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Autore: ronloveshermione    24/09/2013    0 recensioni
Cosa succede se metti in una classe ragazzi e ragazze? qualcuno di loro sicuramente finirà per innamorarsi. Ma cosa succede quando due amici si innamorano della stessa ragazza? e quando una ragazzi scopre di essere innamorata del ragazzo della sua migliore amica?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Quando un cuore si spezza cosa senti?
Quando un vetro si rompe cosa vedi?
Quando tua madre cucina cosa riesci a odorare?
Quando esci con i tuoi amici che sapore assume la vita?
Quando hai davanti la persona della tua vita come si muove il suo corpo sul tuo?
Cinque sono i sensi del corpo, cinque gli stadi della separazione.
Dolore. Voglia di morire. Consapevolezza. Accettazione. Voglia di tornare insieme.
Il sesto è quello che ci rende capaci di tonare a vivere.
 
Sono qui seduta e davanti a me tre sconosciuti mi guardano, i loro occhi mi scrutano, quasi a voler addirittura capire che colore di reggiseno io indossi sotto la camicia. Le tre restanti mi sorridono, amichevolmente ma con autorità: ormai di loro so di potermi fidare!
Dietro di me mormorii continui disturbano la mia concentrazione, quasi mi prende l’ansia da prestazione. Proprio a me che sono la ragazza più calma del mondo.
Così aspetto che la presidente di commissione mi dia il via per poter esporre la mia tesina e portare a termine questo lungo e interminabile percorso che mi proietterà fuori dalla scuola, verso il mondo dell’università.
Non lo sento nemmeno il tempo che passa mentre parlo, gesticolando come solo io so fare.
I professori sorridono, mi mettono a mio agio e io mi sento soddisfatta della discussione, speranzosa del risultato.
Stringo sorridente a tutti la mano. La professoressa di storia dell’arte mi fa l’occhiolino e mi stampa un bacio sulla guancia.
Quando mi giro e mi rendo conto dell’enorme numero di spettatori mi viene da ridere, vorrei abbracciarli tutti, ma ci fanno uscire rapidamente: la commissione deve decidere il mio voto.
La prima persona che mi stringe dopo mia madre e mio padre è lui, ormai nuovamente presente nella mia vita, nuovamente in veste di amico.
«Hai spaccato!» mi sussurra in un orecchio, mentre le sue mani si posizionano sulla mia schiena. Io sorrido, guardo il soffitto di questa scuola che mi ha vista crescere, piangere, gioire e fare bruttissime figure negli ultimi anni. Mi tiro via una lacrima dal viso.
«Che fai, piangi?» Giulio mi sorride e io mi getto con tutto il viso sulla sua spalla.
«Lacrime di liberazione.»
«Evvai!» si gratta la testa «Ora tocca a me, cavolina!» gli sorrido e lo rassicuro perché so che andrà tutto bene.
 
Da questo balconcino godo di una vista stupenda: il mare davanti a me, la montagna alla mia sinistra, l’odore di un prato e gli schiamazzi di chi come me si concede qualche giorno di pausa dopo aver sudato ore ed ore sui libri. Sento due braccia cingermi i fianchi e sorrido.
«Vera, ma lo sai che sei stupidissima?» metto una mano su quella della mia amica, mentre guardo al piano di sotto dei bambini sguazzare nella loro piscina.
«Perché rovini ogni mio slancio di affetto? Non lo faccio più!» rido di gusto. Le voglio bene e mi mancherà quando non la vedrò ogni giorno.
«Vorrei vivere qui.» do le spalle ai bambini, spero che non me ne vogliano, e poggio la schiena alla ringhiera. «Pace e serenità.»
«Come stai?» Vera è stesa sul letto di Alessio, le braccia sotto la testa e le gambe incrociate.
«Io bene. Tu in questa posizione non credo!»
Vera ride e si mette seduta «Ma mi rilassa!»
«Ci credo!» frugo nella mia borsa e tiro fuori un costume «Io vado a fare un tuffo. Vuoi venire con me?»
«Hey, ma hai sviato la mia domanda, farabutta!» la sento che si alza e che mi segue in bagno.
«Ma non esiste più privacy in questa comitiva?» lei fa cenno di no e io le chiedo di aiutarmi con il pezzo di sopra del bikini.
«Gianluca sta arrivando, lo sai?»
«Non mi importa molto.» Vera mi guarda con un sopracciglio alzato, la sua faccia mi dice che non l’ha bevuta per niente. «Diciamo che la sto superando, sto accettando la cosa.»
«Marica…»
«Vera, per favore. È già difficile che io e lui fingiamo di essere amici, se poi ogni volta che siamo insieme tutti mi chiedono di noi finirò per impazzire!» lei si guarda le mani, non dice più niente. L’ho ferita. La prendo per le spalle, la costringo a guardarmi «Scusa. Non ce l’ho con te, ma sto attraversando il quarto stadio della separazione ed è il più difficile.» lei mi guarda negli occhi e mi sorride per farmi capire che ha capito la cosa.
«Chi arriva ultima in piscina offre il pranzo?» e corre via. So già che dovrò offrirlo io a lei: ha le gambe più lunghe delle mie!
 
