Yuuki lasciò che il pettine ornato di perle le venisse appuntato fra i capelli, fissava distrattamente la sua immagine nel piatto d’oro che le faceva da specchio.
«È storto» pronunciò imperiosa, «Le chiedo perdono, Yuuki-gozen» le mani tremanti della servetta si muovevano fra i suoi capelli per riparare all'errore.
Era perfetto, lo sapeva bene, eppure si sentiva pervasa di quella crudeltà che attanaglia il malato che non conosce cura.
Si chiedeva, notte e giorno, perché un’umile serva dovesse essere più felice di lei.
Si alzò sdegnosa «Non avrai mai più bisogno del mio perdono».
Distolse lo sguardo dal suo riflesso. Era onesta e giusta, prima di divenire sofferente.
NdA: Il secondo titolo (onestà e giustizia) è il primo punto del bushidō, Gi, inteso soprattutto come onestà nel rapporto con gli altri e come perfetta capacità di distinguere bene e male.
La protagonista non ha un cognome poiché le donne dell’epoca, anche se mogli di bushi (ufficiali samurai) non avevano diritto ad un cognome, ma solo ad un suffisso a seconda della casta di appartenenza, in questo caso “gozen”.