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Autore: andromedashepard    06/09/2013    5 recensioni
“Speravo dormissi, almeno tu”, disse Thane quando lei ebbe aperto il portellone. Le sembrò esausto. Coprì con due brevi falcate la distanza che li separava, uno sguardo che lei non seppe interpretare. “Dammi un buon motivo per andarmene”, aggiunse, appoggiando la fronte contro la sua. Lei trattenne il respiro, mentre le sue dita si intrecciavano ai suoi capelli. Se c’era davvero un buon motivo, lei non lo conosceva.
#Mass Effect 2 #Shrios
Genere: Avventura, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Donna, Thane Krios
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Andromeda Shepard '
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“Come la vide legata le braccia a una rigida rupe,
 Perseo l'avrebbe creduta di marmo, se l'aria leggera
 non le moveva le chiome e stillavano lagrime gli occhi,
 inconsapevole n'arde e stupisce. Rapito alla vista
 della bellezza dimentica quasi di battere l'ali.”
 
 (Ovidio, Metamorfosi, IV, 673-677)

 [x]

 

 
Quel primo bacio non era stato esattamente un bacio. Era stato semplicemente un tentativo di zittirla, nel modo che al momento era sembrato il migliore possibile, un maldestro tentativo di mettere a tacere il caos nella sua mente. Il secondo era stato piuttosto una presa di contatto, timida ed incerta, dove lei si era concessa di aprire gli occhi per un secondo, accertandosi che non stesse immaginando tutto. Il terzo era nato dal desiderio impaziente di ripetere il contatto. Più sicuro, consapevole, accompagnato dalle mani di lei, ancora avvolte dall'energia biotica, che andavano a poggiarsi sul torace di lui, esitanti. Il quarto era stato preceduto da un breve sguardo reciproco per ripetersi che, sì, c'erano entrambi e con la stessa intensità. Lui prese il suo volto fra le mani, accarezzandole una guancia, mentre le mani di lei stringevano la presa intorno al suo colletto. Due cuori diversi che battono all’unisono mentre le lingue si sfiorano nel quinto bacio, brividi che corrono lungo le estremità degli arti, la luce azzurra che svanisce per essere bruscamente sostituita da una, altrettanto familiare, di un altro colore, seguita dal suono assordante del factotum di Shepard. L’allontanamento, per quanto odiato, fu inevitabile. Un riflesso arancione nelle loro iridi così diverse e l’estrema frustrazione di chi ha appena ottenuto qualcosa che agognava da tanto tempo e ora deve disfarsene.
“L’Uomo Misterioso…”, mormorò Shepard, dopo aver visionato brevemente il messaggio che la voleva al più presto in sala tattiche. Avrebbe voluto imprecare, ma si trattenne, mordendosi un labbro. “E’ da ieri che lo ignoro e Miranda mi ha detto che deve parlarmi”, aggiunse, forse troppo velocemente, rilassando poi le spalle con un sospiro. Thane sorrise, mostrando comprensione, e si alzò, offrendole una mano. Lei l’afferrò e si rimise in piedi, ritrovandosi a due centimetri dal suo volto. Resistette all’impulso di ricominciare da dove avevano lasciato e si allontanò con un sorriso sconsolato, esitando a lasciare la sua mano. “Devo andare”, disse mestamente. Lui annuì e la accompagnò alla porta, fermandosi a guardarla andare via.
 
Non volle lasciare quello stanzino, non ancora. Così come lei, prima, aveva trovato sollievo nell’oscurità, anche a lui sembrò che al momento non esistesse posto più confortevole. Andò a sedersi esattamente nello stesso posto di prima, la schiena premuta contro lo scaffale metallico, e diede un lungo sospiro che sembrò necessario dopo quanto era successo.
Trovò le risposte che stava cercando in un ricordo che, come un fulmine a ciel sereno, riaffiorò alla memoria con un’intensità incredibile. Qualcosa che, fino a quel momento, era stato sepolto sotto pile di altri ricordi che al momento sembravano inutili, esattamente come il ricordo di una colazione consumata quindici anni prima o un sogno insignificante dell’infanzia.
 
