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Autore: terychan    26/03/2008    2 recensioni
Questa fiction è nata dopo aver visto Jiraiya da giovane, e non so voi, ma io lo trovo estremamente affascinante. Non ci saranno spoiler perché questa storia è ambientata nel passato.
Genere: Romantico, Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jiraya, Orochimaru, Sorpresa, Tsunade
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3

Naoto

 

 

 

 

 

Lo scroscio continuo della cascata faceva venire il mal di testa alla bella Tsunade. Avevano impiegato ben cinque ore per arrivare sul fondo della cascata.

“Riesci a vederlo?” chiese Tsunade cercando con gli occhi tra la spuma dell’acqua e i dintorni della cascata.

“No, non riesco a percepire nessuna presenza.” Le rispose Orochimaru concentrato anche lui nella ricerca.

“Guarda!” esclamò Tsunade per poi correre verso la riva del fiume. Si chinò e allungò una mano nel letto del torrente. Orochimaru le vide penzolare dal braccio una borsa grondante d’acqua.

“E’di Jiraiya.” disse Tsunade con rinnovata speranza. “non deve essere troppo lontano.” Orochimaru si guardò in giro e vide brillare fioca una bella canna da pesca.

La raccolse e la mostrò a Tsunade.

“Jiraiya non aveva attrezzi del genere.” disse serio. “Qui la situazione sembra complicarsi.”

“Credi che lo abbiano soccorso?” chiese Tsunade.

“Non lo so, ma la domanda è: chi l’ha trovato era un amico o un nemico?”

Tsunade cominciò a preoccuparsi sul serio; in quella situazione se avessero catturato un membro della foglia le probabilità che lo avrebbero ucciso per non avere problemi erano alte. E anche ammesso che non l’avessero ucciso, non lo avrebbero fatto andare via come se nulla fosse.

La terra delle acque voleva restare fuori da tutte le guerre e rimanere neutrale, e lo facevano eliminando tutti gli intrusi nei loro territori.

Infatti era stato un fatto normale per i Sannin essersi imbattuti in quei tre nemici.

Ma avendoli uccisi, si sarebbe sicuramente creato un altro problema: il villaggio dell’acqua avrebbe indubbiamente mobilitato le loro squadre speciali per cercare gli intrusi. Quindi era rischioso andare cercare Jiraiya nei villaggi, apertamente.

Tsunade e Orochimaru erano ben consapevoli della situazione.

“Cosa facciamo?” chiese Tsunade. Orochimaru alzò il capo verso il sole che ormai stava tramontando.

“Sta diventando buio, è meglio cercare un riparo per la notte e proseguire domani mattina.” Disse appuntando gli occhi su Tsunade, sperando che condividesse la sua opinione.

Tsunade guardò di nuovo verso il corso d’acqua con ansia, sentì degli ululati in lontananza e arrivò alla conclusione che il suo compagno aveva ragione.

Camminarono per una buona mezz’ora quando trovarono una grotta a qualche chilometro dalla cascata. Entrò per primo Orochimaru con una fiaccola improvvisata con un ramo e un ninjutsu di fuoco.

“Qui mi sembra perfetto.” Disse Orochimaru. Accese un fuoco al centro della grotta.

“Non è rischioso accendere il fuoco? Saremo visibili.” disse Tsunade.

Orochimaru ghignò fiero di sé stesso, poggiò la mano sulla parete rocciosa e concentrò l’aura del suo chackra verso la mano. Dopo pochi minuti Tsunade vide formarsi una parete di squame lucide e scure, come se fosse stata la pelle di un enorme serpente. L’entrata si chiuse, ma nonostante non ci fosse uno spiraglio in quella pelle, l’aria non mancava. Era come se quella parete fosse traspirante.

Rimase sbigottita: non aveva mai visto il suo amico eseguire una tecnica del genere. Si avvicinò alla parete incuriosita e provò ad accarezzarne la superficie. Al tatto sembrava un vero e proprio serpente. Si voltò e aprì la bocca per parlare, ma le uscì una specie di gemito strozzato: Orochimaru si stava togliendo la sua maglia, rimanendo a torso nudo.

“Che.. che diavolo?” disse balbettando e arrossendo. Non si aspettava di certo che Orochimaru si comportasse in quel modo. Che gli era saltato in mente?

Orochimaru sembrava non averla sentita perché le afferrò il braccio facendola inginocchiare accanto a lui.

“Ehi ma che intenzioni hai?!” strillò Tsunade sorpresa.

