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Autore: Aura    13/09/2013    1 recensioni
Ivy soffre di emicranie. Quando le capitano non si ricorda più niente: non sa chi è, non sa chi ha intorno; viene perseguitata da un'immagine che non sa riconoscere, e non appena sembra più vicina a scoprire la verità scivola di nuovo nell'incoscienza.
Fino al blackout successivo: come una vita parallela quando si sveglia non ricorda quello che è successo, lo farà solo quando avrà un nuovo attacco di emicrania; come se il suo inconscio volesse ricordarle qualcosa, o qualcuno, che ha dimenticato.
– Paul dov'è lui? Dov'è Zach? – gli aveva chiesto, quasi urlando.
Lui l'aveva guardata con pietà, o almeno fu quello che Ivy lesse nei suoi occhi.
– Lo sai, non vuole avere più niente a che fare con te, in questi anni non è cambiato niente.
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
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blackout




Aprì gli occhi, incredula. Per la prima volta si ricordava con chiarezza cosa era successo nel bel mezzo di un emicrania. Sapeva di averla avuta, le ricordava tutte, anche se paradossalmente più quei momenti erano vividi e più il resto della sua vita diventava nebuloso; ma in quel momento sembrava di secondaria importanza.
Si mise a sedere, cercò nuovamente il foglietto e lo lisciò: era il programma della festa di laurea, sul retro erano segnate delle lettere senza significato:

XXX VI MMCXXXVIII

XV VIII MMCXXXIX

XXXI XXII MMCXL

XXIII IX MMCXLI

XXXI XXII MMCXLII

Cosa erano quelle lettere, che cosa si era voluta appuntare? Più le guardava più le vedeva mischiarsi sotto ai suoi occhi, era come se un altra sé stessa avesse voluto lasciarle degli indizi da risolvere.
Ma non era mai stata una brava in crittografia, non si spiegava come le era venuto in mente di lasciarsi un messaggio simile.

Una voce irruppe dall'altra stanza, era qualcuno al telefono.
– Ivy? Ci sei? Sono Betty, passo a prenderti alle sette, fatti trovare pronta...
Corse a rispondere.
– Betty? Non penso di stare molto bene. – provò a declinare.
– E salteresti la festa di capodanno? Scordatelo, mettiti due fette di cetriolo sugli occhi e vatti a fare un bagno, vedrai che sarai come nuova. A dopo. – le rispose l'altra ragazza, perentoria, prima di chiudere la comunicazione.

