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Autore: Pervinca Potter 97    22/08/2013    3 recensioni
Ogni anno per tutta Panem in attesa dei nuovi Giochi vengono trasmessi in televisione i pezzi migliori delle edizioni precedenti.
Finnick Odair e il suo tridente, per intenderci. Willow Buffet e la sua accetta. Enobaria Bell ed i suoi denti.
Ma ci sono edizioni di Hunger Games che mancano all'appello, anno dopo anno.
Gli abitanti di Capitol City sono troppo distratti da quisquilie e quelli dei Distretti troppo assorti nel lavoro o nel dolore per notarlo.
Le edizioni perdute, o edizioni fantasma, stanno andando estinguendosi anche nella mente degli uomini più brillanti. Come Capitol City ha voluto che accadesse.
Abernathy, al cinquantesimo anno degli Hunger Games, con il suo campo di forza.
Lilian, che tradì il proprio distretto per progetti più grandi.
Francis, il bambino del distretto 3 che piangeva troppo.
Benedict, che vinse imbattuto diventando un perdente.
Tutti gli anni fantasma, raccontati passo dopo passo, capitolo per capitolo.
Per non dimenticare.
Genere: Drammatico, Guerra, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Altri tributi, Tributi edizioni passate
Note: Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Quarta Edizione
Persefone nell'arena dei veleni





Persefone era sempre stata egoista, in un tempo ed in un distretto dove non ci si poteva proprio permettere di esserlo.
A tavola con la sua numerosa famiglia aveva sempre preteso il piatto più grande, lamentandosi a gran voce ed architettando estenuanti torture per fare sentire in colpa gli altri, se così non accadeva fin da subito.
A scuola guardava con odio chi andava meglio di lei, non perché ci tenesse particolarmente a studiare ma perché non eccellere e non essere la prima le provocava un fastidio enorme.
Non aveva amici, il suo inadatto ed ingiustificato egoismo la rendevano antipatica a tutti. La sua famiglia le voleva bene, ma disperata non poteva che chiedersi come una tale capricciosa potesse essere nata in un territorio traboccante di umiltà e fratellanza.
Persefone era del distretto 11, mai davvero soddisfatta da niente, voluta da nessuno.
Aveva rifiutato più volte di comprare tessere, nonostante ai suoi genitori e ai tre fratellini più piccoli avrebbe fatto comodo una razione in più.
Si apprestava alla sua penultima mietitura con un sorriso sulle labbra, con il passare degli anni si era infatti sempre più tranquillizzata prima degli Hunger Games, anzi non credeva di avere mai avuto paura di essere estratta.
Sapeva di essere la diciassettenne con meno foglietti del suo distretto, e che ci fossero ragazzine nominate più volte di lei.
Quelli dei giochi della fame erano per lei i giorni più difficili di tutto l'anno, pur essendo terrorizzata da quanto vedeva non riusciva a staccare gli occhi dal televisore fino a quando entrambi i tributi del suo distretto cadevano morti.
Una volta accaduto, si scioglieva in un pianto liberatorio che le restituiva quel poco di sensibilità che aveva perso pensando sempre esclusivamente a sé stessa.
In quei primi quattro anni avevano vinto tre tributi dei distretti Favoriti, con la sola eccezione di un bestione proveniente dal quinto distretto.
Con un brivido quel pomeriggio, mentre alzando la corda del proprio riquadro prendeva posto accanto a qualche compagna di classe, ricordò come quel ragazzo avesse strangolato il figlio del calzolaio, due anni prima.
Il sole era alto e cocente quel giorno, tanto da sciogliere la pittura violacea sul volto dell'accompagnatore, un uomo di nome Tullio, di Capitol City.
Ogni tanto qualche grossa goccia dalla sua fronte scivolava sulla sua guancia, per poi cadere a terra con un rumore sordo che si perdeva nel chiacchiericcio della piazza, impegnata a riempirsi.