E’ mattina, la luce sembra quella di un pomeriggio spento. Piove, ripenso a Kahje. Il silenzio del bar è rotto solo dal notiziario. Alzano il volume. La giornalista parla, composta. “…Andromeda Shepard, primo Spettro Umano, marine dell’Alleanza…” Do un sorso al mio thè, troppo caldo. Aromi che mi ricordano un viaggio d’infanzia su Rakhana. “…conosciuta per la distruzione della nave Geth sulla Cittadella…” Un Salarian entra dalla porta principale, l’impermeabile bagnato. “…le notizie sono allarmanti, ma l’Alleanza non ha ancora emesso un comunicato ufficiale per confermare la sua morte…”
 
Sentì il bisogno di interrompere quel ricordo tanto vivido. Le sensazioni provate allora, permeate da una certa indifferenza, si mescolarono con quelle che avrebbe provato adesso, a sentire una notizia simile. Ma quel ricordo premeva sulla sua mente, come un’entità a sè stante che chiedeva disperatamente udienza. Socchiuse gli occhi e lo lasciò riaffiorare.
 
Il Salarian si siede, la cameriera sorride. La pioggia batte più forte sul vetro e le chiacchiere fra gli avventori aumentano d’intensità quando la giornalista passa ad un’altra notizia meno interessante. Attivo il factotum su Extranet. “Andromeda”, cerco distrattamente. Quel nome ha il suono della mia lingua, sono curioso.
 
Riemerse dal ricordo e improvvisamente gli fu tutto chiaro. Si era ritrovato a leggere del mito di Andromeda e Perseo, in quella mattina uggiosa su Nos Astra, rapito dalle parole aliene ed evocative di uno scrittore umano, vissuto sulla Terra migliaia di anni fa. Poi, come succede per le cose meno importanti, la cosa era caduta nel dimenticatoio, senza alcun motivo per restare impressa in qualche modo nella memoria. A distanza di un paio d’anni, quel momento sembrò acquistare un nuovo significato, totalmente diverso. Due donne diverse, ma con lo stesso nome, di cui una probabilmente mai esistita… entrambe portavano sulle spalle il peso di un sacrificio, entrambe vittime di un destino che non erano state loro a scegliere. E lui si ritrovò nei panni di Perseo, inconsapevolmente, a slegare Andromeda dalla sua rupe, a salvarla dalla lotta contro i suoi demoni interiori. Quell’eroe greco, così sicuro di sé, non aveva esitato un momento a liberare la fanciulla, rapito da tanta bellezza e innocenza. Ma che ne sarebbe stato di Perseo qualora avesse perso le sue ali?
 
 
 
