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Autore: Hupa    07/09/2013    5 recensioni
Ok...una introduzione che sia tale...vediamo... Russia, notte... nuooooooo...non so che scrivere apparte che c'è Kei che di punto in bianco prende e se ne va di casa, naturalmente il nonnino ciò non gliela fa passare e il porello dovrà decidersi se stare dietro al suo orgoglio (e quindi morire congelato) oppure chiedere aiuto ai suo compagni... oh... si dai...non sono fatta per queste cose! xD
Genere: Drammatico, Azione, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kei Hiwatari, Max Mizuhara, Rei Kon, Takao Kinomiya, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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VENTIQUATTRESIMO

“Oh! Lady Doll, Lady Doll.

Chi ha osato salvare quest’assassino?

Chi ha osato aiutare questo mostro?

Ormai non puoi far nulla per rimediare.

Puoi solo odiare e farti odiare.

E sperare che qualcuno si salvi.”

 

Quando si risvegliò la notte stava volgendo al termine. La luna era calata da poco e lungo l’orizzonte il chiarore dell’alba aveva cominciato a fare capolino divorando a una a una le stelle più basse.

La stanza era quasi totalmente buia ad eccezione di una piccola fonte di luce proveniente dalla lampada sul comodino; l’alone azzurrino investiva parte della camera tralasciando però gli angoli più lontani e creando un forte effetto chiaroscurale. L’aria era secca e odorava di legno invecchiato, ma dopotutto l’intero mobilio della stanza era costituito da mobili in castagno massiccio della metà del Novecento. Solo il letto, di una piazza e mezza, era di fattura moderna, di semplice compensato scuro, ma abbastanza ampio da ospitare comodamente due persone. Eppure lui era l’unica persona in quella casa a usufruire. In fondo, in un angolo, erano stati adagiati due piccoli materassini che fungevano da letto ai nuovi coinquilini, accanto ad essi, si trovava un sacco a pelo imbottito adagiato su una pila di cuscini ingrigiti. Nonostante l’ora tarda, nessuno al momento sembrava servirsi di quei giacigli ad eccezione di una figura rannicchiata dalla folta capigliatura rossa che si era accoccolata sulla poltrona vicino l’entrata della stanza. L’accozzamento di tutti quei materassi e mobili accentuava le dimensioni ristrette della camera, facendola apparire ancora più angusta e affollata.

L’ambiente era silenzioso o lo sarebbe stato in assenza del basso vociare proveniente dalle stanze attigue. Fortunatamente o sfortunatamente, a seconda dei punti di vista, al suo orecchio giungevano solo mormorii e bisbigli, attutiti dalle pareti sottili e dal veloce pulsare del suo sangue nelle tempie. Era un battito rapido, fastidioso, lo avvertiva in ogni estremità del suo corpo; martellava nelle orecchie, nelle tempie, nelle punte delle dita e dei piedi.

Kei provò a deglutire, ma aveva la gola secca e il gesto gli stimolò unicamente dei forti colpi di tosse che a loro volta provocarono dolorose fitte all’altezza del torace. Per un attimo credette di non riuscire più a respirare, poi, con difficoltà, riuscì a prendere una grossa boccata d’aria. Espirò e inspirò nuovamente con rinnovata fatica. A ogni respiro sentiva i polmoni contrarsi e rilassarsi con improvvise fitte acute, ma il dolore era diminuito rispetto all’ultimo suo risveglio. Si sentiva debole, ma ora riusciva a sopportare meglio la malattia. Il torpore della febbre non lo tediava, le fitte al torace non gli procuravano sofferenza, il respiro affannoso non lo affliggeva più. Non capiva a cosa ciò fosse dovuto, ma ne trasse conforto. La sua mente, non più distratta dai disagi della malattia, cominciò ad articolare pensieri, a sondare gli eventi accaduti in quei giorni, poi si arrestò di fronte al ricordo di suo nonno. Era stato quel sogno… quell’incubo. Nella sua mente rivedeva il suo parente, lo fissava dall’alto in basso con i suoi occhi grigi, altero, severo… una chiazza di sangue che a mano a mano si allargava dal suo fianco.

