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Autore: lady hawke    27/09/2013    1 recensioni
Nell'Ungheria del 1300 essere una strega o un mago non è impossibile, ma decisamente complicato. Bisogna nascondersi, fingere di non avere niente a che fare con pratiche considerate demoniace e bisogna farla franca davanti ad Inquisitori e ministri di Dio. Di uno Statuto di Segretezza si continua a parlare, ma niente è stato deciso. In questo clima è cresciuta una bambina che, da adulta, verrà ricordata come Guendalina la Guercia, colei che finì sul rogo ben trentasette volte.
Genere: Avventura, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Note: Mi scuso fin da ora con la brevità di questo capitolo, per i lettori ancora in ascolto, ma credo che la chiusa di questo capitolo sia adatta e appropriata. Dilungarmi non sarebbe servito a granché se non a posticipare, ancora, l'aggiornamento. Perciò eccoci qua. Spero vi piaccia

Capitolo ventidue: ritornare

Ci volle tempo, ma alla fine le sei fuggitive riuscirono a ripulirsi. L’avere finalmente la pelle profumata, i capelli in ordine e abiti puliti fu un toccasana e fu di estremo conforto. Vennero accompagnate da Crispin nella grande sala da pranzo della casa; là stavano Hilda, Franz, Wilhelm e Guinifredo. Erano impegnati in un’accesa discussione, ma si interruppero brutalmente, quando le sei streghe fecero il loro ingresso.
- Bene. – le accolse Guinifredo, con tono freddo e piatto. – Direi che sono riuscite a togliersi di dosso la fuliggine e la paura. Ora che tutto è stato risolto per il meglio possiamo pensare di fare ritorno a Durmstrang ed affrontare le conseguenze della vostra fuga.
- Dormirete qui, stanotte. – rivelò ser Wilhelm, - La partenza sarà domattina. Arriverete a scuola ancora con la luce del giorno.
- Saremo espulse?
Guinifredo alzò lo sguardo su Megarda, che aveva aperto bocca. Non fu uno sguardo rassicurante. – No, ma questo non credo renderà più piacevole la vostra permanenza a scuola. – rispose.
Le ragazze annuirono in silenzio, rassegnate al loro destino.
La serata passò quieta e silenziosa. Alcune delle ragazze ricevettero lettere furiose dalle loro famiglie, ma non Guendalina. Aveva Hilda lì con lei, ed era una presenza sufficiente a ricordarle quanto fosse nei guai, e quanto se ne sarebbe pentita.
Hilda aveva covato la sua rabbia in silenzio, dissimulando con Franz e con il preside della scuola, ma prese a schiaffi la sorella, quando furono sole, forte come non aveva mai fatto quando erano bambine.
- Cosa pensavi di fare? Come ti è saltato in mente di venire fino qui sola, armata di scopa?
Guendalina rimase muta, sconvolta. Non avrebbe avuto modo di replicare, la sua colpa era chiara e cristallina.
- Potevi morire, Guenda. Ce l’hai un’idea di quanto sia pericoloso andare in giro a lanciare incantesimi, per una strega che non sa quel che fa?
- Non ci ho pensato…
- Tu non pensi mai. – Hilda l’abbracciò stretta, e Guenda la lasciò fare, visto che era assai meglio quello rispetto all’essere colpita. – Non volevo colpirti forte, ma sono stata arrabbiata e preoccupata per giorni, lo capisci questo?
Guendalina lo capiva, e per questa ragione scelse di ignorare il bruciore sulle sue guance, stringendo la sorella. Era sulla via di casa, e questo importava.
Partirono tutti la mattina dopo, all’alba, lasciando una Stoccolma grigia e nebbiosa. Ser Wilhelm li salutò cordialmente; Guendalina e le altre gli erano molto grate, consce del disturbo che avevano dato, e del rischio a cui avevano esposto anche lui. Salutarono con calore l’Ammazzadraghi e, a cavallo delle loro scope, miracolosamente recuperate non si sapeva bene come, partirono con Guinifredo alla volta di Durmstrang. Franz e Hilda li seguirono per un breve tratto, per poi cambiare rotta, e scendere di nuovo a sud, verso l’Ungheria.
L’unico dato positivo per Guenda e le altre, era che dovendo attendere la fine della scuola, sarebbero rientrate in case in cui la furia dei genitori sarebbe sicuramente scemata, almeno in parte.
Fu una traversata sorprendentemente rapida. Erano occorsi due giorni, all’andata, perché avevano seguito un cavaliere che rientrava senza fretta, che si muoveva a cavallo. La scopa era un mezzo che sapeva essere sorprendentemente rapido, se ben sfruttato, e tutte seguivano in scia il loro preside, che procedeva senza tentennamenti, seguendo una rotta che doveva conoscere certamente a memoria. Era così veloce che a volte per le ragazze era difficile tenere il suo passo, ma a nessuna fu concesso di rimanere indietro: Guinifredo si voltava spesso a controllarle, quasi temesse un tentativo di fuga. Era una precauzione inutile; nessuna aveva intenzione di allontanarsi, e l’unico vero impedimento era dato dall’aria fredda che pungeva gli occhi e li faceva lacrimare. Alcune di loro, in realtà, piansero per davvero, per togliersi di dosso la tensione, la stanchezza e la paura. Il paesaggio, le montagne, e i boschi, tutto scivolò loro accanto e sotto i loro piedi senza che lo notassero. La gioia vera fu data solo dalle alte e possenti mura di Durmstrang, da cui erano mancate troppo a lungo e da cui volevano disperatamente tornare.
Era ancora ora di lezioni, quando atterrarono nel cortile di pietra, e fu un bene: evitò che cadessero su di loro sguardi curiosi dei compagni di studi. In quei pochi giorni erano circolate moltissime voci, non tutte particolarmente onorevoli, e avrebbero dovuto passare un bel po’ di tempo a spiegare, chiarire e raccontare cosa fosse successo.
Avevano diritto ad un po’ di tregua fino all’ora di cena, per questo Ingalil le scortò nelle loro stanze, portando loro qualcosa da mangiare.
Nel bene e nel male ora erano a casa e al sicuro. Potevano pensare serenamente al domani.
Con il sole e l’alba riprese anche la quotidiana vita da studentesse. La punizione loro annunciata fu esemplare, ma giusta: di solito gli studenti facevano a turno per servire i pasti ai tavoli, per rassettare e per fare il bucato. Le sei fuggitive si ritrovarono a dover compiere quelle mansioni per tutto il restante anno scolastico, senza eccezioni e senza pause. La cosa aveva la doppia funzione di punirle e di controllarle a vista, poiché non rimanevano mai sole, ed erano continuamente osservate.
Guendalina rischiò di prendere a pugni un suo compagno, fermamente convinto nell’insinuare che lei era fuggita da scuola per amore. Per quanto disonorevole, Guenda preferiva la verità: per una strega un rogo era sicuramente meglio di sciocche romanticherie.
Ricevette lettere furibonde da suo padre e sua madre, a cui rispose con pazienza, cospargendosi il capo di cenere. Cominciava a stancarla l’idea di dover chiedere scusa all’infinito, ma sperava che il tempo avrebbe migliorato le cose. Per intanto, si accontentava di servire zuppa rovente a chi diffondeva voci che non le piacevano, evitare di dover tenere sulla testa secchi d’acqua gelida, e di potersi appallottolare sotto le coperte dopo una lunga giornata di lavoro.
Per le altre cinque si poteva dire che era lo stesso, anche se i rapporti tra loro si erano decisamente raffreddati. Lavoravano insieme ma parlavano pochissimo. Izabela e Iwona sembravano fare stato per conto loro, Megarda e Draga brontolavano, ognuna per suo conto, e Agnuska sembrava affetta da mutismo. Ciò preoccupava Guendalina, che sperava di poter riprendere i rapporti, così come erano stati prima di Stoccolma, ma capiva che, per ora, non c’erano le condizioni per farlo. Ognuna aveva i propri pensieri da metabolizzare, e tutto il lavoro che dovevano portare a termine le sfiniva, senza contare lo studio.

