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Autore: AliceC12    11/09/2013    7 recensioni
-Non riesco a smettere di fissarti-
-Allora non farlo, perchè quando incontro i tuoi occhi, il mio cuore riprende a battere-
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Chris Evans: una vita tormentata dall'odio del padre, da una passione irrealizzabile e dalla perdita del suo unico punto di riferimento, verrà messa ancora più alla prova dalla presenza di un ragazzo.
Zayn Malik: sarà il suo peggiore incubo, la illuderà, le spezzerà il cuore, la farà soffrire.
Ma quando capirà quanto lui sia dannoso, i loro destini saranno incondizionatamente legati e la loro intesa troppo forte per essere spezzata. Lui ormai è la sua DROGA.
Un ringraziamento a tutte coloro che seguiranno la storia. Un bacio :)
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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28. Just a shadow
*Harry’s pov*

- So che Rose è una bellissima ragazza, quindi dovrei farlo con lei… vedermi con una sua amica ha già avuto effetti disastrosi ad Halloween e se lo facessi in questo momento, la annienterei totalmente- ripetei meccanicamente le nozioni che Louis mi aveva ormai fatto imparare a memoria, data la morbosità che impiegava nel ricordarmi quanto di più sbagliato Chris custodisse nell’anima, il male che quella ragazza era in grado di riversare su tutti coloro si fossero fidati di lei e le avessero donato amore, la capacità che aveva di distruggere sempre tutto ciò a cui si legava.
Recitai quelle parole con la stessa convinzione e, al contempo, esasperazione che vi impiegava Louis ogni singola volta ma ripromettendomi che quella sarebbe stata l’ultima.
-So tutte queste cose ormai a memoria perché non fai altro che ripetermele da settimane. Ma, nonostante i tuoi discorsi sarebbero stati in grado di convincere anche il più ostinato dei rivoluzionari per la lotta contro l’abuso di minori a demordere, non sono riusciti a scalfire ciò che sento. So tutte le cose che mi hai detto, ma so anche di amare Chris dalla tenera età dei dodici anni.
So di dipendere dal suo profumo che mi riempie i polmoni di aria fresca smaltendo il porcile che si è accumulato dentro di me.
So di non poter vivere senza i suoi abbracci che mi scaldano il cuore e mi fanno sentire amato.
So di non potermi staccare dalle sue labbra senza che l’impellente sete di lei mi assalga di nuovo e mi spinga ad appartenerle ancora.
So di non poter fare a meno di lei perché… perché la amo Louis. La amo e neanche il più convincente dei discorsi, la calamita più magnetica, la catastrofe naturale più imponente potrebbero separare il mio cuore dal suo, non in questo momento-
Terminai il mio monologo con il fiato corto dovuto alle venticinque sillabe al secondo che avevo pronunciato e gli occhi intrisi di lacrime dolci, dolci perché alla fine avevo espresso apertamente e senza proibizioni le emozioni che il mio cuore custodiva da anni, ma i cui sentimenti avevo sempre lasciato che mi scivolassero addosso anziché affrontarli e comprenderli.
-Harry, ti ha tradito. Se l’è fatta con Zayn mentre stava con te. Non so se capisci che…-
-Basta- sussurrai stremato –smettila. So cosa è accaduto con Zayn ma questa situazione assurda tra loro è nata mesi fa, prima di tutto questo, di mia madre, del nostro fidanzamento, della tua gelosia o iper-protettività ingiustificata. L’ho perdonata e stiamo di nuovo insieme… dovresti farlo anche tu- conclusi poi guardandolo  fisso negli occhi.
-Ti distruggerà, questa lo sai vero?- domandò il mio amico ormai arreso all’evidenza ma con una nota di sconforto nel tono.
-Non credo. Lei è il mio angelo e gli angeli non possono fare del male-

