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Autore: SashaJohnson    23/09/2013    4 recensioni
Liz Payne: "Nella mia vita non è mai mancato niente, neanche l'amore, anzi, soprattutto l'amore. Ma da quando è successo quello che è successo, l'amore mi manca. Non esiste più l'amore nella mia vita. Ho bisogno di qualcuno che mi dia amore, ma quello vero, che si può fare con un semplice sguardo o una semplice carezza, perchè l'amore è il motore di tutto, senza di esso non c'è vita"
Hope Stevens: "Ho sempre avuto tutto dalla vita, non mi mancava niente, fatta eccezione per una cosa: l'amore. Quel sentimento di cui conosco solo il nome ma che non ho mai provato; quel sentimento che ho cercato per 4 fottutissimi anni ma che non ho mai provato. Qualche anno fa alzavo lo sguardo verso il cielo e sussurravo -Dammi amore-. Ora non credo più nell'amore... le esperienze mi hanno insegnato che l'amore non esiste"
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ehm... premetto col dire che questa non è la prima FF che pubblico, ma è la prima che pubblico essendo sicura al 100% di finirla. Voglio dedicare questa FF a tre persone speciali che mi hanno spronata a scrivere e mi hanno costretta a pubblicare questa FF: la fantastica AngelCruelty; la mia gemella super coccolosa shannen shelter; mia cugina, che nella storia ha il ruolo di Liz. Spero che la storia vi piaccia :)


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Guardai mia cugina seduta al mio fianco che dormiva come un ghiro. Come diamine faceva a dormire su quei cazzo di sedili che erano più scomodi delle pietre? Mistero.
Non aveva una bella cera, era pallida come un lenzuolo e le guance erano umide, chiaro segno che anche quando dormiva continuava a piangere.
Non sapevo che cosa fare. Non ero mai stata brava a dare consigli, ero in grado di ascoltare, ma cosa potevo dirle? Le mie parole striminzite avrebbero potuto fare la differenza?
Mia madre aveva sostenuto di si, diceva che per il duro periodo che mia cugina stava affrontando avrebbe avuto bisogno di qualcuno vicino, qualcuno più vicino alla sua famiglia, e tutti, io compresa, sapevamo che stesse parlando di me.
Io per lei ero come una sorella, e il sentimento era ricambiato, ma ora mi trovavo in una situazione più grande di me che non ero sicura fossi in grado di affrontare, eppure dovevo farlo per lei.
Non avrei potuto lasciarla da sola, aveva bisogno di me. Ed ecco che mi ritrovai seduta sui sedili più scomodi dell’aereo più mal combinato di tutto il mondo. Partenza: New York; Destinazione: Londra.
A far che? Solo per andare ad abitare da un cugino di Liz, mia cugina. Un cugino di cui lei non conosceva l’esistenza fino a una settimana fa. Liz aveva sempre saputo che suo padre aveva troncato i rapporti con tutti i suoi familiari quando suo nonno lo aveva ripudiato perché aveva deciso di sposare mia zia, ma nessuno si sarebbe mai aspettato che questo suo cugino avesse deciso di prendere la sua custodia.
Che cosa sapevamo di lui? Proprio niente, tranne che si chiamava Liam e che condivideva una casa a Londra con altri quattro ragazzi. Insomma, ditemi voi se potevo lasciare mia cugina, che in questo periodo è più fragile di un bicchiere di vetro, alla mercé di quei cinque di cui non sappiamo niente: che so, magari sono una banda di criminali, oppure dei mascalzoni pervertiti. Ok, forse è una cosa un po’ tragica da pensare, ma chi può mai saperlo con tutte le voci che corrono in giro? Ora mai non ci si può più fidare di nessuno. <<Attenzione, avvisiamo tutti i passeggeri a bordo che tra pochi minuti atterreremo all’aeroporto di Londra, si prega di stare seduti e di tenere le cinture allacciate, grazie>> disse la voce annoiata e robotica di un’hostess da quelle casse mezze fracassate. Ma dico io, se ti annoia davvero tanto fare questo lavoro, cambialo! Fai un favore a te stessa ma soprattutto alla comunità!
