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Autore: Legionario97_    19/09/2013    0 recensioni
La storia è ambientata nel 50 d.C. circa, ancora da precisare. Aurelio è un romano, amante della cultura e della conoscenza. Riluttante a ogni forma di violenza. Ma quando il padre, il centurione Marzio, spira in una battaglia contro i Galli, il fato decide di lanciare Aurelio in un nuovo mondo, e di vendicare l'onore familiare. Ed è proprio questa nuova natura che porta Aurelio alla gloria, presto oscurata dall'ambizione.
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
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Aurelio, inspirando a fondo, come per scacciare qualche cattivo presagio o incertezza, mise in risalto le due phalere d’oro affisse dal proconsole stesso sul suo pettorale di cuoio. Simboli di notevole importanza e rilievo. Cesare donava la phalera, al cospetto dell’intero esercito schierato, solamente a chi si era distinto per imprese che comportavano rischi immensi. Cassio, schierato come sempre alla destra del centurione, gli rivolse un sorriso di rispetto, senza mai abbassare la guardia. Gli altri centurioni percorrevano in lungo e in largo le file dei loro uomini, raddrizzando le schiene e alzando i menti con il piatto della spada o, raramente, colpendoli con le verghe per imporre il silenzio. Aurelio, pensando orgogliosamente al rispetto che faticosamente si era guadagnato e alla disciplina ferrea dei suoi uomini, gli restituì il sorriso. Leggendo nei loro sguardi, una preoccupazione quasi impercettibile, si accigliò. -Veterani, eroi di cinquanta battaglie. Sono per caso gli uomini schierati davanti a voi che sciolgono come neve al sole la vostra determinazione e coraggio?- Mentre formulava quelle parole, si illuse che il suo cuore provava in quel momento un dolore straziante, al ricordo di suo padre Marzio, anch’egli Centurione. Aveva ereditato il piglio del capo da lui, e trattava gli uomini come solo lui sapeva fare. Ormai adesso aveva quarant’anni, non era più il ragazzo inerme di un tempo che piagnucolava all’immediato ricordo della morte del padre. Presto fra i ranghi serpeggiò una risata nervosa. Quando quest’ultima si spense, Aurelio si rivolse alle reclute che avevano combattuto di rado. -Fate attenzione voi, invece.- li redarguì. -Tenetevi saldamente al compagno di fronte. I barbari devono trovare un muro dal quale non sarà possibile poter passare. Lanciate i pila solamente dopo aver ricevuto il mio ordine. Cercate di mirare al petto. Saranno i primi quelli a cadere. In questo modo, quelli che li seguono presto saranno solamente bestie in preda al panico e alla paura: lasceranno le armi e si lanceranno in fuga verso le foreste alle loro spalle. Lì, la cavalleria, completerà il nostro lavoro.- Dalle gole dei legionari si levò, raggelante e sinistro, un boato assordante. In quel momento, tutti cozzavano le spade contro gli scudi. Aurelio li guardava commosso, sentendosi realizzato. I suoi lineamenti si distorsero improvvisamente, quando d’un tratto levò la sua spada al cielo. I legionari seguirono con lo sguardo la lama che rifletteva i pallidi raggi solari, di un sole che faceva capolino a fatica dagli enormi ammassi di nuvole grigie. In quell’atmosfera snervante e carica di tensione, i suoi occhi brillarono di un riflesso cupo. Come per lanciare il suo stentoreo grido di battaglia, urlò all’intero schieramento: -Per la gloria di Roma! I nostri gladi domineranno il mondo!-
  
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