*Zayn’s pov*

Nonostante i disguidi emersi per la mancanza della carta d’identità e alle strategie cui avevo dovuto far ricorso per cavarmela e convincere la ragazza della reception a cedermi un letto, che si trattasse di una topaia poco importava, Colette riuscì infine a rimediarmi una piccola stanza nel seminterrato solitamente impiegata come deposito di biancheria e asciugamani puliti.
Ad attendermi, in cambio di una considerevole riduzione del costo d’affitto, una camera rettangolare stretta ed angusta; il tetro scheletro di un letto cui era stato rimosso il materasso, occupava i ¾ della stanza e le pareti verdognole si sfaldavano a vista d’occhio ammucchiando lo sporco intonaco polveroso alla base dello stipite ed emanavano un rivoltante odore di muffa  da ogni singola intonacatura. Odore al quale mi sarei dovuto abituare se non volevo tornare a tenere compagnia agli acari del divano al Night Blue.
Comprese le mie difficoltà a fornirle un documento cartaceo, Colette volle far ricorso al suo spirito compassionevole accontentandosi della fotografia che le avevo mostrato e stabilendo chiaramente e con severità che se non avessi rispettato i pagamenti e le scadenze, sarebbe stata la prima a cacciarmi fuori.
Tornai alla reception per domandare il materasso mancante e, stabilito che gli addetti alle camere lo avrebbero ricollocato al suo posto appena possibile, appesi le chiavi della stanza nell’apposito spazio loro riservato dietro il bancone e decisi di sfruttare il pomeriggio libero concessomi da Bill per visitare le diverse vie nei pressi del locale, scovare qualche luogo nascosto in quel vecchio sobborgo puzzolente e ubicare i punti di riferimento che mi avrebbero permesso di raggiungere la pensione anche in piena notte senza ritrovarmi a vagare come un senza tetto per ore.
Imboccai innumerevoli vie e vicoli scontrandomi con passanti decisamente troppo indaffarati per prestarti un saluto, anziani incarogniti col mondo che ti urtavano senza considerazione né tanto meno domandare scusa in seguito, bambini capricciosi strattonati per i polsi dalle madri che si abbandonavano in pianti esagerati, mentre l’uggioso cielo inglese osservava divertito il malessere che il suo colore deprimente infondeva nelle persone.
Infilai gli auricolari nelle orecchie lasciandomi trasportare dalle note di Radioactive degli Imagine Dragons.
Camminai per diverse ore e quando mi resi conto del dolore pungente che mi pizzicava i piedi racchiusi nelle Nike, una semplice panchina del parco al di là della strada  fu in grado di restituirmi il sorriso e un po’ di sollievo da quel brusco freddo invernale.
Osservai affascinato cosa l’innocente e libera mente di un bambino sia capace di inventare disponendo di un semplice bastoncino e qualche sasso; le bambine lo avevo trasformato nella bacchetta magica di una fata e girovagano sull’erba agitando quel pezzetto di legno su ogni essere animato e non che incontravano lungo il loro tragitto. Tra i maschietti si tenevano invece veri e propri duelli di spade che terminavano solo con la resa di uno degli sfidanti o quando una piccola scheggia interrompeva il momento ferendo loro un dito.
Un sorriso sornione mi si dipinse involontario sul viso quando una delle bambine mi raggiunse e mi tese la mano affichè la seguissi e aiutassi lei e le sue amiche a salire sul piccolo forte che avevano costruito in cima allo scivolo, accompagnato da ringraziamenti e scuse delle mamme in imbarazzo per la sfacciataggine dei figli.
Ma quelli erano momenti piacevoli dopo tutto, e non mi sentivo di rovinarli mostrando la facciata da duro che avevo adottato per fronteggiare mio padre e mostrarmi desiderato tra i corridoi di quella patetica scuola dove non avrei più rimesso piede.
Avevo finalmente capito che, con ogni probabilità, il comportamento strafottente ed irritante con cui ero solito rivolgermi alle persone prima della mia fuga da casa, non era altro se non l’effetto della bomba che l’arroganza di mio padre aveva innescato anni prima. In seguito a derisioni e maltrattamenti da parte di colui che sarebbe dovuto essere il mio punto di riferimento, era esplosa distruggendo ogni più piccola traccia del vecchio Zayn gentile e caritatevole e lasciando che uno stronzo assetato di donne e desideroso di vendetta prendesse il suo posto.
Ero finalmente riuscito ad allontanarmi da quella gabbia di terrore che mi aveva tenuto rinchiuso per 18 anni sotto le grinfie di un mostro, e il mio vecchio “io” aveva già cominciato a riemergere nel giro di pochi giorni. Questo era lo Zayn circondato di amici, che tutti conoscevano come il ragazzino gentile sempre dedito ad aiutare il prossimo, non il bastardo in cui mio padre mi aveva tramutato.
Lasciai il parco e ripresi a camminare solo dopo che tutte le mamme ebbero convinto i propri figli a tornare a casa. Questa volta, però, fecero loro appello all’influenza che avrei esercitato sui bambini se gli avessi chiesto  gentilmente di ascoltare i genitori in cambio di una bella sorpresa.

