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Autore: Shery    24/09/2013    3 recensioni
"Il palmare mi cadde dalle mani, gli occhi erano fuori dalle orbite e la bocca era arrivata sul fondo del mare, posso garantirlo. La lingua era rasposa e la gola secca; il mio corpo paralizzato. Uno spavento può tante cose, e quello con il quale bruscamente mi imbattei, mi fu segnato addosso come una cicatrice sulla faccia."
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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Queen Of The Sea  - ° Nelle mani di Jesus °



La stanza che apparteneva a Dante il "corsaro" uno tra i più temuti membri della ciurma. si racconta che in un'aggressione ad una nave avesse combattuto con un povero sfortunato al quale aveva tagliato la lingua e strappato un occhio a morsi che aveva poi conservati in un forziere come ricordo di quel giorno idilliaco. Probabilmente lo spavaldo non sapeva che per conservarli avrebbe dovuto tenerli in congelamento. sicuramente si decomposero, e li gettò, ammesso che se ne accorse.
Ma la storia più indegna che mantiene vivo il suo nome nel tempo nonostante la sua morte, è quella di avere trasgredito un tabù che, come marchio inciso a fuoco su pelle, nessun pirata avrebbe dovuto infrangere. Un giorno, ai piedi della nave approdata, comparve una donna al capezzale di Dante chiedendogli un pugno di danaro, almeno, se non la sua costante presenza per poter crescere, sola, il figlio che aveva in grembo e che dichiarava come sangue del suo sangue. Allora questi la invitò sulla nave promettendole che l'avrebbe accolta e che si sarebbe preso cura di lei meditando, invece, di punirla per aver avuto la sfortuna, lui, di approdare in una stessa terra già conquistata e dove per divertimento aveva profanato quella donna che, nonostante il poco tempo passato al suo fianco, aveva dovuto amarlo follemente concedendosi a lui senza difficoltà.
Discesi nella stiva la gettò in terra con una violenza tale che neanche una bestia si permette contro la sua preda e, lentamente le rigò lo stomaco, tagliandole il ventre mentre la sposava e le giurava amore senza alcuna carica in suo possesso, né amore verso la donna, per il semplice gusto di torturarla e lasciarla morire nel tradimento e nella beffa.
Raccontò lui stesso, dicono, la vicenda mentre, condannato a morte dagli stessi compagni, veniva legato (come un amo attaccato alla lenza) ad una trave in legno e, la veridicità delle sue ignobili gesta furono confermate dal suo fedele compagno di avventure che, assistendo a tutta la scena, giunse ai piedi del capitano a denunciare il fatto, costernato.
Il risvolto ripugnante della faccenda è che, si dice lui abbia conservato il bacino della donna e ciò che rimaneva di quello che doveva essere suo figlio, in un forziere minuziosamente inciso nel dettaglio e da un particolare che sarebbe potuto difficilmente passare inosservato; ed era questo che aveva attirato la mia attenzione. Sul forziere vi era inciso in oro massiccio il nome più conosciuto a questo mondo: il nome di nostro "fratello".

Si voltò a guardarmi, Daniel e, con il viso sempre più incredulo sgranò gli occhi ancor più di quanto avesse potuto fare puntandomi insistentemente il forziere con il dito. L'hai visto?! - pensò - L'ho visto. - pensai. Sapevo benissimo quello che pensava e lui sapeva quello che io gli avrei risposto.   - è quello che penso? - è quello che pensi. - annuii, pressoché sconvolto anch'io, anche se con un certo contegno e lui si aggrappò alla testa dai capelli e mentre si lisciava le ciocche bionde, non la smetteva di fissarmi con quell'aria da cucciolo spaesato. Nuotai verso l'oggetto della nostra attenzione e mi trascinai Daniel da un polso per l'esasperazione.

