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Autore: SunriseNina    09/09/2013    8 recensioni
Tra lui e Riou scorreva una terribile mescolanza di complicità, casualità, finzione e incomprensibili –o solamente inesprimibili?- emozioni.
La necessità di ucciderlo si faceva sempre più pressante.

Anno 1788, Parigi. Monarchia di Luigi XVI.
Il destino di Light Dieunuit subisce una svolta improvvisa, quando entra in possesso del terribile dono di un misterioso discepolo del dio azteco Xolotl. Borghese rivoluzionario, capisce immediatamente come sfruttare il potere di decretar la morte per le persone a suo piacimento.
La città di Parigi è scossa dalle morti di numerosi funzionari regi e nobili altolocati: il Re scatena contro questo assassino amico della rivoluzione un investigatore dalle capacità straordinarie perché indaghi sulla serie di morti.
Tumulti, ribellioni, proteste: in questo scenario pittoresco e settecentesco un amore tormentato unirà un'improbabile coppia di giovani uomini, sconvolgendo e intersecando le loro vite per sempre.
Genere: Guerra, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: L, Light/Raito, Misa Amane, Soichiro Yagami | Coppie: L/Light
Note: AU, Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Un tramonto rossiccio andava spegnendosi all’orizzonte, tingendo le acque della Senna.
Light si era appoggiato al largo bordo del Ponte Neuf, ammirando le barche che si ammassavano lungo le due sponde, cariche di merci variopinte. Risuonavano nell’aria le voci rozze dei marinai, gli odori delle spezie, lo sciabordio degli scafi. L’espressione del giovane ventenne era simile a quella di un bambino rimasto estasiato davanti ad un giocoliere, o un illusionista. Purtroppo nella sua mente vagavano pensieri decisamente meno pittoreschi, e alquanto amari, ad esser completamente sinceri. Si sovrapponevano, urlavano, si spintonavano tra loro esattamente come quelle barche.
Si levò dalla sua posizione e riprese a camminare con passo lento, equilibrato, verso la  sua meta finale.
Alla tarda ora in cui Light camminava per Parigi, poche persone ancora popolavano la città: camminavano tutti rasenti le pareti, aggirando il canaletto di scolo che tagliava in due la strada. In quei giorni era caduto un nevischio acquoso, che non aveva avuto la forza di depositarsi e imbiancare i tetti: si era sciolto brevemente in un’acqua grigiastra che aveva insozzato tutte le vie, riempiendole di pozzanghere.
C’era stato l’innalzamento dei prezzi, la creazione di nuove tasse ai ceti già vessati, la carestia appena pochi anni prima aveva ucciso buona parte del bestiame e durante quello stesso anno si era verificata la crisi del pane. In poche parole, a una decina di giorni dal Natale, il popolo parigino non aveva né soldi né cibo, e quanto pareva neppure la neve: solo freddo, un gelo che ti pervadeva fin nelle ossa, facendoti sentire un dimenticato da Dio.
Non che sembrassero arrabbiati, o chissà cos’altro: no, tutti i francesi affrontavano quelle situazioni con un’ingenuità quasi vomitevole. Scrivevano lettere al Re, convinti che questo avrebbe messo fine ai loro affanni; e che, se non riusciva, doveva proprio esser allo stremo anche lui. Ah, se avessero capito, quei poveri sciocchi, che il Re tutti i soldi che a loro sarebbero serviti li utilizzava per arricchire la sua bella reggia e deliziare le oziose ed ottuse menti dei suoi nobili. Ma si era arreso da molto tempo all’idea che il popolo fosse troppo stolto, per potersi sollevare senza qualcuno che li guidasse.
Percorse la strada principale solo per alcuni metri: abbandonò presto la piatta e agevole arenaria della pavimentazione per le lastre medievali di uno dei vicoli che si aprivano su di essa. Accelerò il passo, conscio che ormai nessuno avrebbe più fatto caso a lui, in quelle misere strettoie tra le alte palazzine della zona povera della città. Quasi correva, quando arrivò con il respiro trafelato davanti all’insegna del Saint Martin. Si fermò pochi secondi appoggiando la schiena al muro: quel piccolo pub, che si apriva su una minuscola piazzetta dalla forma irregolare, esponeva l’enorme disegno di un uomo con in mano un bicchiere di vino e un aureola sopra il tipico taglio di capelli dei monaci. Era al contempo squallido, antiestetico e blasfemo: ma a lui ben poco importava. Non era lì per il vino di bassa qualità che, secondo quel disegno, tanto piaceva al caro San Martino.
Si era sentito in imbarazzo, uscendo di casa con addosso quella terribile giacca da caccia –abitava infatti in un quartiere distinto, dove era conosciuto e apprezzato in quanto futuro avvocato-; ma quando entrò, bastò un’occhiata ai presenti per capire che la sua elegante mantella avrebbe dato parecchio nell’occhio.
Si diresse verso il solito tavolo dove sedevano le solite persone. Rivolse a tutti un saluto cordiale e al contempo distinto, e ordinò da bere.
 