Stavo ripercorrendo i miei passi così da rientrare al locale in orario per l’apertura serale ed evitare che un ulteriore attacco di nervi di Bill, generalmente rivolto ai clienti troppo ubriachi che imbrattavano i tavolini del bar con pennarelli indelebili che, solo loro sapevano perché, portavano in tasca, potesse questa volta riversarsi su di me evirandomi con un semplice sguardo.
Ma all’improvviso la preoccupazione rivolta ai miei poveri organi genitali maschili che rischiavano una fine prematura qual’ora fossi giunto in ritardo, venne sostituita da una vocina femminile che richiamava il mio nome da lontano, diminuendo le distanze ad ogni singola ripetizione.
Mi voltai per riconoscere quella voce a me familiare e rabbrividii nello scorgere a pochi metri da me, Jenny, la ragazza della mia compagnia con cui avevo passata la notte una sera a casa di Louis e che Chris mi aveva intimato di richiamare al fine di evitare una sonora scarica di calci nel culo.
Non l’avevo ascoltata.
Non mi ero più fatto sentire, così come avevo velocemente liquidato Caroline una volta soddisfatte le mie esigenze carnali e non avevo più interagito con Scarlett dopo averla mollata con la freddezza di una stalattite al polo Nord.
Io ero fatto così; quando la mia attrazione per una ragazza era alimentata dal singolo desiderio sessuale, se questa si concedeva con troppa facilità mostrando l’insicurezza che in realtà serbava nel cuore, il mio interesse scemava in seguito alla prima e unica notte passata insieme.
Ero un leone in cerca di prede, un cacciatore affamato di sfacciataggine, e le ragazzine che si abbandonavano al mio corpo dopo appena un giorno dal nostro primo incontro, erano per me una sorta di malattia cancerosa da evitare a tutti i costi. Non volevo la storia seria con la ragazza giusta, ma una con cui giocare, vivere la vita giorno per giorno, resistere alla tentazione e considerare tutto un semplice gioco erotico, sfuggire al desiderio ogni qualvolta si fosse presentato solo per rendere l’attimo conclusivo del rapporto il più desiderato possibile.
Questo era stato il bagaglio di ragioni che mi aveva spinto a perseverare con la Evans; avevo impiegato settimane unicamente per riuscire a sfilarle la maglietta e la sua reticenza nel concedermi la verginità che custodiva in maniera così morbosa, mi aveva fatto del tutto perdere la testa.
Sapevo per certo che il mio corpo era per lei una calamita, difficile da rinnegare ed impossibile da ignorare, ma osservare la maniera in cui si ostinava a staccarsi dalle mie labbra, a respingere i miei baci, a non slacciarsi i pantaloni e concedersi a me, nonostante ogni singola particella del suo corpo le urlasse di farlo, mi ammaliava. Ero ammaliato dalla sua figura sinuosa, come un ornitologo che osserva estasiato una rara specie di volatile che ha cercato per tutta la vita ed infine è riuscito a scovare nel luogo più impensato, un pasticcere che osserva orgoglioso il frutto di ore di lavoro complimentandosi con se stesso, un bambino che spalanca gli occhi di fronte a montagne di biscotti e dolciumi lieto di potersene servire.
Chris Evans era capace di stimolare il mio desiderio come nessun’altra e la smania di farla mia almeno per una notte continuava ad aprirsi un varco nel mio cervello nonostante numerosi chilometri ci separassero.
 