Jesus. JEI - E - ESSE - U  - ESSE.
Prima di morire in pasto agli squali, sul ponte dal quale lo gettarono subito dopo, Dante dichiarò di avere lasciato la donna che lo aveva incastrato e il figlio che non aveva amato, nelle mani di Jesus.
Nessuno si preoccupò di cercare di capirlo; nè tanto meno vollero decifrare le sue parole. Fatto era che il suo compagno, in suo onore volle mantenere la sua stanza intatta.
Solo ora, guardando il forziere che avevamo proprio difronte a noi, avevo potuto decifrare quelle parole. La cassa in ferro battuto aveva nella fascia frontale, in alto, quell'enorme scritta e, sotto, incisi in rilievo i palmi delle mani con le stigmate. "nelle mani di Jesus".
Non potendo esplorare l'interno del forziere, per quanto ci doleva, ci limitammo a scattare una serie di foto invidiabili e rovistammo l'intero camerato. Non vi erano grandi cose. probabilmente la maggior parte di queste  spazzate via dalla corrente del mare e, benché fosse stata una grande fortuna trovare il relitto, sicuramente eguale fortuna non l'avremmo avuta nella ricerca di qualcosa che non sappiamo neppure se fosse lì dentro. Un vero peccato della storia.
La seconda tappa fu la tanto attesa stiva. Dalla camerata ci defilammo dopo una ventina di minuti. su per giù vi era all'interno solamente legno infracidito e coralli aggrappati ad ogni cosa. D'interessate: poco e niente. ciò che catturò la nostra attenzione, però, fu tutto impresso su pellicola digitale.
Sgattaiolati dalla voragine sulla porta, ritornammo ai piedi delle scale lì vicino e discendemmo giù per queste, giacché miracolosamente vi era una via libera. Ma ci entusiasmammo a dir poco troppo presto. Infondo alla scalinata travi di legno impedivano il passaggio. Sembravano piuttosto alberi della nave stessa impalati fino al suolo che l'attraversavano senza pietà. Insomma, non ci sarebbe passato neanche il mio pesce rosso da lì, così cercammo una strada alternativa. Ricordai che nel giro di ispezione notai che da una delle bocche dei corridoi per i cannoni vi si poteva tranquillamente passare, attraversandolo e, fortuna voleva che ci avrebbe portati esattamente nell’ala che volevamo visitare. Facemmo il giro e un banco di pesci azzurri ci accompagnò sino a metà percorso, dopodiché virò a sinistra e sparì nel buio, silenzioso. Ci imbucammo nella canna, Io passai senza problemi; anche se le mie spalle sono di una certa ampiezza, sono decisamente mingherlino. Mi bastò infilare prima un braccio e dopo l’altro, per sgattaiolare all’interno. Daniel non fu più fortunato, però, e la cosa non poté che divertirmi. Tutta quella palestra per farsi bello e poi, nel momento del bisogno, gli fu del tutto inutilizzabile. (Viva il fisico asciutto.) Lasciai Daniel oltre il corridoio che mi indicava di proseguire mentre lui faceva un giro di più per cercare un entra alternativa. Un pollice in su fu la mia risposta. Lui capì e si dileguò con l’andamento di un delfino lungo la facciata della nave. Io, intanto, nuotai come uno squalo verso la stiva. La vedevo davanti a me e ancora non ci credevo. Mi attraversavano brividi come scariche elettriche per l’eccitazione. Un po’ come per un giovane fa l’effetto del ranger…!
Avevo oltrepassato la soglia e ora ero un oggetto di più in quella stanza che in passato aveva ospitato polvere da sparo, armi, cibo e detenuti prossimi alla morte o al baratto. Saltellavo per l’emozione, lo ammetto. Scivolai verso la catasta di botti e di casse di legno che, fradice e marce, decomposte e ricoperte di coralli, affollavano una sola parte della sala: quella inclinata verso il basso. Mi rigiravo come una trottola alla ricerca di qualcosa come armi da assalto o carica di cannoni ma la roba era accatastata e il mio tempo, probabilmente, stava per terminare. Si faceva buio lì sopra, sicuramente, ed io ero ancora in giro con le bollicine. Dovevo darmi una mossa ma… come potevo essere nella cameretta dei miei sogni e chiudermi la porta alle spalle? Un’occhiatina fugace avrei voluto darla anche alle celle. E stupidamente lo feci. Prima, però, gongolai sul fatto che proprio sotto i miei piedi Dante avesse commesso quell’atto più deplorevole che poté progettare. Ovviamente la storia narra e il popolo tramanda ma sotto di me non vi erano che molluschi interessanti e pesciolini dal brutto aspetto ma dall’andatura rilassante e l’atteggiamento accattivante. Mi avvicinai, e non si mossero. Era emozionante accorgersi ogni volta di quanto il mare mi ritenesse parte integrante. Nessun pesce si allontanò. Tutto rimase tale e quale. Di quel gruppetto di pescetti ne guardai uno in particolare che aveva attirato la mia attenzione. Rosicchiava con estrema costanza il corallo incastonato tra le assi del pavimento e si intestardiva su ciò che non riusciva a mangiucchiare. Non volli disturbare oltre quello che aveva tutta l’aria di esser la sua cena, e mi allontanai ma gli scattai qualche foto, mentre banchettava.