Shepard si recò in sala tattiche a passo spedito, più di quanto la ferita concedesse, e finì per appoggiarsi esausta sul tavolo, avviando la comunicazione con una mano, mentre l’altra era premuta sul fianco. Una manciata di secondi dopo, l’ologramma dell’Uomo Misterioso la osservava con uno sguardo contrariato.
“Shepard, mi aspetto che tu risponda sempre alle mie chiamate, a meno che tu non abbia più di un buon motivo per farlo”, disse.
Lei sentì un moto di rabbia nascerle nello stomaco. Se a parlarle così fosse stato Anderson, avrebbe immediatamente chinato il capo e chiesto umilmente scusa, ma di fronte a quell’individuo riusciva solo a provare repulsione.
“Sono sicura che Miranda l’ha già informata riguardo alle mie condizioni, per cui ritengo di aver avuto un ottimo motivo per rimandare questo colloquio”, rispose, serrando le mascelle.
“Avrei preferito sentirlo da te. Mi auguro che tu faccia maggiore attenzione la prossima volta, visto quanto mi è costato rimetterti in piedi. Soprattutto, mi auguro che tu rimanga concentrata sulla missione”.
Shepard sollevò un sopracciglio, scettica. “Cosa vuole insinuare?”
“Se pensi che io stia insinuando qualcosa, sei fuori strada, Shepard. Ti ho messo a capo di una nave come questa perché so quali sono le tue capacità. Voglio solo assicurarmi che tu abbia chiare in mente quali sono le priorità”.
“E questo cosa diavolo ha a che fare con la missione di ieri?”. Stavolta non riuscì a trattenersi.
“Assolutamente nulla. Ma sentirselo dire ogni tanto non può che far bene”. Un sorriso per niente sincero stirò le sue labbra sottili.
Shepard indurì lo sguardo, stringendo una mano a pugno sul tavolo. Non le piacevano certi giochetti e non aveva intenzione di continuare un attimo di più. “Se mi ha chiamata per comunicarmi qualcosa d’importante, bene. Altrimenti… io avrei del lavoro da fare”.
“Qualcosa ci sarebbe. Qualcosa di grosso, a dire il vero. Si tratta del relitto di un vecchio Razziatore”.
Shepard sgranò gli occhi.
“Ho mandato una piccola squadra a controllare, ma sfortunatamente non ha mai fatto ritorno. Voglio che tu vada a scoprire perché”.
“Come fa a dire che questo Razziatore è un relitto e non si tratta semplicemente di una trappola?”
“Ti manderò le scansioni e controllerai tu stessa. E’ di vitale importanza, Shepard. Potrebbe significare molto e voglio che tu ci vada al più presto”.
“Ci andrò quando la mia squadra sarà pronta, non prima di aver sottoposto le informazioni ai miei tecnici”, rispose lei, risoluta. “Se la sua squadra è scomparsa, dubito che il Razziatore sia innocuo come dice. Devo accertarmene”.
“Molto bene. Conto su di te”, concluse l’Uomo Misterioso, e terminò la chiamata.
Sorrise fra sé e sé, rigirando nella mano ciò che restava del suo whiskey. Era sicuro di averla messa in difficoltà, compiaciuto che i suoi piani stessero procedendo esattamente come stabilito. Cogliere in Shepard quella certa preoccupazione nello sguardo significava che era riuscito ad ottenere ciò che aveva sempre voluto. Sin dall’inizio era stato consapevole che, al suo risveglio, quella donna avrebbe potuto trasformarsi in tutto il contrario di ciò che era. Sarebbe potuta diventare un robot a tutti gli effetti, privata di due anni della sua vita, privata del suo passato, privata di quelle poche persone che le erano rimaste a fianco fino a quel momento, privata del suo titolo e di uno scopo. Per questo aveva fatto molto attenzione a stilare i dossier per il nuovo equipaggio, assicurandosi che ritrovasse vecchi affetti e che instaurasse nuovi legami. Nessuno, più di lui, era consapevole che un uomo senza qualcosa per cui lottare, si sarebbe rivelato il più inutile degli investimenti. Sicuro che metterla con le spalle al muro non avrebbe fatto altro che spingerla verso la direzione opposta, si accese l’ennesima sigaretta, pronto a gustarsi lo spettacolo di quella che riteneva la sua personale creazione.
 
 
 
Dopo aver consumato il pranzo in solitudine di fronte a una pila di datapads, studiando attentamente gli ultimi files inviati dall’Uomo Misterioso, Shepard si recò in armeria e non fu affatto sorpresa di trovarci Kasumi, appollaiata sul tavolo, che guardava Jacob smontare e pulire accuratamente l’arma che lei gli aveva precedentemente passato.
“Non te ne starai approfittando?”, domandò Shepard, rivolgendo un sorriso alla ladra.
“A che servono gli uomini se non possiamo fargli fare i lavori sporchi?”
Jacob sorrise, guardandole entrambe dal basso verso l’alto. “Potrei offendermi, signorina Goto”.
“Prendilo come un complimento, Taylor”, intervenne Shepard, poggiando brevemente le mani sul tavolo. “Beh… penso che toglierò il disturbo insieme al mio Crusader”, aggiunse poi con un sospiro, avvicinandosi alla griglia delle armi.
“Aspetta, Shep. Dovrei parlarti di una cosa”, incalzò Kasumi, “in privato”, aggiunse.
Si allontanarono, lasciando Jacob a scuotere il capo rassegnato, mentre finiva di oliare l’arma.
 
