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Autore: _Ellie_    27/03/2008    8 recensioni
In quell'afosa mattinata dell'estate dei miei diciott'anni, ero sicura di poche cose.
1- Non avevo vinto quel concorso, nonostante ce l'avessi messa tutta.
2- Odiavo i Tokio Hotel con una perseveranza incredibile, da parte di una pigrona ed indolente come me.
3- Non avrei avuto mai la sfiga d'incontrarli. Non sia mai che cotali dei si mischino a semplicissimi mortali...
4- mi amavo! Naturalmente, mi sbagliavo su tre punti di quattro.
.-.-.-.
Allora, primo capitoletto senza pretese di una semplice ff sui Tokio Hotel. Sembra che la trama dipenda strettamente da la soundrack’s list del momento. Effettivamente, calza con la mia volubile personalità.
Genere: Generale, Romantico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Driiin.
La mia mano, incredibilmente rapida, se si considerano le condizioni semicomatose della proprietaria, schizzò da sotto il marasma di coperte e piumoni cercando a tentoni la sveglia.
 
La recuperai, e quando sentii il freddo metallo sotto le mie dita, la lanciai con un frastuono assordante verso la parete nord della mia camera.
Ll tutto senza aprire gli occhi nè uscire dal sonno.
 
Mi girai sull'altro lato, chiedendomi vagamente perplessa perchè l'avessi programmata per quell'orario inumano, le dieci di un sabato mattina nella afosissima siviglia.
 
Sospirai e mi riaddormentai.
 

 
Cos'era quella vaga sensazione di colpa?
Mi rigirai, inquieta.
E mi rigirai ancora.
Arzigogolai le braccia e le gambe nella famigerata posizione della stella marina reversus, cercando di non perdere il filo del sogno che stavo vivendo.
 
Naturalmente era tutto in fascia vietata ai minori, con un paio di brevi ed accennate, nonchè simultanee grazie alla famigerata legge di Murphy, proposte di matrimonio da parte di Orlando Bloom e Artemis Fowl.
 
Mugugnai, infastidita.
C'era qualcosa che mi faceva prudere il naso e distrare dal mio sogno.
 
Qualcosa che aveva a che fare con Mocho Vileda, Contrecourant e Tenebroso.
Oltre che con Swiffer, MrPerfezione, So'70 e OrsettoYoghi.
 
Per inciso, i primi erano i miei migliori amici nonchè compagni di band.
Gli ultimi erano i quattro mocciosi per eccellenza, le Vostre Maestà Crucche, i Mister Non-Impariamo-Lingue-Straniere-Perchè-Tanto-Il-Tedesco-Lo-Parlano-Tutti.
 
Non fatemi quelle facce, sono solo i Tokio Hotel.
 
Perchè mi suonava qualcosa di tremendamente simile a "prove con i Tokio Hotel", e la parola "concorso"?
 
(...)
 
Oh, perbaccolina.
Oggi era il concorso.
 

 
Io urlai, mia madre pure, e credo che anche il mio gatto lo avrebbe fatto se solo avesse saputo urlare.
No, si limitò a piantarmi gli artigli nel piede, quel gran...
 
Ehm.
 
Glissiamo.
Mi catapultai fuori dalle coperte con un urlo selvaggio, guardando l'orologio, accertando che avevo solo uno scarto di cinque minuti per prepararmi degnamente ad un concorso che era il sogno di tutta la band, di tutta la Spagna, di tutta Europa e di tutte le fan di quei quattro schizzati.
 
Avevo passato ore, nel garage  di Jules, a provare e riprovare, e creare e modificare il nostro repertorio, battendo sui piatti e distruggendomi le dita sui tamburi.
Era stato un grande sacrificio, ma eravamo tutti riusciti a sopravvivere: chi all'università e chi al bachillerato.
 
Ed oggi era il gran giorno.
Ed io ero in un ritardo mostruoso!
 