Non ci crederete mai, ma per quanto potesse sembrare vuoto e desolato, quel relitto, in verità è più abitato di un carcere dei nostri tempi. Apparentemente le camerate e i salotti e i corridoi sembravano spogli e silenziosi ma bastava guardare per qualche minuto lo stesso punto per accorgersi dei suoi cari e nuovi e vecchi ospiti. Rumorosamente silenziosi si muovevano a passo di lumaca negli angoli sempre bui di ogni dove e sembravano non essere spaventati dalla mia presenza. Cosa assai particolare. Dovevano essere abituati alla mia faccia per lasciare che invadessi i loro spazi senza dileguarsi. Anche il banco di prima sembrava apprezzarci, e il pesce cocciuto non era affatto intimorito dalla mia vicinanza. Eppure se qualcuno avesse visto quel relitto prima di me, sarebbe sicuramente finito su tutti i giornali ma seguo la gazzetta come un sessantenne tutti i giorni seduto al cesso e lo leggo tutto due volte al giorno e le barzellette quando mi scappa una volta di più. E difatti, non avevo letto mai niente. Senza contare che non ci saremmo mai potuti neanche lontanamente avvicinare al relitto, se così fosse accaduto. Mi rimase, così, la curiosità addosso del perché di quell’accoglienza ma proseguii.
Nella stiva destinata alle vivande non vi era più nulla. Solo qualche attrezzo da cucina solidificato alle pareti e, devo ammettere che l’aspetto lasciava nell’anima una sensazione nostalgica. Voltai il capo per guardarmi alle spalle e vi era la parte della stiva destinata alle armi, come detto prima. Questa volta volli provare a cercare qualche cosa di entusiasmante e, chi cerca trova, dice bene il proverbio, vi trovai i resti di un cannone da 24 libbre, cosa assai rara da poter ammirare in un fondale, e un carretto con le fiocine tenute ferme da catene che sembravano in fiamme, per quanta ruggine vi si era formata attorno. Tutto materiale, questo, che per chi non fa questo mestiere, ritiene insignificante.
“risalgo. Non c’è alcuna entrata per le mie spalle pompose. E l’ossigeno è a zero. Sbrigati.” – Il paparino Daniel si sentiva il sedere di bruciare perché non era riuscito ad entrare e mi faceva la paternale (che poi aveva le sue ragioni ) per spedirmi in superficie. “ancora cinque minuti e sono di sopra.” Risposi, di rimando, al suo messaggio.
In effetti il palestrato non aveva tutti i torti. La mia bombola segnava dieci minuti al massimo ma io dovevo ancora entrare nelle celle, indi, decisi di affrettarmi.
Mi precipitai dall’altra parte della stanza e attraversai barili che impedivano l’accesso a quella limitrofa e mi spinsi all’interno. Ricordo bene che vi era una trave in mezzo allo stretto corridoio e scavalcai: Con il senno di poi, Non l’avrei fatto mai.
Spaventarsi è una delle cose più orribili del mondo. Uno spavento ti paralizza; se ti trovi in mezzo ad una strada, rischi un “tête à tête” con un auto, una moto, un camion, la morte; se sei solo, rischi un infarto, un collasso, un mancamento; uno spavento ti lascia di stucco e ti riempie di terrore in un attimo, soprattutto quando sei solo e al buio. L’appuntamento con il mio peggior spavento fu quell’anno di quel giorno e andò pressoché in questa maniera, sempre che la memoria non mi inganni.
Quando scavalcai la trave incrociai lo sguardo più tetro che avessi mai pensato di poter vedere. Uno squalo mi avrebbe di sicuro tirato su un sorriso al suo confronto, ma non era quello che vidi. Al suo posto, qualcosa di assai più grosso e assai più pallido. Il palmare mi cadde dalle mani, gli occhi erano fuori dalle orbite e la bocca era arrivata sul fondo del mare, posso garantirlo. La lingua era rasposa e la gola secca; il mio corpo paralizzato. Uno spavento può tante cose, e quello con il quale bruscamente mi imbattei, mi fu segnato addosso come una cicatrice sulla faccia.



NDA: Ciao a Tutti! Perdonate l'attesa, purtoppo mi sono imbattuta in circostanze con le quali non avrei mai voluto farci i conti, ma la vita è tirranna.
Detto ciò, spero di avere scritto qualcosa di piacevole e interessante.

Grazie a tutti coloro che leggono per interesse e per noia, e grazie a chi commenta e a chi tace. :)
Buona lettura e Notte.
   
 
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