Qualcuno avrebbe riso della comica espressione che l'uomo assumeva ad ogni perdita di liquido, in circostanze diverse.
Persefone a fatica trattenne lo scoppio di ilarità.
Con l'arrivo dei ritardatari, fra i quali un ragazzino magro come un chiodo, la piazza venne dichiarata al completo.
Persefone era contenta che i suoi fratelli fossero ancora troppo piccoli per la mietitura. Più o meno.
Anche se così fosse stato non sarebbe stata comunque costretta ad offrirsi al loro posto, essendo tutti e tre maschi, ma nel suo egoismo Persefone si impegnò lo stesso ad immaginare a quanto farlo sarebbe parso eroico da parte sua.
Le dispiaceva pensare che, oltre a non affrontare quell'esperienza con lei, in futuro tutti e tre avrebbero dovuto viver quel giorno molto più volte.
All'istituzione dei giochi lei aveva infatti già compiuto i quattordici anni.
Persefone si apprestava alla sua penultima mietitura con il sorriso sulle labbra. Poi era stata estratta.
In seguito si sarebbe resa conto che l'aver sottovalutato il tutto l'aveva resa più debole. Escludere a priori l'eventualità di partecipare agli Hunger Games le aveva impedito di prepararsi all'idea di morire.
Nel momento in cui l'impensabile era accaduto, non era riuscita a capacitarsene.
Due Pacificatori uscirono dal Palazzo della Giustizia e, una volta individuata, dovettero portarla di peso sul palco. Tre anni prima un ragazzo di un altro distretto aveva tentato di scappare, e la sicurezza da allora aveva ritenuto opportuno stringere la morsa durante le mietiture. Le sue gambe faticavano a muoversi, mentre le guance si imporporavano per la vergogna di essere scortata sul palco in quel modo. Lacrime di umiliazione cominciarono a rigarle le guance. A differenza del sudore di Capitol City, non avevano colore.
Alle sue spalle sentiva la folla delle sue coetanee sospirare di sollievo, rilassando i petti e le spalle all'unisono. Alcune avevano già cominciato a parlare concitatamente fra di loro, altre aspettavano la mietitura maschile prima di concedersi il lusso di un sorriso.
Nessuno stava pensando davvero a Persefone, era anzi certa che molte avessero già dimenticato suo nome, una volta appurato che non corrispondesse al proprio.
Avesse avuto un'amica, forse, sarebbe stato diverso. Avrebbe ottenuto più compassione, magari.
E invece, una volta sul palco, l'unica consolazione la ebbe dai suoi genitori. Si stavano abbracciando, scossi da tremiti tristi. Avevano evidentemente lasciato i fratellini a casa.
Per la prima volta in vita sua, Persefone si sentì veramente grata a qualcuno, senza sotterfugi e secondi fini.
Se suo padre lo avesse saputo, si sarebbe sentito fiero di quel seme di cambiamento che lui stesso aveva piantato.
Seme che, però, perse qualsiasi occasione di germogliare, perché Persefone gli Hunger Games li vinse. Ad un prezzo più salato del solito.
I primi due giorni successivi alla mietitura la ragazza li trascorse fra pianti e capricci. Chiunque guardandola scuoteva la testa, irritato per il suo continuo lamentarsi. Solo durante i pasti smetteva di gemere, per saziarsi finalmente quanto aveva sempre voluto. Tutto lo staff era certo sarebbe morta alla Cornucopia, e per certi versi non vedeva l'ora che questo accadesse. Il suo compagno di distretto la ignorava, evitando ogni suo minimo contatto. Ma Persefone, di tutto questo, sembrava non accorgersene.
I pianti cessarono solo arrivati a Capitol City.
Per una volta nella vita, quella ragazza assolutamente inadatta si era sentita a casa. Osservava meravigliata i vestiti proposti dalla sua stilista, sognando di poter indossarli tutti nel corso di quelle giornate. Aveva nascosto la realtà degli imminenti Hunger Games in una nuvoletta rassicurante, che aveva poi posta in un angolo oscuro della propria mente. Nonostante ogni cosa le ricordasse che mancava ormai poco, Persefone si dipingeva sul volto un sorriso smagliante, con il quale dimostrava di godere di ogni agio e conforto.