Ivy seguì di controvoglia il consiglio, anche se avrebbe voluto rimanere a casa e riflettere sul suo mistero; anche perché, esattamente come in un episodio di emicrania, non si ricordava chi fosse quella Betty.
Ma doveva cercare di comportarsi normalmente, e inoltre sperava di poter incontrare qualcuno che la potesse aiutare a sbloccare la memoria: la sua paura era quella di tornare a scordarsi di quelle lettere, che il ricordo le scivolasse dalle mani così come era spuntato, all'improvviso. Puntuale, alle sette, il campanello di casa suonò, Ivy prima di uscire mise nella borsetta il foglio con le lettere, come un amuleto che le avrebbe impedito di dimenticare: aveva la sensazione che la soluzione a quel mistero era quanto di più importante ci potesse essere.
Salì sulla macchina salutando le ragazze, cercando di mascherare il suo imbarazzo nel non riconoscerle.
– Allora, – le disse la bionda alla guida, Betty, – sei pronta a incontrare il prossimo uomo della tua vita?
Ivy sollevò un sopracciglio, stanca,
– Non sono dell'umore adatto.
– Ehi, – si ribellò la rossa seduta dietro, – io e Betty ci siamo fatte in quattro per trovartelo, e tu stasera lo conoscerai! Vedrai, è completamente diverso da Sean.
Ivy cercò di ricordare l'uomo che sapeva di aver lasciato tempo prima, e si chiese in che modo la persona che volevano presentarle fosse diversa.
Parcheggiarono nel vialetto di una villa enorme, piena di luci e di musica.
Colin era alto, vestito elegantemente come ricordava Sean, ma aveva una barbetta ispida ad arte, e un piccolo cerchietto nel sopracciglio.
– Che schianto, eh? – le sussurrò “la rossa”.
Ivy sorrise debolmente, non aveva minimamente voglia di passare la serata con quel tizio.
– Vado a prendere da bere, volete qualcosa? – disse, per togliersi d'impiccio.
Fortunatamente allontanandosi notò che Colin era molto più interessato alla “rossa” che a lei, il che attutì il suo senso di colpa, perché era lampante che anche “la rossa” stravedeva per lui, spingendola a chiederle come mai allora volesse presentarlo a lei.
– Dolce o secco? – le chiese un cameriere.
– Dolce, grazie.
Una voce famigliare attirò la sua attenzione,
– Il tempo passa ma i tuoi orrendi gusti rimangono uguali.
Si voltò e vide Paul, lieta di riconoscerlo.
– Ciao, è... – tentennò, sperando di non sbagliare. – È un po' che non ci si vede, vero?
Lui scrollò le spalle,
– Abbastanza. Hai fatto qualcosa? – le chiese, studiandola.
– In che senso?
Continuava a guardarla.
– Non lo so, sembri diversa.
Doveva forse dirgli dei suoi ricordi persi e ritrovati?
Chiacchierarono del più e del meno, fortunatamente senza entrare troppo nei particolari, e Ivy riuscì a tenere la conversazione senza perdersi, sentendosi normale.
– Hai intenzione di rimanere? L'ultimo capodanno che abbiamo fatto insieme te la sei data a gambe, avevi davvero mal di testa o non volevi vedere...
Ivy non lo stava più ascoltando, osservava delle lettere che gli spuntavano da sotto la camicia.
– Che cos'è? – chiese, interrompendolo.
Paul alzò la manica, mostrando il tatuaggio: V X MMCX
– La mia data di nascita. – rispose, con estrema ovvietà.
Ivy si massaggiò la tempia.
– È una data? Tu sai tradurle? – chiese, improvvisamente affannata.
Paul la guardò, preoccupato.
– Non starai avendo un altro attacco, vero?
Le dita tremavano, mentre raggiunse la chiusura della borsa. La fece scattare, riuscì a tranquillizzarsi solo quando sentì la carta logora del foglio. Sospirò, più sicura.
– Prometto di spiegarti tutto, ma prima riesci a tradurmi queste date?
Paul guardò il foglio che gli stava porgendo, dubbioso.
– Posso provare. – disse, grattandosi la testa. Ivy era decisamente strana quella sera, l'aveva intuito quando l'aveva incontrata e ora ne aveva la conferma.
Scrisse su un tovagliolino le cifre corrispondenti.
– Ecco. – disse, porgendoglielo.
Ivy lesse a mezza voce.
– Trenta sei duemilacentotrentotto. Quindici otto duemilacentotrentanove...

– Sai cosa sono? – le chiese.
Ivy scosse la testa.
– A te dicono qualcosa?
Lei non sapeva niente della sua vita, magari gli altri potevano ricordare per lei.
– Questo è il capodanno di due anni fa, e questo è quel ferragosto... – si bloccò, sembrava aver trovato la soluzione, ma era restio a comunicargliela.
– Vai avanti, Paul, per favore.
Lui guardava lei e guardava il tovagliolo, indeciso.
– Queste due, la data di oggi e il ventitré settembre duemilacentoquarantuno, non so a cosa si riferiscono, ma le altre... sì, le altre corrispondono alle date di quando Zach è tornato a casa.
Quel nome le passò da una tempia all'altra.
– Chi? – boccheggiò.
– Zach. – ripeté lui, serio.
Ivy non respirava più, chi era Zach? Prese le sue cose, e corse da Betty, chiedendole di accompagnarla a casa.

