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Autore: The_Perfect_Sky_Is_Torn    02/09/2013    4 recensioni
Zayn e Bethie non si conoscono, non sanno niente l'uno dell'altro.
Sono nella stessa città, ma i mondi in cui vivono sono completamente opposti.
Eppure le loro vite finiscono per intrecciarsi, sotto il lieve sole di settembre.
La follia degli adulti li ha fatti incontrare.
Quella stessa follia cerca in tutti i modi di dividerli.
Ma dalla loro parte hanno un'arma che niente e nessuno al mondo può eguagliare.
Dalla loro hanno l'amore, che lotta le battaglie date da tutti per perse.
Ma basterà, nei giorni in cui sembra che l'universo ti stia remando contro?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 21



 
ZAYN.


Quando, domenica mattina, Zayn infilò in tasca le chiavi di casa e si chiuse la porta alle spalle, avviandosi per le vie fredde del suo quartiere, fu assalito da un moto di incredulità. Stava sgattaiolando fuori di casa, contro tutte le regole, per la seconda volta oltretutto. Non ci avrebbe mai creduto, se glielo avessero detto anche solo qualche settimana prima, eppure era così, e il moro sapeva bene a chi dare la colpa: a quegli stessi occhi verdi che, in quel momento, lo stavano osservando dall’altra parte della strada, alla fermata delle corriere.
 
Quando Elizabeth gli aveva proposto, il giorno prima, di tornare nuovamente a casa sua, inizialmente era stato riluttante. Da una parte, avrebbe davvero voluto andare, perché lei era praticamente l’unica persona al mondo capace di farlo stare bene, e lui, dopo tutto il tempo passato a soffrire, ne aveva un incontrollabile bisogno. Nonostante l’istinto gli intimasse di accettare, però, non poteva fare a meno di tentennare. E se avesse disturbato? Insomma, Elizabeth aveva una vita privata nella quale lui non c’entrava nulla, e non voleva impedirle di vivere nel proprio mondo. Odiava essere un peso, non sopportava il pensiero di poter essere, anche per lei, un problema. E inoltre, non era proprio da lui avere la fortuna di farla franca due volte di fila, con suo padre. Eppure, la ragazza era stata così persuasiva e convincente che alla fine non aveva avuto scelta, aveva accettato, con un mezzo sorriso imbarazzato sulle labbra.
 
E per quello ora si trovavano lì, in attesa di un bus che li avrebbe scarrozzati fino all’elegante casa di Elizabeth, dove avrebbero ancora una volta passato il pomeriggio. Tutto quello, per Zayn, era più che surreale. Faceva ancora fatica ad immaginare se stesso in quell’ambiente raffinato, dove tutti avevano abbastanza soldi per soddisfare ogni singolo desiderio e potevano mangiare al ristorante anche ogni giorno, volendo.
 
Suo padre aveva sempre detto di odiarla, la gente di quel rango, e Zayn, da bambino, non aveva potuto fare a meno di imitarlo almeno un po’, complice l’invidia bruciante per tutte le cose che lui non poteva avere e fare. Ora però le cose erano cambiate, e sebbene sapesse che sarebbe stato normale, in ogni caso, provare antipatia verso quelle persone che lo guardavano sempre con superiorità, giudicando in un’occhiata i suoi vestiti smessi e il suo fisico fin troppo magro, non riusciva a non pensare che alla fine avessero ragione. In fondo, era lui quello sbagliato, non loro. Si era rassegnato a non meritarle, tutte le ricchezze che non aveva mai potuto avere, e faceva anche a meno di pensarci, di desiderarle, nel tentativo di starci meno male.
 
-A che pensi?- La domanda di Elizabeth lo fece tornare al presente, bruscamente. Spostò gli occhi sul viso della ragazza, fin troppo vicino al suo, per via della folla dentro alla corriera, e fece spallucce, sentendo appena un leggero indolenzimento.
 
-I nostri m-mondi. Sono diversi.- Spiegò in sintesi, scrollando nuovamente le spalle e abbassando lo sguardo, timido nel rivelare i propri ragionamenti. Forse non avrebbe più dovuto sentirsi a disagio, dopo il giorno prima, eppure aveva sempre dentro qualcosa che lo bloccava. Se avesse potuto scegliere, gli sarebbe tanto piaciuto essere ventiquattro ore su ventiquattro il ragazzo allegro che era emerso il pomeriggio precedente, durante la battaglia di cibo; eppure non ce la faceva, e non sapeva neppure spiegarsi perché. Qualcosa dentro lo frenava, e lui non aveva idea di come cambiare la situazione.
 