Con questo pensiero sbuffai e mi allacciai la cintura per poi attendere che l’aereo atterrasse e chiusi gli occhi. Quando qualche minuto più tardi sentii la voce dell’hostess capii che eravamo atterrati.
Aprii gli occhi e vidi che intorno a me tutti gli altri passeggeri si erano alzati, e le uniche sedute eravamo io e Liz. Mi slacciai la cintura e picchiettai leggermente con l’indice sulla spalla di mia cugina. Lei si mosse un poco e piano piano aprì i suoi occhi verdi. <<Liz, siamo arrivate.>> le sussurrai.
Lei mi guardò per un attimo, poi con gli occhi scrutò l’aereo come se si stesse ricordando di dove fosse e poi annuì, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano. Io mi alzai prendendo la mia borsa dal bagagliaio e porgendo a Liz la sua.
Mentre scendevamo dall’aereo, andavamo dentro l’aeroporto e prendevamo gli ultimi bagagli nessuna di noi due spiccicò parole. Lei perché da quando era successo quello che era successo si era chiusa in sé stessa, io perché sapevo che un aeroporto non era il luogo migliore per parlare di ciò che era successo e di come lei lo stava affrontando.
Con la mia valigia enorme in una mano, il trolley nell’altra e la borsa appoggiata alla mia spalla destra, mi incamminai con mia cugina verso la sala delle partenze e degli arrivi. Ad attendere le persone provenienti da New York c’erano parecchie persone, ma non sapevamo chi fosse il misterioso cugino.
<> le chiesi senza far sfociare il mio tono di voce nell’ irritato. Solo allora mi accorsi che il suo sguardo era fisso in un punto preciso del luogo.
Seguii il suo sguardo e capii che stava osservando un ragazzo dai capelli biondo scuro come i suoi che teneva in mano un cartello con su scritto “Liz Payne”. Suo cugino.
Feci un cenno col capo a mia cugina e mi avviai verso il ragazzo. Liz camminava al mio fianco, ma era talmente silenziosa, magra, pallida, da poter sembrare un fantasma.
Quando ci ritrovammo di fronte a Lui, mi accorsi che era piuttosto carino e che non mi dava una cattiva impressione, e al 90% delle volte il mio intuito non sbagliava mai; poi c’era quel piccolo 10% che comprendeva anche Carl Mason, uno dei più sfigati della scuola con il quale io avevo cercato di fare amicizia ma che alla fine si era rivelato un depravato che per mesi mi aveva tormentato perché voleva farsi la collezione delle mie mutande e dei miei reggiseni. Ripensandoci fa ridere, ma vivere quell’esperienza è stato uno stress, non ve lo auguro. <<Liz.>> disse piano il cugino. Lei non disse niente, si limitò a scrutarlo e poi gli passò davanti senza dire una parola. Io e suo cugino la vedemmo avviarsi verso l’uscita, poi lui si voltò verso di me e mi porse la mano. <<Liam, piacere>> disse sforzandosi di sorridere magari per educazione. Io non fui altrettanto brava. Gli strinsi goffamente la mano a causa delle valige e mi limitai a dire <<Hope>> senza sorridere.
Quando Liam si girò per avviarsi verso la cugina io gli poggiai una mano sulla spalla e lo feci rivoltare. <<Senti Liam, patti chiari amicizia lunga: tutti e due sappiamo bene per quale motivo io sono qui, quindi se tu o i tuoi stupidi amichetti farete soffrire Liz giuro che avrai un biglietto di sola andata per l’ospedale>> gli dissi con quanta più determinazione avessi.
