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Autore: Layleen    24/09/2013    5 recensioni
[Storia interattiva: i personaggi li inventate voi e sono a numero illimitato, anche a fiction cominciata]
Anthony e Celeste si portano dietro una faida che va dal 1798. Adesso parte una vera e propria guerra che coinvolgerà tutti i membri di entrambi i Clan avversari.
Il vostro compito è quello di inventare i membri di questi Clan, che si ritroveranno implicati in un gioco fatto di orrore e sofferenza.
Genere: Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Il gioco dei Clan



Canada, Ottawa, 1952

 
 
 
Daniel non ce la faceva più. Anthony aveva procurato loro una graziosa villetta nel pieno della foresta, al fine di proteggere pelle lucente e bizzarre anomalie vampiresche dallo sguardo curioso dei viventi, ma anche per poter godere del silenzio dei boschi. Quindi Daniel non capiva come potessero gli altri rilassarsi mentre fuori imperversava quell’uragano. Un uragano di acqua, terra, aria e fuoco che faceva tanto rumore da poter essere sentito nel New Jersey, volendo. Per un po’ aveva cercato di leggere tranquillo il suo trattato sulle arti sceniche, ma, nonostante la proverbiale pazienza di cui madre natura aveva voluto dotarlo, non sarebbe riuscito a concentrarsi finché Martina non avesse smesso di dare sfogo alla sua frustrazione.
Controllo degli elementi. Puah.
Daniel non aveva nessun potere speciale e stava bene ugualmente. Chiaro, in certi momenti sarebbe stato comodo riuscire a cancellare i rumori. Tipo quando Martina era arrabbiata. D’altra parte non se la sentiva nemmeno di andare a chiederle di smetterla: poteva capire cosa stesse provando e non voleva disturbarla. La perdita di Danny era stato un duro colpo per tutti loro.
— Ma che cazzo è ‘sto fracasso?— Trent, invece, non era altrettanto paziente. Appena tornato da una battuta di caccia era stato travolto da un’ondata d’acqua, poteva immaginare chi ne fosse responsabile.
— Martina.— rispose Daniel.
— Ancora? È inutile prendersela con la natura: noi la nostra vendetta ce l’avremo presto. Dico bene Anthony?
Anthony scrollò le spalle, tornando a concentrarsi sul computer. Stava cercando ogni informazione disponibile sul quartiere del Clan di Celeste, provando a organizzare un piano d’attacco.
— Puoi provare a distrarlo quanto vuoi, sono quaranta minuti che se ne sta incollato allo schermo.— Trent alzò lo sguardo verso la bella vampirella intenta a riflettersi nello specchio del soggiorno. Caterina Del Giglio era di origine italiana, aveva avuto modo di posare per i più grandi pittori del 400 (Botticelli l’aveva ritratta nella “nascita di Venere”), ovvio che fosse splendida pure tra gli immortali. E invece sembrava non fosse proprio possibile abituarcisi, nemmeno per loro, compagni di Clan.
— Non ti avevo vista, Kate.— Trent sorrise al sibilo seccato di lei. Kate non era certo il soprannome che più preferiva. — Perché non vai a convincere Martina che incendiare gli alberi non riporterà Danny a casa?