Chi avrebbe avuto molto da dire, invece, era Hilda. Aveva passato giorni bui, tesa, preoccupata e furiosa, e Franz le era rimasto vicino, spesso in silenzio, senza mai alterarsi per quel suo atteggiamento nervoso e indisponente. Era stato infinitamente paziente e buono, con lei, e gliene era grata. Senza di lui e senza Maria, che aveva stretto in un lunghissimo abbraccio, prima di salutarla, non sapeva che avrebbe fatto.
Avevano sorvolato l’Europa in silenzio, appaiati. L’aria mancava quasi, all’altitudine a cui viaggiavano, ma non si fidavano troppo, e gli Incantesimi di Disillusione che avevano lanciato non sarebbero certo durati per sempre. Avevano di recente visto come reagivano i Babbani alla magia, e non avevano alcuna intenzione di rendersi partecipi di un nuovo rogo di streghe e stregoni.
C’era ancora luce, quando raggiunsero Liberec, e per questa ragione atterrarono in mezzo alla boscaglia, per evitare di farsi vedere. Da lì, Hilda sarebbe ripartita poi da sola, diretta a casa.
- Preferisci riposarti e ripartire domani?
- No, mia madre e mio padre credo abbiano fretta di rivedermi e di parlare di Guenda…
- Oh be’, - Franz si passò una mano nei capelli color fiamma – Immagino che per loro sia un sollievo, sapere che è finito tutto bene. È stata un’idea stupida, ma poteva andare peggio.
- Guenda è stupida, quando si mette in testa queste cose, l’ha sempre fatto.
- Andiamo, Hilda. Guenda avrà avuto anche l’idea, ma l’hanno seguita in cinque, si devono dividere la responsabilità delle loro azioni, non darle tutta la colpa. – il ragazzo sorrise. – Io ne ho anche approfittato per fare una bella scampagnata, non vedo cosa potrei desiderare di più.
Hilda sospirò. – Mi dispiace averti coinvolto, con il senno di poi avrei potuto fare da sola, ma non avevo idea di quello che avrei trovato e pensavo che una faccia amica sarebbe stata d’aiuto.
- A me piace molto l’idea di essere la faccia amica a cui ti rivolgi quando hai bisogno. E, anche se è scorretto, vorrei che tu avessi bisogno di me molto spesso.
La strega rise come non le capitava di fare da più di una settimana, e abbracciò stretto il suo amico. Franz, che era ben più alto di lei, le baciò i capelli, prima di accomiatarsi da lei.
- Tornerai a trovarmi?
- Perché non vieni tu a Dazelburg, una volta tanto?
Hilda sorrise ancora, e si lasciò baciare dal mago, prima di inforcare la scopa e librarsi in cielo come un rapace, diretta a casa.
 
 





 
  
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