Orochimaru per tutta risposta la guardò perplesso, poi si indicò la spalla che aveva ripreso a sanguinare. Orochimaru voleva essere medicato e lei lo aveva completamente frainteso, credendo che avesse intenzione di sedurla o peggio aggredirla. Tsunade capì che la sua reazione era stata esagerata. Silenziosamente si inginocchiò accanto al compagno.

Tsunade iniziò a impastare il suo chackra e a indirizzare sapientemente il suo flusso verso le ferite per ripristinare le cellule del corpo. Prima curò la parte frontale, poi passò dietro di lui e si inginocchiò alle spalle del ragazzo; prima di allora, non aveva fatto caso al fisico asciutto di Orochimaru, forse perché era raro vederlo senza i vestiti. Ma in quel momento le era sembrato troppo magro, era pelle e ossa, sembrava quasi una donna; era abituata con Jiraiya che di stazza era possente in confronto. Con un gesto delicato strinse nelle mani i suoi capelli, erano setosi e corposi: dei capelli che avrebbero fatto invidia a qualsiasi donna. In confronto, i suoi sembravano stopposi e sciupati. Tsunade aveva sempre amato i capelli del ragazzo, e spesso da bambina osava toccarglieli, e lui si scostava infastidito, rimproverandola e intimandole minaccioso di stare lontana dai capelli. Temendo che anche in quel momento lui lo trovasse fastidioso li spostò facendoli cadere tutti verso la spalla sana, in modo che cadessero verso avanti sul petto. Scesero in modo fluido e morbido come una colata di petrolio lucente. Tsunade si morse il labbro cercando di sopprimere quello strano desiderio di giocherellare con i capelli.

Doveva ammetterlo, da quel punto di vista, era rimasta ancora una bambina.

Orochimaru si concesse un sospiro di sollievo sotto il tocco guaritore della compagna.

“Domani proveremo a cercare qualche villaggio qui vicino e ci infiltreremo senza dare nell’ occhio.”

Disse Orochimaru mentre Tsunade continuava a passare le mani sulla spalla.

“E’ strano che la ferita si sia riaperta. Il veleno che ha usato quel tizio era molto particolare. Adesso sono riuscita a estrarlo del tutto. Questo veleno ostacola la rigenerazione delle cellule, se ti feriva ad un punto vitale saresti già morto. Quel veleno è orribile e insidioso, a quanto pare ha un’altra peculiarità: se arriva a penetrare il cuore e si diffonde può danneggiare l’apparato del chackra, uccidendo lentamente.”

“Io lo definirei affascinante.” Le rispose Orochimaru rivestendosi.

Tsunade scrollò le spalle, sapeva che Orochimaru trovava affascinante le cose più insidiose e utili per i combattimenti, anche se erano dei mezzi disonesti.

Dopo aver fatto una magra cena si misero a dormire, Orochimaru si addormentò quasi subito. Tsunade invece non riusciva a chiudere occhio. Ripensava a come si era comportata durante il giorno. Si accorse di essere cambiata un po’ e di aver avuto forse delle reazioni eccessive.

Era passato troppo poco tempo dalla morte del suo amato e del suo fratellino. Non avrebbe sopportato in quel periodo un’altra perdita. Doveva assolutamente salvare Jiraiya, e proteggere Orochimaru. O non si sarebbe data pace per il resto della vita.

 

 

 

 

 

Jiraiya si svegliò sollevando il busto bruscamente. Gli succedeva sempre, fin da quando era iniziata la guerra, e spesso accadeva durante la notte: si destava avendo la sensazione di trovarsi in pericolo. Per la paura di essere sorpreso nel sonno non riusciva a dormire per più di tre ore di fila. Si rese conto che invece quella notte aveva dormito profondamente. Con pigri gesti si legò i capelli alla nuca, e si alzò in piedi stiracchiandosi e sbadigliando con la bocca spalancata. - Dovevo essere proprio stanco, per dormire come un bambino.- pensò grattandosi la testa svogliatamente. Si guardò intorno, e non appena si rese conto di essere in una grotta si rammentò ciò che era accaduto il giorno prima. Si voltò di scatto, e poi sospirò di sollievo vedendo la ragazza ancora sdraiata sulle foglie.