Daniel distolse un’ultima volta lo sguardo dal trattato, speranzoso. Kate aveva metodi tutti suoi per convincere le persone a fare quel che preferiva. Manipolazione mentale, arma di tutto punto, ma che faceva incazzare abbastanza chi ne veniva sottomesso.
— Perché poi appena si riprende l’uragano lo scatena addosso a me. — disse, passando un’ultima volta il lucidalabbra.
Daniel sospirò, ma decise finalmente di posare il trattato e alzarsi dal divano. Se nessuno avrebbe raccolto la sfida, ci sarebbe andato lui da Martina.
La vide tranquilla danzare nel bel mezzo di un turbine d’aria, una grazia tutta immortale, ma al cui confronto nessuno dei vampiri presenti sarebbe stato all’altezza. Martina non sembrava agitata, e probabilmente nemmeno lo era, pensò Daniel.
Riuscì a farsi forza e ad attraversare la tempesta fin dentro l’occhio del tornado, a un passo da Martina. La prese per il braccio in una piroetta.
— Ehi, Martina!— gridò, per farsi sentire. — Dai Martina, smettila!
Lei lo guardò spaesata un paio di secondi, poi sussultando calmò gli elementi. Tutto tornò tranquillo, i placidi suoni della natura erano gli unici, normali, disturbi.
Rendendosi conto del caos che era andata a creare Martina chinò un po’ il capo, la pelle bianca non sarebbe arrossita, ma da umana avrebbe incendiato il viso.
— Scusa.— disse, senza guardarlo negli occhi.
— Non preoccuparti, so che sei triste per Danny.
Martina scrollò le spalle. — In realtà stavo cercando di non pensarci. — rispose. — Danny per me è stato molto importante: è merito suo se mi sono unita al vostro Clan. E ora è morto.
Daniel avrebbe voluto abbracciarla, carezzarle il viso, confortarla, ma si trattenne. Non voleva esternare i propri sentimenti, si sentiva vulnerabile.
— In realtà stavo solo cercando di distrarmi.— riprese lei. — Non volevo disturbarvi.
Daniel sorrise e, preso da un moto di tenerezza che riservava solo a lei, carezzandone la mano vi depose un lieve bacio.
— Tra rose e fior, nasce l’amor!— canticchiò Trent da dietro la finestra, divertito. — Che carini, adesso però voglio vedere un bel bacio.
— Quanto sei infantile. — rispose Caterina, alzando gli occhi al cielo. Per tutto dispetto Trent le sfrecciò incontro e, con un solo gesto, la sollevò da terra.
— Ah! Metti giù, razza di…
Trent scoppiò in una fragorosa risata, trattenendola in braccio. — Occhio ai termini che usi, dolcezza.
E fuori dalla porta Martina prese a ridere di gusto, quasi con le lacrime agli occhi (se fosse possibile piangere), in un suono delicato e cristallino che contagiò prima Daniel, poi Caterina.
In quel clima allegro e spensierato nessuno avrebbe potuto immaginare la guerra che stava andando a crearsi. Per un momento Caterina, Trent, Daniel e Martina erano perfino riusciti a dimenticare, ma il fischio prolungato di Anthony fece tornare tutti con i piedi per terra.
In uno scatto raggiunsero il solone, dove Anthony gli aspettava in un sorriso sollevato e rassicurante.
— Finalmente ci siamo, ho un piano per vendicarci di Danny.
Perché quella era la guerra, e nella guerra non bisogna mai abbassare la guardia.
 