Al momento della cerimonia d'apertura Persefone di era entusiasmata non poco al caloroso benvenuto degli abitanti di Capitol City. Vedendoli così impomatati e alla moda gli altri tributi torcevano il naso schifati ma non lei. Lei si ritrovo a desiderare di essere una loro concittadina. E realizzò per la prima volta che per riuscirci, avrebbe dovuto fare una sola cosa.
Che curiosamente coincideva con quanto più le piaceva. Essere la migliore.
Fu alla sessione degli allenamenti che studiò da sola un piano per farcela. Mentre tentava di impugnare un coltello, scatenando così le risa dei suoi avversari, Persefone riusciva a studiare con la sua vista perfetta tutte le piante descritte nel grande cartellone dall'altra parte della sala.
Alcune le conosceva già, ricordava gli insegnamenti di una nonna morta da tempo. Una nonna che drogava il logorroico ed insopportabile marito con poche foglie nel the, e una polvere nera nel cibo.
Persefone era rimasta semplicemente stregata a quella vista, ed ora era decisa a portare con sé nell'arena quella magia per vincere la vita dei suoi sogni.
Nessuno tributo fino ad allora aveva prestato particolare attenzione a quel cartello, quindi lei era sicura che quell'anno si sarebbe dimostrato fondamentale.
Il sette che prese con gli Strateghi, riconoscendo tutte le piante velenose, fu la conferma.
Dicono che gli Hunger Games cambino irrimediabilmente la psicologia ed il carattere di tutti i vincitori. Per Persefone, la vincitrice più odiata della storia dei giochi, non fu così.
Il giorno delle interviste si presentò in uno sfarzoso abito rosa, conquistò il pubblico con parole accattivanti. Il suo distretto a casa la osservò nauseato.
Alcuni speravano che si trattasse di una qualche tattica. Chi conosceva Persefone sapeva bene che tutte quelle adulazioni verso la città che aveva, così crudelmente, taciuto la ribellione la ragazza le stava pensando sul serio.
I suoi genitori e fratelli si barricarono in casa due giorni, imbarazzati. Ma lei questo non lo avrebbe mai saputo.
Che i quarti Hunger Games abbiano inizio!
Senza neanche guardarsi intorno Persefone aveva preso la rincorsa ed era partita verso quello che le era parso un frutteto. Alle sue spalle, i primi tributi cadevano sotto le spade dei Favoriti, quell'anno meno talentuosi del solito. Nessuno alle sessioni aveva infatti superato l'otto.
Persefone sentì suonare il cannone quattro volte, una volta superato il frutteto. Era arrivata in un campo di grano, con certe spighe alte il doppio di lei. Decise di fermarsi a riposare, doveva inoltre cercare dell'acqua. Correndo si era fatta un'idea dell'arena, e all'apparenza doveva trattarsi di campi enormi con coltivazioni diverse, tutti collegati fra di loro. Li ricordavano il suo distretto, se non fosse stata per la mancanza di alberi. Alberi su cui non aveva mai voluto salire per lavorare. Alberi che in quel momento avrebbero potuto offrirle nascondiglio e riparo.
In qualche modo in quell'arena era come se giocasse in casa. Ma una casa spesso non si limita a rispecchiarsi in un luogo.
La prima giornata trascorse noiosa, una volta appurato che le spighe fossero commestibili. Si era tenuta lontano da quelle giganti, preoccupata per la diversità fisica che, ne era sicura, nascondeva anche una pericolosità intrinseca. Si congratulò con sé stessa per la sua intelligenza. Si chiese perché la sua professoressa di italiano non l'avesse mai colta davvero.
Quella sera non si curò di vedere i volti di quanti erano morti. Voleva sorprendersi con quelli che si sarebbe trovata ad uccidere.