Quando arriva lo sento prima di vederlo: la musica del cd che gli ho regalato mi riempie la testa e le orecchie. Mi sdraio sulla tovaglia, gli occhiali da sole sul naso e la mia bella protezione solare.
Lo sento salutare tutti al suo solito modo chiassoso e capisco che è da me quando il sole sparisce.
«Mi stai oscurando il sole!» dico infastidita.
«Tanto sei bella anche color latte.» sorride. Io costringo me stessa a sollevarmi per mettermi seduta. «Ti ho portato la colazione, visto che non mangi!»
«Grazie, ma alle 12 faccio pranzo, non colazione.» sorrido falsissima, ma prendo lo stesso il pacchetto. All’interno c’è il cornetto vuoto che sa che mi piace tanto e un caffè con tante bustine di zucchero. «Il caffè però lo bevo. Il cornetto lo vuoi tu?» gli passo il sacchetto. Lui scuote la testa, senza distogliere lo sguardo dal mio viso. «Che c’è?»
«Sono al quinto.» dice sorridendo. Lo guardo dal basso verso l’alto, non mi sono nemmeno alzata.
«Al quinto cosa?» chiedo stupita. Lui si allontana e mi urla che mi ha superato anche questa volta.
 
Certe volte penso alle parole di mia madre, così diversa da me, ostinata nel darmi consigli: gli uomini sono tutti uguali, una volta che ne conosci uno gli altri ti sembreranno una passeggiata. Tutte frasi fatte che dette da una che ha avuto un solo uomo in tutta la sua vita mi sembravano stupide.
Alla soglia della veneranda età dei vent’anni capisco che mia madre aveva ragione e che gli uomini sono fondamentalmente bambini: hanno bisogno di una madre per lavare e stirare i vestiti, hanno bisogno di una donna che li faccia sentire potenti, hanno bisogno del comando anche se in realtà il comando ce l’abbiamo noi, hanno bisogno di farti sentire bella e unica solo per trattarti come una bambola, magari per poi cambiare idea e volerti così come sei.
Avevo capito il senso delle parole di Gianluca quando aveva messo la nostra canzone: lui voleva tornare insieme, io ero ancora allo stadio precedente.
Infondo noi non eravamo mai stati una coppia ortodossa: perché non provarci? Cosa mi frenava? Certamente l’idea che di lì a poco lui sarebbe partito per studiare e io sarei rimasta qui a disperarmi. Maledetti i soldi!
«Dove vai?» mamma fa capolino dalla porta e mi osserva mentre metto in borsa le solite cose indispensabili: chiavi, telefono, soldi.
«Da Gianluca.» mamma alza un sopracciglio. «Con Giulio, Manu e Vera.»
«Ok...» si allontana e io mi guardo allo specchio: tutto è al posto giusto. «Guidi tu?»
«Si mamma.»
«Mi raccomando, vai piano.» Mia mamma si preoccupa sempre troppo per me.
«Mamma ormai so guidare abbastanza bene…» la raggiungo in cucina per salutarla.
«Intendevo in un altro campo…» un punto interrogativo si apre sulla mia faccia. Forse ho capito, ma vorrei non aver capito perché se avessi capito bene vorrebbe dire che mia madre aveva capito troppe cose. Dio pensare troppo mi uccide il cervello! «Se vuoi sapere se so di te e Gianluca te lo dirò subito: si. Hai indossato quel maledetto maglione per tutta la primavera. E vorrei che ci andassi piano perché ho visto come ti guarda, come ti sta vicino e so che andrà via. È un uomo: non sarebbe capace di esserti fedele con l’Italia a dividervi.»
«Mamma è tardi.» taglio corto.
«Sarà tardi dopo.» mi solleva il mento e mi guarda negli occhi. «Ho fiducia in te, nel tuo buon senso e nella tua maturità. Sai cosa fare, sei grande. Solo vacci piano.» Mi stampa un bacio sulla guancia e mi lascia andare.
Forse dovrei andarci piano, ma non è da me: ho saltato il quinto stadio e sono già al sesto. Voglio vivere. Con lui o senza di lui.
 
Percorrevo sempre la strada che mi avrebbe potuto portare a te. Non mi importava se era quella più lunga, quella più difficile. L’avrei percorsa anche per giornate intere se alla fine avessi trovato te perché facevo questo da così tanto tempo che avevo anche dimenticato quando avevo iniziato a vivere la mia vita in funzione della tua.
Avevo mentito a mia madre per venire da te, lei che mi conosceva meglio di chiunque altro e che io non riuscivo ad apprezzare. Se solo avessi avuto il buon senso di ascoltarla…
Posteggio e respiro: so che questo cambierà la mia vita, nel bene o nel male, prima o poi avrei dovuto fare questo passo e so già che me ne pentirò quando non sarai qui, quando indosserò di nuovo il tuo maglione fino a farlo puzzare, ma la vita è adesso né ieri né domani. Si vive oggi e di rimpianti ne ho già troppi.
«Rispondi, prima che mi penta di essere venuta…» parlo da sola, sperando che Gianluca risponda dall’altra parte della cornetta. «Ti prego!»
«Pronto?» sia lodato il cielo! Ce l’ha fatta!
«Gianlu, sei a casa?»
«Si.» lo sento strano, affannato. Forse era al piano di sotto, magari ha fatto le scale correndo.
«Potrei salire? Ho bisogno di parlare con te…»
«Salire?» l’ho shockato, non si aspettava che sarei venuta a cercarlo. «Dove sei?» vedo che apre la tenda dietro la quale c’è la sua camera dalle pareti blu, blu come il mare. Lo abbaglio con i fari della mia auto per fargli capire che sono proprio davanti il cancello di casa sua. Lui sgrana gli occhi. Stiamo come due deficienti a guardarci tra i vetri, io della mia macchina lui della sua camera; ad ascoltare i nostri respiri attraverso un filo invisibile che unisce le cornette dei nostri cellulari. Poi il mio cade. E alla sua sagoma si unisce quella troppo nota di una ragazza che pensavo non fosse più un problema.
E vado via. Anche questa volta con il cuore spezzato, mentre attraverso il sesto stadio: la vergogna di esserci ricaduta.
  
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