Una profonda tristezza lo pervase, un profondo senso di colpa che gli faceva dimenticare tutto il resto.

Cosa aveva fatto? Cosa stava facendo?

Stava sbagliando tutto… ecco cosa.

Non poteva seriamente pensare di continuare in quel modo. Non dopo tutto quello che ciò comportava. Non era stato in grado di agire con lucidità e questo gli era costato… gli era costato tutto. Aveva solo peggiorato la situazione e ora rischiava di coinvolgere quelle persone che con tanta fatica aveva cercato di proteggere. Quelle poche persone che gli erano sempre state vicine anche senza chiedere loro nulla.

Perché era quello il motivo per cui tutto ciò aveva avuto inizio.

Erano stati creati dei legami, dei vincoli. E suo nonno se ne era reso conto.

E suo nonno sapeva bene come trarne vantaggio.

Era colpa loro.

No… era colpa sua che aveva concesso loro di avvicinarsi.

Quand’è che era diventato così permissivo?

La gola era secca, riarsa. Aveva bisogno di bere, aveva bisogno di aria… aria fresca.

Con calma e con una piccola dose di buona volontà scostò le coperte dal suo corpo.

Quanto mancava al suo compleanno ancora? Pochi mesi ormai.

Suo nonno lo sapeva, sapeva che cosa sarebbe accaduto una volta che il nipote avesse raggiunto la maggiore età.

Per questo gli era stato tenuto tutto nascosto.

Erano questi i patti.

Ma al vecchio questo non andava bene.

Doveva inventare qualcosa, doveva fare qualcosa per impedire tutto ciò.

E lui gli aveva servito la soluzione su un piatto d’argento.

Si era rovinato con le proprie mani senza nemmeno rendersene conto.

Ma peggio ancora, quando aveva cercato di porvi rimedio era impazzito, distruggendo… ogni… cosa.

Il pavimento era freddo sotto i suoi piedi nudi. Rabbrividì mentre il gelo lo investiva. Le coperte gli scivolarono dalle spalle. Il calore che prima lo intorpidiva si dissipò in un attimo. La stanza era calda, ma lui lo era di più. Liberarsi da quel soffice peso lo percosse, rabbrividì. Non trovò tuttavia la cosa così sgradevole, anzi, lo aiutò a svegliarsi, a pensare con più lucidità. Il sudore cominciava a raffreddarsi lungo la schiena e dietro la nuca dove le punte umide dei capelli lo pizzicarono.

Le gambe furono investite da un formicolio dovuto all’eccessiva postura sedentaria. Dovette attendere qualche secondo prima che svanisse permettendogli così di raccogliere le forze per mettersi in piedi.

La prima volta fu costretto a risedersi a causa di un capogiro. Forse era meglio se ci riprovava con meno enfasi...

In fondo alla stanza Yuri continuava a dormire, ignaro delle prodezze del suo ex compagno di squadra. Kei gli lanciò un’occhiata. Era troppo buio per leggerne i lineamenti, ma la luce soffusa ne ammorbidiva i contorni, smorzando la fisionomia affilata del suo volto e facendolo apparire più giovane… o forse rivelava la sua reale età, spesso camuffata da sguardi gelidi e sorrisi beffardi propri di una mente più matura.

Si domandò perché non fosse insieme agli altri. O meglio, perché anche gli altri non riposassero come lui invece di spettegolare nella stanza accanto. Le loro voci ora risuonavano più chiare, ma comunque ancora sussurrate, timorose di essere udite.

Si passò le mani sul volto cercando di alleviare il senso di nausea che quella postura gli stava causando. Mosse le dita gelide prima sulle tempie poi sugli occhi. La sensazione fu piacevole, ma durò poco. Presto le mani si scaldarono a contatto con la pelle bollente del viso e dovette adoperarsi per cercare nuove fonti di frescura.

Non ci impiegò molto.

Deciso mosse i primi passi di fronte a lui. Stava per inciampare, ma non se ne preoccupò. Gli bastò allungare le mani di poco premendole contro il vetro della finestra e riacquistò l’equilibrio. Riprese fiato; quelle poche falcate gli avevano già procurato il fiatone. I suoi occhi rubini indugiarono qualche secondo cercando di decifrare il panorama all’orizzonte, ma la condensa provocata dal suo respiro appannò presto la vetrata. La superficie era gelida, perfetta. Vi appoggiò la fronte per qualche istante fino a quando il vetro non si riscaldò sotto il suo tocco.