Zach.
La prima emicrania: la voce tra la folla, gli occhi che aveva incontrato; era lui.
La seconda emicrania: c'era anche lui a quel barbecue, per qualche strano motivo erano stati ai poli opposti del giardino per tutto il tempo.
La terza emicrania: era Zach quello che era arrivato allo scoccare della mezzanotte.
Ma chi era Zach?
Cercò di ricordarsi di quel settembre, della panchina: guardandola aveva ricordato che erano passati dieci anni, ma dieci anni da cosa?
Poi, come una diga che all'improvviso va in frantumi, tutti i ricordi la travolsero: dieci anni dal loro bacio, Zach era Zach, il ragazzo che aveva amato con tutta sé stessa.
Come aveva fatto a dimenticarlo, perché?
Insieme ai ricordi belli erano arrivati anche quelli brutti, la borsa di studio, il figlio che avevano perso, il sapere che non avrebbero mai potuto averne insieme.
La decisione di lasciarlo senza una spiegazione, e l'ipnosi e le medicine per sradicarlo dalla sua vita, per non soffrire.
Tutti i suoi buchi erano cicatrici un tempo riempite da lui.
Quando Ivy ricordò quell'amore travolgente e unico, il dolore di averlo perso le fece mancare il respiro. Ancora. Dopo tutti quegli anni ancora quel dolore, si chiese quanto sarebbe durato, prima che l'ipnosi afferrasse nuovamente il suo inconscio, per farla ritornare nell'oblio.

E a quel pensiero il respirò sembrava non volerle tornare più, doveva trovarlo, a qualsiasi costo, doveva guardarlo un ultima volta sapendo chi aveva davanti e doveva dirgli tutto, il perché l'aveva lasciato.
Respirò dentro a un sacchetto di carta, la sua unica speranza era Sasha, e doveva trovarla: lei l'avrebbe portata da Zach.
Si collegò al sito del suo corso universitario, stando a quello lavorava ancora in città, e viveva a una cinquantina di chilometri da lì; doveva essere sua la casa di quel capodanno che ricordava.
Guardò l'ora: era quasi mezzanotte, non poteva presentarsi lì, avrebbe dovuto aspettare il giorno dopo. Nel frattempo, però, sarebbe dovuta rimanere sveglia e lucida: era l'unica speranza per continuare a ricordare.
Passò la notte seduta sul divano, spossata dalle lacrime che continuavano a scenderle, al pensiero di quello che aveva fatto.
Non che si pentisse di averlo lasciato: lo aveva fatto per lui, per dargli l'opportunità di avere una vita,e probabilmente era riuscita nel suo intento; aveva sbagliato nel non dirgli il perché, nel fuggire e nel dimenticarlo, perché conoscendolo sapeva che in quel modo lo aveva ferito profondamente.
Tornò sul sito e lo cercò: aveva frequentato quel famoso master, ma era tornato e si era preso il posto che le aveva detto di volere, giornalista in una delle testate più importanti della nazione.
Continuò a vagare su internet, leggendo i suoi articoli, cinici ma sagaci, spiando i particolari della sua vita: non si era mai sposato, ma aveva avuto un figlio. Non stava con la madre, ma stando a quello che era riportato lo aveva riconosciuto e provvedeva a lui.
Tutto quello che scoprì le fece male e bene allo stesso tempo: Zach aveva fatto quello che lei aveva sperato, ma sembrava che nella sua vita mancasse qualcosa, e sperava di poter restituirglielo lei, confessandogli come erano andate realmente le cose. Prima di dirgli addio un'ultima volta.
Alle cinque si preparò un altro caffè, la determinazione aveva spazzato via il sonno, complice anche il fatto che il pomeriggio prima aveva dormito, ma voleva accumulare quanta più caffeina, in modo da poter resistere il più a lungo possibile. Trovare qualcuno che le facesse nuove sedute per rompere definitivamente l'ipnosi era impossibile, in quei giorni di festa, e se si conosceva un po', se anche si fosse annotata di farle, una volta tornata a scordare tutto si sarebbe fidata di più del suo istinto di anni prima nel voler dimenticare, e avrebbe ignorato la cosa.