Mi voltai dal lato opposto e cominciai a correre. Ero fuggito di casa una settimana prima e avevo intenzionalmente evitato di rendere i miei amici partecipi dei miei spostamenti. Se mi fossi fermato a parlare con Jenny, sarebbe riuscita ad estorcermi più informazioni di quante ne avessi volute nascondere e il terrore che i miei genitori avrebbero potuto rintracciarmi, mi attanagliava.
Nonostante la lontananza di Liam mi facesse soffrire maledettamente, abbandonare quella gabbia di freddo e oscuro terrore era ciò che da anni necessitavo per crearmi una nuova vita, riscoprire il significato di libertà, sentirmi bene con me stesso e accettato dalla società, lontano da tutto e da tutti; dai doveri impartiti dalla scuola, gli ordini del coach di football, le imposizioni di mio padre, le restrizioni che mi impedivano di esprimere apertamente la mia vera essenza attraverso la musica perché considerata da femminucce e non adatta allo stereotipo di figlio perfetto e cazzuto che mio padre sognava.
Correvo. Correvo veloce. Correvo nel vento. La fredda brezza inglese mi accarezzava il capo inserendosi tra i fini capelli marrone scuro e trascinando via con se tutti i pensieri che mi affollavano il cervello. Correvo e non c’eravamo altri che io e i miei passi che rimbombavano pesanti sull’asfalto nero. Il vento allontanava le preoccupazioni facendole evaporare sotto il soffiare freddo delle nuvole, così che abbandonassero il mio corpo.
Per un attimo mi sentii libero.
Corsi diversi minuti, non so con esattezza quanto a lungo, fino a ritrovarmi faccia a faccia con un maestoso ospedale. Jenny aveva smesso di seguirmi da parecchio tempo, ma il respiro affannoso non mi permetteva di distinguere quali passi mi appartenessero e quali fossero di passanti occasionali.
Le chiare superfici riflettenti dei vetri ricoprivano l’intera facciata dell’edificio ed un grosso angelo d’oro, quasi sicuramente solo intinto nella tintura dorata e non forgiato con del materiale prezioso, si ergeva in cima alla cupola al centro del palazzo.
L’imponenza di quell’edificio doveva lasciar intendere che si trattasse di un ospedale privato e finanziato proficuamente dallo stato che, al contrario, si mostrava completamente indifferente di fronte agli accumuli di sacchi della spazzatura abbandonati sul ciglio della strada nei quartieri situati ad appena trenta minuti dall’ospedale.
 Osservai l’edificio per diversi minuti incredulo che un tale quantitativo di denaro fosse stato impiegato per la manutenzione di quell’angelo in finte placche d’oro anziché per il miglioramento delle strade nei quartieri residenziali. E avrei continuato ad argomentare ipotesi e trovare tesi riguardo l’inefficienza dello stato, dei magistrati, dei politici e tutte quelle faccende di cui si lamentava sempre mio padre la sera a tavola, se un assordante rumore metallico alle mie spalle non mi avesse fatto sobbalzare distogliendo l’attenzione da futili discorsi quale il PIL pro capite.
Non assistetti allo schianto vero e proprio, ma le azioni che vi susseguirono mi scossero a tal punto da lasciarmi inerte, privo di alcuna reazione e incapace di intervenire per l’intera durata dell’incidente.
 Un camion da diverse tonnellate aveva tamponato con forza una piccola macchina nera poco costosa spintonandola a diversi metri dal luogo dell’urto.
La vettura stava adesso percorrendo con violenza la via dinnanzi a me, rotolando ed accartocciandosi su stessa come una leggera lattina di Pepsi sotto la pressione di un rullo compressore, ed io mi ritrovai a sperare che il conducente fosse riuscito, in qualche modo, a saltare fuori dal finestrino anziché tentare di sopravvivere a quella morsa letale.