Poi si decise.

Afferrò la maniglia, la ruotò e spalancò la finestra.

L’aria gelida irruppe con un fischio nella stanza, le tende si agitarono scosse dalla raffica, ma presto tornarono immobili.

Kei chiuse gli occhi e inspirò profondamente.

L’aria gli riempì i polmoni provocandogli un dolore sordo, ma sopportabile.

Dietro di lui due profondi occhi celesti si schiusero.

 

- _ . - ° * ° -  . _ . - ° * ° - . _ -

 

La signora Demidova era stata davvero cordiale e disponibile.

Sedeva al tavolo da pranzo attorniata dai tre ragazzi come una nonna con i suoi nipotini. La stanza era riscaldata da una vecchia stufa vicino la dispensa, dalla cucina invece proveniva un forte profumo di erbe e spezie medicinali.

Avevano parlato per tutta la notte. All’inizio l’attenzione era tutta rivolta verso il loro amico, ma ben presto la tensione si era attenuata e i tre avevano cominciato a convincersi che forse le cose si sarebbero sistemate. Vilena li aveva rassicurati più volte sulle condizioni di Kei: “la polmonite non è una cosa da prendere sottogamba, ma sono sicura che il vostro amico si riprenderà!”. Ascoltavano con attenzione le sue parole, bisbigliava, ma loro la capivano benissimo. La vecchietta sorseggiava con parsimonia il suo bicchierone di latte caldo corretto alla vodka (scorta gentilmente offerta dalla dispensa di Evan) mentre i tre avevano finito da un pezzo i loro thè caldi.

Fra un sorso e l’altro raccontava loro delle sue esperienze. Aveva avuto un’infinità di pazienti durante la sua piccola attività illecita di “consultazione medica”, alcuni erano davvero buffi, altri struggenti, altri addirittura inimmaginabili. Eppure la parte più interessante fu quando confidò loro le confessioni di Boris, specialmente la parte in cui raccontò, sempre secondo detta del nipote, che Yuri parlava nel sonno, spesso rivolgendosi a fascinose ragazze e a quanto pare anche parecchio lascive. Il momento generale di ilarità rischiò seriamente di soffocarli, ma si ripresero presto e ognuno fece giuramento di non farne mai parola con il diretto interessato.

Fu così per tutta la notte, ogni tanto ridacchiavano a una battuta della dottoressa o si ammutolivano di fronte a una sua affermazione avventata, ma era sempre lei a tenere banco nella conversazione. Così piccola e raggrinzita sembrava potesse sbriciolarsi da un momento all’altro, ma il suo animo era forte, il suo carattere spigliato e i suoi modi autoritari, ma sempre gentili. Si poteva tranquillamente affermare che era riuscita in sole poche ore a ottenere il loro completo rispetto e la loro piena fiducia.

Tuttavia, senza preavviso e senza apparente motivo, la vecchina decise che si era fatto tardi. - Direi che è arrivato il momento per me di andare… - Alzò di poco la voce rauca, ma rimase comunque solo poco più di un sussurro.

In due rapidi sorsi vuotò il bicchiere ancora mezzo pieno e fece gesto di alzarsi.

Takao non esitò a balzare subito in piedi allungandosi per darle una mano, ma la signora lo liquidò garbatamente con un cenno della mano.

- Grazie Takao, ma preferisco arrangiarmi da sola finché ne sono ancora in grado. -

Un sorriso grinzoso le increspò le labbra sottili mentre la sua mano nodosa sfiorava con dolcezza la guancia abbronzata del ragazzo.

Il giapponesino arrossì imbarazzato, ma le rivolse comunque uno dei suoi sorrisi più caldi.