Sapeva che non avrebbe potuto bussare alla porta di Sasha di prima mattina, così una volta arrivata nel suo quartiere attese che il sole si alzasse, ripetendo a mezza voce il discorso che si era preparata.
Doveva partire col dirle dell'ipnosi, perché Sasha l'ascoltasse.
Quando si sentì finalmente pronta suonò il campanello, e aspettò ancora.
– Ivy? – sbadigliò mentre apriva la porta e la faceva entrare. – Sono anni che non ti vedo, tutto bene? Come mai questa visita?
Registrò l'affermazione, chiedendosi il motivo di quel distacco, dal momento che attualmente era l'unica amica che ricordasse di avere.
– Ti devo parlare, Sasha, è una cosa molto importante: scusami se sono venuta qui senza avvisarti, ma devo risolvere tutto questo il più in fretta possibile.
Sasha la precedette in cucina, e versò il caffè in due tazze, facendola sedere.
– Parla, allora.
– Innanzitutto devi sapere che quando ho lasciato Zach mi sono sottoposta a dei cicli di ipnosi, per dimenticarlo. Ecco perché devo esserti sembrata un po' strana.
Sasha si era innervosita a sentire nominare il fratello da lei, lo capiva dal sopracciglio alzato, ma continuò, raccontandole tutto, dai motivi del perché l'aveva lasciato alle varie amnesie. Lei non fiatò, per tutto il tempo, rimanendo immobile come una statua di sale.
Poi, quando Ivy finì, Sasha incrociò le braccia.
– A questo punto fai una nuova ipnosi e dimentica di nuovo tutto. – disse, aspra.
– Ma non capisci? Devo vedere Zach, devo dirgli...
Sasha la interruppe.
– Tu non gli devi dire niente, Ivy: anni fa gli hai spezzato il cuore, punto. Anni fa, non ieri: non c'è niente che tu possa fare, ora, se non andartene, e non azzardarti più a nominare mio fratello. Lascialo in pace.
Ivy era sbalordita dalla sua freddezza, che l'aveva congelata. Sasha non l'avrebbe aiutata a cercare Zach.
– Devo chiederti un'ultima cosa, poi me ne andrò: come ti ho detto non ricordo praticamente nulla degli ultimi anni, cosa è successo tra me e te?
– Non lo immagini? Dopo come hai trattato Zach ci siamo allontanate, prima di poco, poi finita l'università abbiamo iniziato a frequentarci sempre meno. Quando mio fratello, stufo della tua presenza, mi ha chiesto di non invitarti più se ci fosse stato anche lui, ho preferito tagliare direttamente tutti i ponti con te. Non mi cambiava niente.
Ormai era alla porta di casa.
– Sasha, nemmeno ora riesci a perdonarmi? Neanche dopo che ti ho spiegato perché l'ho fatto?
– Dici che lo hai fatto per lui, ma l'unica cosa che gli hai fatto è stato farlo soffrire, non hai migliorato la sua vita. – sibilò, prima di chiuderla fuori.

Ivy iniziò a camminare, senza una meta precisa.
Ora la sua unica alternativa era cercare Paul, ma non sapeva da dove iniziare, non sapeva niente di lui.
Chiamò Betty, che dopo essersi lamentata della sua ritirata la sera prima gli diede il numero di chi aveva organizzato la festa, l'unica risorsa che Ivy aveva.
Fortunatamente Joe conosceva Paul, e riuscì a farsi dare il suo numero.
Non rispose al telefono, ma aveva il servizio di localizzazione attivato, e non era a più di tre chilometri da dove si trovava lei; e imprecando contro il servizio taxi che sembrava non volesse raggiungere quella zona iniziò a correre.
Arrivò davanti a casa sua trafelata, e si attaccò al campanello, imponendosi di svegliarlo: piuttosto avrebbe buttato giù la porta, ma Paul doveva ascoltarla.
– Ma che diamine ci fai qua, Ivy? – disse, aprendole, infastidito.
Lei entrò in casa, aveva paura che così come Sasha non l'aveva voluta aiutare neanche Paul l'avrebbe fatto, soprattutto dal momento che l'unico motivo per cui lo conosceva era perché era amico di Zach.
– Paul dov'è lui? Dov'è Zach? – gli chiese, quasi urlando.
Lui l'aveva guardata con pietà, o almeno fu quello che Ivy lesse nei suoi occhi.
– Lo sai, non vuole avere più niente a che fare con te, in questi anni non è cambiato niente.
– Paul, ti prego. Devo solo parlargli, ho poche ore per farlo, e non so neanche quante di preciso. È difficile da spiegare, ieri mi hai aiutato a ricordare alcune cose, e devo dirgliele assolutamente.
Paul le mise una mano sulla fronte.
– Sei consapevole di avere la febbre, vero?
Ivy si scansò.
– Ascoltami, è importante: mi sono fatta ipnotizzare, per dimenticarlo, ma devo dirgli perché l'ho lasciato, ho sempre saputo di doverglielo dire, ecco perché avevo quelle emicranie, il mio subconscio cercava di farmi ricordare. Ora lo so, ma non durerà a lungo, ecco perché devo trovarlo il prima possibile.
– E stai anche delirando. – affermò Paul.
Ivy si appoggiò al muro, sconsolata: non la stava cacciando come aveva fatto Sasha, ma sapeva che non aveva modo di fargli cambiare idea.