“Che succede?”, domandò Shepard una volta fuori dall’armeria.
“So che hai tante cose di cui occuparti, ma… ho parlato con Joker e Bekenstein non è molto lontano da qui…”
“Bekenstein?”
“Sì. Io, ecco… Conosco i rischi di questa missione, Shep. E non vorrei lasciare storie in sospeso. Cerberus mi ha garantito che avrei ottenuto il tuo appoggio per questa faccenda, ma non vorrei…”
Shepard posò una mano sulla sua spalla. “Non ho mai negato il mio aiuto a un membro della mia squadra e non lo negherò a te. Andremo su Bekenstein appena sarà possibile, ma prima ho bisogno di sapere che non si tratti dell’ennesimo furto, perché in quel caso potrei esserti poco d’aiuto”.
“Il contrario. Devo recuperare un oggetto che mi appartiene”.
Shepard sollevò un sopracciglio, sorridendo scetticamente.
“Davvero”, rimarcò la ladra.
“Beh, in tal caso vedrò cosa possiamo fare”.
“Grazie, Shep”, sorrise Kasumi. “E… per quello che vale, non pensavo che mi sarei trovata tanto bene a bordo di una nave militare. Mi manca la mia vecchia vita, ma qui mi sento a casa”.
Shepard riuscì a comprenderla perfettamente. In effetti, non immaginava posto migliore per parlare di “casa”. Aveva ancora una proprietà su Mindoir, la piccola villa di campagna nella quale era cresciuta, ma l’ultima volta che ci aveva messo piede risaliva al funerale dei suoi genitori. E senza di loro, quella non era più casa.
“Posso dire lo stesso”, rispose sorridendo, “Mandami un file con i dettagli, nei prossimi giorni ne discuteremo”, concluse, decidendo poi di tornare nella sua cabina. Il Crusader reclamava attenzioni e lei non trovò momento migliore per dedicarsi a quel vecchio compagno di battaglie, soprattutto perché se non avesse trovato immediatamente qualcosa con cui distrarsi, avrebbe finito per cercare un altro stanzino da distruggere.
 
Kasumi non ebbe il coraggio di ritornare in armeria dopo quella breve conversazione. Sentì il bisogno di restare sola con se stessa, per chiedersi come avrebbe reagito una volta ottenuto ciò che le era stato sottratto. Ciò che restava di quella perdita, almeno. Andò a rifugiarsi nell’osservatorio, rannicchiandosi in un angolo del divano. Faceva freddo, più del solito. O forse era solo paura quella che sentiva pungere sotto la pelle, mentre gli occhi lucidi si perdevano nell’infinito al di là del finestrone. Si abbassò il cappuccio, sentendosi improvvisamente a disagio, come se con quel gesto avesse appena esposto tutte le sue paure al mondo esterno. I lunghi capelli neri, legati prima in una treccia, ora incorniciavano il suo viso rotondo. Le parve di vederlo sul riflesso del vetro, dietro di lei. Le mani grandi appoggiate sulle sue spalle, un sorriso che illuminava due bellissimi occhi a mandorla, proprio come i suoi. Si strofinò gli occhi e, col cuore che le martellava nel petto, scivolò sul divano fino a raggomitolarsi su se stessa, incapace di respingere quella singola lacrima dolorosa che premeva per uscire dai suoi occhi. Era uno scenario già visto, già ripetuto mille altre volte. Non passava notte senza che lei chiudesse le palpebre e cercasse di sentire sulla sua pelle il tocco di Keiji, senza che cercasse di ricordare le note esatte del suo profumo, la voce che sussurrava dolci parole al suo orecchio.
Fino a quel momento era stata brava a seppellire il dolore dietro ad un sorriso, o dietro alla soddisfazione che le procurava rubare qualcosa di estremamente prezioso e intoccabile, in memoria dei vecchi tempi, quelli felici… Ma adesso, di fronte a quella nuova possibilità, offertale inaspettatamente da Shepard, si sentì smarrita. Avrebbe dovuto far riaffiorare di nuovo il passato e farci i conti, per l’ultima volta probabilmente. Non sapeva bene se si sentisse davvero pronta, ma ciò di cui era certa, era che avesse paura, un’estrema paura di tornare a provare i sentimenti che aveva cercato di dimenticare in tutto questo tempo.
Nonostante ciò, si sentì sollevata di poter contare su Shepard; avrebbe avuto al suo fianco non solo un ottimo soldato e un ottimo comandante, ma anche una persona che non avrebbe esitato un’istante a offrirle la sua comprensione. Questo le bastava, sapere che qualcuno avrebbe compreso le sue ragioni quando fosse arrivato il momento di compiere una scelta. Allungò una mano oltre al bordo del divano, recuperando il libro che teneva nascosto lì, sul pavimento. Solo vedere la copertina le riportava alla memoria centinaia di sensazioni diverse. Sorrise, tracciando con un dito i contorni delle incisioni nel cuoio. Aprì a pagina 57, trovando una rosa, ormai secca, di un rosso del colore del sangue. La prese e se la rigirò fra le mani, annusando un profumo ormai scomparso, mentre ricordava esattamente il momento in cui l’aveva vista per la prima volta, versando un’altra lacrima dopo tanto tempo.
 