*Harry’s pov*

Avvicinai con reticenza la mano al suo viso e lasciai che le dita percorressero delicatamente la guancia fredda e liscia che, diversamente dal solito, non era macchiata da quel tenue colorito roseo che tanto adoravo quanto lei detestava, bensì diafana, gelida al tatto.
Presi tra le dita una ciocca dei suoi capelli mori e li feci scorrere con leggerezza; come tanti fili di seta si disfecero al tatto e ricaddero sul cuscino simili a tante piume rese pesanti dal dolore.
Scannerizzai con attenzione ogni anfratto del suo viso, meravigliandomi di quanto estremamente bella potesse risultare anche nella morte, di quanto la purezza dei suoi lineamenti fosse rimasta intatta nonostante lo stato vegetativo nel quale riposava da due settimane.
-Chris, se mi senti sappi che mi manchi- sospirai a pochi centimetri dal suo orecchio con voce interrotta dai singhiozzi e il cuore scosso da interminabili, feroci, dolorose palpitazioni.
Non poteva morire, non glielo avrei permesso. Non era forse abbastanza dover sopportare la sofferenza per la prossima scomparsa ormai quasi certa di mia madre? Non avrei potuto perdere anche lei.
Perché se Chris fosse morta, io sarei morto con lei.
Chris costituiva più della metà del mio cuore, il motivo per cui la mattina cominciava a battere, si lasciava prendere dalle palpitazioni ogni qual volta le nostre labbra si sfiorassero, perdeva battiti quando intuiva che qualcosa tra noi non andava.
I medici dicevano che le probabilità di una guarigione miracolosa fossero da escludere a priori; l’incidente che l’aveva coinvolta avrebbe condotto dritto in paradiso chiunque vi ci fosse imbattuto, era stata una grandissima rarità che i suoi polmoni fossero riusciti ancora ad inalare ed espellere ossigeno fino all’arrivo in ospedale. Il suo sistema respiratorio e cardiocircolatorio avrebbe dovuto smettere di funzionare durante l’impatto e privare così i suoi cari di settimane, mesi, forse anni di sofferenza nell’attesa… nella speranza che qualcosa di bello sarebbe di nuovo potuto accadere, che il suo cuore avrebbe ripreso a battere in assenza dell’ausilio di una macchina e i suoi occhi avrebbero rivisto la luce.
Ma nonostante fossero passate già due settimane, l’ultimo barlume di speranza che custodivo nell’anima ancora non mi aveva abbandonato e finchè quel piccolo brillio interiore mi avrebbe fatto compagnia, non avrei mai smesso di credere in un possibile miracolo.
Chris era il mio cuore. E’ possibile sopravvivere senza il proprio cuore? No. Non ricordo documentazioni riguardo un caso simile. Se Chris fosse morta, il mio cuore si sarebbe spento ed io con lui, quindi fino a che quello stupido aggeggio pompa sangue nel mio petto avrebbe continuato a  battere, la certezza che il mio angelo fosse ancora vivo sarebbe sopravvissuta in me.
Accostai il viso a pochi centimetri dal suo e le lasciai un morbido bacio a fior di labbra, di quelli che aveva sempre adorato perché li considerava gli unici in grado di esprimere l’amore genuino e sincero che lega i due amanti, senza alcuna implicazione sessuale.
In quell’istante una lacrima percorse incontrollata la mia guancia destra e terminò il suo percorso sul viso di Chris, inumidendole il labbro inferiore. Per un riflesso incondizionato, estrasse la lingua e lecco la goccia salata depositatasi sul bordo della bocca quasi volesse dissetarsi del mio amore, nutrirsi della mia disperazione, risvegliarsi sfruttando la mia forza interiore.
-Chris, mi senti? Ti prego apri gli occhi- in cambio ottenni unicamente un misero sospiro forzato dopo di chè ricadde nel sonno che, a detta dei dottori, sarebbe dovuto essere eterno.