Vide il suo cellulare, appoggiato su una mensola, e cambiò strategia.
– Fammi un favore. – disse, più mansueta, – Dammi un'aspirina, e torno a casa.

Aspettò che lui si allontanasse, e cercando di fare il meno rumore possibile raggiunse il telefono, trovando il numero di Zach e copiandolo sul suo cellulare. Poi, prima che Paul tornasse, uscì di casa e iniziò a correre di nuovo.
Iniziò a rallentare, mentre il telefono tra le sue mani sembrava bruciare: lo guardò, fece partire la chiamata, e si fermò.
– Pronto? – la sua voce la raggiunse dopo un paio di squilli, era identica a come si ricordava. Aveva sempre amato la sua voce. – Pronto? – stava ripetendo.
– Non attaccare. – disse allora, maledicendosi perché non sapeva cosa dirgli. Zach rimase in silenzio, lei deglutì, e provò a parlare. – Zach, sono Ivy, non attaccare, ti prego, ti devo parlare.
– Non voglio ascoltarti, Ivy, cosa vuoi da me? – ora la sua voce le arrivò tagliente, nervosa. Sentì le lacrime pungerle gli occhi, mentre cercava le parole da dirgli.
– Lo so, so che non vuoi, ma ti prego, dimmi dove sei: ti devo parlare. È importante, poi ti lascerò in pace, te lo giuro.
– Ivy smettila: non chiamarmi più.
– Zach, – singhiozzò impaurita, sentendo che lui stava per chiudere la conversazione. – Zach ascoltami, non ti cercherò più, non potrò cercarti più, ma ora ti devo vedere, ti devo parlare, e ho poco tempo per farlo: poi me ne dimenticherò.
– Smetti di piangere, non si capisce quello che dici. Cosa vuol dire che te hai poco tempo? Stai forse per morire e vuoi darmi l'ultimo saluto? Dedicalo a qualcun altro, non ne vale la pena.
– No, non è quello, ti prego, ti scongiuro. – Controllò lo schermo del suo telefono, anche lui poteva essere localizzato e le diceva che era in città. – Ascolta, sarò da te in meno di un'ora, aspettami. Te lo giuro, solo questa volta, solo oggi, poi non ne saprai più niente di me.
Zach chiuse la conversazione, ma ora sapeva dove trovarlo. Riprese a correre, Paul aveva ragione, aveva la febbre, forse era una reazione fisica ai suoi ricordi tornati a galla, ma ignorò le gambe che le cedevano e la testa che pulsava odiosamente, ricordandole quanto fosse flebile quel momento di lucidità, fino che raggiunse un posto dove un taxi accettò di andarla a prendere. Riferì l'indirizzo che il telefono le aveva evidenziato come posto dove si trovava Zach, e si staccò dallo schienale, cercando di rimanere lucida: non poteva cadere nell'oblio proprio in quel momento.
Lottò contro le palpebre che si volevano abbassare, cercando di non lasciarsi cadere in tentazione quando il suo corpo le suggeriva di chiuderle per un solo istante, e quando finalmente il taxi si fermò sentì di nuovo le lacrime affiorare. Era arrivata, poteva dire tutto a Zach: doveva solo farsi ascoltare.
Il portone del condominio era aperto, fortunatamente, lesse il piano sull'etichetta del citofono e raggiunse il suo pianerottolo.
Guardò la porta che aveva di fronte: Zach si trovava dietro di quella, a pochi metri.
Si portò una mano al petto, come a voler rallentare inconsciamente il cuore che martellava, impazzito, e suonò il campanello.
La porta si spalancò di colpo.
– Cosa non ti era chiaro nella frase: “non voglio parlare con te”?
Ivy però non lo sentiva.