 
 
Nonostante fosse praticamente impossibile distinguere il giorno dalla notte a bordo di una nave che viaggiava sempre nell’oscurità dello spazio, la Normandy tendeva a diventare sempre piuttosto silenziosa dopo cena. Gli unici a restare in piedi erano i soldati e gli specialisti di turno, e molto spesso anche Joker, che preferiva di gran lunga pilotare quando c’era poca gente a ronzargli intorno. La nave era diretta verso Bekenstein, l’ultima tappa prima di impostare le coordinate dove avrebbero trovato il relitto del Razziatore, secondo le ultime indicazioni di Cerberus. Joker sbadigliò sonoramente, stiracchiandosi le braccia sopra alla plancia dei comandi. Jack, sul ponte secondario della sala macchine, ronfava rumorosamente sulla sua branda. Miranda, nella sua cabina sul ponte equipaggio, si struccava davanti a uno specchietto, mentre Kasumi dormiva raggomitolata sul divano dell’osservatorio, stringendo ancora il libro fra le mani. Garrus e Tali dormivano già da un pezzo, dopo aver ricontrollato pazientemente il lavoro svolto rispettivamente alla batteria primaria e al motore. La Chakwas si concedeva l’ultimo bicchiere di vino bianco prima di andare a letto e Jacob aveva appena finito di riordinare le armi, allineate in ordine sullo scaffale. Due piani più giù, Grunt e Zaeed riposavano beatamente, mentre Samara, nell’osservatorio, meditava a gambe incrociate sul pavimento. Gli unici tre a non trovare pace, in quella serata tranquilla, furono Mordin, Thane e Shepard. Il professore, tuttavia, non aveva bisogno di dormire. Era un Salarian, in fin dei conti, e il suo metabolismo gli consentiva di lavorare per ore, prima di avvertire i primi sintomi della stanchezza. Era stato lui stesso a spiegarlo a Shepard qualche settimana prima, quando lei gli aveva consigliato di prendersi una pausa, e lui aveva riso calorosamente. “Questa è pausa per me, Shepard. Studiando riproduzione cellulare, puro passatempo”, le aveva detto, e lei l’aveva invidiato profondamente. Fosse stato così semplice accontentarsi di un paio d’ore di riposo, quando l’insonnia, per lei, era ormai diventata la norma.
 
