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Autore: Julia of Elaja    25/09/2013    3 recensioni
Cell, l'essere perfetto, la creazione più geniale del dottor Gelo, è stato annientato da Son Gohan, un ragazzino che è stato capace di disintegrarlo e annientarlo; il figlio di Son Goku.
Dodici anni dopo, la vita procede regolarmente per la famigliola che abita sui monti Paoz, nonostante la perdita del padre, e così va anche per Nola Degrees, madre dell'unico vero figlio dell'essere perfetto, che ha taciuto la verità per tutti questi anni.
E se dagli inferi due alleati chiedono vendetta contro Goku e suo figlio, lì sulla terra la dottoressa Degrees escogita un piano per poter uccidere Son Gohan e vendicare l'assassinio del suo unico compagno, nonché padre di suo figlio.
Riusciranno gli alleati nel loro intento?
E il dodicenne Cratos verrà coinvolto in questa epica vendetta?
SEQUEL DE "Il piano segreto del Dottor Gelo" (ne consiglio la lettura se siete interessati a questa storia).
NB: Non è una missing moments, perciò se doveste trovare delle incoerenze di tipo temporale nella storia rispetto al manga o all'anime, non fatemene una colpa! :P
Genere: Avventura, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cell, Freezer, Gohan, Goku, Nuovo personaggio
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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“Ricordi quando ti dissi che avremmo dovuto aspettare che i tempi fossero maturi?”.
“Sì”.
“Quel momento è arrivato”
“I tempi sono maturi?”.
“Sì. Si apra il sipario”.
 
 
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Cos’è l’aria se non una miscela di gas non nocivi? Idrogeno, azoto, elio, ossigeno e tanti altri ancora… eppure è un toccasana per me inspirarla, soprattutto a prima mattina, quando appena sveglia mi alzo e spalanco la finestra.
“Ho freddo, mamma!”.
Cratos si è infilato sotto le coperte, sperando di indurmi a chiudere la finestra e dirgli “Oh, tesoro, sta’ pure a riposarti, non andare a scuola!”.
Ma da brava madre mi limito a ridere e ordinargli “Avanti, pigrone, alzati e va’ in cucina, la nonna ti ha preparato la colazione!”.
Lo sento mugugnare qualcosa in tono contrariato; ma al solo mio pronunciare la parola “Dolcetti appena sfornati” lo vedo sbucare fuori dal piumone e dalle lenzuola e precipitarsi scalzo di là.
Rido a quella visione: il mio bambino è diventato un ragazzino, ormai. Dodici anni, anche se fisicamente ne dimostra almeno diciotto. Anche la sua voce sta cambiando, diventando sempre più simile ad una che non odo più da dodici lunghi anni…
“Nola?”.
Mi volto e mi ritrovo mio padre che è sull’uscio della porta, sorridente come al suo solito.
“Cosa c’è, papà?”.
“Stamattina vai in ospedale?”.
Annuisco: “Ho una mastoplastica additiva”.
“Bene, allora torni o no per il pranzo?”.
“Uhm, dovrei esserci sì”.
“Bene! Tua madre cucina il pesce oggi!”.
“Oh, grandioso!” esclamo “Ho proprio voglia di una bella zuppa di pesce!”.
Dopo essermi diretta in cucina, aver addentato un paio di dolcetti di mia madre e chiesto a Cratos quali lezioni avesse in mattinata, mi alzo e mi dirigo in bagno, dopo aver preso un pantalone nero elegante e una camicia bianca da indossare.
A dire il vero, quando sono in sala operatoria, indosso tutt’altra roba: ma per uscire da casa non posso di certo andare vestita come se fossi in reparto! Sono pur sempre una giovane donna in carriera, io, oltre che una dottoressa. Merito o no di vestirmi bene?
Così quando scendo mezz’ora dopo per accompagnare mio figlio a scuola, con la mia ventiquattro ore piena di scartoffie da lasciare ad un mio collega, sono sotto gli occhi di tutti. Come sempre, d’altronde.