Aprii l'armadio, afferrando il primo cambio che avessi sottomano.
Mia madre, capendo l'antifona, mi lanciò una mela e le chiavi della moto sul letto, esattamente quando finii di vestirmi.
 
Occhiali dalla montatura nera, zero trucco, uno schiaffo di acqua gelida sul viso per togliere gli ultimi residui di sonno ed i capelli tenuti a bada da un paio di bacchette d'argento.
 
Con uno scatto da far inividia ad un centometrista olimpico, afferrai lo zaino, le bacchette della batteria finirono nelle tasche profonde dei jeans, salutai mia madre e infilai la porta di casa.
 
Da far invidia ad una smaterializzazione di Harry Trotter.
 

 
Il tutto può essere riassunto in un susseguirsi di suoni.
 
-¡Coño, mira adonde vaaas! { Qualcuno che diceva morte e peste della mia guida.}
 
Screeec! {Strisciata della moto all'incrocio. Ovviamente era rosso, e io, ovviamente, me ne fregai.}
 
-¡El rojo, hijaputa! {fine imprecazione da parte del tassista di turno. per aver passato con il suddetto rosso.}
 
Anf, anf. {La sottoscritta correndo per le vie del centro, alla ricerca dell'edificio CajaSol, dove si sarebbe tenuto il concorso.}
 
-Ma sei arrivata dal Burundi, tu?! {La voce ansiosa di Carmen, scuotendo i rasta.}
 
{Passi di corsa sulle scale.}
 
Un'attesa di appena cinque minuti, dato che agli altri era toccato fare la coda per me, e fummo fatti entrare.
 

 
-Allora, gruppo 567... il vostro nome?
 
Carmen, si fece avanti decisa.
Se era preoccupata non lo dava decisamente a vedere. Sembra la stesa faccia di bronzo di sempre, ma io sapevo che, sottosotto, aveva una paura micidiale.
 
-The Skylight.
 
Sguardo distratto da parte della segretaria, mentre un uomo picchiettava impaziente la sua stilografica.
Un terzo ometto pelato appuntò il nostro nome, chiedendoci altre formalità.
 
-Vocalist?
 
Sollevò un momento gli occhi dal foglio, il giusto per osservare la bassottina coi rasta bianchi e la pertica bohemienne dire il loro nome.
 
-Carmen Medina-Müller e Eduardo Ramirez-García.
-Chiatarrista?
-Gli stessi vocalist.
 
I presenti inarcarono le sopracciglia, ma senza mostrarsi troppo sorpresi. dovevano averne viste di tutti i colori, quel giorno.
 
-Bassista?
 
Un biondino dall'aria angelica e con il pircing al labbro inferiore disse allegramente il suo nome.
 
-Jules Uturria-Gramont.
 
Aria scettica verso il nostro bassista. Più che altro verso i suoi tatuaggi così colorati.
 
-Batterista?
 
Un'occhiata distratta all'ultima rimasta appoggiata al davanzale della finestra da cui penetravano caldissimi raggi di sole, ad i suoi pantaloni larghi ed ai suoi occhiali dalla montatura nera. ai suoi capelli raccolti da due bacchette argentate, ed alle sue mani che distrattamente facevano muovere una bacchetta.
 
-Milena Macchi.
 
Un cenno d'assenso da parte dell'omino pelato e dagli occhi troppo piccoli. Stancamente, si diresse verso una porta bianca opposta a quella da cui eravamo entrati. tutti lo seguivamo con lo sguardo, imbracciando i nostri strumenti, chi li aveva, o le sue bacchette, come me.
 
Ci guardammo, quasi a rassicuraci circa una nostra possibile riuscita. espressione determinata, sorriso sulle labbra, no panic, no fear.
 
E quando l'omino aprì la porta, fu come se ci avesse aperto la porta della rivalsa, del riscatto.
Una stupida porta bianca che speravamo ci avrebbe dato quella possibilità di gridare al mondo: ehi, ci sono anch'io.
 
Un sospiro silenzioso risuonò per la stanza, mentre ci si avviava tranquillamente verso la sala prove.
 