Era già da un pezzo che faceva avanti e indietro per la sua cabina, non essendo riuscita a chiudere occhio neanche per un istante. La Chakwas le aveva rifatto le medicazioni dopo cena, lasciandole solo un lungo cerotto a coprirle il taglio sul fianco e un bendaggio sottile sull’ustione al braccio. Come previsto, le ferite guarivano in fretta, ma lei si sentiva ugualmente sfinita. Dopotutto, quel giorno aveva praticamente fatto chilometri a piedi in giro per la nave, non trovando altro modo per scaricare la tensione… un altro tipo di tensione, che non aveva niente a che fare con la distruzione del magazzino nell’hangar. Faceva due passi, si fermava davanti all’acquario, poi un lungo sospiro e tornava indietro, portandosi le mani ai capelli, come in preda al tormento.
“Comandante, i miei sensori rilevano un livello di stress nel tuo organismo particolarmente elevato”, eruppe all’improvviso la voce artificiale di EDI, facendola trasalire. Lei si appoggiò alla scrivania, guardando in cagnesco l’ologramma. “EDI, da quand’è che stai monitorando il mio organismo?”, domandò, irritata.
“Ho trovato utile il suggerimento della dottoressa Chakwas. Ha detto che, conoscendoti, avresti saltato spesso le visite e mi ha consigliato di monitorarti a distanza”.
“Dannazione, non sono una cavia da laboratorio e non ho bisogno di essere monitorata!”, esclamò esasperata. Se solo non avesse nutrito un profondo affetto nei confronti della dottoressa, sarebbe andata a svegliarla appositamente per farci quattro chiacchiere, di quelle non proprio piacevoli.
“Ricevuto, Comandante”, rispose l’IA, prima di disconnettersi.
Ora capiva perché Joker non riuscisse a digerirla. Per quanto sentire la sua voce fosse diventato ormai familiare e in qualche modo confortante, era pur sempre come avere un occhio costantemente puntato addosso. Un altro motivo per cui le risultava impossibile fidarsi di Cerberus.
Ripensò inevitabilmente alla breve discussione avuta con l’Uomo Misterioso e non poté fare a meno di sentirsi umiliata e offesa. “Devi restare concentrata”, le aveva detto, come se lei non fosse in grado di comprendere l’importanza di quella missione, come se fin ora non avesse dato tutta se stessa in ogni missione, mettendosi in prima linea invece di delegare semplicemente ad altri. Aveva accettato di mettere la propria vita a disposizione dell’Umanità intera e non era ancora abbastanza? Cosa voleva, che si privasse dell’ultimo briciolo di umanità rimastole? Che spazzasse via le sue debolezze come fossero insetti fastidiosi? Che dimenticasse tutto il resto e vivesse solo in funzione di quella dannata missione?
L’ologramma di EDI tornò a brillare, di fronte a lei, e Shepard stavolta urlò senza aspettare che l’IA parlasse, fuori di sé. “Che diavolo c’è ancora?”
“Comandante, Thane Krios richiede l’accesso per la tua cabina”.
Lei si pietrificò, sentendo improvvisamente la gola prosciugarsi. Era talmente tesa che le ci vollero un paio di secondi prima di formulare una risposta di senso compiuto. “Ci penso io, EDI”. L’ologramma azzurrino scomparve nuovamente e lei percorse quei due metri che la separavano dal portellone come se fossero parsec. I flash di quella mattina la colpirono con un’intensità incredibile, quasi fosse una punizione per aver cercato di non pensarci tutto il giorno, trovando mille altre cose con cui tenersi occupata. Ma adesso lui era lì e non c’era nulla che potesse fare per evitare qualunque cosa sarebbe accaduta, e più di tutto, non c’era nulla che volesse davvero fare.
“Speravo dormissi, almeno tu”, disse Thane quando lei ebbe aperto il portellone. Le sembrò esausto. Coprì con due brevi falcate la distanza che li separava, uno sguardo che lei non seppe interpretare. “Dammi un buon motivo per andarmene”, aggiunse, appoggiando la fronte contro la sua. Lei trattenne il respiro, mentre le sue dita si intrecciavano ai suoi capelli. Se c’era davvero un buon motivo, lei non lo conosceva. Scosse la testa, socchiudendo gli occhi, e poi gli gettò le braccia al collo, in quello che sembrò un abbraccio disperato. Lui rispose a quel gesto, stringendola forte a sé. Senza dire una parola, entrambi capirono immediatamente quanto fosse intenso quel bisogno che avessero l’una dell’altro, per un motivo che apparentemente sfuggiva alla loro comprensione.
“Non riuscivo a dormire… avevo bisogno di vederti”, si giustificò lui, discostandosi quanto bastava per guardarla negli occhi. “Ci si può perdere in un ricordo, lo sai?”, pronunciò quelle parole come se gli procurassero dolore, e la strinse di nuovo forte a sé. Lei aveva il potere di accantonarli, i ricordi, ma come si sarebbe sentita se avesse avuto la sua stessa maledizione?
“Dormi con me”, gli disse lei semplicemente, prendendolo per mano, e lui non ebbe il coraggio di replicare, non stavolta. Lo condusse di fronte al letto, poi iniziò a togliergli la giacca, slacciando lentamente una fibbia dopo l’altra, e lui la lasciò fare, arrendendosi all’idea che giusto o sbagliato ormai non fosse più così importante, non quando riusciva a vedere così chiaramente se stesso nel riflesso dei suoi occhi verdi, non quando sapeva che nessuno sarebbe più riuscito a mettere a tacere la necessità che li legava così saldamente l’uno all’altra. Shepard appoggiò la giacca sulla poltrona accanto al letto e prima che potesse voltarsi per raggiungere l’altra parte del letto, lui l’afferrò dolcemente per un polso e le sganciò il factotum, facendo lo stesso col proprio. A che sarebbero servite, poi, le parole, quando c’erano mani, e occhi, e labbra a parlare?