-Forse lo sono, ma noi non siamo semplici pedine dei “nostri mondi”, Zayn… Io sono un’eccezione nel mio, ad esempio, e tu potresti esserlo nel tuo, se volessi.- Ribattè Elizabeth, mentre lui tornava a perdersi. Quell’affermazione, però, lo scosse, impedendo alla sua testa di cambiare argomento.
 
-Che intendi?- Mormorò, troppo curioso per trattenersi, ma anche troppo impaurito di sembrare stupido per andare oltre a quella breve domanda. Il fatto era che non capiva, non era mai stato bravo a rapportarsi con i concetti astratti, a scuola soprattutto. Elizabeth, suo malgrado, riuscì a comprenderlo, e cercò tra i tanti un esempio pratico che la soddisfacesse.
 
-Tutti quelli del mio “mondo”… Dovrebbero essere arrampicatori sociali con la puzza sotto il naso, no? Sempre concentrati sul proprio conto bancario in lievitazione e sull’apparenza. Giusto?- Rise la ragazza, facendo sorridere appena anche il moro dopo quella descrizione fin troppo azzeccata.
 
-Tu non s-sei così.- Terminò a quel punto Zayn, rosso come un pomodoro, ma finalmente in grado di capire cosa la compagna intendeva. A differenza della maggior parte dei ragazzi che conosceva, lei non era nata dallo stampino pronto e perfetto dei suoi genitori; lei era diversa, un’eccezione in mezzo alla gente del suo rango, in mezzo a tutti quelli a scuola.
 
-Lo spero!- Sospirò Elizabeth a quel punto, una punta di malinconia negli occhi verdi, della quale il moro non riuscì a capire la ragione. –Ho cercato, di non diventare così, sai… Perché io disprezzo quel tipo di persone. Però è stato difficile, se fossi stata sola non credo ci sarei riuscita… Senza di lei, probabilmente sarei diventata la figlia perfetta che mia madre ha sempre voluto, e forse a quest’ora non saremmo qui.- Continuò poi, lo sguardo perso nel vuoto. Zayn drizzò le orecchie a quel discorso bizzarro, sentendosi perso in mezzo a quelle parole che non riusciva bene a collegare.
 
-Lei… Chi?- Ebbe il coraggio di chiedere, arrossendo all’istante. La ragazza sembrò svegliarsi di soprassalto, l’espressione spaventata, e si morse forte il labbro prima di rispondere, come se si fosse lasciata scappare qualcosa di terribilmente grave, che tuttavia il moro non era riuscito a cogliere.
 
-Nessuno, Zayn. Dicevo… dicevo così per dire, davvero.- Balbettò, chiaramente in ansia. Il moro quasi sorrise, trovandola davvero adorabile quando si agitava a quella maniera; tuttavia gli bastarono pochi secondi per tornare in sé e darsi uno schiaffo mentale, confuso anche dai propri pensieri. Adorabile? Cosa gli passava per la testa?
 
Una cosa di cui era sicuro, in ogni caso, era il fatto che stesse mentendo: lui, che l’aveva fatto per fin troppo tempo, era ormai diventato un mago a riconoscere bugie anche molto meno evidenti di quella. In ogni caso, conosceva bene anche la sensazione di aver un segreto irrivelabile; per cui, per evitare di mettere la compagna in imbarazzo, evitò ulteriori domande, sviando delicatamente il discorso e ricevendo, in cambio, uno sguardo grato.
 
In ogni caso, non potè certo cancellare quella frase, sfuggita dalle labbra morbide della compagna. Semplicemente la chiuse a forza in un angolino della propria mente, assieme a tutte le altre domande senza risposta e ai misteri, che troppo spesso rimanevano irrisolti. Non sapeva, però, che questa volta non sarebbe rimasta lì ad ammuffire. Anche troppo presto, quelle parole sarebbero tornate a saltare fuori.

 
***
 
Erano ormai arrivate le due del pomeriggio, talmente in fretta da sbalordire i due ragazzi. Per quanto Elizabeth ci sperasse, non c’erano stati altri episodi come la battaglia di cibo; Zayn era sicuramente più a suo agio, e stava lentamente iniziando a partecipare alle conversazioni e alle attività, ma sembrava sempre rimanere un po’ sulle sue, tra l’imbarazzo e il timore di trovarsi in quelle situazioni, a lui sempre nuove.
 