 
-Avete a disposizione tre canzoni. Una dovrà essere dei Tokio Hotel, l'altra una cover di un qualsiasi altro artista e la terza una vostra creazione.
 
L'omino si posizionò dietro la vetrata della sala prove, mentre tutti noi prendevamo posto.
 
Jules imbracció la sua bestia, un Sandberg da un anno di risparmio costante, senza discoteca e dietro la cassa di un Burger King, il tutto per un essere di prima qualità, verniciato in un discreto nero a righe bianche.
Si lambì nervosamente il pircing con la lingua, mentre una mano correva a sistemare il ciuffo biondo. La maglietta grigia lasciava intravedere due dei suoi quattro tautaggi: una stella sul braccio sinistro ed uno stemma sul braccio destro. Jules trasudava inchiostro, il tutto per ricordargli tre o quatro avvenimenti che gli sconvolsero la vita: aveva sempre avuto la paura di dimenticare cose, o di perdere la sua strema dolcezza per strada. Dolci occhi castano chiaro si diressero verso di me, facendomi un'occhiolino simpatico.
 
Eddie si sistemò le maniche della camicia dalla fantasia a rombi bianchi e neri, mentre i capelli castani e mossi velavano lo sguardo freddo dei suoi occhi verdi. Le labbra sottili erano perennenente piegate in una smorfia di noia, derivato da un'autostima inspiegabilmente alle stelle.
Si passò una distrattamente mano sul mento, mentre la sua bella, una Gibson che da sola valeva due anni di stipendio di un impiegato medio spagnolo e che per lui non erano niente, pendeva dalla sua spalla. Alto ed altletico, svettava su tutti noi di quasi cinque centimetri.
 
Lanciò un'occhiata complice a Carma, che si passava la chinghia della sua chitarra sopra la voluminosa capigliatura rasta, dall'inquietante colore bianco. Si aggiustò con cautela la fascia di paillettes grigie che manteneva il groviglio in relativo ordine, mentre con l'altra mano si preoccupò di sistemare la sua Gibson di uno squillante colore blu elettrico.
Hippy, gotica, nevrotica e tappa. Nonostante tutto, l'anellino al centro del carnoso labbro inferiore ed il trucco grigio e violetto le davano un'aria angelica. Smentita da un onnipresente sorrisetto sardonico e dalla scintilla vivace nei suoi occhi blu scuro.
 
Io, nel mentre, finii di mettermi il nastro adesivo bianco sulle dita. Ogni falange delle mie dieci dita era protetta, e riuscivo a muovere perfettamente ed indipendentemente ognuna di esse.
 
Era un gesto che avevo sempre considerato pari ad un rito, e per il mio carattere flemmatico tendente all'isterico era un vero toccasana.
 
Sorrisi tranquilla, mentre sgranchivo la schiena e le braccia. Mi sentivo pervadere dall'adrenalina, e questo era sempre un buon segno.
Rivolsi la mia attenzione a quel gran pezzo di batteria che avevo di fronte. Fischiai ammirata mentre accarezzavo distrattamente i piatti della batteria. Ogni suo componente era delle migliori marche, dai tam-tam alle grancasse, passando per i piatti. Vi era una possibilità di suono eccezionale, e se il batterista dei Tokio Hotel aveva quello stesso modello... Beh, aveva tutta la mia ammirazione, oltre che la mia invidia.
 
Le bacchette volteggiarono veloci tra le mie dita, e mentre aspettavo che tutti fossero pronti, mi esercitai in un assolo, giusto per prendere confidenza. oltre che per stupire gli evntuali giudici.
 
Modestia portami via!
 
Non era la mia cara, vecchia Berta, ma si poteva fare.
 
I miei occhi grigi osservarono il gruppo.
Eravamo ok, avevamo tutto in regola per vincere.
E perchè non farlo?  
 
La voce rauca e strascicata di Eddie fu quella che parlò per tutti.
 
