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Autore: lady hawke    06/08/2013    0 recensioni
Breve (?) raccolta di flashfic a tema storico, con personaggi e prompt deliberatamente suggeriti da amiche bastarde che non sanno a cosa vanno incontro. Piccoli brani creati nella speranza che gli storicissimi e mortissimi protagonisti non mi odino troppo!
Cristoforo Colombo e Galileo Galilei
Lucrezia Borgia
Oscar Wilde e Anna Bolena
Giovanna d'Arco e Caravaggio
Girolamo Savonarola e Enrico V
Giovanna d'Arco e Elisabetta I/Giovanni dalle Bande Nere
Jane Austen, Matilde di Canossa e Pier Maria Rossi
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Prompt: “E vissero per sempre infelici e scontenti”. Così, per non ingannare il suo bambino, termina le favole. (E. Flaiano). Parole 242

Jane è stata definita in tanti curiosi modi, nell’arco della sua vita. Del resto, una donna che scrive è un fenomeno che attira la curiosità come il miele le api. Jane l’ha sempre saputo, e non c’è stato un momento, da quando ha iniziato a scrivere, che non si sia preparata a questo.
La sua soddisfazione maggiore, per quanto non degna di una signora per bene, è che le si porgano complimenti per certi suoi passaggi caustici, senza comprenderne il vero significato. O per quando si complimentano per la sua grande capacità di regalare ad ogni suo personaggio un finale lieto e sereno.
Ci sono volte in cui Jane, a dirla tutta, sarebbe tentata di concludere uno dei suoi romanzi con un bel “e vissero per sempre infelici e scontenti”, perché sarebbe più realistico alla fine, e perché gli infelici non mancano mai. Potrebbe, ma non lo fa mai per due ragioni: in parte è egoismo, è lei la prima a necessitare di qualcosa di lieto, che a fine giornata la faccia sentire appagata e felice. In secondo luogo, non c’è mai bisogno di dire tutto: Jane in fondo non scrive finali, scrive inizi e nessuno, a parte lei, saprà mai se, dopotutto, i suoi personaggi sono stati felici o meno. Ad ognuno augura cose diverse, gioendo dell’inganno a cui sottopone i lettori, ma non i suoi bambini, non i suoi personaggi. Loro sanno sempre che fine faranno, almeno nella sua testa.

Note: http://data.whicdn.com/images/71032014/large.jpgParole: 398. Matilde di Canossa

Matilde non ama l’estate. Patisce il caldo, patisce l’afa e la costrizione di stare chiusa in stoffe che, per quanto sembrino fresche, di fresco non hanno mai nulla. Perciò è con sollievo che ha accolto il temporale estivo appena conclusosi, e per questo ora è fuori, a godersi l’aria fresca e il cielo grigio. È quasi il tramonto, non l’orario adatto affinchè una donna si avventuri da sola, ma Canossa è uno sperone di roccia arroccato, il suo castello è ben difeso, nessuno può turbarla. Accomiatarsi dalla madre è facile, e ritrovarsi a camminare per la strada lastricata è un’autentica gioia. Si siede su un muretto, lontana da tutto e da tutti, e osserva il suo castello come lo farebbe un estraneo. È bello, forte, e il simbolo del suo potere. Ma Matilde è una donna e per quelle come lei il potere è poca cosa. Ripensa all’inverno passato, ripensa a Beatrice, la bimba che ha perduto. Cerca di non pensare a Goffredo. Per lui non è importante che Beatrice sia morta: era femmina, del resto, e Matilde avrebbe dovuto partorire un maschio. E’ anche per quello che ha lasciato il Belgio: pur conscia dei propri doveri non avrebbe potuto giacere di nuovo con chi pensava che Beatrice fosse qualcosa di superfluo. Matilde ripensa agli orribili mesi di gravidanza, al parto che l’ha quasi uccisa, e alla bimba tra le sue braccia. Le era piaciuto cullare quella cosina piccola e rosa, ed era stato orribile capire che non avrebbe vissuto a lungo. Dio gliel’aveva strappata troppo presto, forse come punizione. Per cosa, non avrebbe saputo dire. Matilde rimugina, triste e sconsolata, pensando ai suoi peccati, alla sorte avversa, al marito che non la comprende e ai suoi doveri quando scorge un gente di leone, ormai bianco. Lo raccoglie, e ci soffia sopra, per lasciare che i piumini volino via nell’aria della sera, liberi. Beatrice, ora, è come un piccolo piumino di dente di leone, volata via in punta di piedi, leggera come se non fosse mai esistita. Altri sono i piani che attendono Matilde, lì a Canossa. La contessa ne è consapevole. Eppure, quella sera, Matilde vorrebbe essere leggera come un piumino e volare dove le donne contano quanto gli uomini, in un luogo dove Beatrice sarebbe stata pianta anche da suo padre. Vorrebbe guardare Canossa dall’alto come un falco pellegrino e considerare piccole le faccende degli uomini.

Note: http://data.whicdn.com/images/71032014/large.jpgand This is war. Parole: 313. Pier Maria Rossi, personaggio storico piuttosto ignoto, di cui potete trovare la biografia qui: http://it.wikipedia.org/wiki/Pier_Maria_II_de%27_Rossi

Ci sono molte ragioni per cui Piermaria ama salire a Milano. La prima dovrebbe essere un segreto, anche se invece la conoscono tutti: si chiama Bianca, è una delle dame di compagnia della Duchessa è sposata e attende un figlio, e forse in troppi mormorano sul fatto che la paternità di quel figlio non sia del marito, un uomo assai anziano che passa più tempo sui libri che non con la sua giovane moglie.
Anche Antonia, la moglie di Piermaria, sa di Bianca, e se non sa, sospetta. Non gliene fa una colpa, e capisce: si sono sposati per volere dei loro genitori a quindici anni, hanno messo al mondo dieci figli. Hanno compiuto il loro dovere di nobili, sono stati cortesi l’uno con l’altra, e questo basta. Presto lei si ritirerà in convento per darsi ad una vita più tranquilla e riposante, e allora Bianca Pellgrini scenderà a Parma, e prenderà il suo posto. Ma ogni volta che Piermaria sale a Milano, teme di vederlo rientrare con lei, e teme l’umiliazione. Questo perché tutti sanno perché il conte di Berceto ama quella città.
Tutti, però, dimenticano che Piermaria a Milano è cresciuto, che al duca deve il suo potere, e che è un uomo di guerra, soprattutto. Al conte la guerra piace da impazzire: è portato per la battaglia, è amico della vittoria e gli ha permesso di conquistare parecchi castelli. Ogni volta che il duca lo chiama, segno di stima e amicizia, Piermaria sa che imbraccerà le armi per il suo signore, ma soprattutto per se stesso. E’ in quei momenti soprattutto che smette di credere al giusto e sbagliato, che si lancia in battaglia convinto di vincere, perché niente potrà impedirglielo, perché ha combattuto e vinto così tanto che andrà avanti a farlo fino alla fine dei suoi giorni, e che presto il suo premio finale, Bianca, sarà con lui.

  
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