Così, durante il pranzo soprattutto, i due erano stati circondati da un alone di silenzio, che faceva sembrare tutto ancora più irreale. A Zayn, il silenzio piaceva; lo trovava piacevole, molto migliore di qualsiasi suono o rumore. La musica era un’eccezione, ma anche quella in certi momenti non era totalmente gradita alle sue orecchie. C’erano infatti alcune volte, in cui l’unico suo desiderio sarebbe stato sedersi da qualche parte e bearsi del nulla che lo circondava e lo riempiva, come un palloncino, leggero d’aria. In quei momenti, sebbene dovesse sopportare una malinconia quasi struggente che, per motivi a lui sconosciuti, gli stringeva il cuore, riusciva a togliersi di dosso le preoccupazioni e l’ansia, e poteva finalmente tirare il fiato dalla sua vita soffocante.
 
Solitamente, la gente non riusciva a capirlo. Le persone avevano la brutta abitudine di voler riempire tutto, di voler sovrastare i sentimenti con il rumore, puro rumore. Non c’era musica, nel rumore; non quanta ce ne’era nel vento e nel silenzio. Eppure nessuno sembrava pensarla come lui, su quel punto.
 
Verso i dieci anni, Zayn aveva capito che la gente trovava il silenzio pericoloso. Senza distrazioni, era troppo facile per i ricordi invadergli la mente, per le sensazioni più disparate attorcigliargli lo stomaco; senza il rumore, le voci nella sua testa divenivano improvvisamente più rumorose e acute. Quindi, in un certo senso, il moro poteva dare ragione alle altre persone: il silenzio era senza dubbio un pericolo; lo era, però, soltanto per chi voleva tenere tutto quello lontano da sè. E non era il suo caso, a dirla tutta. Lui amava tutto quello, amava il senso di pesantezza interiore, e sapeva che forse in un certo senso lo si poteva considerare masochismo, ma amava anche la potenza delle voci nella sua mente. Nessuno l’aveva mai capito, prima, e sicuramente non pensava che Elizabeth sarebbe stata l’eccezione.
 
Tuttavia, rimase piacevolmente sorpreso nell’apprendere che, forse intuendo qualcosa, lei rispettasse il suo tacere, non lo infangasse di chiacchiere insensate. Si ritrovarono a guardarsi di sottecchi, un mezzo sorriso sulle labbra, senza dire niente, eppure sentendo, capendo molto più che grazie alle parole.
 
E anche Elizabeth dovette ammettere che era bello, stare lì senza parlare, senza aver bisogno di pensare alle frasi giuste e alle parole corrette, senza la paura di dire cavolate e, soprattutto, senza fastidiosa confusione in testa. Sorrise, accorgendosene, e dentro di se ringraziò il moro per quel regalo, che forse inconsciamente le aveva fatto.
 
Restarono lì per parecchi minuti, quasi studiandosi, finchè Elizabeth non si alzò, piano, e fece il giro del tavolo per andare da Zayn, sempre senza pronunciare verbo. Solo quando fu abbastanza vicina da sentire il ritmo quieto del suo respiro, sussurrò una parola, leggera: -Vieni.- Non era un ordine, ma neppure una richiesta; semplicemente si girò con lentezza, sicura di essere seguita, e Zayn non la deluse, alzandosi, come al solito senza neppure far stridere la sedia contro il pavimento.
 
Attraversarono parecchie stanze della casa, finchè non si ritrovarono davanti alla porta che dava sul retro, evidentemente poco frequentato data la scarsa cura. Una volta fuori, camminarono piano per qualche tempo, ancora senza parlare. Il moro sentiva dentro di sé la curiosità crescere, ma fu paziente e continuò a seguire la schiena della ragazza, che avanzava tra l’erba con sicurezza.
 
Elizabeth, dal canto suo, davvero non sapeva cosa stava facendo. D’improvviso, aveva deciso di portare Zayn al proprio campo, quello dove si allenava a correre; non che avesse in mente chissà cosa, ma in un certo senso voleva anche lei regalare qualcosa a lui, un pizzico della propria vita, e aveva subito pensato a quel posto speciale, che più della sua cameretta aveva raccolto lacrime di gioia e di dolore, e dove era cresciuta, correndo avanti e indietro tra due paletti malamente piantati. Per quanto sembrasse un normalissimo campo, per lei lì c’era molto di più; ed era quasi certa che il moro l’avrebbe saputo cogliere.
 