Una giovane madre trentatreenne single e con una grande fama di medico è di certo un bocconcino succulento per tutti questi padri di famiglia che conducono la loro noiosa e monotona vita, accompagnando i loro figli a scuola probabilmente sotto costrizione di una isterica moglie.
“Signorina Degrees, buongiorno!” mi saluta il papà di un amico di Cratos.
“Buongiorno, signor Kimoto” rispondo con un sorriso cordiale.
Il signor Kimoto è un uomo davvero gentile e a modo, una sera siamo stati ospiti a cena a casa sua. Una brava persona, come sua moglie Claire d’altronde: sempre così disponibili e solari.
“Se vuole posso accompagnare io i ragazzi dentro, lei scappi pure al lavoro!” mi dice infatti. Date una medaglia a quest’uomo, vi prego!
“Mi farebbe un grandissimo favore!” gli dico “Le sono debitrice!”.
“Per così poco? Si figuri, signorina!”.
Mi volto verso mio figlio e gli sorrido: “Allora ci si vede a casa, più tardi. Ti passa a prendere nonno, ok?”.
“Sì, ma’, lo so”.
“D’accordo” mormoro mentre cerco di sistemargli un ciuffo ribelle “Allora ci si vede a casa! In bocca al lupo per il tuo compito in classe!”.
“Crepi” mi grida in risposta mentre entra con il signor Kimoto e suo figlio Uru.
Cratos è veramente cresciuto in fretta: proprio come ha fatto in gravidanza, è diventato un ragazzo alto e ben formato già da quest’età, quando invece generalmente i ragazzi diventano veri uomini intorno alla ventina. Ma mio figlio, e questo lo so solo io, è speciale e diverso dagli altri.
Unico.
Perfetto.
Come suo padre.
Mentre entro in macchina e accendo il motore, ripenso a Cell, come d’altronde faccio tutte le mattine da dodici anni: ripenso ogni giorno alle sue ultime parole, ai suoi sguardi, alla promessa che mi aveva fatto quella mattina all’alba…
 
“Tornerai?”.
“Certo”.
 
Ma non era tornato. E come potevamo saperlo, d’altronde, visto che quel dannato ragazzino lo avrebbe ammazzato di lì a poco?
Al solo pensiero di quel Gohan mi si contorce lo stomaco: affondo le unghie nel manubrio mentre sterzo per raggiungere l’ospedale. Maledetto Son Gohan, maledetto tu sia!
La gente, idiota, dice che è stato Mr Satan ad uccidere Cell. Tutte balle, è stato quel dannato ragazzino dai capelli biondi e gli occhi azzurri.
Sono dodici anni che lo cerco, ma non lo trovo, dannazione!
Ma ora non c’è tempo di pensare a quel maledetto ragazzo: sono arrivata in ospedale, devo cercare di calmarmi e pensare solo ed esclusivamente al mio lavoro.
Quando indosso il camice, mi trasformo. Torno ad essere l’androide ventuno, ovvero quel che in realtà sono. Una donna combattiva, tenace, che non si arrende mai. Una donna a cui piacciono le sfide.
“Lascio le carte per le ferie qui, Nagiko?” chiedo al mio collega.
Mentre sorseggia amabilmente un caffè, quello annuisce. Lascio allora tutte le scartoffie sulla sua scrivania, poi entro nel mio studio.
Tra mezz’ora devo essere in sala operatoria. Bene, ho giusto il tempo di sistemare alcune cartelle al pc e poi potrò iniziare con la mastoplastica.
Fare il chirurgo estetico è un lavoro che mi piace molto: è pesante, certo, ma davvero soddisfacente!
Mi cambio, intanto, e indosso la mia divisa da medico, con tanto di camice sopra. Poi mi siedo alla scrivania e aspetto che il pc si avvii.
“Nola!”.
La voce di un altro mio collega, Pika, mi fa sobbalzare: è entrato nel mio studio e non me ne ero resa conto.
“ ’Giorno” saluto, con un sorriso tirato.
Questo mio collega è molto invadente. E poi ci prova di brutto, il che mi dà ancora più fastidio.
“Allora, pronta per la mastoplastica?”.
“Sì”.
“Affascinante” commenta, sorridendomi sornione.
