anni ne usciva
solo un
paio di volte al giorno e che i punti “essenziali”
della sua vita si erano
svolti proprio lì dentro, le veniva naturale considerarla
casa propria.
Trasse un
profondo respiro prima di salire sulla scaletta che l’avrebbe
condotta
all’interno del tourbus e istintivamente, senza quasi
accorgersene, posò una
delle sue esili mani infreddolite sul proprio ventre.
solo tu puoi sentire,
puoi comprendere…”
(Raf, "nei silenzi")