Quando arrivarono, entrambi trattennero il fiato per qualche secondo. Lì sì, il silenzio era irreale, spezzato solo dal frusciare appena udibile del vento tra l’erba alta. C’erano tratti in cui le sterpaglie erano cresciute a dismisura, e altri, compreso quello in cui Elizabeth si allenava, che invece potevano vantare un taglio d’erba quasi regolare, da giardino. Lontano si stendeva il profilo elegante di alcune villette gemelle, che la ragazza aveva osservato tante volte, durante il tempo passato lì; e perso, nella zona in cui le ebracce raggiungevano livelli di altezza davvero impensabili, si ergeva un muretto in pietre, che sembrava essere piazzato lì casualmente, dato che non aveva nulla da cingere né davanti, né dietro. Si dilungava solo per quattro o cinque metri e poi si bloccava, da ambo i lati; non era altro che il resto sgretolato di quello che una volta doveva essere stato un grande muro portante.
 
Quasi guidati da fili invisibili, si diressero entrambi verso di esso, partendo contemporaneamente e guardandosi sorpresi, con un sorriso appena accennato sulle labbra. In pochi minuti, dopo essersi a malapena mossi in mezzo all’erba, che arrivava loro quasi al petto, riuscirono a trovarsi ai piedi del muretto, per poi arrampicarvisi sopra, senza fatica. Lì, ogni cosa sembrava meravigliosa.
 
-È bello qui.- Osservò Zayn piano, parlando per primo senza neppure accorgersene. Era tanto che non apriva una conversazione di sua spontanea volontà; si era abituato presto a parlare solo se interpellato, per risparmiarsi fastidi inutili. Eppure, in quel momento si sentì bene, per niente in imbarazzo. Anche la sgradevole abitudine di balbettare sembrava essersene andata per qualche attimo.
 
-Molto.- Concordò Elizabeth, con un sospiro appena accennato. –Io ci vengo a correre.- Spiegò poi, indicando con il dito il tratto che percorreva ogni giorno, ormai scavato ed impresso con forza nel terreno.
 
-Corri?- Mormorò il moro a quel punto, gli occhi accesi di puro interesse. Gli capitava raramente di essere veramente interessato a qualcuno, ed era ancora strano per lui ritrovarsi a fare domande, anziché riceverne. La ragazza annuì, pensierosa, per poi scalciare un sassolino, chi rimbalzò alcuni metri più avanti.
 
-Mi alleno sui cinquanta e sui cento metri… Però me la cavo abbastanza anche sulle lunghe distanze.- Spiegò Elizabeth a quel punto, sorridendo appena.
 
-Sei brava?- Domandò ancora Zayn, innocentemente. Se fosse stato chiunque altro, la ragazza si sarebbe sentita in imbarazzo, combattuta tra la voglia di non vantarsi e quella di dire le cose come stavano, e sarebbe caduta nella falsa modestia; con il moro, però, sapeva di poter essere se stessa, così: -Abbastanza, contando che mi alleno da sola.- Ammise, senza imbarazzo.
 
-E tu? Fai qualche sport?- Chiese poi, curiosa. Il ragazzo che aveva imparato a conoscere non sembrava davvero il tipo di buttarsi in una partita di calcio o di basket, in mezzo alla confusione, all’ansia da prestazione, e tutto il resto. Era già abbastanza in ansia di per sé.
 
-No.- Borbottò infatti l’interpellato, sospirando. –Ma mi piacerebbe.- Aggiunse poi, tristemente, facendo rizzare le orecchie alla compagna, che si affrettò a ribattere: -Tipo?- Zayn fece spallucce, lo sguardo lontano.
 
-Non so. Qualcosa. Sarebbe bello.- Mormorò, gli occhi persi a fissare il vuoto. Si stese sulla schiena, lasciando che le gambe penzolassero da un lato del muretto, e godette il sole appena tiepido sulla pelle, inspirando a fondo.
 
-E allora perché…?- Iniziò Elizabeth, distratta dal passaggio di un passerotto, senza neanche pensare alle proprie parole. Zayn si bloccò, sospirando, poi rispose, a fatica, mandando giù l’orgoglio: -A casa… Non abbiamo tanti soldi, sai.- Era riduttivo dire così; sarebbe stato più corretto ammettere di non aver neppure il denaro necessario per comprare un pallone, e che suo padre disapprovava qualsiasi attività che potesse arrecare piacere al figlio, pensando che l’avrebbe distratto dallo studio.
 