-Allora... inizia Carma con "Dar Letzte Tag", poi io con "Wonderwall" e concludiamo con "I'm sorry", sempre Carma.
 
Annuimmo, chi serio, chi allegro e chi nervoso.
 
-one, two, tree.
 
Con una sincronia perfetta, attaccammo.
 
Here we are people. Here. We. Are.
 
-...-
 
-Oh. Mio Dio. Ohmmioddiooo!
 
Carma saltellò di gioia di quà e di là, agitando la folta capigliatura, incurante della possibilità del poterci cadere dal parapetto del ponte di Triana.
Le macchine sfrecciavano veloci alla nostra sinistra, lasviandoci a mordere la polvere,  mentre il sole abbrustoliva asfalto e passanti.
 
Trent’otto gradi c’erano e si facevano sentire!
 
-Senti, Mocho, è tutto ok...
 
Intervenni io, quasi infatidita da tutta quella allegria.
Lei si girò verso noi tre che la seguivamo, tranquilli ma soddisfatti.
Il suo sorriso da un orecchio all'altro era tutto un programma.
Gli occhi brillavano di gioia e non avebbe permesso a nessuno di classificare l’evento come “ovvia routine”.
 
-Santissimo, non abbiamo mai, e sottolineo il mai, suonato così bene!
 
Saltellò ancora per ribadire il concetto, la gonna in tulle grigio come una nuvola attorno a lei e l'espressione sognante sul suo viso da folletta.
 
-Effettivamente... quella sì, che era armonia.
 
Eddie si aggiunse, sorridendo obliquamente. L'andatura svagata, l'espressione indolente, mentre con una mano si scompigliò i capelli, gesto che mandò in visibilio due o tre ragazzine circostanti.
 
-Giusto!- ridacchiò allegramente Jules -altri due concerti del genere, ed avremo i locali di Siviglia ai nostri piedi.
 
La sua pelle pallida riluceva al sole, una cuffia del'i-pod pendeva onnipresente dall'orecchio destro ed una dolce espressione di pacificità e soddisfazione gli rilassava i lineamenti.
 
Inarcai il sopracciglio e schioccai la lingua, scettica. Le mani stancamente affondate in jeans troppo larghi, il contrasto tra la mia pelle abbronzata ed il bianco della mia maglietta smanicata, la felpa che dondolava dai miei fianchi troppo rotondi per falcate troppo amplie.
Schioccai la lingua un'altra volta, scazzata, per attirare meglio l'attenzione.
 
-Dubito che i bar de tapas cambieranno il classico flamenco per qualcosa che sembri lontanamente straniero... eeeeh, no- stroncai sul nascere le proteste di Jules con un gesto secco della mano. - I bar dell'Alameda hanno già i loro gruppi fissi. Non li cambieranno per un gruppo di novellini come noi, lo sai.
 
Conclusi il mio discorso con una nota sarcastica ed una smorfia acida sulle labbra, senza guardare nessuno in particolare e impegnata a liberare le dita dello scotch bianco che aveva protetto le mie dita durante il saggio.
 
Improvvisamente un braccio magro circondò la mia testa, e subito dopo una mano passò tra i miei capelli neri, scompigliandoli e facendomi male. 
 
-Ah, com'è pessimista, la nostra italiana preferita... Su con la vita, che fino a prova contraria è solo morto Nietzsche, e non Dio!
 
Risata generale, anche da parte mia. Essendo quella del gruppo che vede il bicchiere perennemente mezzo vuoto, sono abituata a prese per il culo varie ed eventuali. Nonostante tutto, Jules era convinto che un giorno anch’io avrei iniziato a credere al suo "make love not war".
Mezzo francese e mezzo vasco, presenza costante e amico fidatissimo, leale ma, soprattuto, ascoltatore e comprensivo. Una persona che dopo dieci anni che la conosci ti fa ancora dubitare il tuo meritartela.
 
-Che vuoi che sia? Per lei il mondo è una continua gradazione di nero!
 