Si avvicinò con cautela, e notò che la ragazza aveva cominciato a sudare, ma nonostante il caldo era ancora pallida. La scoprì per farla sentire meglio. Poi, si mise a sedere, voleva svegliarla, ma temeva che non facesse bene alla salute. Il gorgoglio dello stomaco lo fece distrarre dai suoi pensieri; gli venne la sensazione di avere un grande vuoto nello stomaco e sentì una fame tremenda.

Istintivamente portò la mano dietro di sé alla ricerca della sua borsa che aveva accuratamente riempita di tutti i viveri e oggetti necessari per la sopravivenza, ma non la trovò. Soffiò scocciato: si era dimenticato di averla persa durante la sua spiacevole nuotata. Guardò la ragazza ancora una volta e alla fine decise di uscire a cercare del cibo, sperava solo che nel frattempo la donna non si svegliasse, e che di conseguenza andasse via.

Voleva conoscerne almeno il nome.

Il sole quella mattina brillava in tutto il suo splendore: era una giornata meravigliosa. Jiraiya iniziò a cercare qualcosa da mangiare vagando fra gli alberi, e stando attento a non allontanarsi troppo dalla grotta, più che altro per non perdersi.

Mentre camminava tra gli alberi fu invaso da uno strano senso di pace. Gli uccellini cinguettavano, il sole era caldo, e l’aria profumava di pini e muschio. Jiraiya inspirò l’aria e allargò le braccia. In quel  posto sembrava quasi che non esistesse nessuna guerra, sembrava una sorta di rifugio. Desiderò scrivere le sensazioni che provava, ma aveva dimenticato il suo taccuino nella grotta.

Avvistò un piccolo cespuglio che sembrava colmo di frutti, si ci avvicinò e notò che erano fragole; erano piccole e selvatiche, ne mangiò una o due, poi ne raccolse qualcuna adagiandoli sopra un fazzoletto candido. Era un po’ magra come colazione, quindi decise di mettersi a caccia. Oltre alla ragazza moribonda nella grotta anche lui aveva bisogno di cibo per riprendere le forze. Sentì dietro di se un fruscio. Si voltò di scatto, temendo che potesse trattarsi di un nemico.

Vide un coniglio correre sul terriccio. Un sorriso soddisfatto apparve sul viso di Jiraiya, vide che quel coniglio si era rifugiato nella sua tana; meglio di così non poteva andare. Raccolse dei ramoscelli, e li intrecciò abilmente in una trappola. La posizionò di fronte alla tana. Adesso non restava che aspettare che la preda venisse fuori. Si sedette sotto un albero poco distante. Sospirò di nuovo pensando che era proprio piacevole quel posto. Sentiva lo scorrere di un ruscello poco distante, il sole faceva brillare l’acqua, e penetrava attraverso le foglie del bosco dando un aria piacevolmente mite, si vedeva il polline volare sotto i raggi di luce. Sembrava una scenografia per un bel racconto di fantasy, con elfi, fatine e creature magiche. Jiraiya chiuse gli occhi, sfiorò i fili d’erba con le dita sentendone la ruvidità, e il candore. Come in un flashback gli venne in mente una scena macabra. Un bosco, con alberi spezzati, sangue sull’erba e sui tronchi. Lupi che si aggiravano in cerca di prede. Già… ultimamente i Lupi erano ingrassati. Non dovevano cacciare come al solito, trovavano sul loro cammino il pasto quotidiano. Jiraiya si sentì rabbrividire. Ormai lui era sporco, come l’erba delle battaglie. Aveva ucciso davvero tanti nemici forse troppi perché non si ricordava nemmeno il loro viso. L’hokage gli ripeteva sempre di non crucciarsi, che aveva ucciso solo per proteggere il villaggio. Che se non l’avesse fatto sarebbero morte tante persone a lui care. Ma lui di notte sognava gli occhi dei suoi nemici che lo scrutano con odio, e bramavano vendetta. Avvolte nel sogno vedeva le loro mani, ossute e pallide tendersi verso di lui, sussurrargli parole di odio e rancore.

- spero che la generazione futura non conoscerà mai questo tipo di sofferenza. – pensò Jiraiya sospirando.

Si alzò e si affrettò a controllare la trappola, e con un sorriso soddisfatto vide che aveva funzionato. Per pranzo avrebbe mangiato della carne. Era felice come non mai.

