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Autore: BecauseOfMusic_    16/08/2013    4 recensioni
Siamo nell'anno 1215.
L'assalto delle truppe francesi a Dunchester ha avuto successo e il barone Geoffrey Martewall ha ripreso possesso del suo feudo. Ian, alias Jean Marc de Ponthieu è finalmente riuscito a tornare a Chatel-Argént e ha potuto riabbracciare Isabeau, ormai prossima al momento del parto.
Dopo alcuni giorni viene convocato da Guillame de Ponthieu, che gli affida una delicata missione per conto del re.
Per portarla a termine avrà nuovamente bisogno dell'aiuto del barone inglese: ma cosa accadrà se la dama che deve proteggere e di cui Martewall è segretamente innamorato, si trova nelle mani di Giovanni Senza Terra?
p.s. questa storia è solamente frutto della mia fantasia e riferimenti a fatti realmente scritti o accaduti sono PURAMENTE casuali.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Geoffrey Martewall, Ian Maayrkas aka Jean Marc de Ponthieu, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Eeccomi quiii! Mi sono finalmente ricongiunta al computer e la storia quindi può continuare!
Spero che non mi abbiate maledetto troppo xD
Come promesso tra due settimane avrete il proseguo della storia, che spero consista in un capitolo un po' più lungo di questo; spero che abbiate troppa fretta per continuare a leggere le mie parole, così vi lascio correre a saziare la vostra curiosità. 
Buona lettura. 

BecauseOfMusic_


Plic, plic, plic. C’era un rumore costante nel buio silenzioso che lo circondava.
Era fastidioso e si mescolava ad altri, altrettanto costanti ma più in sottofondo.
Sentiva la testa pulsare, la gamba sinistra pesante ed il braccio…il braccio era freddo e immobile, apparentemente senza vita; Martewall tentò di muoverlo, si sforzò di spostare leggermente le dita ma l’arto non voleva rispondere al cervello.
Cominciò a sudare freddo, e fu assalito da un potente senso di nausea.
Gemette, alla disperata ricerca d’acqua con cui bagnare le labbra: si sentiva bruciare dentro.
Lo stomaco si contrasse nuovamente, in quel momento non avrebbe saputo distinguere il sopra dal sotto;
si ritrovò in una posizione più comoda, e la pressione scomparve così come era venuta, anche se le labbra sembrarono seccarsi ulteriormente.
Dopo un tempo che a lui parve infinito il corpo smise di bruciare, e il rumore costante tornò a fargli compagnia, insieme al solito sottofondo.
Lentamente tornò in possesso del controllo sul proprio corpo, anche se non era del tutto sicuro di riuscire a muovere nuovamente il braccio destro.
Riaprì gli occhi e scoprì di trovarsi in un luogo senza luce, probabilmente un sotterraneo; l’aria odorava di marcio e comprese che il fastidioso rumore era originato da una sorgente d’acqua che zampillava oltre le sbarre della piccola fessura adibita a finestra. Le sue preoccupazioni si riversarono sul Falco e la ragazza: dov’erano? Soprattutto, stavano bene?
Quando i suoi occhi si abituarono alla semi oscurità cominciò a distinguere una figura rannicchiata in un angolo, la testa tra le mani.
Percepiva uno strano senso del pericolo, perciò non si arrischiò a parlare; cercò di afferrare la spada con il braccio illeso, ma si accorse che non l’aveva alla cintura. Non aveva neppure il pugnale corto: era completamente disarmato. Con molta cautela cercò di spostarsi verso l’angolo opposto a quello in cui si trovava la figura: si accorse di essere vincolato al pavimento da una catena, che gli impediva di alzarsi in piedi; cercò allora di mettersi in una posizione più comoda, ma la catena oscillò producendo un secco rumore metallico.
La figura rannicchiata si volse di scatto e cominciò ad avanzare lentamente verso di lui. Martewall sentì  alcuni brividi scendergli lungo la schiena: era disarmato, come difendersi da un attacco?
Nel piccolo pozzo di luce lunare che la strettoia lasciava entrare comparve Lilyth. Aveva gli abiti laceri, le braccia coperte di diversi tagli ed una ferita alla tempia sinistra, dalla quale scendevano rivoli di sangue ormai secco.
“Siete sveglio” sussurrò.
“E voi invece siete ferita” rispose lui con voce roca, preoccupato.
“Già, ma io non sono stata male come voi: la ferita al braccio si era infettata, vi è venuta la febbre, ma sono riuscita a disinfettare tutto ed ora che il peggio è passato starete sicuramente meglio nel giro di pochi giorni.”
“Io però sento il braccio come un corpo estraneo, non più mio, credete che riuscirò ad usare di nuovo la spada.” Domando il barone.
“Questo non so dirvelo, io non sono un dottore. Ho acquisito solo delle conoscenze basilari sulla medicina, per cercare di curare le ferite in battaglia e simili; mio padre mi portava spesso a caccia insieme a lui e ad altri contadini, se si ferivano dovevo essere in grado di fornire loro almeno un bendaggio che li aiutasse a tornare fino al villaggio” replicò lei sedendoglisi accanto.
 “Dove siamo?”
“Nella segreta di una vecchia torre di guardia, sulla strada per Londra.”
“Ma stiamo andando dalla parte opposta rispetto al luogo dove avevamo deciso di imbarcarci!”
“Dovete dirlo agli uomini di Wenning” disse lei con una profonda nota di odio nella voce “non a me”
Il dubbio che si era formato nella mente del padrone di Dunchester divenne certezza.
“Ci hanno catturato.”
Lilyth fissò il terreno ricoperto di fieno ammuffito con disprezzo, quasi fosse colpa sua se si trovavano in quella situazione “Non sono riuscita a resistere loro a lungo; erano due e oltretutto voi eravate svenuto”
La mente dell’inglese tornò indietro all’agguato nella radura: le frecce scagliate dal folto dei cespugli, lui che veniva ferito, i soldati mascherati da briganti, il suo avvertimento alla ragazza, lei che correva verso i cavalli..
“Voi!” gridò colto da un ricordo improvviso “Voi sapete usare la spada! Non me lo avete detto!”
Lilyth rispose in un’alzata di spalle “Non me lo avete chiesto”
Il barone stava per replicare quando un gemito fece zittire entrambi: Ian stava riprendendo i sensi; lei gli afferrò la mano e lo fissò con i suoi occhi di un grigio intenso: “Non una parola, vi prego, neppure con il vostro amico saccente”
Martewall annuì, la lingua stranamente troppo annodata per rispondere.
 