Rimase senza fiato a guardarlo, perfetto come si ricordava, forse anche di più con un accenno di barba incolta e lo sguardo più maturo.
– Sei tu. – singhiozzò. – Sei proprio tu.
– Vattene Ivy: questa storia non attacca. – disse infastidito, cercando di chiuderla fuori, ma lei riuscì a scivolare tra la porta e lo stipite.
– Zach ti prego ascoltami, è tutta mattina che corro, e ti cerco: se non ti dico questa cosa non potrò farlo più, dammi quest'occasione, ti scongiuro!
La stava guardando con una strana smorfia, Ivy lo vedeva tra le lacrime che le offuscavano la vista, e capiva perché si stava comportando così: non era difficile tornare a interpretare i suoi occhi, era ancora arrabbiato, soffriva ancora nel trovarsela di fronte.
– Parla, allora, dannazione! – esplose, perdendo la sua apparente pacatezza. – Almeno la finisci: si può sapere cosa vuoi?
Ivy rimase ad osservarlo, in silenzio. Ora, trovandoselo davanti, iniziava a pentirsi per non avergli dato l'opportunità di scegliere lei, a dispetto di tutto: non avrebbe mai voluto sentirsi un peso, un ostacolo tra lui e la felicità; ma d'altra parte sapeva con assoluta certezza che per lei l'unica felicità si sarebbe avverata accanto a lui. Non poteva essere altrimenti, lo amava ancora, e lo sentiva con inaspettata chiarezza, nel suo inconscio non aveva mai smesso di amarlo e di cercarlo.
– Sono qui per dirti la verità, hai diritto di saperla. Quando ti ho lasciato ho deciso io per te, come sarebbe stata la tua felicita e come sarebbe dovuto andare il tuo futuro, mi rendo conto soltanto ora che volendo assumermi io tutto ho solo fallito. Zach, se c'è una cosa a cui devi credere è che se l'ho fatto è stato solo perché pensavo fosse il tuo bene, ti amavo da impazzire, e in questo non è cambiato niente, ti amo ancora oggi.
La smorfia si accentuò.
– Sei venuta solo a confessarmi i tuoi sentimenti? – disse a mezza voce.
Ivy gli raccontò tutto, a partire da quando aveva saputo del suo master, quando aveva capito prima di lui di aver avuto un aborto, di come il suo cuore si fosse doppiamente spezzato nel leggergli negli occhi il dolore, mentre il dottore glielo comunicava. Del test che aveva fatto, a sua insaputa, e di come tutto quello le avesse accecato tutto, portandola a vedersi come un veleno nella vita di lui.
Zach scivolò sul pavimento, turbato. Sembrava crederle.
Ivy si inginocchiò di fronte a lui, aspettando che elaborasse le informazioni, osservando i suoi occhi, che vagavano per la stanza e poi su di lei, cercando di capire.
– Perché, – le chiese poi, dopo un lungo silenzio, – non mi hai detto niente, in questi anni? Perché solo ora?
Ivy strinse la mano in un pugno, quella spiegazione le ricordava anche quanto fosse labile quel momento. Le unghie si conficcarono nel palmo, spingendola a parlare, a confessargli quell'ultima cosa.
Sussultò quando Zach posò la mano sulla sua, aprendole il pugno. Abbassò gli occhi, guardando le due mani una sull'altra.
– Non riuscivo a sopportare di averti lasciato, così ho voluto dimenticarti. Mi sono iscritta a una sperimentazione di ipnosi, e ti ho cancellato dalla mia testa.
Tornò a guardarlo, le sembrò di leggere la pietà nei suoi occhi, e lo capiva: si commiserava da sola.
