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Autore: tagliarsi_con_gli_origami    28/09/2013    5 recensioni
Harry Styles vive in una villetta a schiera di Richmond con sua sorella Gemma.
Louis Tomlinson è un ex calciatore dalla carriera stroncata da un infortunio, e si muove a malapena nel disordine cronico del suo attico in centro a Londra.
Harry e Louis si incontrano in un bagno a Covent Garden.
Potrebbe essere l'inizio di qualcosa, se Harry non fosse già legato all'unica donna della sua vita, Darcy, la sua bambina di sei mesi.
Harry e Louis si incontrano in un bagno. Forse finirà così, perchè Louis di bambini non vuole nemmeno sentir parlare.
Harry e Louis si incontrano in un bagno, in un vialetto, ad un barbecue, nel mezzo di due vite che forse non dovevano nemmeno scontrarsi.
Impronte di mani diverse sulla parete bianca di una cameretta per bambini.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Barbecue, erba tagliata e borotalco.

 


Alice: How long is forever?
 White Rabbit: Sometimes, just one second.
(Alice in Wonderland, Lewis Carroll)
 

 
Eleanor ha dei bei capelli, una sfumatura calda e corposa, densa, e nemmeno la luce grigiastra che si  fa strada a deprimenti gomitate nell'aria viziata del suo ufficio ne smorza i riflessi all'henné sulle punte.
Anche in quelle mattine in cui il telefono squilla dodici volte in mezz'ora, e c'è da approvare il rendiconto delle spese di un mese e mezzo, quei riflessi scuri riescono a confortarlo.
Ha una bella pelle, e un odore gradevole, di appena steso ad asciugare e stirato di fresco.
Completi di alta sartoria, tagliati un po' troppo sopra il ginocchio forse, ma mai abbastanza da lasciar intravedere niente di più di quello che Lou potrebbe semplicemente immaginare. Quel giorno ha virato su una camicetta azzurra e una gonna blu scuro. Semplice e professionale. Come sempre, anche alle sei del mattino, quando riceve strane telefonate da parte sua per rintracciare un  certo Harry Styles di Holmes Chapel, che vive a Londra, e fa il fotografo, ma prima ha fatto il panettiere, e forse domani potrebbe inventarsi cabarettista. O rock star. 
Aveva un completo simile a quello, un anno prima, quando l'ortopedico ha cassato definitivamente la sua cartella clinica.
“Niente da fare” ha detto “mi dispiace davvero, ma il suo ginocchio non regge più”. 
E basta. Lapidario e professionale come un becchino.
Lei è stata brava a gestire quella crisi, come mille altre. Un capo con la fastidiosa abitudine di comportarsi da primadonna bipolare, e una manica di coglioni per colleghi.
È grande con le pantomime diplomatiche – lei – e non importa quante ore corra da una parte all'altra dell'ufficio, o quante telefonate debba intercettare prima che arrivino al numero privato di Louis interrompendo bruscamente rodati rituali di the ad ogni ora del giorno e della notte, non suda mai. 
Nemmeno nelle uniche due deludenti volte in cui hanno fatto sesso, una in ufficio e l'altra a casa di Lou, dopo una cena di lavoro al giapponese e una vertiginosa quantità di sake. 
Ma d'altra parte, in certe situazioni, il sesso è qualcosa di accessorio, estremamente sopravvalutato e teso. E lei è piacevole: un buon odore e una conversazione stimolante, interessi multiformi e un sorriso aperto e disponibile, anche a dare indicazioni nel suo francese un po' stentato.
Louis non ha mai pensato a Eleanor come a qualcuno per cui scusarsi e andare in bagno a smaltire una vistosa erezione, ma riesce a parlare di qualcosa che non sia la sua carriera fottuta e i suoi progetti confusi descritti a sbuffi e imprecazioni dietro una nuvola di fumo di sigaretta al mentolo.
E forse si dovrebbe rispolverare la cara vecchia conversazione fra adulti consenzienti, anziché scorrere a sfilarsi le mutande ogni quarto d'ora.
Però c'è da dire che ci sono giorni in cui è difficile restare concentrati, perché la piega dei pantaloni sfrega contro i graffi sulle cosce, e ogni movimento brusco è una fitta di dolore a qualche muscolo. Louis ha sempre provato un piacere un po' masochistico nell'assaporare i dolori del sesso. Una strana mania da voyeur e una sfumatura di soddisfazione quasi ginnica nel riconoscere negli scricchiolii e le fitte lancinanti nient'altro che movimenti e morsi.
E Harry Styles ha sicuramente la mano pesante nell'autografare le sue opere. 
Quell'impronta di incisivi sulla sua natica sinistra brucia ancora dopo tre giorni.
Ecco, forse è uno di quei momenti in cui sarebbe per lo meno opportuno scusarsi con Eleanor e smorzare sul nascere quel principio di erezione.
“Lou” lei non sembra avere bisogno di scuse per intercettare la carica di pensieri poco ortodossi filtrati attraverso il suo sguardo.
Non ha mai imparato a mentire con gli occhi, Louis Tomlinson. Sa sorridere e dissimulare, e deviare, e infiltrarsi fra le bugie come un veterano di guerra, ma i suoi occhi restano fermi sulla verità, anche quando la sua lingua srotola finzione.
“Siamo in rosso, facciamo schifo, dobbiamo pagare gli stagisti” Eleanor inarca un sopracciglio appena depilato da qualche pazza thailandese con le unghie affilate, e sbuffa
“Harry Styles, il tizio che mi hai chiesto di stalkerare. Ho il suo indirizzo” fa scivolare un biglietto da visita sulla scrivania incasinata, straripante di fogli evidenziati e un paio di riviste di vela aperte sull'oroscopo. “Ha una pagina su Facebook, una mia amica ha messo mi piace e l'ho contattata. Ha fatto le foto al suo pacchianissimo matrimonio tre mesi fa. Credo di aver capito che ha la camera oscura in garage o qualcosa di simile. Lei c'è stata per vedere le foto e ha scritto il suo indirizzo dietro il biglietto” scrolla le spalle, facendo scorrere l'indice sul bordo del foglio ripiegato. Louis osserva inebetito il rettangolo di carta, l'inchiostro nero marchiato a fuoco in un carattere un po' troppo originale, e quelle poche parole scritte frettolosamente a penna.
“Quanto hai detto che ti pago?” lei ride, riavviandosi i capelli dietro l'orecchio
“Poco” 
Louis si rigira il biglietto fra le mani. Non è esattamente da sfigati imperdonabili quello che ha appena fatto, ma sicuramente è da top 10. Anche top 3. 
Chissenefrega. La mia chiappa destra è ancora troppo intatta.