Faccio finta che non esista e mi concentro sulle cartelle cliniche dei pazienti che ho in memoria sul pc. Devo modificarne due…
“Allora, programmi per stasera?”.
“Pizza, credo”.
“Con chi?”
“Mio figlio e i miei genitori”.
“Oh, capisco. E se ti chiedessi di prendere una pizza insieme, io e te, immagino che…”
“SCORDATELO”.
“Ho capito, va bene!” Akuro alza le mani e mi sorride.
Lo guardo per qualche istante con tutto l’astio possibile: poi sospiro e torno a concentrarmi sui dati delle cartelle.
“Hai sentito del cratere?”.
“No” rispondo secca.
“Certo che è una cosa insolita… i sismologi non avevano registrato alcuna scossa in arrivo, eppure c’è stato un terremoto così forte che ha aperto un enorme varco nella terra. Si stima che sia grande centinaia di chilometri in profondità! Si potrebbe dire che arrivi nelle viscere della terra!”.
Per una volta in tutta la sua vita, Akuro Pika ha la mia attenzione.
“Cosa?” chiedo, stupita “In che zona?”.
“Circa seicento chilometri più a nord da qui. La scossa tuttavia non si è diffusa alle zone circostanti. Una cosa decisamente strana, non trovi? Non è un terremoto normale!”.
Scuoto la testa, pensierosa: “No, infatti”.
“Ci deve essere qualcosa sotto, Nola” continua Pika “Chi lo sa, forse qualche trivellatrice che ci è stata nascosta sta mangiando la terra dall’interno, e…”.
Ma ormai Pika non ha più la mia attenzione: chiudo le cartelle cliniche online, spengo il pc, indosso il camice ed esco dal mio studio, mentre lui continua a blaterare cose insensate come “Governo ladro” o “Il Re ha un esercito segreto che vive a duecento chilometri sotto terra”.
Pika, quanto sei inutile?
Entrata in sala operatoria, con mio grande disappunto scopro che proprio Pika è il mio assistente in sala oggi. Grandioso! Sarà una mastoplastica molto sofferta, per me.
Ma, per mia fortuna, lui capisce che quando si lavora bisogna essere seri e concentrati. E, grazie al cielo, riusciamo a concludere il tutto nel tempo prestabilito, con il miglior risultato ottenibile.
“Ottimo lavoro, Pika” mi congratulo all’uscita dalla sala “ Ti sei dimostrato un degno chirurgo”.
“Mai quanto te, Nola” mi sorride. “Ehi, che ne dici se ci prendiamo un caffè, eh? Ce lo meritiamo! Anzi, vista l’ora potremmo pranzare assieme e…”.
“Spiacente! Devo tornare a casa, la mia famiglia mi aspetta!” gli dico sorridendo; che bello avere una scusa reale per scampare ad uno dei suoi soliti pranzetti insopportabili!
Quando sono vicina a casa, in macchina, mi ricordo della notizia del cratere. Accendo la radio e cerco qualche stazione dove se ne stia parlando.
Ne trovo una dove due cronisti ne stanno discutendo con notizie in tempo reale.
“L’enorme voragine che questa notte si è aperta nel nord ha mandato tutti nel panico. La scossa, di magnitudo elevatissima, non si è estesa, stranamente, alle zone circostanti. Un terremoto del genere avrebbe potuto spaccare l’intero pianeta in due parti, invece si è limitato ad aprire un varco per il centro della terra! Cosa sta succedendo? Non sarà forse l’apocalisse? Tu che ne pensi, Jakie?”.
“Oh, Fred, non so cosa dirti… è un fenomeno unico nella storia dell’umanità e di questo pianeta, credo. Inspiegabile, temo, sia il mio unico commento su questa insolita situazione”.
“Naturalmente tutti i cittadini delle zone limitrofe sono stati fatti evacuare per instabilità sismica della zona, si teme possa esserci un’altra scossa seguita da altre di assestamento! Per i prossimi aggiornamenti restate sintonizzati su radio Elm…”.
Spengo la radio mentre sospiro pensierosa: ma che storia è questa?
Mentre parcheggio la mia macchina sportiva nel mio garage privato, sento il panico invadermi come mai mi era capitato, in questi dodici anni.