- Penso sia comunque il caso che qualcuno di noi la accompagni fino a casa. Ormai è quasi l’alba e… -

Vilena non lo lasciò terminare la frase; quando parlò la sua voce si alzò di un’ottava. - Figurati! Ormai sono più di sessant’anni che vivo in questa città! Credi non sia in grado di prendere un autobus e tornarmene nel buco da cui provengo? Non minare la mia autostima straniero… -

Takao si ritrovò a sorriderle imbarazzato non sapendo bene cosa rispondere. I suoi occhi scuri vagarono per la stanza nel tentativo di incrociare lo sguardo di uno dei suoi amici in cerca di solidarietà.

Rei scosse divertito la testa e con la sua grazia felina si alzò a sua volta andando a raccogliere dal divano il pesante montone della dottoressa.

- Signora, è sicura che Kei starà meglio? - Stavolta fu Max a parlare.

Per tutto il tempo trascorso insieme era stato il più silenzioso dei tre. Aveva partecipato alla conversazione solo quando veniva direttamente interpellato da qualcuno e per tutta la nottata aveva continuato a chiede conferme su conferme: “Kei starà bene?” oppure “per quanto tempo dovremo somministrargli la dose rimanente di antibiotico?” e ancora “come ha detto che si chiamava quella pianta per diminuire l’infiammazione?”.

La vecchina sospirò divertita scuotendo la testa, i capelli bianchissimi raccolti rigidamente dietro la nuca non si mossero di un millimetro, nemmeno una ciocca fuori posto. Si avvicinò all’americano e strinse le sue mani a quelle di lui. Nonostante fossero nodose e rugose Max le sentì morbide e calde al tocco ad eccezione di qualche piccolo callo distribuito lungo le prime tre dita.

- Il vostro amico guarirà. Ci vorrà un po’, ma vedrete che già da domani si noterà qualche miglioramento. Spero che l’antibiotico sia quello corretto, ma se mi dite che già in passato è stato affetto da questa malattia non dovrei sbagliarmi. – Il suo tono gentile era tranquillizzante. – Fra due giorni dovrete somministrargli la seconda dose di antibiotico e l’ultima ugualmente dopo altri due giorni. Non chiedetemi dove mi sono procurata quei medicinali perché non ho intenzione di rispondervi. Le pomate e gli impacchi sono invece un rimedio casalingo, lo avete visto, sono stati preparati dalla sottoscritta; lo aiuteranno a respirare meglio e a dargli sollievo dalla nausea. No, non sono droghe leggere, sono solo rimedi naturali! Non lanciatemi quegli sguardi torvi… Assicuratevi che beva molta acqua e succhi di frutta. Qualche minestra poi non farebbe male. Appena gli tornerà l’appetito assecondatelo, ma non fatelo ingozzare o gli ricomparirà la nausea. – Prese fiato facendo mente locale. I suoi occhietti pallidi indugiarono in quelli cobalto del biondino. – Non credo ci sia altro da aggiungere. Se succede qualcosa sapete dove trovarmi, ma preferirei rincontrarci in circostanze diverse, quindi è meglio che non vi facciate rivedere per un po’.-

Rei le arrivò alle spalle poggiandovi galantemente il pesante montone nero. Sotto questo nuovo peso Vilena sembrò farsi ancora più piccola se possibile.

- Grazie moretto. - Pochi gesti e la vecchina si era già abbottonata fino al collo. - Mi spiace solo che il piccolo Ivanov non sia qui a salutarmi, ma sono sicura che lo rivedrò presto. Lasciamolo un altro po’ nel mondo dei sogni insieme alle sue donnine lascive. Grazie per la serata giovanotti. –

- Ma si figuri! Siamo noi che dobbiamo ringraziarla. Abbiamo un grosso debito nei suoi confronti. –

Takao, Max e Rei la fissarono non sapendo che altro aggiungere. Aveva visitato Kei con una cura quasi maniacale, senza nemmeno il bisogno di svegliare quest’ultimo (non che fosse un’alternativa attuabile); aveva preparato lei stessa alcune pomate e gli impacchi da somministrargli nei giorni a seguire, ma soprattutto si era adoperata anche per allietare le ansie dei suoi amici, mostrandosi sempre ottimista e disponibile. La signora si era dimostrata essere all’altezza delle loro richieste, ma aveva fatto molto di più. Aveva restituito loro la speranza. La speranza che forse, in mezzo a quell’incubo, esistesse una via d’uscita.

Fu tuttavia una sensazione di breve durata.