Shepard si sdraiò tra le lenzuola e lui subito dopo di lei. Il tempo si era come dilatato, ogni movimento era lento, ogni respiro calcolato, ogni battito di cuore risuonava forte e chiaro nel silenzio di quella cabina mentre entrambi si sorridevano come se avessero atteso per troppo tempo quel momento. Thane allungò una mano, scostandole i capelli dal viso e lei si avvicinò con tutto il corpo, poggiando una mano sulla sua per intrecciare le dita con quelle di lui, nell’unico modo in cui la loro fisionomia lo rendeva possibile. Lei chiuse gli occhi e lui fece scivolare la mano sul suo collo, poi sullo sterno, fino a stringere la presa intorno alla zip della sua felpa. Avrebbe visto le ferite, i lividi, le cicatrici, ma a lei non importava… Davanti a lui svaniva il bisogno di sentirsi protetta da una corazza o da un’uniforme. Davanti a lui, lei poteva finalmente essere se stessa, ormai questo lo aveva imparato. La lentezza con la quale lui la spogliò della sua felpa fu quasi dolorosa, mentre lei cercava di restare al suo posto, di resistere dal fiondarsi sulle sue labbra perché sapeva che quel bacio sarebbe stato solo un tentativo di fuga dal lasciarsi guardare, conoscere, esplorare in un modo che non aveva mai riservato a nessuno. Thane scivolò sul materasso, accarezzando la pelle del suo ventre con le labbra. Ogni bacio era un dettaglio impresso a fuoco nella memoria, ogni sua lentiggine, ogni piccola cicatrice… non c’era niente di lei che non avesse voluto ricordare con estrema precisione. Shepard allungò una mano verso la sua guancia, accompagnandolo nella risalita. I suoi movimenti erano calmi, le mani delicate e pazienti, ma gli occhi le dicevano tutt’altro, più neri e profondi di sempre. Lei sospirò in risposta a un brivido quando le sue dita si fermarono sotto all’elastico del suo reggiseno sportivo. Lui la guardò, in cerca di conferme, e lei annuì in maniera quasi impercettibile, reclinando la testa all’indietro sul cuscino, gli occhi chiusi, il respiro troppo veloce. Non era abituata a sentirsi così vulnerabile, a quelle mani che prendevano possesso del suo corpo, le mani di un assassino, di qualcuno che avrebbe potuto approfittarsi delle sue debolezze così facilmente ma che, paradossalmente, la facevano sentire sicura come mai le era capitato di sentirsi nel corso di una vita intera. Lui non volle risparmiare alle sue labbra neanche un centimetro della sua pelle, facendola rabbrividire con ogni tocco delicato delle sue dita. Quando fu talmente vicino al suo viso, trovò spazio nell’incavo del suo collo e respirò a fondo il suo profumo, mentre le sue mani tracciavano il profilo delle sue clavicole. Lei rise piano, estasiata dal contatto, ma concentrata a resistere immobile al solletico. “Se stavi cercando un modo per farmi perdere quel briciolo di sanità mentale che mi è rimasta, l’hai trovato…”, sussurrò, scaricando in minima parte la tensione. Lui sorrise in risposta e le disse qualcosa di incomprensibile. Era la prima volta che lo sentiva parlare nella sua lingua e avrebbe voluto che non smettesse mai. Le sembrò di non averlo mai conosciuto davvero fino a quel momento, quando ogni barriera fra di loro era stata abbattuta e si trovavano l’uno di fronte all’altra, così disarmati da fare male.
Thane si sollevò su un gomito, sovrastandola. Continuò a sorriderle, accarezzandole i capelli, e lei avrebbe voluto solo annegare nei suoi occhi neri. Capì in quel preciso istante che non poteva esserci niente di sbagliato in tutto ciò… il modo in cui la guardava la faceva sentire viva, come se avesse appena iniziato a respirare davvero per la prima volta. E adesso sentiva solo il disperato bisogno di un bacio, di perdersi nel suo sapore nuovo e sconosciuto. Cercò di sollevarsi sui gomiti per raggiungere le sue labbra, ma lui la bloccò appoggiando la fronte contro la sua. Era una sfida, una sfida alla quale lei avrebbe partecipato volentieri. Lo spinse indietro sul materasso e gli bloccò le mani, ignorando il più possibile il dolore al fianco, sempre lì a ricordarle che, per quanto perfetto fosse quel momento, la realtà era là fuori ad attenderli pazientemente. Lui si liberò facilmente dalla presa, lei glielo permise volentieri, e l’afferrò delicatamente per i fianchi, portandola su di sé. “Vedo un netto svantaggio, qui” disse lei, sorridendo maliziosamente mentre cercava di sfilargli la maglietta. Lui l’aiutò nei movimenti e poi la tirò a se, le mani sulla nuca, lungo la spina dorsale, labbra che si sfiorano appena senza toccarsi. Le disse qualcosa, sussurrandola piano al suo orecchio, e lei non s’interrogò minimamente sul significato, scossa dai brividi.
“Amo i tuoi colori”, gli confessò, sollevandosi per guardare il suo corpo. La trama della sua pelle sembrava quella di un bellissimo mosaico, dove linee sinuose di un verde più scuro delineavano perfettamente le curve del suo corpo, e due lingue di fuoco, più morbide, come quelle che fasciavano il suo collo, scendevano verso il basso dai suoi fianchi. Fece scivolare le mani lungo il suo torace, perdendosi nella sensazione delle sue squame che scorrevano sotto alle sue dita, socchiuse gli occhi, si chinò a baciare quelle sottili strisce scarlatte e avvertì chiaramente un tremito nel suo corpo. “Siha”, mormorò lui, e lei continuò, ignorando una parola che per lei non possedeva alcun significato. “Siha…”, le ripetè, prendendole una mano. Lei capì e si lasciò tirare verso di lui, si lasciò stringere dalle sue braccia, mentre lui baciava i suoi capelli. Sapeva che non avrebbe potuto protrarre a lungo quel contatto, ma sentire il calore del suo corpo contro il suo, almeno per un istante, gli sembrò la cosa più bella che avesse mai sentito e glielo disse, in parole che lei non avrebbe compreso. Si guardarono negli occhi, profondamente, e il loro sorriso si trasformò in un bacio. Uno vero, che non avrebbe mai potuto eguagliare mille parole. E subito dopo la consapevolezza condivisa di doversi fermare, perché quello che c’era tra di loro non aveva bisogno di ulteriori conferme, non aveva bisogno di diventare qualcos’altro, non ancora. Quello era già la cosa più simile al paradiso e all’inferno insieme che potessero immaginare.
 