La donna guardava con occhi spenti e tristi la porta dalla quale era entrato il soldato con il cibo: erano anni ormai che sperava nell’arrivo di qualcuno che l’avrebbe finalmente portata fuori di li.
L’uomo in divisa posò una ciotola dell’acqua e due tozzi di pane a pochi metri da lei, poi uscì, chiuse la porta a chiave e a lei fu permesso di avvicinarsi al pasto.
Vide il riflesso del suo volto nell’acqua e venne assalita dalla nostalgia; un tempo era una donna bella, desiderata, mentre ora i suoi tratti erano solcati dalle rughe e dalla sofferenza.
Ricordava la sua vita a corte, l’affetto sincero che la univa a suo marito e la travolgente passione che l’aveva legata all’uomo più potente di Francia; credeva di essere innamorata e ricambiata, ma era solo una ragazzina sciocca preda di un sogno. Ciò che lei scambiava per gesti d’amore non erano altro che ricompense per le notti trascorse insieme.
Quanto dolore, quanta paura aveva avuto quando il suo idillio si era frantumato contro la realtà; aveva compreso troppo tardi di aver ferito profondamente l’animo del consorte, tuttavia lui le era rimasto accanto: era andata a cercare l’amore lontano quando invece lo aveva di fianco a sé.
Mentre masticava gli ultimi bocconi alla porta della sua cella furono battuti due colpi, segno che qualcuno voleva vederla: il terrore si impadronì di lei, perche temeva che da un giorno all’altro si sarebbe presentata una guardia reale per portarla davanti al boia; con passo malfermo si nascose nell’angolo più buio della piccola stanza, sotto gli occhi attenti del soldato addetto alla sua sorveglianza.
La porta fu aperta, e la figura che entrò era l’ultima che si sarebbe mai aspettata di vedere laggiù, anzi l’ultima che avrebbe mai pensato di rincontrare nella sua vita.
“Filippo” mormorò con il cuore in gola.
 