Dopo la caccia rientrò nella grotta tenendo per una mano la lepre ormai divenuto un essere commestibile, e della frutta trattenuta con l’altro braccio. Non appena varcò la soglia si sentì investire da qualcosa che lo costrinse a battere la schiena contro la parete rocciosa. La frutta gli cadde dalle mani, così come il povero coniglio. Jiraiya sentì il freddo metallo sfiorargli il viso. Quando finalmente si rese conto di ciò che stava accadendo, si accorse che la ragazza che aveva salvato lo aveva immobilizzato, incrociandogli due lame sotto il collo.

“Chi sei?” chiese la ragazza.

Jiraiya non proferì parola. Rimase imbambolato a guardarla, aveva gli occhi chiari, e la sua voce gli era sembrato il suono più soave sentito fino ad allora.

La ragazza strinse le lame sul collo di Jiraiya.

“Chi sei?” ripeté più nervosa. L’uomo si accorse che la ragazza ansimava e sudava. Era ancora debole, ma era riuscita a bloccarlo ugualmente. Tuttavia Jiraiya non era un ninja qualunque, così insinuò lentamente un piede tra quelli della ragazza, poi in uno scatto le afferrò i polsi, e con un movimento laterale deciso del piede la fece cadere all’indietro. La seguì subito dopo e torcendo i polsi alla ragazza si ritrovarono nella situazione inversa.

La ragazza sbarrò gli occhi sorpresa, ma le forze le venivano meno, la presa salda sulle due lame diventò debole e alla fine lasciò la presa arrendendosi.

“Lasciami.” Ansimò.

Jiraiya gettò via le due lame, poi la prese in braccio e la portò sul suo letto di foglie secche.

“Non temere non ti farò del male.” Le disse mentre la portava sul suo giaciglio “Anzi dovresti proprio ringraziarmi invece, ti ho trovata svenuta sotto ad un albero, e ti ho portata qui.” Disse sedendosi accanto a lei con le gambe incrociate.

La ragazza si voltò a guardarlo, e ripeté la domanda ma con un tono più dolce.

“Chi sei?”

“Mi chiamo Jiraiya.”

La ragazza lo osservò meglio e notò il suo coprifronte con lo stemma della foglia.

Lo trovò bizzarro, con quei lunghi capelli bianchi dall’aria spettinata, ma che in un certo senso erano ordinati. Trovò quel viso affascinante. Soprattutto il suo sorriso, gli sembrava quasi infantile, sembrava un bambino che stava facendo amicizia.

- Quello stemma… E’ un nemico.- pensò la ragazza. Non riusciva a capire perché  quel ragazzo aveva deciso di aiutarla, soprattutto in un periodo di guerra. 

La ragazza sollevò le braccia guardandole, sembrava che si fosse accorta solo in quel momento che le aveva fasciate. Guardò anche le gambe e anche loro erano fasciate nei punti feriti.

“Mi hai curata tu?” chiese la ragazza. Jiraiya si grattò la testa nervosamente e sorrise ancora.

“Sì, sono stato bravo vero?” disse fiero di se. “posso sapere il tuo nome?” chiese poi.

La ragazza lo guardò titubante, non sapeva se poteva fidarsi, in fondo era pur sempre un nemico.

“Mi chiamo Naoto.” Rispose, non c’era nulla di male nel dire solo il nome infondo.

“E’ un nome bellissimo.” Disse lui, poi arrossi leggermente “come te.”

La ragazza non diede peso al complimento appena ricevuto, evidentemente era abituata.

“Senti, Jiraiya, mi porti cortesemente la mia arma?” disse lei sollevando leggermente il busto.

Jiraiya si alzò stizzito: aveva appena fatto un complimento alla ragazza, e lei lo aveva snobbato. Afferrò le due lame e le studiò. Erano di ottima fattura, ed avevano una curiosa forma.

Sembravano quasi due pezzi di un puzzle contorto. Provò ad avvicinarle, afferrò entrambe le maniglie con entrambi le mani, e si attivò una sorta di meccanismo a scatto che unì le due lame in  un'unica katana.

“wow, la tua arma è straordinaria; anche il metallo sembra di ottima qualità.” Disse rigirandosi la spada fra le mani. Poi si bloccò e la osservò serio, pensando se faceva bene a dargliela o meno. Infondo poco prima lo aveva attaccato.

“Questa per adesso la requisisco io.” Disse e la infilò nella sua cintola.

La ragazza sospirò arrendendosi.

Avrebbe dovuto immaginare che non le avrebbe restituito l’arma dopo averlo appena attaccato.

Jiraiya osservò la ragazza ancora per qualche istante indeciso sul da farsi, poi lo stomaco gorgogliò rumorosamente echeggiando nella grotta.