– Col senno di poi, – continuò, – se da un lato me ne pento, dall'altro non posso giurare di aver sbagliato, non dopo aver scoperto che il mio cuore non vuole saperne di smettere di amarti. In tutti questi anni quando ti vedevo, o quando vedevo delle cose che potevano ricordarmi te, avevo delle emicranie, erano dei momenti in cui non mi ricordavo più chi ero ed ero più vicina a capire chi eri. Una volta finito me ne scordavo, tutte le volte, fino a ieri. Ieri mi sono ricordata, ho trovato le date delle emicranie, e ho trovato te. – si coprì la bocca con una mano, cercando di impedire alle labbra di tremare. – Non dormo da più di ventiquattro ore, avevo paura che se mi fossi addormentata mi sarei scordata di nuovo tutto.
Zach prese la mano che le copriva le labbra, abbassandola e scoprendole il volto.
– Perché ci tenevi tanto a raccontarmi tutto? – le chiese, senza smettere di guardarla negli occhi.
Ivy sentì l'ennesima lacrima sfuggirle, rotolare giù per la guancia e cadere nel vuoto, andando a bagnare i suoi pantaloni.
– Perché sapevo di averti rovinato la vita. – ammise.
Zach abbassò la testa, sbuffando un sorriso stanco.
– È così, Ivy. Sei stata una stupida, hai deciso anche per me, e davvero, mi hai rovinato la vita. – Ivy cercò di divincolare le mani dalle sue, ma Zach le trattenne. – E ora lascia che sia io a decidere per tutti e due: starai con me, e me la metterai a posto. Non ti farò andare via di nuovo, non mi importa cosa diranno tutti: sei stata stupida, stupida, tremendamente stupida, ma non posso ignorare che lo hai fatto per me.
– Non so per quanto riuscirò a ricordarmi di te.
– Ti farò fare un'altra ipnosi. – disse, sicuro.
– E se non funzionasse?
– Non lo so, ma prima o poi ti riporterò da me, troverò un modo. Ivy a me non importava niente, insieme ce la saremmo cavata: non potevamo avere figli? Li avremmo adottati, l'essenziale era che ci fossi tu nella mia vita, non un figlio con il mio codice genetico. E quel master sai che fine ha fatto?
La tirò a sé, e Ivy si strinse al suo petto.
– Scusami. – singhiozzò.
– Perché piangi ancora?
– Non sopporto l'idea di perderti.
Zach le accarezzò la testa.
– Vedrai, non mi perderai. E comunque ora sei qui, vero? Ti ricordi di me, vero? Non importa quanto durerà.
Ivy sollevò il viso verso di lui, e mentre lo baciava pregò che lui avesse ragione.
Ancora, le loro labbra unite, le mani e le gambe intrecciate, avevano senso come poche cose nella vita.
Lo amava, avrebbe voluto urlarlo con tutta la sua voce, e anche ogni centimetro della sua pelle esplodeva per gridarlo.

Le accarezzò la guancia.
– Dormi, Ivy: vedrai, ti farò di nuovo ricordarti di me.
Le palpebre le tremavano, quasi chiuse del tutto, ma lei non voleva ancora lasciarsi andare.
– Abbracciami. – sussurrò.
Zach, sdraiato accanto a lei, la strinse, e Ivy si addormentò.






Nda: Ecco il terzo e ultimo capitolo. Mi rendo conto che essendo la storia il racconto di un sogno, sia molto più comprensibile per me che per voi, e probabilmente avrei dovuto delineare meglio, evitare alcuni stacchi della narrazione: oggi vi posto il terzo capitolo, ma un giorno riprenderò in mano la storia, e la riscriverò, sperando di riuscire a darle una forma migliore! Si spengono le luci su Zach e Ivy, chissà se riusciranno a stare insieme...

   
 
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