Questa storia fa davvero venire i brividi: e se quella scossa ora si ripetesse qui, nella Città Centrale? Che fine faremmo tutti quanti?
Che fine farebbe la mia famiglia, e soprattutto mio figlio?
Improvvisamente ho paura; eppure dodici anni fa qualcuno mi aveva insegnato ad affrontare le mie paure… Anzi, mi aveva aiutata ad affrontare la mia paura più grande…
“Ok, diamoci una calmata, Nola!” mi dico a gran voce “Il terremoto è stato seicento chilometri più a nord di qui, quindi non c’entra nulla con la Città Centrale! Finiscila! Diamine, sei l’androide ventuno! Tu non hai paura di niente e di nessuno”.
E così dicendo scendo con fare convinto dalla mia macchina; un po’ di autoconvinzione non fa male nella vita.
Mi dirigo verso l’ascensore e fischietto per ammazzare il tempo d’attesa e distrarmi un po’: devo cercare di tranquillizzarmi ma già so che appena entrerò a casa mio padre e mia madre non parleranno d’altro se non di questa notizia preoccupante.
“Va tutto bene” penso dentro di me “Finiscila di avere paura”.
Ma mentre si apre l’ascensore, mi rendo conto che c’è qualcosa affianco alla mia macchina.
Un’ombra, dietro al pilastro.
Mi paralizzo, maledetta me, per lo spavento; perché, sapete, trovarsi un’ombra nascosta che ti spia non è che metta molto a proprio agio!
Chi sarà? Uno psicopatico? Un pazzo? Un mendicante? E come ha fatto ad accedere al mio garage? Forse si sarà infilato mentre entravo con la mia macchina…
Intanto sento i miei polmoni non gonfiarsi più per riempirsi d’aria; non riesco a respirare, dannazione!
La ventiquattro ore cade dalla mia mano e rovina a terra, mentre l’ascensore torna a richiudersi senza che io riesca a entrarci dentro.
Mi sono immobilizzata per il terrore.
“Chi è là?” chiedo, tremando, con uno sforzo sovraumano vista l’assenza di aria che mi sta opprimendo il torace.
Una risata strana, ambigua, raggiunge le mie orecchie; mi sembra maschile, eppure ha qualcosa di effeminato…
“Sei identica a come mi eri stata descritta”.
Mentre l’aria torna a riempirmi i polmoni, trovo la forza di voltarmi e guardare direttamente il mio interlocutore.
Ancora nascosto nel buio, dietro al pilastro, una figura bassa e sinuosa, un paio di occhi sottili, mi sta spiando con sguardo diffidente.
“Fatti avanti” dico, tornando ad essere me stessa; quando c’è da difendersi, lo faccio egregiamente. L’ho scoperto sempre dodici anni fa…
“Non voglio attaccarti, sciocca” commenta ridacchiando lo sconosciuto “Devo solo riferirti un messaggio”.
Inclino la testa da un lato, confusa: “E c’è bisogno di nascondersi dietro ad un pilastro per riferirmi questo messaggio? Ma chi diamine sei, si può sapere? Fatti avanti o vengo lì a prenderti a calci!”.
Forse sono un po’ troppo aggressiva, ma non mi piace questa situazione, mi mette in agitazione.
Ride ancora, una risata tremendamente ambigua, da donna direi, poi mi rivolge nuovamente la parola: “Non credo sia una buona idea. Tu limitati ad ascoltarmi”.
Sbuffo mentre gli faccio un cenno d’assenso: lo lascerò parlare, poi mi avvicinerò e scoprirò chi è davvero!
“Da parte di chi è questo messaggio?” chiedo, sospettosa.
“Non ci sarà bisogno di riferirti il mittente, Nola” ghigna lo sconosciuto “Lo capirai immediatamente”.
“Ehi! Come fai a sapere il mio nome?” gli chiedo, sorpresa.
Ma quel dannatissimo essere ambiguo non mi risponde; si limita a recitare, con la sua strana voce: “Una promessa è una promessa, e come tale va mantenuta. Ricorda le ultime parole, in quel giorno di dodici anni fa, e aspetta ancora un po', tieniti pronta. La tua sete di vendetta verrà finalmente appagata”.