Ian si era appena ripreso dal torpore in cui era caduto mentre lui e la ragazza vegliavano Martewall; si era risvegliato poche ore dopo che erano stati catturati e Lilyth si era presa cura di lui: lo aveva aiutato a mangiare, aveva disinfettato la ferita alla spalla e gli aveva cambiato le bende, strappando pezzi di stoffa dalla manica della sua veste. Era stata molto gentile, anche se distaccata: era più che furiosa per la sua avventatezza al porto.
Lui stesso ripensandoci se ne vergognava molto: aveva messo in pericolo le vite di due persone che erano con lui e per colpa sua la missione di salvataggio era quasi fallita; lei lo aveva rimproverato diverse volte, ma quando le aveva spiegato il motivo di tanta stupidità  sembrava avere compreso.
Dopo essersi accertata che lui stesse bene si era subito preoccupata del loro compagno di viaggio: aveva estratto la freccia con grande sicurezza, poi era riuscita anche a fasciare la ferita; il cavaliere si era rasserenato ma lei non sembrava convinta di ciò che aveva fatto, e a ragione: un paio d’ore dopo la medicazione il barone era peggiorato, perché la ferita si era infettata e la febbre era salita, accompagnata da violenti conati. Lilyth gli dormiva accanto, pronta a girarlo in caso di un attacco di nausea,aveva addirittura razionato l’acqua per potergli rinfrescare la fronte con uno straccio bagnato e lentamente sembrava aver quasi smesso di parlare.
“Insomma, riservate al barone così tante attenzioni che potrei anche diventare geloso!”aveva cercato di punzecchiarla in una delle tante notti di veglia.
“Grazie del tentativo per tirarmi su il morale monsieur, ma purtroppo sono davvero preoccupata: se la febbre continua a salire la situazione peggiorerà ancora di più, potrebbe morire.”
Ian aveva compreso ciò che le passava per la testa: “Sapevamo perfettamente a quali rischi andavamo incontro accettando l’incarico, madame, non dovete pensare neppure per un secondo che sia colpa vostra”
“Ma è comunque a causa mia che lo hanno ferito, per catturare me” obbiettò lei. “Sono stanca di vedere persone morire o rovinarsi la vita a causa mia”
“Cosa intendete dire?” le aveva chiesto, perplesso dalle sue parole.
“Non badateci, sto divagando. Ora cercate di riposare, dobbiamo riuscire a fuggire prima di arrivare nelle mani di re Giovanni”
Appena ebbe ripreso conoscenza si accorse che anche Martewall era sveglio < bene > pensò < ci siamo tutti e dobbiamo pensare ad un modo per liberarci. > la stessa idea passava nella mente del cavaliere inglese che tentò inutilmente di provare a sollevarsi in piedi, infatti la lunghezza della catena permetteva soltanto di addossare le spalle al muro; entrambi gli uomini notarono però che Lilyth non era legata e le chiesero spiegazioni.
“Sono dovuta arrivare ad un accordo per potervi curare.” Disse tentando di rimanere sul vago.
“Quale accordo?” chiese il Falco sospettoso.
“Io…io ho detto loro che se mi avessero permesso di curarvi io li avrei seguiti fino a Londra, da sola. Lasceranno indietro un uomo che dopo due ore dalla partenza vi benderà e poi vi lascerà da qualche parte nella foresta,  potrete tornare oltremanica senza nessun fastidio.”
“Spero che stiate scherzando” affermò l’inglese impallidendo leggermente “noi non vi permetteremo mai di aderire a questo accordo”
“Assolutamente no, madame, voi verrete in Francia con noi, anche a costo di rapirvi davanti a re Giovanni in persona!” rincarò Ian.
“Ho forse detto che ho intenzione di seguirli?” domandò lei calma.
“Ma l’accordo…”
“Quando ho detto che li avrei seguiti se mi avessero permesso di curarvi intendevo dire che avrebbero dovuto portarmi anche bende e qualunque altra cosa mi servisse. Wenning invece si è limitato a lasciarmi libera di muovermi per la cella, mi hanno portato ciò che mi occorreva per disinfettare la ferita di sir Martewall solo quando li ho minacciati di uccidermi.” Spiegò Lilyth nel silenzio che era calato.
Il barone era molto sorpreso “Avete davvero fatto questo per me?”
Lei si schermì, arrossendo leggermente “Non volevo che un innocente morisse a causa mia, non me lo sarei mai perdonato. Ad ogni modo non hanno rispettato i termini e di conseguenza il patto che c’era tra noi non è più valido.”
Ian la fissò per pochi istanti, e osservando i suoi occhi nella penombra la sua mente fu colpita nuovamente dall’idea che gli erano piuttosto familiari, e lo sguardo rivelava ciò che la bocca ancora taceva.
“Voi avete già un’idea su come uscire di qui, vero?”
Lilyth sorrise soddisfatta “Meglio, ho un piano.”
 
Giovanni SenzaTerra si era da poco rinchiuso nella sala riunioni di corte, insieme al fratellastro William Lunga-Spada.
“Io non capisco davvero maestà la vostra ossessione per quella ragazza” stava dicendo il cavaliere al sovrano “dopotutto non è che un’inutile contadina, che ammazzata farebbe più bene che male.”
“Oh no, William voi non capite, ma non è ancora tempo di rivelarvi i motivi che mi spingono a volere quella giovane a tutti i costi.”
Al contrario l’interlocutore del re lo sapeva benissimo, conosceva perfettamente il valore politico della fanciulla, informato dagli alleati francesi, per questo motivo tentava di distogliere l’attenzione del SenzaTerra da lei.
“Vi basti sapere, caro William” riprese il re dopo una pausa “che quando riuscirò a prenderla avrò Filippo Augusto tra le mani, come un burattino. Neppure lui riuscirà ad evitare che la verità venga a galla.”
 
  
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