Parole gridate spezzarono il clima sereno della casa, passi pesanti si avvicinarono rapidamente dalla stanza attigua e il suono brusco di una porta che si apriva e si richiudeva fece ripiombare tutto in un pesante silenzio.

Quattro sguardi si rivolsero all’unisono in direzione della camera da letto.

Yuri si accostò allo stipite tenendo basso lo sguardo. Sospirò e un fremito gli scosse lievemente le mani. Quando alzò gli occhi gli altri vi lessero un miscuglio di emozioni tutt’altro che positive.

Con la voce rotta dalla rabbia il russo si rivolse ai suoi compagni di disavventura. – Dobbiamo parlare. Direi che ormai siamo stati presi abbastanza per il culo. –

 

- _ . - ° * ° -  . _ . - ° * ° - . _ -

 

- Cosa dicono i giornali? –

La voce di Kei era arrochita dal lungo inutilizzo, ma suonava incredibilmente fredda e decisa, come se avesse appena impartito un ordine.

- Chiudi la finestra, idiota! Vuoi fare un colpo? –

Yuri si alzò di scatto dalla poltrona, poche falcate e con un gesto deciso serrò con violenza le ante della finestra. Era ancora intorpidito dal sonno, ma abbastanza lucido per rendersi conto della situazione.

Kei, al suo fianco, lo osservò di sottecchi infastidito, ma non proferì parola.

- E’ arroganza quella che leggo nei tuoi occhi? – Il rosso sibilò quelle parole con un tono canzonatorio, ma non riuscì a celare una certa avversione. Il ghigno che gli aveva incurvato le labbra svanì presto. Non gli piaceva il modo in cui Kei lo fissava. C’era qualcosa di insolito in lui, o meglio… c’era qualcosa di così estremamente familiare, ma allo stesso tempo così remoto. Una indifferenza e un’altezzosità che credeva non avrebbe più rivisto in quegli occhi rubini.

- Ti ho fatto una domanda. – Di nuovo quello sguardo distaccato.

- Potrei non voler rispondere… - Rispose Yuri sprezzante. Non aveva intenzione di assecondare i suoi modi.

- Il vecchio è morto? –

- Cos…? No! Ma che diavolo ti prende? – Yuri era a dir poco confuso. O sconvolto? Perché Kei si comportava in quel modo? – La febbre ti ha fuso i neuroni? –

- Dicevi che la polizia mi sta cercando. Ha identificato dei complici? – Il Dranzer blader lo fulminò con uno sguardo febbrile, intenso, borioso. La mente di Yuri cominciò rapidamente a calcolare, a mettere insieme, a incastrare pensieri e parole. Quando vide che il rosso non rispondeva Kei ripeté a denti stretti, scadendo con voce roca, ogni singola parola. – Sono stati individuati dei complici? -

Il russo si ritrovò a bisbigliare. – Noi… - Una pesante consapevolezza lo colpì in pieno. Gli cadde pesantemente sulle spalle portando con sé tutte le conseguenze del caso. Era come se solo ora si rendesse conto della gravità della situazione. Si schiarì la voce. – Voglio dire… La notte che sei fuggito dei testimoni hanno dichiarato di averti visto in compagnia di un ragazzo dalla folta chioma rossa. Quel ragazzo, identificato come Yuri Ivanov, la mattina stessa, in compagnia di un altro ragazzo dai tratti orientali, riconosciuto come Rei Kon, ha chiesto indicazioni stradali per un hotel a una coppia che gestisce un panificio. Nello stesso Hotel, nella camera intestata a tre dei membri della nota squadra dei Blade Breakers, è stato visto soggiornare un ragazzo la cui descrizione è indiscutibilmente confrontabile con quella di Kei Hiwatari, ricercato per tentato omicidio. – Yuri sospirò e in quel momento vide qualcosa spezzare per un attimo la stabilità nello sguardo di Kei. Fu un istante, ma fu qualcosa. – Siamo tutti sospettati di averti dato rifugio, di essere tuoi complici. –

Nella camera scese il silenzio.