“Hai fame?” chiese il sannin alla ragazza.

“Sì.”

Jiraiya si alzò deciso a preparare la colazione, ma prima di mettere le mani sulla carne portò della frutta alla ragazza, delle belle e succose mele.

Naoto titubò nel accettare l’offerta. Così lui diede un morso al frutto.

“Vedi? Non è avvelenato, che motivo avrei per ucciderti? Se ti volevo morta ti avrei uccisa quando ti ho trovata svenuta nel bosco, non credi?” e così dicendo porse di nuovo il frutto con il morso alla misteriosa ragazza. Naoto accettò la mela concludendo che avesse ragione lui.

Jiraiya sorrise di nuovo “bene, allora preparo la carne.” Disse contento.

Naoto lo guardò ancora una volta in viso: quel ragazzo la turbava. Da un lato doveva essere preoccupata dato che si trovava con uno sconosciuto dispersa in qualche grotta. Eppure quel sorriso e quel modo di fare le infondevano sicurezza, aveva la sensazione di essere stata salvata da qualche creatura del bosco, come succede nelle favole di genere fantasy. In effetti Jiraiya con quella strana capigliatura somigliava vagamente ad un elfo.

Naoto si sentiva debole, non ricordava molto di ciò che era successo. Si ricordava solo di essere stata attaccata da sei ninja dell’acqua, che era stata ferita con un dardo avvelenato, e che era riuscita appena in tempo a prendere l’antidoto. Poi ricordava solo una folle corsa tra gli alberi ed infine il buio.

“Quanto tempo ho dormito?” chiese lei mentre, seduta sul pavimento, mangiava la mela.

“Solo una notte e due giorni.”

Naoto si alzò all’improvviso, come se si ricordasse di qualcosa di importante da fare. Arrivò vicino all’uscita dove c’era Jiraiya intento a cucinare.

“Ehi, cosa fai?” esclamò sorpreso Jiraiya.

“Devo andare.” Gli rispose lei, arrivata all’uscita però ebbe di nuovo un giramento di testa, e le forze le vennero meno. Jiraiya la afferrò prontamente fra le sue braccia per impedirle di cadere.

Lei si aggrappò al suo braccio, e si rese conto di quanto fossero muscolose. Magari con lui sarebbe stata al sicuro fino alla sua guarigione. - Maledizione.- pensò mordendosi il labbro: in quelle condizioni non poteva fare molto, era costretta a fermarsi.

“Senti non so quale ragione tu abbia per andare, ma non ti permetto di andartene se prima non guarisci. E poi da quello che sono riuscito a capire, tu eri stata inseguita dai nemici non è vero? Se te ne vai nelle tue condizioni e ti trovano sei spacciata.”

“Lo so maledizione, ma ho una missione da svolgere.”

Jiraiya teneva ancora la ragazza fra le proprie braccia, poi la fece sedere accanto a lui delicatamente.

“Beh, anch’io sono in missione, ma ci sono cose più importanti delle missioni.”

“Quando si tratta della vita di un intero villaggio, credo che la missione sia di estrema importanza.” Ribattè la ragazza infastidita.

“Ma se il ninja in pessime condizioni si appresta a svolgere una missione, i rischi che fallisca sono molto alte.”

La ragazza si arrese, infondo sapeva che se falliva rischiava che il suo villaggio poi si sarebbe trovato in grave pericolo.

“Su questo la pensiamo allo stesso modo.”

“Bene allora datti da fare e va a riposarti.” Così dicendo Jiraiya aiutò la ragazza a mettersi sdraiata sul suo giaciglio.

“Ehi!” esclamò lei infastidita e sofferente.

“Sì?” le rispose con tranquillità lui.

“La tua mano.”

Jiraiya fece il finto tonto guardandosi la mano poggiata sul sedere della ragazza, poi continuando a fare il finto imbarazzato la tolse ridacchiando divertito.

“E’ scivolata scusami.”

In una frazione di secondo Jiraiya si ritrovò a cadere all’indietro per la forza dell’impatto contro il pugno della ragazza.

“Non provarci mai più.” Gli disse Naoto mentre si lasciava cadere sul letto di foglie.

Jiraiya che intanto se ne stava al suolo sofferente si chiedeva se quella ragazza stava davvero male, dato che il pugno che aveva sferrato aveva la forza di un uomo grande e grosso, invece di una esile e sofferente fanciulla.

 

  
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