-Uhm, già. Scusa, non… Non ci avevo pensato.- Balbettò Elizabeth, in imbarazzo, dispiaciuta per quell’uscita non proprio delicata. Zayn però, con sua sorpresa, riuscì a stiracchiare le labbra in un sorriso tranquillo.
 
-Non preoccuparti. Capisco.- Soffiò, comprensivo. Non voleva che la compagna lo trattasse come uno diverso, che dovesse misurare le parole quando era con lui; tutto quello gli sembrava solo frutto di una pietà che non voleva ricevere, non da lei soprattutto. Tutto quello che gli serviva era che lei fosse sincera; anzi, forse sarebbe bastato che ci fosse stata, e basta. Preso da quei pensieri, tornò a buttare la testa all’indietro, infilando le mani dietro la nuca e chiudendo le palpebre, piano. Restarono immersi nel silenzio per qualche secondo, finchè Elizabeth non parlò, la voce fievole.
 
-Posso chiederti una cosa, Zayn?- Tentò, chiaramente indecisa. Doveva essere una domanda delicata, e il moro non era poi così sicuro di voler rispondere; eppure doveva farlo, doveva iniziare a fidarsi almeno di lei. Doveva dimostrarle, o forse dimostrare a se stesso, di riuscire a controllarsi, di non aver paura delle parole. Poteva farcela, se si impegnava. Annuì infatti, mordendosi il labbro, e aspettando il colpo che, era certo, sarebbe arrivato.
 
-Perché non ti sei mai ribellato a tuo padre? Perché non hai mai chiesto aiuto?- Mormorò la ragazza, la voce così bassa da essere appena udibile, ma che risultò come un colpo di cannone per la potenza delle parole che portava. Zayn prese un paio di respiri profondi, prima di rispondere, cercando di riordinare le idee; era difficile parlare, per lui, e ancora di più farlo riguardo a quelle cose, eppure tentò, incerto.
 
-Io… N-non lo so. Credo che… Forse sia stato il f-fatto che p-pensavo di meritarmi tutto, e poi… È sempre stato così, dopo un po’ p-penso di aver iniziato a c-considerarlo normale…- Si bloccò, senza fiato per lo sforzo di balbettare il meno possibile. Si passò una mano tra i capelli, cercando il coraggio di buttare fuori i suoi pensieri contorti. Elizabeth capì, e aspettò in silenzio che si sentisse di continuare.
 
-Da piccolo m-mi chiedevo sempre c-cosa avessi fatto, poi… H-ho capito di m-mia madre, lui mi ha d-detto tutto… E ho sempre p-pensato di meritare quello che mi faceva… Per me non era c-così strano… Cioè, ci ho f-fatto l’abitudine, e poi… Non sarei mai riuscito a r-ribellarmi, lui è t-troppo forte, io… N-non sono bravo a difendermi, n-non saprei come…- Buttò fuori le parole a fatica, ansimando pesantemente, e spezzando le frasi nei punti meno opportuni. Gesticolava pesantemente, cercando di scaricare l’ansia che lo schiacciava, ma che rimaneva impertinente a formargli un nodo in gola. Sospirò, dopo un po’, cercando di calmarsi. Elizabeth si era avvicinata a lui, e gli aveva preso la mano, stringendola forte e facendogli capire, silenziosamente, che lei non l’avrebbe lasciato solo, e che poteva confidarsi. Gli lasciò carezze leggere lungo il braccio, avendo già provato l’effetto calmante che avevano sull’amico, e raccolse con affetto tutte le sue parole balbettate, aspettando che riprendesse a respirare normalmente.
 
Il moro, ormai, credeva di non riuscire a pronunciare una sillaba di più; eppure, con sforzo, riuscì a sussurrare un’altra manciata di parole, forse le più importanti di tutto il discorso: -Credevo che c-con il tempo s-sarebbe cambiato tutto…- Gemette, gli occhi strizzati con forza, il cuore a mille nel petto. Elizabeth annuì, piano, e gli strinse la mano ancora più forte, offrendogli qualcosa a cui aggrapparsi. Poi, a bassa voce, come temendo di fargli male, la ragazza parlò.
 
-Le cose non cambiano mai da sole, Zayn… Non potranno mai farlo se tu non dai loro una spinta. Forse credi che la lotta più difficile sia quella con tuo padre, ma in verità la più complicata è quella con te stesso. Non puoi continuare a sentirti in colpa, non puoi continuare ad odiarti, capisci? Non te lo meriti, Zayn, non meriti niente di tutto questo.- Prese un respiro profondo, e cercò con lentezza gli occhi del moro, ora aperti, per piantarvi dentro le proprie iridi verdi.
 