-Tesoro, so quanto tu sia triste ma non affliggerti, guarirà- Andy aveva avvisato mia madre della perturbabilità del mio stato d’animo dovuto al ricovero di Chris, e lei tentava in tutti i modi di tirarmi su il morale ma senza proficui risultati.
Avevo assunto il comportamento di un autentico egoista.
Le due donne più importanti della mia vita erano rinchiuse in un maledetto ospedale  in lotta tra la vita, che dipendeva da stupide macchine, farmaci e medici incompetenti, e la morte  che si burlava di loro ogni singolo respiro che emanassero. Ma tutto ciò cui riuscivo a pensare era il desiderio di non dover più soffrire; non facevo caso alla bandana che mia madre portava in testa per mascherare la calvizie causata dalla chemioterapia, non mi preoccupavo di tirarle su il morale raccontandole aneddoti divertenti o barzellette idiote cui avrebbe finto di ridere, piuttosto la angosciavo con il mio malumore, con tutte le novità riguardanti Chris che i dottori mi comunicavano , con l’incessante desiderio di porre fine alla vita che mi tormentava, così da non dover più soffrire.
La soffocavo con i miei problemi anziché preoccuparmi degli effetti che la chemio stava riversando sul suo organismo quali: perdita di capelli, denti ingialliti, occhi arrossati, pelle ingrigita e malumore perenne.
-Scusami se ti causo tutte queste preoccupazioni, non voglio essere un peso per te-
-Tesoro, tu sei la cosa più importante della mia vita, non potresti mai essere un peso- sentii gli occhi pungere e inondarsi di lacrime all’idea che la mia fonte di ispirazione, il mio modello da seguire, quella donna meravigliosa presto mi avrebbe abbandonato da solo in quella giungla, schiavo del mondo. La strinsi in un caloroso abbraccio e lasciai che si addormentasse cullata dal movimento del mio torace.

*Chris’ pov*

Più di una voce giunse ovattata alle mie orecchie, ma lo stato di coma vegetativo nel quale ero caduta  mi impedì di aprire gli occhi e mettere a fuoco il luogo in cui mi trovassi nè tanto meno chi fosse presente a tenermi compagnia.
L’ultimo ricordo che alloggiava nella mia mente erano due grosse luci accecanti che si avvicinavano in velocità alla mia vettura, dopo di che tutto si era tramutato in una grossa bolla scura, come se l’oscurità avesse assorbito tutta la brillantezza di questo mondo e se ne fosse nutrita sino a prosciugarla.
Riuscii ad ubicarmi in una sala ospedaliera solo quando udii due uomini, che immaginai fossero dottori, discutere riguardo la mia diagnosi, le cui parole mi risultarono quasi totalmente incomprensibili eccetto per un’unica scioccante frase che l’uomo dalla voce più roca e possente sentenziò con rassegnazione.
-Il coma vegetativo potrebbe essere perenne-