Light Dieunuit. Cosa doveva esser passato nella mente di sua madre, quando lo aveva messo al mondo, quando aveva deciso di chiamarlo così? Di sicuro un certo patriottismo, nonostante Scarlett Dieunuit non abitasse in Inghilterra da decenni e avesse ormai cambiato il proprio cognome inglese con quello del marito Sigismond. In ogni caso, il piccolo era nato con il significativo nome di “luce”, e di sicuro gli si addiceva in modo letterale: era una persona brillante d’intelletto, e anche d’aspetto. Capelli corti e castani, viso affilato ma armonioso, occhi dello stesso colore della chioma, bocca sottile ed espressione inspiegabilmente regale. Light, giovane parigino di semplici natali –padre poliziotto, promosso in seguito a luogotenente generale di polizia, e una giovane studentessa inglese per madre- sapeva di aver nel suo sangue borghese qualcosa in più. Una predestinazione a qualcosa di più grande.
Non certo solo per questo si era unito a quel circolo, no; ma di sicuro anche questo motivo c’era, e non se lo nascondeva affatto.
Si ritrovavano quando potevano, in un ordine impreciso di giorni, e frequentando cinque o sei infimi pub diversi al mese. Chi erano? Niente di speciale, se non una manciata di giovani borghesi che si dilettavano nell’insultare Luigi XVI, le ridicole tasse che egli imponeva a loro e non a nobili e clero, le frivolezze di quei nobili impomatati da capo a piedi, l’inettitudine della coppia reale e di tutti i loro maledetti e lardosi consiglieri. Se la spassavano parecchio, quei ricchi cittadini che si toglievano le giacche costose e le parrucche per gettarsi in mezzo alla plebaglia e insultare chi calpestava i loro interessi.
«Ma la cosa più assurda è che … non si capisce da dove arrivino i privilegi del clero!» un paio di risate si levarono, ebbre di vino, ma l’uomo continuò «Non sto scherzando! Se a difendere le braghe dei nobili c’è il Re e il lignaggio nobile, chi c’è per i religiosi? Lo Spirito Santo?!»
«Stai dicendo che Dio è meno importante di quel mezzo cervello di Luigi?»
«Che poi potrebbero cambiare il nome… questo è il sedicesimo, cristo, il sedicesimo luigi!» grugnì uno di loro particolarmente brillo, facendo sganasciare tutti i presenti.
«Dio non è un proprietario terriero, non ha un corpo o niente che possa dargli davvero potere.» continuò l’arringatore di prima.
Al che Light, ignorando le risa generali che ancora non si spegnevano, iniziò a conversarci: «Perché, in teoria, non ne ha bisogno. Ha proprietà nel regno dei cieli.»
L’altro scosse la testa: «Non vuol dire un bel nulla, accidenti. Io, proprio ora, posso inventarmi il dio delle sardine marinate, e dico che è vissuto qui diecimila anni fa, e che bisogna sacrificargli merluzzi crudi e orecchini d’argento a ogni novilunio. Non sorridere, giovane Dieunuit!» lo ammonì «Mi prendi per scemo, vero? Ma dimmi cos’ha il dio dei cristiani di più concreto del mio dio delle sardine marinate.»
«Ha molti più seguaci.»
«Ma sono solo dèi inconsistenti alla stessa maniera, no?» mandò giù un bicchiere ancora, e poi si inserì nella conversazione dei due signori accanto a lui, che discutevano sulla data della caduta dei prezzi dei prodotti agricoli.
«Era il 1780, ne sono sicuro!»
«Ma cosa vuoi ricordare, a quel tempo ancora bevevi latte dal seno di tua madre! Era il 1778.»
Light rimase solo una decina di minuti, osservando il proprio bicchiere e ascoltando quel che gli altri dicevano. In quelle occasioni beveva poco –non voleva certo prendere vizi simili, né ridicolizzarsi per l’ebbrezza- e parlava ancor meno: interveniva in sporadiche occasioni, ma preferiva sentire quel che gli altri dicevano, covando tra sé e sé le proprie opinioni.
Ma in quella sera particolare, la sua mente era rimasta al dio delle sardine marinate. Se il dio delle sardine marinate avesse avuto uno scettro magico con cui il suo giovane amico potesse praticar miracoli, avrebbe avuto tanti problemi a battere il cristianesimo, fatto di dogmi e misteri impalpabili?