Lui mi fissò, capì che non stavo scherzando e annuì. Provò a prendere le mie valige per aiutarmi, ma io lo bloccai. <<Non sono io quella che ha bisogno di aiuto in questo momento>> dissi quasi acidamente e con gli occhi indicai Liz che si era fermata nel bel mezzo della sala. Liam la osservò e dopo avermi sussurrato un <> di cui io non conoscevo il motivo, si incamminò verso Liz.
Li vidi da lontano: lui le disse qualcosa e lei continuò ad andare avanti lasciandogli le valige che lui prese senza il minimo sforzo. Li seguii, ed una volta fuori Liam ci condusse ad un’auto nera di cui non conoscevo la marca: non me ne ero mai intesa tanto di macchine.
Io e Liz ci sedemmo sui sedili posteriori mentre Liam, dopo aver messo le valige nel bagagliaio, si sedette al posto di guida e mise in moto. In un’altra occasione mi sarei messa ad osservare fuori dal finestrino le meraviglie di Londra, ma ora tutto ciò che vedevo sembrava una chiazza indistinta di colori, perché l’unico pensiero per ora era mia cugina.
Dopo un arco di tempo che mi sembrò un secolo l’auto si fermò e Liam ci venne ad aprire. Io e Liz scendemmo e seguimmo Liam davanti la porta di quella casa.
Una volta dentro non mi preoccupai minimamente di come fosse predisposta la casa, degli immobili o cose del genere: volevo solo sapere dove avremmo dormito io e mia cugina e dove fossero gli altri quattro. Ma vedendo la casa deserta mi grattai la testa confusa. Di solito in una casa dove convivono cinque ragazzi c’è sempre manicomio, mentre lì c’era un silenzio quasi agghiacciante.
Vidi Liam portare le valige di Liz sopra, e io e mia cugina lo seguimmo a ruota. Il ragazzo si fermò davanti a una porta. <<Questa è la vostra stanza>> disse posando le valige. Liz entrò senza dire una parola mentre io poggiavo le valige vicino alle sue. Poi mi voltai verso Liam. <<E i tuoi amichetti?>> chiesi quasi acidamente. Liam si scrollò le spalle. <<Ho spiegato loro la situazione e li ho convinti ad andare a dormire fuori per oggi.>> mi spiegò.
Io lo fissai e capii che non aveva mentito. Non era affatto male, avevo visto giusto. <<Mi puoi portare in bagno?>> gli chiesi cercando di sembrare gentile. Liam annuì e mi guidò verso il bagno. Io ci entrai, osservai la stanza e poi mi voltai verso Liam che si stava dirigendo chissà in quale parte di quella casa.
<<Ehm.. Liam>> lo chiamai flebilmente, eppure lui riuscì a sentirmi. Si girò verso di me quasi sorpreso. <<Grazie, per tutto>> gli dissi per poi scomparire in bagno, eppure avevo visto sul suo viso comparire un sorriso gentile che sembrava dire <<E’ il minimo che potessi fare>>
Mi appoggiai alla porta con la schiena, presi diversi respiri profondi e poi mi sciacquai la faccia. Oramai il dado era tratto, mi trovavo a Londra, con mia cugina, suo cugino e da domani con altri quattro ragazzi e il mio unico vero obbiettivo era cercare di far rivivere mia cugina, quell’essere umano che si era ridotta ad uno stato vegetale. Il mio cellulare vibrò.
Me lo sfilai dalla tasca dei jeans e vidi che mi era arrivato un messaggio: Liz. “Mi abbracci?” due semplici parole che mi bastarono a farmi stringere il cuore.
Aprii di scatto la porta e mi precipitai nella nostra camera, dove sull’enorme letto matrimoniale c’era Liz.
Andai dietro di lei e l’abbracciai più forte che potei mentre sentivo le sue lacrime calde bagnarmi le maniche della maglietta. E, dopo non so quanto, nell’oscurità della stanza, ci addormentammo, abbracciate.
  
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