***

Zayn con il cappello di carta in testa è preoccupante. 
In senso positivo. Ma anche un po' spaventoso. 
È Harry, di solito, quello con l'insana passione per i cappelli, i berretti, le cuffie. Meglio se invernali, caldi, di lana, avvolgenti. I cappelli che premono contro le orecchie e i pensieri, che ammutoliscono tutto per un attimo. 
Quando Darcy è nata, nel panico, le ha comprato un berretto di lana grande tre volte la sua testa. A forma di panda. Aveva gli occhi storti e la lingua viola.
Ma era nel panico.
Era padre. Cazzo. Padre.
E non è nemmeno più abituato a dire “Cazzo”, perché Gemma lo ossessiona con la storia che i bambini imparano e ripetono tutto quello che sentono.
Dopo l'inquietante esperienza del panda, ha cominciato a comprarle un cappello alla settimana. La sua cameretta è tappezzata di sombrero, baschi, orecchie da coniglio e strani cappelli da Rangers australiani che Harry si diverte ad indossare ogni tanto, cullandola per la stanza con quel nervosismo da principiante che non riesce a scacciare, comunque, dopo sei mesi.
E così le pareti sono una strana accozzaglia di decorazioni, foto, poster di band famose che lui ama farle ascoltare al giradischi a volume che sua sorella definisce “illegale”, e impronte. 
Le mani di Harry, le mani di Darcy. Pittura rosa e piccole mani che piano piano crescono, dal battiscopa fino al soffitto, si nascondono dietro i capelli e rispuntano fuori. 
Un'impronta al mese.
L'odore del barbecue filtra attraverso le finestre chiuse. Forse da sotto la porta, chi lo sa. Ma non resta mai fuori, impregna ogni cosa.
Niall è un purista degli hamburger, Liam è sempre in imbarazzo a farsi vedere mentre beve birra, specialmente da Gemma, specialmente quando Darcy ha gli occhi spalancati su di lui e gorgheggia strani versi. 
A Harry piacciono le pannocchie, il mais, e gli strani accostamenti di salse piccanti.
E Zayn è convinto che indossare un cappello da cuoco di carta sia perfettamente nel personaggio. Per essere uno che si spaccia per adulto e serio, moglie con i capelli lilla al seguito, sa impersonare perfettamente l'idiota della festa, con tanto di forchettone e grembiule.
A nessuno di loro piace davvero organizzare barbecue nel giardino microscopico di casa Styles. La carne è sempre cruda, la puzza di fumo ingrigisce la veranda, e viene a piovere quasi sempre. Ma è importante per loro essere lì, ricordare com'era prima delle responsabilità e del lavoro d'ufficio. Prima dei figli e delle mogli. 
Prima di crescere.
Harry non voleva crescere, mai, con i suoi orari improbabili in panetteria e le sue fidanzatine da liceo che gli mandavano cuori blu su WhatsApp. Ora fa ridere, e tremare, anche, pensare che l'unico cuore ad ossessionarlo è quello di Darcy, la notte, quando si sveglia senza sapere perché, e spalanca gli occhi sul soffitto scuro, e pensa che potrebbe fermarsi, essersi già fermato. Potrebbe fermarsi in qualsiasi momento. Di lì ai prossimi settantanni. E quella certezza desolante e spaventosa rende quel suono l'unico suono.
Il solo.
Solo un cuore all'impazzata.
Resistere alla tentazione di poggiarle la mano sulla schiena e accertarsi che respiri.
Sapere di non potercela davvero fare, e sperare di sbagliarsi come mai nella vita.
Gemma si muove fra il fianco di Zayn e il gomito di Niall, agevolmente, con Darcy in braccio che mostra a tutti un paio di tonsille invidiabili in uno sbadiglio che le nasconde tutta la faccia.