-Le rivoluzioni non avvengono mai per caso, bisogna farle divampare, come il fuoco. Il fuoco delle nostre rivoluzioni personali siamo noi, Zayn. Siamo forti, tu sei forte. Dico sul serio. Ma serve il coraggio per andare ad accendere il primo fiammifero. Nessuno può accenderlo per te, anche se c’è chi può incitarti a farlo; e io ti giuro, sono qui per questo, per aiutarti. Non posso prometterti che sarà facile, perché so già che farà male, io ci sono passata; ma devi farlo, per la libertà, per smetterla di avere paura, per te stesso.- Un altro respiro, spezzato. La voce le tremava.
 
-Tu sei forte, sei forte Zayn, e non meriti la sofferenza. Devi solo fare il primo passo, quello immensamente più difficile. Devi volerlo, soprattutto. Apri gli occhi e sogna, aspira a tutte le belle cose che non ti sono state date, esci dalla tua testa e vattele a prendere, perché sono tue, sono lì per te. Devi solo prendere in mano quel fiammifero e accenderlo, Zayn. Allunga la mano, allungala. So che puoi farcela.- Sorrideva Elizabeth, alla fine di quel discorso troppo adulto per essere davvero uscito dalle sue labbra, gli occhi umidi ancora fissi su quelli incandescenti del ragazzo davanti a lei, che la fissava con la disperazione nello sguardo.
 
-Fallo per te, Zay, fallo per me.- Gemette infine la ragazza, prima di lasciare alle spalle ogni dubbio e stringere il moro in un abbraccio soffocante, lasciando che una piccola, solitaria lacrima le rigasse la guancia. Strinse l’amico con ogni forza, come cercando di non farlo scivolare via; e quasi pianse di gioia quando lo sentì ricambiare, piano, tremando.
 
Restarono lì abbracciati, Elizabeth e Zayn, mentre il mondo correva svelto intorno a loro; ascoltarono il silenzio insieme e si aggrapparono l’uno all’altra, nel tentativo di non cadere, di essere forti, insieme. Si donarono tutto in un unico abbraccio, incastonati come pezzi di un puzzle, caldi come solo l’affetto fa sentire; in quel momento, cinto dalle braccia forti dell’amica, Zayn si sentì per una volta intero, come se lei fosse riuscita a recuperare tutti i pezzi del suo cuore distrutto e li avesse rimessi assieme, con pazienza e amore.
 
Forse, qualcosa per cui lottare l’aveva. Forse, ce l’avrebbe fatta. Per lei.












 
**SPAZIO ME**


SCUSATE.
Dico davvero, scusatemi. Non ho parole per farmi perdonare, stavolta. Non riesco e non riuscirò mai a pubblicare regolarmente, ormai lo accetto. Solo, mi dispiace. Non è colpa mia, davvero. Ci sono periodi in cui non riesco a scrivere. Questo capitolo l’ho tirato fuori dai tasti nonostante il periodo non fosse ancora passato, solo e soltanto perché il senso di colpa mi ha spinto ad aprire il file, altrimenti sarebbe ancora in via di progettazione.
So che fa letteralmente SCHIFO, davvero, ma non riesco a fare di meglio, non ora. Scusate, ancora. Cercherò di migliorarmi nei prossimi.
Perché, sì, ci saranno i prossimi. Non so quando pubblicherò, ma vi giuro, vi giuro su quello che volete che porterò a termine questa Fanfiction, dovessi anche morire nel tentativo; e non esagero.
Intanto, mi prendo cinque minuti per ringraziare con il cuore voi pochi che mi seguite ancora, dopo tutti i casini. Se non ho ancora lasciato perdere è solo per voi, sappiatelo; vi amo.
Ringrazio tantissimo le 56 recensioni totali, le 6 ricordate, le 22 seguite (OMFG) e le 19 preferite (DITELO CHE MI VOLETE MORTA). Grazie mille, per seguirmi anche se solo un completo disastro.
E ora, alla fine di tutto, vi supplico di lasciarmi una recensione. Anche corta, anche per dire che fa schifo (perché già lo so). Ho bisogno di pareri, davvero, non so più come fare con questa storia! PER FAVORE, DITEMI COME LA PENSATE- COSA DOVREI CAMBIARE, COSA VA BENE… VI SUPPLICO!
Ora, vi saluto <3
Love u 
  
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