Nonostante Carma parlasse così, non era messa meglio di me. La mia igliore amica era indisponente e sarcastica come un gattino, i suoi artigli ferivano, ma sensibile e fragile come un poeta romantico dell'ottocento, le sue pippe mentali erano il non-plus-ultra per un'emicranea assicurata.
Per lei Murphy, con tutta la sua sfiga, sarebbe stato l'amante perfetto. In diretta da Berlino e da Siviglia, ecco a voi la scalmanata Müller. La famiglia è quello che si sul defnire “un’emerita sconosciuta”. Ricca come pochi, ma sola come troppe persone a questo mondo.
 
-O di verde... non dimentichiamoci che ha strane e turpi passioni per i prati...
 
Risata generale, verso indignato da parte mia.
Eddie, semplicemente era fashion victim, international pepole, oltre che gran menefreghista. Spagnolo, sevillano da generazioni, ma assolutamente discostante dal prototipo internazionale. Più grande tra tutti noi, già da un anno e mezzo all'università. Maturo, anche se a volte si dimentica tutta questa sua supposta saggezza. Difficilissimo entrare nelle sue grazie e difficilissimo uscirne, e noi altri ancora ci si chiedeva come mai ci fossimo finiti proprio noi.
 
Mi guardò di sbieco, per poi sistemarmi una ciocca dietro l'orecchio.
Mi sorrise, tranquillo, mentre Jules e Carma cercavano di scaricare l'uno sull'altro il peso degli strumenti, dato che la prima legge universale non scritta sancisce che: Eduardo non porta MAI la sua chiatarra. Che gli altri si arrangino come possono, che non è affar suo.
 
Mi diede un colpetto sulle spalle.
-Se son rose, fioriranno.
 
Spaziando con la vista sul ponte in ferro battuto di Triana, con di fronte a me la grande giratoria di Plaza Argentina e i grandi blocchi di palazzi residenziali, le insegne di allucinanti colori di marche di alcolici e macchine, osservando il verde polveroso dell'acqua del Guadalquivir ed il cielo di un vivido azzurro, così enorme sopra Siviglia, mi ripetei tra me e me le sagge parole di Eddie.
 
-Se sono rose, fioriranno.
 
E corsi verso i due casinari, pronta a lanciarmi nella mischia, ed uscirne morta di risate.
 
...
 
Sì, decisamente quella non era giornata.
 
-Mamma!
 
Una risposta stanca proveniente dalla cucina mi avvertí che mia madre non era in vena di scazzi, oggi.
E la mia voce acuta e con un evidente tono da sto-per-rompere, ne era la prova.
 
Mi affacciai sulla soglia, osservando la mia giovane, ma non per questo meno hitleriana, mütter pelare le cipolle. Senza neppure piangere, tra l'altro.
Era più probabile che piangessero prima loro, che lei.
 
-Mamma- ripetei -nè che hai visto le mie bacchete, vero...?
 
Mi preparai mentalmente a ripercorrere il copione.
 
Mia madre avrebbe consigliato di guardare sotto al letto, come sempre...
-Hai guardato sotto il letto?
 
Appunto. Ccchi al cielo da parte mia e sbuffare scocciato.
-Sììì, già fatto...
 
Pcchiata scettica e raggelante da un paio di occhi verdazzurri che ricordavano il mar mediterraneo.
 
-No, che non l'hai fatto.
 
La guardai, stupita. Come kaiser faceva a saperlo?
 
-E tu...?
-Non hai nugoli di polvere sui capelli, e non ho ancora sentito un'esclamazione schifata riguardo al pezzo di pizza che, guarda caso, non trovavi più... E vorrei ricordarti che ne sono passati tre di giorni da quando hai ordinato e perduto quella pizza...
 
Ridacchiai, imbarazzata.
Sorriso obliquo da parte di mamma, impegnata nella preparazione del famoso pollo al curry.
 