Rimaniamo in silenzio per qualche istante a guardarci e scrutarci diffidenti: so benissimo quelle parole a chi potrebbero appartenere, ma voglio sentirmelo dire da quell’essere che ora mi sta guardando, dietro al pilastro.
“Lui, vero? Il mittente è lui” sussurro, mordendomi un labbro.
“E chi vuoi che sia!” sogghigna quello “Mi avevano riferito che sei una persona intelligente”.
“Anche più di te” digrigno i denti “E ora dimmi, tu chi sei?”.
“Ci tieni così tanto a saperlo?”.
“Sì”.
Qualche istante di tempo in cui rimaniamo fermi e silenziosi, poi lentamente vedo lo sconosciuto farsi avanti.
Un alieno.
Mi irrigidisco a quella visione: mi sarei aspettata di tutto, ma non un alieno!
Basso, con una lunga coda flessuosa, albino con macchie violette. Sembra quasi un robot per certi versi, ma la fluidità del movimento della sua coda mi convince che sia fatto di carne e ossa… più o meno.
“Io sono Frezeer” ghigna compiaciuto quello strano essere “E ora che hai saputo il mio nome, ti prometto che non te ne dimenticherai facilmente, Nola”.
Serro la mascella: “Cos’è, una minaccia?” lo guardo minacciosa.
E ride, come una donnicciola: “No, sciocca ragazza: io e te collaboreremo! Saremo alleati!”.
Alzo un sopracciglio: “Io non ho intenzione di collaborare con te, Frezeer”.
Un sorrisetto tirato, uno sguardo diverso: “Non è questo il momento né il luogo dove parlarne, Nola. Tu aspetta, e quando lui arriverà da te capirai tutto”.
E senza nemmeno lasciarmi il tempo di replicare, scompare da lì, andando via alla velocità della luce.
Sparito, andato.
Sarà stata un’allucinazione? Possibile?
Avrò forse inalato del gas soporifero dato al paziente, prima, in sala operatoria? Una fuga di etere, possibile?
O forse è la fame?
O, ancora, ero così suggestionata dalla notizia della voragine da avere un’allucinazione del genere?
Faccio spallucce mentre raccolgo le chiavi e la ventiquattrore che sono ancora a terra, poi chiamo l’ascensore e salgo a casa mia.
Scuoto il capo, per cercare di riprendermi: non voglio dire niente a nessuno, nemmeno a Cratos. Mi prenderebbero per pazza, molto probabilmente. No, meglio tacere tutto. Terrò per me questa cosa.
E quando arrivo al pianerottolo dell’appartamento sfoggio uno dei miei sorrisi migliori: eccomi, sono Nola, l’androide numero ventuno e, soprattutto, una brava, anzi ottima attrice.



N.d.a.

Sono tornata! Con una nuova storia, più frizzantina rispetto alla precedente! 
Mi presento ai nuovi lettori: io sono Julia of Elaja, fan sfegatata di Cell (naturalmente nella sua forma perfetta) e grande shippatrice di questo androide con vari O.C. . Avrete capito chi è il mio O.C. in questa storia, naturalmente Nola Degrees, avvenente dottoressa madre dell'unico figlio dell'essere perfetto.
Ai miei vecchi lettori che già mi hanno seguita in "Il piano segreto del Dottor Gelo" : bentrovati! :D Non ci ho messo molto a pubblicare il sequel, per la vostra gioia, ma anche per la mia. Troppe idee in testa per non metterle su un foglio! *W*
Ah, e se volete sapere com'è andato il mio esamone... ancora non si sa nulla, forse sapremo lunedì prossimo! -.-" Ah, che stress!
Ma tornando a noi: che ne pensate di questo primo capitolo? 
Pareri, commenti?
Vi incuriosisce questa trama? E l'incontro fra Nola e Frezeer a cosa porterà?
Lo scoprirete nei prossimi capitoli! Per ora vi saluto, ci si aggiorna presto ;)

Julia of Elaja
   
 
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