Non avrebbe mai pensato che dentro di sé risiedesse quella voglia così malsana dell'assassinio. Ma a pensarci bene, aveva sempre desiderato di liberarsi degli altri in quel modo.
La notte si svegliò più volte, scossa dalla sete. Dormire sul grano era poi alquanto scomodo, con tutte quelle spighe che le pungevano e solleticavano il viso. Decise di camminare ancora, alla ricerca di una qualche fonte d'acqua.
Fu così che incontrò il suo compagno di distretto, dando inconsapevolmente inizio al declino dei sogni che si era prescritta.
Si erano guardati terrorizzati per qualche secondo, poi avevano appurato di essere entrambi disarmati. Entrambi cercavano la stessa cosa. Decisero di allearsi per trovarla.
Intanto il cervello di Persefone lavorava sommessamente per pensare a come ucciderlo.
Non aveva lontanamente pensato che la cosa potesse non venire gradita dal pubblico a Capitol City e da quello del distretto 11.
Le alleanze, particolarmente quelle dei distretti più poveri, erano cose da gente molto legata che poi tragicamente doveva separarsi: non era previsto che una stessa persona all'interno di questo patto lo infrangesse uccidendo l'altro. Ma Persefone a questo non pensava. Lei voleva semplicemente essere la migliore.
Così, quando trovò a pochi metri dal fiume due foglie di cicuta, le colse alla luce della luna, senza farsi vedere.
Così, riempiendo due borracce recuperate dal suo compagno alla Cornucopia, alla luce della luna le sbriciolò nella sua, porgendogliela con un grande sorriso.
Così, inaspettatamente quell'idiota sorrise a sua volta, pur tradendo un certo astio nei suoi confronti.
Prima di contorcersi, alla luce della luna.
Quell'azione aveva a Capitol City prodotto reazioni contrastanti. Molti pretendevano l'eliminazione di quella ragazza così insensibile, ma gli sponsor lottavano fra di loro per averla sotto protezione. Fu la ricchezza di quest'ultimi a vincere. Ma ancora una volta gli abitanti di Capitol City ignorarono i distretti.
Nell'11 odio ed indignazione crescevano come spighe di grano.
I quarti Hunger Games durarono altri quattro giorni, nei quali con lo stesso metodo Persefone riuscì ad uccidere altri tre tributi. Gli ultimi due rimasti, oltre a lei, si uccisero praticamente fra di loro.
A lei bastò sfregare delle foglie di aconito sulle ferite del ragazzo a malapena sopravvissuto, del distretto 4.
Le trombe suonarono e con gioia Persefone stava già pregustandosi la sua nuova casa. Sperava di essere piaciuta tanto da poter essere in città.
Invece no.
La fama è un'amica volubile.
Non riuscì a vedere né salutare la sua famiglia, una volta tornata nel distretto 11.
Grossi contadini, famiglie intere di lavoratori aspettavano l'odiosa infelice, le pietre in mano.
Il pacificatore assodato per servirla arrivò troppo tardi, così firmando la sua stessa condanna a morte.
Il Presidente fece bruciare le case degli assassinii della vincitrice per placare i possibili moti.
La storia di Persefone venne sepolta dal veleno dell'odio.
I tributi da quel momento evitarono bene di uccidersi fra di loro.

PP Space

Questo capitolo è stato un parto, di quelli difficili con il bambino, il testo podalico. Più volte ero per abbandonare l'idea, ma ho stretto i denti ed ho provato a darle una conclusione. Ho utilizzato la storia fantasma meno originale che mi passava per la mente, semplicemente perché voglio tenere le idee migliori per i tempi di carestia. Spero di non aver annoiato nessuno, davvero. Fatemi sapere se l'avete apprezzata o disprezzata, è solo con i vostri pareri che posso migliorarmi.
Perdonatemi in ogni caso, credo che la prima sia stata un po' più appassionante.
Grazie lo stesso per avermi letto :)
  
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