“Mi passi la giacca?”, gli domandò lei dolcemente, indicando la sedia a fianco. Lui la guardò perplesso, tendendogli la sua felpa. “No”, disse lei, “voglio la tua”. Thane sorrise e gliela passò, restando incantato ad osservarla mentre indossava qualcosa che fin ora aveva immaginato solo su di sè. Era buffa in quella giacca troppo larga, buffa in un modo adorabile, e lui decise di stare al gioco e indossare la sua felpa. Poi le passò il factotum e tornò ad attivare il suo. Si abbracciarono, coprendosi con le lenzuola, e chiusero entrambi gli occhi, le mani sovrapposte, le dita intrecciate.
“Devo confessarti una cosa, Siha”, disse lui all’improvviso, facendosi spazio tra i suoi capelli.
Lei fu sorpresa di sentire di nuovo quella parola, a cui probabilmente aveva attribuito un significato sbagliato. “Cosa?”, gli domandò, “Mi dirai cosa significa siha?”, sorrise curiosa.
“No, per quello c’è tempo”.
“Allora cosa?”
“Conosco la tua lingua, anche senza traduttore”.
Lei lo colpì scherzosamente con un gomito, arrossendo come un’adolescente. “Ti odio”.
“Anche io amo i tuoi colori”.
“Sta’ zitto”, rise lei, e lui si sporse a darle un bacio sulla guancia.
Si addormentarono con un enorme sorriso stampato sulle labbra e con l’unico desiderio di risvegliarsi l’indomani, l’uno accanto all’altra, per accertarsi di non aver sognato tutto.




 

Sono tornata alla vita di sempre, per fortuna o per sfortuna, non lo so... ma di sicuro adesso avrò più tempo per dedicarmi alle mie storie.
OMG ancora ricordo perfettamente quanto ho sofferto per questo capitolo. Pomodori everywhere.
Un grazie enorme ad Altariah per questo. Lo amo, lo amo troppo.
   
 
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