L’altro non lo guardava più. Fissava con ostinazione un punto alle sue spalle, fuori la finestra. La luce azzurrognola della lampada smorzava i suoi lineamenti, proiettando pesanti ombre sul suo viso. I suoi occhi non lasciarono trasparire nulla, se non una profonda frustrazione.

- Possiamo ancora sistemare tutto. Dobbiamo trovare il modo di provare la tua innocenza… - Yuri credeva veramente a quello che stava dicendo.

Due pepite scarlatte ruotarono repentinamente verso di lui inchiodando con una freddezza assoluta i suoi occhi celesti.

- Io non sono innocente… Yuri. -

Un pugno allo stomaco sarebbe stato meno doloroso.

Per qualche attimo un bagliore proveniente da oltre la finestra, forse i fari di un’auto, illuminò il volto inasprito di Kei riflettendosi fra i ciuffi argentei della frangia.

Lui ci aveva creduto veramente. Era davvero convinto che si trattasse di tutto un equivoco.

Il rosso aprì la bocca una, due, tre volte, ma non riuscì ad emettere alcun suono. Nel giro di pochi minuti Kei era riuscito per ben due volte lasciarlo senza parole. Dov’era finita tutta la sua scaltrezza?

- Come ti senti ad aver appena rovinato la tua vita per aiutare un assassino? - Quel tono canzonatorio lo fece andare fuori di testa.

“Mi sento tradito, umiliato, arrabbiato… stupido.” Ma questo non lo disse.

Un ghigno increspò le labbra del ragazzo tatuato, ma nella penombra della camera poteva benissimo esserselo immaginato.

- Che ti è saltato in mente? – “Ti diverti a vedermi in difficoltà? Ti diverti a distruggere ogni mia speranza?” Ogni muscolo del suo corpo vibrava. Fremeva per la rabbia, per la frustrazione, per l’incredulità… Non sopportava la freddezza con cui Kei si rivolgeva a lui. Non poteva tollerarla. Non dopo tutto quello che aveva distrutto per andargli incontro. Non c’era rimorso nel suo sguardo, non c’era rammarico nelle sue parole. Solo verità.

- Non è stata una cosa calcolata… - Dovette interrompersi a causa di un attacco di tosse. Yuri rimase immobile, imperturbabile, in attesa che passasse. Kei arretrò e si sedette sul letto in visibile difficoltà, ma il russo non fece cenno di volerlo assistere. – Si trattava di eredità… -

Yuri alzò un sopracciglio. – Eredità? Parli di soldi? –

L’altro fece cenno col capo, sforzandosi di mantenere il contatto visivo con l’ex compagno di squadra. – Sì… soldi. Al mio prossimo compleanno, secondo un accordo tra mio nonno e mio padre, avrei ereditato metà del patrimonio di famiglia. Ma questo al vecchio non andava bene, voleva che io rifiutassi. Io non ci ho più visto… e ho agito. –

- Per soldi… - C’era una nota di disprezzo nella voce di Yuri, così come nel suo sguardo.

- Per la libertà… con quei soldi sarei potuto essere finalmente libero. Ti rendi conto di quello che quei soldi avrebbero comportato? -

Se ne rendeva conto. Significavano lasciarsi il passato alle spalle e costruirsi una vita propria. Ma si rendeva anche conto dell’orribile gesto a cui avevano condotto il suo amico. E lui? Era conscio di quello che aveva fatto? Provava orrore per il suo gesto? Aveva attentato alla vita di suo nonno per cosa? Per dei soldi? Si era macchiato di un simile crimine… Lo scrutò attentamente, con tutto l’acume di cui era dotato. Qualcosa non tornava. C’era qualcosa che stonava in tutto ciò, come delle unghie sfregate su una lavagna. Kei era indecifrabile. Niente rimorso, ma nemmeno tripudio per le sue azioni. Forse la febbre gli aveva davvero fuso i neuroni.

- Troveremo una soluzione. -

Nonostante la rabbia e l’odio che provava in quel momento, nemmeno Yuri seppe dire da dove gli uscirono quelle parole. Tuttavia Kei era suo amico e lui, in fin dei conti, proprio non riusciva a concepire il fatto di abbandonarlo al suo destino.