Nei giorni seguenti Rose, Jenny e i ragazzi vennero a farmi visita e mi stupii dei diversi metodi cui ognuno aveva fatto ricorso per gestire la situazione e i propri sentimenti alla vista di un’amica in quello stato malconcio; innumerevoli lacrime bagnarono i volti delle mie amiche durante i pochi minuti che trascorremmo insieme e, anche se non fui in grado di aprire gli occhi per rassicurarle e far loro sapere che in realtà stavo alla grande, sapevo per certo che mentre Rose mi osservava con aria disperata e distrutta, Jenny tentava di ridurre al minimo lo spreco di acqua così che il suo mascara non ne risentisse. Era addolorata, ma ciò non le impediva di estrarre lo specchietto dalla borsa ogni cinque minuti per controllare il perfetto stato del suo trucco.
-Sei veramente un’idiota. La tua migliore amica potrebbe morire e ti preoccupi del trucco?-
-Si, mi preoccupo del trucco perché voglio che quando apra gli occhi, non sia spaventata dall’immagine di due clown sbavati che le piangono addosso- solo allora capii che la vanità che la distingueva si era tramutata in sicurezza, nella certezza che mi sarei risvegliata a prescindere da qualsiasi diagnosi negativa e quella fu una vera e propria infusione di coraggio.
Niall aveva adottato la stessa filosofia di Jenny e mi scattava foto in continuazione per poi riutilizzarle come spunto per le grasse risate che ci saremmo fatti scorrendole insieme quando mi fossi svegliata.
Liam, al contrario, rimaneva in silenzio seduto sulla poltroncina di pelle posta accanto al letto e mi stringeva affettuosamente la mano. Ma nonostante i sensi intorpiditi dalle medicine, ero in grado di percepire il suo malessere e il desiderio di abbracciarlo per infondergli coraggio era tanto elevato quanto l’impossibilità di farlo.
Louis non era mai entrato a farmi visita, la sua voce non era ancora giunta alle mie orecchie ma ero convinta che non avrebbe mai fatto un passo all’interno di quella stanza se non sotto tortura. Stava tramando con Harry per farmi pagare amaramente il mio tradimento, ma penso che l’avermi fatta finire in coma a causa di un incidente potesse essere considerata una punizione abbastanza soddisfacente per i suoi standard.
Harry mi aveva fatto visita separatamente ma le parole che mi aveva rivolto non erano affatto conformi a quanto detto a Louis.
-Chris se mi senti, sappi che mi manchi- quella frase ronzava nella mia testa come tante piccole api fastidiose che annidano nel proprio alveare, decisa a farmi impazzire fino a che non avessi trascorso innumerevoli minuti ad analizzarla, interpretarla e trovarle un significato reale.
Non voleva abbandonarmi il pensiero che ciò che avessi sentito fosse stato solo il frutto della mia immaginazione, né tanto meno che le lacrime versate dal Harry sul mio letto fossero dovute esclusivamente al senso di colpa per aver anche solo progettato di punirmi e non perché sentisse realmente la mia mancanza.
Si dice che i bugiardi piangano lacrime amare, ma quella che Harry aveva accidentalmente lasciato precipitare sul mio labbro era dolce, dissetante per quanto piccola, stracolma di emozioni genuine che neanche Louis ed una certificazione scritta del loro piano contorto avrebbero potuto smentire.
Volevo svegliarmi, riaprire gli occhi, rivedere il mondo e ricominciare a farne parte. Ma soprattutto volevo parlare con Harry, chiarire tutti i malintesi che la nostra storia aveva dovuto sopportare sin dall’inizio e ricominciare a vivere, perché senza di lui mi mancava il respiro.
Forse dovuto alla scarica di adrenalina, forse all’enorme scombussolamento ormonale che il desiderio di ottenere delle risposte aveva innescato nell’organismo, forse grazie a Dio oppure ai medicinali che dottori fino ad allora considerati incompetenti mi avevano somministrato, sentii di possedere la forza necessaria ad aprire lievemente gli occhi e mostrare al mondo che la ragazza data ormai per morta aveva sconfitto l’impossibile ed era pronta a rientrare in pista.
Un forte e accecante bagliore che filtrava dalle persiane aperte, mi ferì le iridi e impiegai diversi secondi per mettere a fuoco qualche oggetto più vicino come il bicchiere d’acqua accanto al letto, l’ago inserito nel mio braccio, il lenzuolo che si elevava all’altezza dei piedi in fondo al materasso e il tubicino nelle narici che mi forniva l’ossigeno necessario.
Tentai di ampliare il campo visivo e mettere a fuoco tutti gli elementi della stanza, ma la mia attenzione si focalizzò su di una figura incappucciata che stanziava accanto all’uscio della porta, la spalla destra appoggiata allo stipite e il viso incupito dall’ombra della felpa che gli ricadeva poco al di sotto degli occhi.
Sbattei le palpebre più volte tentando di annullare quella fastidiosa foschia che mi rendeva impossibile riconoscere l’uomo misterioso, ma non appena la mia vista sembrò riprendere a funzionare, il ragazzo si voltò e corse via, abbandonandomi in preda all’emozione per essere riuscita a sconfiggere il coma ma consumata da una logorante curiosità.
All’improvviso, un violento capogiro mi offuscò nuovamente la vista, la testa cominciò a pulsare violentemente e le palpebre si fecero pesanti tanto che mi fu impossibile mantenerle aperte fino all’arrivo delle infermiere.


Spazio autrice:
Ovviamente non ho mantenuto la promessa e ho impiegato un eternità ad aggiornare ma spero vivamente ne sia valsa la pena.
Come anticipato, possiamo notare una sorta di "ritorno di Zayn" che, come lui dice, non vuole essere scoperto per riuscire a sfuggire ai suoi genitori. E dalle sue parole possiamo anche intuire che stia ancora pensando a Chris.
Quest'ultima è finita in coma in seguito ad un incidente; tutte le brutte parole che Harry aveva detto, si sono alla fine rivelate solo un brutto malinteso ma Chris non sa la verità ed Harry non sa il reale motivo dell'incidente della fidanzata quindi..... è un pò un casino ahah
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e mi scuso ancora per l ritardo, se vi andasse di lasciare una recensione mi fareste davvero molto piacere. Un bacio 
Vi lascio con questa foto meravigliosa di Harry!





 
  
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