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Autore: Lore Torri    07/09/2013    5 recensioni
Un'associazione segreta esistente dall'alba dei tempi ha rubato un misterioso oggetto trovato nell'Artide. Associazioni altrettanto segrete cercano disperatamente di scoprire cosa è stato rubato e perché, ma la risposta è tutt'altro che confortante... Ben presto, gli Arcangeli saranno costretti a schierarsi di nuovo tra Bene e Male. Ma questa volta, l'Angelo Traditore potrebbe non essere solo.
Genere: Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ELISA
(L’Inizio)
 
Elisa era seduta distrattamente sul muretto di casa sua con il suo giubbotto azzurro e sbuffava per il ritardo dei suoi amici che rischiava di far perdere loro il pullman. Non aveva intenzione di andare a piedi arrancando nella neve. I lunghi capelli neri le svolazzavano disordinati intorno al viso, nascondendo il volto ovale con il piccolo naso delicato, le labbra sottili e gli occhi verdi.
Aveva sedici anni, ma sembrava già maggiorenne, alta come la madre e al tempo stesso snella e formosa.
Mentre aspettava, un uomo vestito di nero dalla testa ai piedi le sfrecciò davanti con una bellissima Harley-Davidson, facendola cadere nella neve a gambe all’aria per lo spavento. Nello stesso momento, un chiacchiericcio le comunicò che Marta e Giulio erano in fondo alla strada e stavano arrivando. Elisa scattò in piedi e si pulì dalla neve, poi corse ad abbracciarli.
Marta era bassa per la sua età - tutti e tre andavano nella stessa classe al Liceo Classico Paolo Sarpi - ma era bellissima, con i suoi capelli biondi che le cadevano in ciocche sugli splendidi occhi color indaco. Giulio invece era un vero e proprio armadio, altissimo e muscoloso grazie al nuoto. Aveva i capelli castani arruffati che gli ricadevano sulla fronte e gli occhi neri sempre assenti. Il naso era sgraziato perché si era rotto qualche anno prima.
«Perché sei tutta innevata?» domandò Marta ridendo mentre le baciava le guance.
«Un uomo mi è sfrecciato davanti facendomi cadere dal muretto. Adesso però corriamo, altrimenti rischiamo di perdere il pullman!» disse, cominciando a correre, seguita a ruota dagli amici. Quando arrivarono alla fermata, l’autobus della linea 1, che portava su fino alla città vecchia, stava per ripartire, così i tre amici si sbracciarono per fermarlo. L’autista miracolosamente fermò la vettura ed aprì le porte, facendoli salire. I tre ragazzi lo ringraziarono sorpresi: raramente qualche autista era gentile come lui.
Si sedettero su tre seggiolini liberi e cominciarono a parlare di cosa avrebbero fatto durante le vacanze di Natale, che sarebbero iniziato di lì a pochi giorni.
«Mio padre voleva portarci in Russia, dicono che Mosca è magnifica.»
«Ma sei pazza? Hai idea di quanto sia fredda, d’inverno?» la ammonì Giulio.
«E’ quello che dice anche mia madre, quindi penso che non ci andremo fino all’estate... peccato, andare in Russia mi sarebbe piaciuto.»
«Ragazzi, per questo Natale mio nonno ci ha lasciato libera la sua casa a Parigi! Cosa ne dite di venire su con me la settimana dopo Capodanno? Rientreremo due giorni prima che ricominci la scuola!»
«E’ un’ottima idea, Marta! Chiederò a mio padre se è d’accordo, ma penso che non farà obiezioni particolari.» disse Elisa, mentre l’autobus si fermava davanti all’enorme Porta San Giacomo.
«Accidenti, non credo che mia madre mi lascerà partire.» disse Giulio. Suo padre era morto durante la Seconda Guerra Mondiale combattendo come partigiano sulle Alpi. Il suo nome era inciso in una lapide commemorativa ai caduti all’inizio di Via XX Settembre, nel centro della città bassa. Nonostante la disgrazia, sua madre se la cavava molto bene: era una donna tuttofare e i soldi non le mancavano.
«Come mai dici così?» domandò Elisa.
«Da solo con due donne?» rispose ad effetto.
 I tre amici scoppiarono a ridere, ma smisero quando la vettura si fermò alla loro fermata e scesero, imboccando la scalinata che li avrebbe portati al Liceo. Gli scarponi non facevano molto presa sulla ripida salita coperta da un manto di neve, così Giulio scivolò e ruzzolò all’indietro, trascinando con sé le amiche.
Risero per parecchio tempo, poi ripartirono stando più attenti, altrimenti sarebbero arrivati di nuovo in ritardo. Quando finalmente entrarono a scuola, si tolsero i cappotti e fecero cadere la neve a terra, poi andarono a posarli in classe. La professoressa li salutò: quel mattino era stranamente allegra. Talmente allegra che si dimenticò di dover interrogare in greco e latino ed incominciò a parlare invece con i suoi studenti dell’ormai prossima nascita di suo nipote.
Contenti di quell’inaspettata sorpresa - Marta era preparata, ma Elisa e Giulio come al solito non avevano aperto il libro che per fare gli esercizi - si misero a discutere tranquillamente tra loro, certi che la professoressa non se ne sarebbe accorta. E così passarono le prime due ore, mentre la terza fu segnata da un’allegra lezione di letteratura sui poeti dell’ottocento.
La professoressa di italiano riusciva a rendere emozionante qualsiasi argomento.
Durante l’intervallo, gli studenti più grandi riuscirono ad uscire dalla scuola e preparare con alcuni banchi delle trincee per una battaglia di neve, sfuggendo tranquillamente al controllo dei bidelli.
I professori, essendo l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze, non fecero storie, così la battaglia continuò a infuriare per due ore, finché la preside non uscì ad annunciare che l’orario scolastico era finito. Gli studenti di terza liceo (l’ultimo anno) dovettero fermarsi a pulire e sistemare i banchi, ma gli altri furono lasciati liberi di andarsene.
 
L’autobus si riempì di neve quando gli studenti fradici salirono a bordo. Giulio, Marta ed Elisa scesero tutti insieme alla stessa fermata e si avviarono verso le rispettive case.
Mentre tornava a casa, Elisa gettò uno sguardo all’interno del vecchio rudere abbandonato che stava davanti alla sua abitazione. Trasalì: le era parso di vedere un’ombra scura alla finestra più alta.
Era difficile, se non impossibile: la casa era disabitata ormai da una decina d’anni. Era ridotta a poco più che un rudere, ma il comune insisteva nel dire che era proprietà privata e dunque non poteva demolirla. Probabilmente aveva pagato profumatamente qualcuno perché si accollasse quel rudere in modo da non doverlo demolire.
Stupita, la ragazza tornò a guardare all’interno della finestra e per un attimo vide una sagoma girata di spalle. Sulla schiena c’era un grosso teschio sovrastato dalla lettera “A”. In quel momento, l’uomo cambiò stanza, uscendo dal campo visivo di Elisa.
La ragazza entrò in casa e si precipitò sotto la doccia, convinta di aver avuto un’allucinazione.
 
Marco scese le scale del vecchio rudere che Azrael gli aveva assegnato come quartier generale. Prese la sua Harley nera e sfrecciò sulle strade innevate di Bergamo fino a raggiungere l’autostrada A4 da Bergamo verso Venezia. Quella sera sarebbe tornato a fare rapporto dal padre e ne era orgoglioso: aveva recuperato ciò che gli era stato richiesto e non aveva lasciato prove.
   
 
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