A quel dio, in fondo, mancava solo un elemento: qualcosa che mostrasse il suo operato.
Questi pensieri gli frullavano nella testa mentre usciva sulla piazzetta oscura. Forse per questo tormento interiore non si accorse dell’ambigua figura accanto alla porta, quando ci passò davanti. Ma non avrebbe potuto scamparle in ogni caso, nemmeno se si fosse lanciato in una trafelata corsa per i vicoli di Parigi addormentata: perché non si sfugge al destino correndo via. E, in ogni caso, Light non lo aveva forse aspettato per anni e anni?
«Ehi.» lo apostrofò una voce amara e profonda. Light si immobilizzò: sapeva che era per lui. Non c’era stato bisogno di dire altro, lo sapeva. Non poteva rivolgersi a nessun altro, in quella notte buia e deserta.
Si voltò di scatto, cercando di pensare a come difendersi: perché un uomo come lui sapeva che a quell’ora, tra le strade di Parigi, nessuno si fermava a chiederti un’indicazione. Era un mondo orribile, corrotto, malsano; e lo era ancor di più di notte.
Ma l’altro si avvicinava lentamente, con l’aria di chi non ha né fretta né intenzioni ostili. Eppure c’era qualcosa, ad aleggiare intorno a lui: un’aura di ignoto, di misterioso, di trascendente.
«Che vuoi, viandante?»
«La rivoluzione.» sghignazzò la voce nel buio.
Il viso di Light si tinse di rosso, senza un motivo vero e proprio: «In nome del cielo, mostra il tuo volto! Chi diavolo sei?!»
L’uomo apparve in modo leggermente più nitido, rischiarato dalla luce che proveniva dalle vetrine del pub: «Sono il dio delle sardine marinate.»
A quel punto Light avrebbe potuto tranquillamente svenire, ma non lo fece: quella figura, per quanto sinistra e spaventosa, esercitava su di lui un’incredibile attrazione.
L’accento dell’uomo era fortemente italiano, o spagnolo, non riuscì a capirlo con esattezza. Era alto, dalla carnagione così pallida e malata che si sarebbe potuta definire grigiastra; i suoi capelli non solo non erano sormontati da una parrucca, ma per di più si sparpagliavano sulla sua testa in ciuffi neri e disordinati. Non avrebbe saputo definirne l’età: nonostante il fisico statuario, la sua faccia innaturalmente allungata era segnata da rughe profonde, specie intorno alle cornee giallastre. Ma quel che più lo inquietava era quella bocca: era innaturalmente allargata in un sorriso scuro. Quando questi si avvicinò, Light poté notare che effettivamente agli angoli delle labbra si prolungavano due cicatrici lungo le guance, e che il colore violaceo delle labbra erano il segno di una qualche malattia infettiva. Ebbe improvvisamente paura di quell’uomo, una paura profonda e innaturale. Trascinava con sé un olezzo di vizi capitali e salsedine.
«Cosa vuoi?» disse Light, sempre più preoccupato.
«Quello che vuoi tu.» biascicò l’altro.
«Ah!» rispose sprezzante «Ne dubito.»
«Tu vuoi che si sollevino, non è così?»
Calò per pochi attimi un silenzio profondo, e il viso teso di Light si tinse di ansia e terrore: un poliziotto? Una spia del re? Chi diavolo era costui, e cosa voleva da lui?
«Sei qui per accusarmi, forse?!»
L’altro non badava alle sue parole, né alla sua agitazione: «Tu vuoi che questi poveri ottusi capiscano chi è nel torto. Vuoi che si ribellino alle ingiustizie a cui il re e la corte li sottopongono. E sai che hanno bisogno di una spinta, e quella spinta vorresti darla tu. Ma non sai come… vero, Light?» la sua risata sembrò giungere direttamente dall’oltretomba.
Il ragazzo era sconvolto. Nel suo petto, il cuore balzava da una parte all’altra della cassa toracica, scalpitando come i cavalli che trainavano le carrozze a quella tarda ora della notte e che sentiva in lontananza sulla strada principale.
«So cosa pensi. Pensi che ci vorrebbe un miracolo.» La sua mano scomparì in una bisaccia che portava legata alla vita, e ne estrasse un piccolo libriccino con una copertina di spesso cuoio nerastro. «Lascia che ti mostri come il dio delle sardine marinate farà il suo miracolo.»
 