 
 
Stati Uniti, Seattle, 1952
 
 
Nella periferia di Seattle, lungo la catena montuosa, era appena stata ristrutturata una vecchia villetta risalente ai primi dell’800. Il Clan di Celeste vi si era insediato non più di tre giorni prima, ed erano ancora tutti presi dal trasloco. Quel che più interessava loro era la sconvolgente quantità di cianfrusaglie antiche che nessuno aveva ancora avuto voglia di svaligiare.
Leonardo, Saraphine e Celeste stavano sistemando un vecchio pianoforte a coda. Juliet sarebbe impazzita di felicità, se fossero riusciti a farlo funzionare.
Celeste aveva proposto di portarlo in città, dove alcuni umani sarebbero certamente stati in grado di aggiustarlo, ma Seraphine s’era impuntata con l’idea di riuscirci, e Leonardo non era stato più condizionabile di lei.
Quando finalmente riuscirono a farlo partire, Leonardo intonò una delle sinfonie preferite di Juliet. La vampira sfrecciò giù dalla soffitta in un moto d’energia entusiasta, nel sentir risuonare le dolci note di un pianoforte. Quando era umana, sua madre aveva voluto insegnarle come fare e lei non aveva mai smesso di esercitarsi.  
— È bellissimo!— disse, commossa.
— Sapevamo che ti sarebbe piaciuto.— rispose Saraphine, dando una pacca alla spalla di Leonardo. — È stata un’idea sua.
Leonardo chinò imbarazzato il capo, ma Juliet, solitamente timida, non vi prestò caso.
— Anche io ho una sorpresa per te!— disse, sfrecciando su per le scale. Quando ridiscese portava tra le braccia un dipinto consumato, protetto da una cornice smorta, i colori erano andati spegnendosi e il telo era stato bucherellato dai topi, ma Leonardo si riconobbe ugualmente ritratto nel vecchio quadro.
Il sorriso che gli illuminò il volto riempì d’orgoglio Juliet. Ancora faticava a credere che quel giovanissimo vampiro altri non fosse che il grande Da Vinci, ma avrebbe dovuto farcisi l’abitudine, prima o poi. D’altro canto, genio lo era sicuro.
— Certo è che ti ritraevano proprio vecchio. — disse Saraphine, rivolta al quadro. — E sì che sei stato trasformato a diciassette anni.
— Ho passato decenni nascondendo la mia vera età, prima di simularne morte. — rispose lui, prendendo il quadro tra le mani. — chissà se crescendo sarei davvero diventato tanto brutto.
Saraphine e Celeste risero di gusto, piegate in due. Juliet si limitò a un educato sorriso.
Quel quadretto dolce e familiare, nell’ilarità del momento, diede un’improvvisa quanto immotivata scarica d’angoscia a Leonardo, che si rabbuiò. I sorrisi delle ragazze si spensero e tutto tornò tranquillo.
— Cosa succede?— chiese dolcemente Juliet, posandogli una mano sul braccio.
— Pensavo ad Anthony. — disse Leonardo.
Saraphine sbuffò, scocciata. — Che provino pure ad attaccarci. Vedrai come li combino.
Si sentivano tutti un po’ più sicuri con Saraphine intorno. La sua capacità stava nel riuscire a bruciare i vampiri con la sola forza della mente: ottant’anni prima aveva dato fuoco a Stefan per aver cercato di baciarla, non avrebbe esitato mezzo secondo con Anthony. Anche perché, diciamolo pure, trovava fosse quasi divertente.
— Adesso non pensarci, non credo nemmeno che Anthony riuscirà a trovarci. E se anche ci riuscisse, noi siamo più forti.
— Però loro sono in cinque, due con poteri speciali. Ricordi la manipolatrice e quella che controlla gli elementi?
— E tu ricordi la nostra brucia-vampiri?
Celeste sapeva essere convincente, sì. Leonardo sorrise e, ritrovato quasi il buon umore, lasciò tutti di stucco in uno scatto al pian terreno. Due secondi dopo era di ritorno, con tanto di tela bianca e cavalletto.
— Torna a suonare, Juliet. — disse, sistemando il cavalletto. La piccola sorrise, accucciandosi sullo sgabello e intonando le prime, delicate, note. La mano sapiente di Leonardo prese a ritrarre il volto dolce della sua vampira preferita.
Saraphine sorrise. Trovava perfidamente divertente l’ingenuità con coi Juliet tendeva a considerare il loro rapporto. Solo lei ancora non riusciva a percepire l’amore sconsiderato di Leonardo, oltre a Leonardo.
Lasciando che i due godessero uno dei loro “momenti da fiaba”, Saraphine e Celeste si allontanarono nei giardini. Celeste sospettava cosa stesse pensando: più volte Saraphine aveva ammesso di sognare un amore vero, travolgente, lungi dallo stupro legalizzato del suo quasi-matrimonio umano o dalla simpatia nei confronti del suo vecchio compagno, Stefan. Se solo avesse potuto, Celeste avrebbe setacciato il mondo per portare a Saraphine ciò di cui aveva più bisogno e cavarle di dosso l’espressione depressa che si trascinava dietro ogni volta che Leonardo e Juliet stavano insieme.
— Perché non dipingi qualcosa?— chiese, per distrarla. — Leonardo ha portato diverse tele.
Saraphine scrollò un po’ le spalle. — Figurati, quelle sono sue. Io avevo pensato di andare a procurarmene un paio da qualche parte in Canada.
— Sai che Anthony si trova…
— Appunto. — Saraphine sorrise maligna. — Trovo che sarebbe proprio divertente anticipare un po’ le sue mosse. Ridurre il loro Clan ci porterebbe in una situazione di vantaggio.
— Non farlo, segnaleresti solo la nostra posizione.
— Non se prima…
— Non farlo. — la voce di Celeste si era fatta dura, spettrale, ma Sarpahine non era tipo facile da intimidire.
— Bene, mettiamolo ai voti.— poi, con voce più alta: — Juliet! Leonardo! Venite qui!
Tempo due secondi ed erano schizzati in giardino. Avevano udito tutto, ovviamente, e non sarebbe stato necessario ripetere.
— Allora, vi va di fare visita a vecchi amici? 

Zona sclero

Ed ecco qui il secondo capitolo! Più corto rispetto a quelli che verranno, è semplice introduzione per quel che accadrà. Se qualche nuovo arrivato volesse unirsi alla mia splendida famiglia, sappia che basterà dire "sono qui" e, appena se ne richiederà, avrà anche lui il suo bel personaggio da inventare. 
  
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