Rassegnata, andai in missione sotto al letto, e, dopo un'efficace e quanto mai perglioso slalom di insidiosi oggetti (tranci di-non-so-che-cosa, molle, resti di civiltà scomparse, peluches, riviste per un pubblico femminile ma vietate ai minori, che di certo non si dilungavano nei pregi di una vita bucolica), recuperai con esito le bacchette ed il mio paio di  calzini fortunato (ovviamente verde) e andai vittoriosa in cucina da mia madre.
 
-Ah-ah! Veni-vidi-vici! Altro che cesare...
 
Le diedi una bacio frettoloso sulla guancia, tra la padella dell'olio ed il tagliere infarinato.
 
Era ormai passata una settimana dall'esibizione e me ne avevo fatto una ragione di tutto quell'anno sprecato in prove con la band. Avevo rinunciato ai miei sogni di gloria ed ero tornata la solita allegrona.
Incredibile ma vero, anch'io posso esserlo.
 
Stavo andando appunto a delle prove con i miei amici.
Ufficialmente. Ufficiosamente, ero pronta per andarmene in girella.
 
Ma mia madre non era dello stesso avviso.
Mi bloccò con un'ironico -e tu, dove pensi di andare...?
Bloccandomi sulla soglia.
Acci.
 
Deglutii, indicando la porta con la vaga speranza di scamparmela all'ultimo minuto.
-Vado a delle prove con gli altri...? Daaai!- le chiesi supplicante vedendo la sua occhiataccia molto poco materna -sono in ritardo da mezz'ora...
 
Risolino perfido da parte sua.
 
-Ci pensavi mezz'ora prima, milena.
Buttò i pezzettini di pollo insalsati nell'olio, e quelli gemettero con uno sfrigolio solidale.
 
Quella era la frase tipica, seguita da un classico “ed il salotto, pensi che si trovi bene, così com'è?" o un fantasiosissimo ""fatti la stanza, nonostante tu la trascuri, lei ti ama ancora. o non capisco come faccia il letto a non sputarti fuori da quel groviglio di coperte tutte le notti per vendetta".
 
-Amò, pensi che riuscirò a passare l'aspirapolvere in camera tua senza incontrare qualcosa di molto simile al caos primordiale?
 
Questa donna mi sorprende sempre.
 
-Beh, se non toccassi il pavimento, o respirassi l'aria, o cercassi di scalfire lo spazio fisico e metafisico della mia stanza, potresti sopravvivere...
 
Scosse la testa, divertita, poi con un imperioso ed implacabile gesto della mano, mi diede la mia condanna.
 
-Fila riordinare, sfaticata.
 
Le tentai tutte per corromperla, ma dopo che neppure un massaggio al collo ebbe i risultati sperati, mi limitai a sbuffare, per poi dirigermi mogia in camera mia.
Solitamente non ero così obbediente, ma sì ci tenevo alla mia vita, ed oggi era uno di quei giorni in cui o si ubbidisce, o si finisce veramente male.
 
Con un passo strascicato mi diressi in camera mia, afferrando nel frattempo il cordless dalla consolle del corridoio.
 
Era strano il fatto che un paio d'italiane come me e mia madre si trovassero catapultate in una città così distante dalla loro, come lo era Siviglia.
Scherzi del destino, o dei bandi di concorso universitari, è la stessa cosa.
 
Incredibile anche come io e mia madre fossimo così diverse.
Allegra, spigliata, e capacissima di fare le ore piccolissime con i suoi amici, lei.
Timidona tendente all'aggressivo, di quelle che la notte tornavano massimo alle due e decisamente lunatica, io.
 
Eravamo all'opposto, e meno male. Vivere con il doppio di una di noi due, sarebbe un incubo.
 
[Ancora non sapevo che quello sarebbe stato il mio incubo in futuro...]
 
Mi buttai sul letto e composi un numero che sapevo a memoria.
 
-Hallo?
-Wie geht's, Carmen?
 