Light Dieunuit, nato sotto il fortunato nome di “Luce” –e quanto aveva visto bene la giovane Scarlett, quanto, povera madre ignara!-, sapeva di aver nel suo sangue borghese qualcosa in più. Una predestinazione a qualcosa di più grande.
E in quella notte di dicembre del 1788, si ritrovò faccia a faccia con quello che sarebbe stato il suo destino. O almeno una parte.
 
La seconda parte del suo destino, mentre Light si ritrovava a discutere in un vicolo con quello strano uomo –il cui oscuro passato era sconosciuto quanto la natura malata delle sue intenzioni-, sedeva su una poltroncina osservando la neve cadere. Le scomode scarpe signorili erano abbandonate in terra, e si teneva le gambe strette contro il petto. Davanti a lui erano poggiati su un basso tavolino una lunga serie di dolcetti e leccornie: il ragazzo li prendeva mollemente tra le dita e li inghiottiva quasi senza masticarli.
La neve cadeva sui tetti di Vienna, immacolata, evocando ricordi lontani.
Il rumore di un campanile.
Il rintocco della Morte.
E in quel momento, qualcosa nell’animo del ragazzo vibrò come una corda di violino: una nota lontana, ovattata. Il suono di una serratura che si chiudeva.
Qualcosa – o qualcuno- aveva appena assicurato una catena eterea e al contempo indistruttibile intorno al suo destino.










Note Autrice (Leggete, grazie.)

Questa storia è ambientata nel periodo della Rivoluzione Francese, avvenuta tra 1788 e 1789.
Ogni riferimento a dati e avvenimenti è stato fatto quanto più precisamente possibile; ma avendo trovato difficoltà a cercare ogni singolo uso e costume dell’epoca, ho dovuto a volte lavorare di fantasia cercando di rendere tutto il più realistico possibile.
Fonti: Wikipedia e Jacques Wilhelm, ”La vita quotidiana a Parigi ai tempi del re Sole”.
I nomi: Ovviamente i nomi non potevano rimanere in giapponese: ho cercato di riportare suoni simili, o nomi che a mio parere potevano esser adatti. Ho deciso di lasciare “Light” perché protagonista e inoltre perché la ricerca di qualcosa che potesse validamente sostituirlo si era fatta impossibile. Per il suo cognome, Dieunuit (che si pronuncia circa dionuì, se mia sorella che studia francese mi ha dato le informazioni giuste...), è la traduzione dei kanji che formano “Yagami”, ovvero “notte” e “dio”. Il nome di L sarà invece rappresentato da due nomi francesi, Eler (per l'assonanza) e Riou (a sostituire il nome Ryuzaki con cui è solito farsi chiamare).
Il titolo: la traduzione è “Vuoi essere il mio patibolo?”. Ho ritenuto doveroso scriverlo in francese.
   
 
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