Furono parole efficaci, perché per la prima volta, da quando si era risvegliato, Kei sembrò sorpreso. Sgranò gli occhi e per qualche istante parve non avere idea di cosa rispondere. Incredulità e sgomento furono le prime emozioni che riuscì a leggere. Poi arrivarono l’esasperazione e la rabbia.

- Non ho bisogno del vostro aiuto. – Usò un tono secco e deciso.

Un ghigno incurvò le labbra di Yuri.

- Non fare il bambino orgoglioso, non saresti arrivato a questo punto se non ti avessimo dato soccorso. -

Il volto di Kei avvampò e non fu per la febbre. Con uno scatto si alzò dal letto e quando urlò la sua voce era roca e aspra, carica di rancore. – NESSUNO HA CHIESTO IL VOSTRO AIUTO! – Quella reazione così avventata colse Yuri impreparato, fastidiosamente impreparato. - Non capisco quale sia questo fottuto sentimento di amicizia che vi spinge continuamente a ficcare il naso in cose che non vi riguardano! E adesso? Bel casino in cui vi ritrovate! Non ho intenzione di complicarmi la vita cercando di risolvere anche i vostri di problemi! Dovevate pensarci prima di atteggiarvi a eroi! -

Yuri provò… provò veramente a mantenere la calma. Tuttavia Kei non aveva ancora finito l’ultima frase che il rosso gli si era già lanciato contro. Lo prese per il colletto pronto ad assestargli un pugno, ma si fermò. I suoi occhi celesti ribollivano di collera; due pozze di turchese fuso in cui si rifletterono due sprezzanti occhi scarlatti. Lo odiava. In quel momento lo stava odiando con ogni fibra del suo corpo. Lui… quest’idiota… come poteva parlare in quel modo ben consapevole di tutto ciò che aveva sacrificato. Inspirò ed espirò, ma non riuscì a calmarsi. Kei sostenne il suo sguardo, ma non cercò di liberarsi dalla sua presa. Forse era troppo debole per farlo o forse sentiva di meritarselo, ma tanto per cambiare, la sua espressione era indecifrabile.

Doveva fare qualcosa.

Doveva colpirlo, fargli male, doveva sentire sul suo corpo la frustrazione che in quel momento scuoteva il suo.

Una vena gli pulsò nella gola e nelle tempie, mentre nella decisione irrigidiva con rancore la mascella.

“Non ti darò anche questa soddisfazione…”

Alla fine Yuri lo scaraventò sul letto senza proferire parola, si voltò e con passo pesante si diresse verso l’uscita sbattendo con furia la porta dietro di sé.

Kei si rimise con uno sforzo a sedere.

Fu come se si fosse scrollato un pesante fardello dalle spalle.

Sentiva il cuore in gola battergli a mille.

Chiuse gli occhi reggendosi la testa fra le mani.

Ormai era fatta.

 

 

 

Non ho il coraggio di commentare dopo questa lunga assenza. Mi rendo conto che sono passati anni. Perché continuarla? Perché, così, per caso, in preda ad un’assurda nostalgia, ho visto il fermoposta e mi sono sentita una cacca… Mi ha fatto davvero piacere leggere che dopo così tanto tempo ancora qualcuno mi scriveva per informazioni sul proseguimento o anche solo per farmi sapere che nonostante tutto la mia ff piaceva. Veramente, mi sono commossa. In realtà ho sempre pensato a come continuarla, ma ero in crisi perché dopo aver scritto il 24° capitolo, questo era stato cancellato da una formattazione non voluta del mio pc. Riscriverlo mi sembrava impossibile e con il tempo mi sono allontanata dalle ff… Posto questo capitolo perché vorrei davvero finire questa storia. Rileggerla dopo tutti questi anni mi ha davvero imbarazzato, fra errori, storpiature, situazioni assurde… mi chiedo ancora dove volessi andare a parare e riuscire a continuare questa storia, mantenendo un filo logico o perlomeno sensato, al momento mi sembra molto difficile. Sono riuscita a fare questo capitolo perché sono in vacanza, lontana da impegni e distrazioni varie e ho davvero paura di non riuscire a continuare una volta tornata alla mia routine, ma voglio provarci. Chissà se qualche vecchio lettore c’è ancora… Lo so che mi odierete…

 

 

 

 

 

  
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