La sua voce ridacchiò allegra, rispondendomi in un perfetto tedesco. Eh, ‘sti bertoli, lei ha origini tedesche e gioca sporco. Io, povera mortale, devo studiarlo e sudarci sangue come tutte le persone di questo mondo che non sono nate crucche o non sono cresciute in Cruccolandia.
 
-sopravvivo, Milo. Da sola, visto che i miei non ci sono. Deduco dal tono che il tuo tentativo non l'ha sfangata...
 
Sbuffai, scocciata, mentre con gesto distratto afferravo una freccetta, calibrando il tiro e prendendo la mira.
 
-Eh, no. Inventarsi che dovevo venire a delle prove non ha funzionato. Te l'ho detto, mia madre ha il sensore per queste cose.
 
Ready... Set... Go! Ed ecco che sul labbro di Tom Kaulitz si ferma vibrando una freccetta. Originale, l’utilizzare un megaposter dei Tokio hotel come valvola di sfogo e come bersaglio per le freccette.
 
-Deduco dai tuoi gridolini di gioia che ancora una volta hai preso di mira il piercing di Bill Kaulitz!
 
Disse Carma, a metà tra rassegnata e divertita.
 
-Ma no.
 
Breve pausa ad effetto da parte mia.
-Volevo ben vedere, lasciami stare bill.
Continuai io, serafica.
-Questa volta è toccato a Tomi.
 
Sbuffo da parte della hispano-germanica.
-Sei incorregibile, adesso vengo io e li salvo tutti, ecco.
 
Ridacchiai.
-Ottimo, Carmencita.
 
Ringhiò.
-E non chiamarmi Carmencita.
Continuai, imperterrita.
-Carmencitaaa...
 
Lei, assolutamente tranquilla, buttò lì un vago- Non trovi che i centri da freccette interattivi siano più divertenti...? Perchè non utilizzare te, la prossima volta?
 
Mi finsi sconvolta.
-Mi arrendo, mamma ha preparato pollo al curry per pranzo.
 
Gridolino estasiato da parte sua.
-Di’ a tua madre che la amo, e tu- aggiunse ringhiando- non toccare più quel poster finchè io non posso materialmente difenderlo.
-Provvederò a crivellare Georg, allora. Ma Yoghi non lo tocco, don't worry...
 
E chiusi la telefonata, prima che potesse replicare.
 Mi buttai sul letto, letteralmente, affogando in un marasma di piumoni e coperte.
In quell'afosa mattinata dell'estate dei miei diciottanni, ero sicura di poche cose.
 
1- Non avevo vinto quel concorso, non ostante ce l'avessi messa tutta.
2- Odiavo i tokio hotel con perseveranza incredibile da parte di una pigrona ed indolente come me.
3- Non avrei avuto mai la sfiga d'incontrarli. non sia mai che cotali dei si mischino a semplicissimi mortali...
 
4- Mi amavo!
 
Naturalmente, mi sbagliavo su tre punti di quattro.
 
 
...
 
 
No. Mi rifiuto categoricamente di crederci. tutto questo non è vero.
 
Sro appoggiata alla porta della cucina, con l'incarico di andare a prendere qualcosa da bere per tutti. Mi passai le mani sulla faccia accaldata, ancora in stato di shock.
 
Mia madre non stava parlando un fluido e formale tedesco con David Jost, il menager dei Tokio Hotel.
In salotto non c'era, non c'è e non ci dev'essere nessun menager che mi dice che ho vinto IL concorso.
Eh, no, non avevo nessun biglietto prenotato per un kaiser di treno che da lì a due giorni mi avrebbe portato da Siviglia a Madrid, dove i Tokio Hotel stavano tenendo il loro ultimo concerto della stagione.
 
E che caspio, il destino dovrebbe avvertirti, quando sta per cambiarti le carte in tavola.
 
Ero appena tornata da un’intensa sessione di pattinaggio quando, appena svoltato l'angolo, avevo notato subito che c'era qualcosa che non andava.
 
Che caspio ci faceva una BMW descapottabile ultimo modello ed un SUV nero in fila indiana e con un allineamento talmente esatto che sembrava fosse stato fatto con una riga a controllare le distanze, sotto casa mia?
 
Deglutii, trovandomi a fare i gradini di casa a quattro a quattro. Aprii la porta di casa di schianto, precipitandomi dentro.
 
-Mà! Stai bene?!
 
Una voce allegra proveniente dal salotto, mi informò che mia madre era ancora viva, e no, la mafia non stava cercando di torturarla per avere in affidamento la quarta meraviglia universale.
 
Che sono io, ovvio.
 
Con il fiato corto, mi precipitai in salotto, passando per l'anticamera verde acqua, il corridoio ocra e bianco ed arrivando nel succitato salotto bianco ghiaccio.
 
Mi avvicinai a mia madre, dandole un bacio sulla guancia, frutto della mia preoccupazione.
Poi osservai l'uomo che sembrava lievemente a disagio dalla situazione così intima. Sembrava simpatico, ma si vedeva lontano un miglio che non era di quei menager che descrivevano nelle pubblicità e nei film di serie Z. No. Lui era della nuova razza, quelli dal completo dal taglio sportivo, senza valigetta in pelle e cellulare all'orecchio ma con laptop-pc e Ray-Ban a goccia.
 
Poggiai una mano sulla spalla di mia madre, rimandendo in piedi. Indossavo ancora i miei roller-blade.
Cosa che l'uomo notò e indicò, sorridendo.
 
-Oh, esercizio fisico. credo che andrai decisamente d'accordo con Gustav.
 
{ Quale gustav?}
 
Lo disse in inglese, ma mia madre rese nullo il favore, dato iniziammo a parlare tedesco tutt’e due.
 
-Milena, questo signore è David Jost, il menager dei Tokio Hotel, oltre che ambasciatore della lieta novella.
 
Mia madre mi sorrise, rassicurante.
Deglutii.
No, non dirlo. Mi ritrovai a pregarla.
 
-Milo, i Skylight hanno vinto il concorso.
 
Oh, mammina santissima.
Riuscii a conservare il sangue freddo, dopo tutto. Caspio, che flemmatica.
Tesi la mano, seria. Un piccolo sorriso di circostanza increspò le nostre labbra.
 
-Piacere, Milena Macchi.
 
Here we go. Here. We. Go.
 
-...-
 
-No.
-Sì.
-Nonono.
-Sììì.
 
Ripetei io, scazzata. Mi attorcigliai il filo del telefono sull'indice, mentre gli occhi correvano a sincerarsi della presenza di quei pass che avevo buttto sul letto quasi con rabbia, mezz'ora fà.
 
-Ripetimelo tutto, non ci posso credere!
 
Sbuffai, strofinandomi gli occhi.
 
-Sì, abbiamo vinto quel dannatissimo concorso. E no, non è un sogno. E sì, tra meno di una settimana vedrò quei mocciosi per un primo impatto.
-Oh, perbaccolina.
 
Ecco. Sì, perchè noi siamo educate, ed essendo delle rocker dure e pure, non bestemmiamo mai.
Vi prego, tiratemi fuori di qui. Tiratemi. Fuori. Di. Qui.
 
 
.-.-.-.-.-.-.-.
 
Avverto, non so se la finirò mai questa ff.
 
Per il resto:
 
Dar Letzte Tag – Tokio Hotel.
Wonderwall – Oasis.
I’m Sorry – Flyleaf.
 
Per adesso, la nostra Milo sembra essere disposta a tutto meno che a una convivenza pacifica.
Riusciranno i Tokio Hotel a non decidersi ad effettuare il primo batteristicidio di massa della storia?
Chi sarà il fortunato (ma anche no) a beneficiare delle attenzioni di Milo?
Riusciranno ad integrarsi i membri delle due band?

Lo sapremo alla prossima puntata. <3<3<3
 
Credo che sarebbe enormemente proficuo per me ricevere mazzate, critiche o benedizioni.
A vostra scelta.
 
Bexotes!
 
 
   
 
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