Non è perché è una donna, e la natura, e la procreazione, e tutte quelle stronzate a cui Harry non ha mai creduto mezzo secondo, è perché fra lei e Darcy c'è quell'intesa spropositata che solo loro hanno. Un fuggevole comprendersi. È la prima donna della vita di Harry assieme all'ultima. La certezza e il panico.
“L'amazzone sta cedendo” ha uno occhio socchiuso e la bocca arricciata, larga, per niente minuta come quella degli altri bambini. Enorme, come quella di Harry. Anche quando sorride, in quello strano modo da mocciosetta furba, la sua bocca enorme sembra inghiottire anche l'aria. Sono gli occhi, forse, che sembrano verdi anche se ancora non si può sapere per certo, che a tutti ricordano lui. Ma è la sua bocca sproporzionata che non conosce broncio la vera marca Styles della sua faccia rotonda. Sono le fossette che lo imbarazzano, ma che su di lei hanno senso. Sono spazio in più per ridere. E Harry lo strapperebbe al mondo lo spazio per farla sorridere.
“Vado su io” non ha voglia di chiacchiere, quel pomeriggio, Harold Edward Styles di Holmes Chapel. Ancora meno di sei mesi prima, con una neonata in braccio in metropolitana alle quattro di notte, e un borsone pieno di vestiti e pannolini gettati alla rinfusa. Ha meno voglia di parlare di sempre. È un po' la solitudine, un po' il caos, un po' il bisogno e un po' la paura. È Sophia che si fa aprire la bottiglia di birra da Liam solo perché sa che quel semplice gesto lo rassicura, è Perrie che sfida Zayn a far roteare in aria gli hamburger senza lasciare che si sfracellino sul prato, è Niall che flirta con Gemma con quel suo accento irlandese mai del tutto smaltito, e quel sorriso da ragazzino cotto a puntino che la fa ridere, e forse un po' le piace.
Darcy piange un po', in un verso che è sempre uno sbadiglio. Stringe nei pugni la sua t-shirt scolorita degli Stones, affascinata dalla decalcomania sbiadita ma dai colori accesi. Batte le palpebre lentamente, ipnotizzata dalla lingua fucsia di Jagger.
“Poteva essere tuo nonno” ridacchia salendo le scale, ripensando agli strani intrecci di somiglianze.
Forse è egoistico, ma non ha voglia di farla addormentare. È divertente sveglia, con la testa che ciondola e la bocca che mastica il vuoto. Scoppierà a piangere, ad un certo punto, e anche quello sarà bello.
È una lingua che Harry conosce, il pianto. Nella risata si trovano, ma nelle lacrime si capiscono davvero. 
Non vuole proteggerla da quelle, non davvero.
Ha sempre pensato ci fosse qualcosa di davvero bello nell'onestà del pianto. Qualcosa di giusto.
Vorrebbe piangere anche adesso Harry Styles, ma Darcy gli ha appena lasciato cadere la testa contro il petto, un rivolo di bava che impregna la stoffa e le mani ancora aggrappate alla lingua di Mick Jagger.

***

Non è il momento giusto per irrompere in casa sua.
Lo ha ripetuto a se stesso per tutto il tragitto fin lì. In macchina, a piedi, nel vialetto, sul prato.
Mentre le sue scarpe di tela senza calzini sfregavano impunemente contro l'erba tagliata di fresco, Louis William Tomlinson sapeva di andare incontro al disastro.
Correre incontro al disastro.
Tastare, stringere, ingoiare il disastro.
Un barbecue. 
Come volevasi dimostrare, disastro.
Louis è a disagio nei sobborghi. Nel silenzio rotto solo dalle macchine che ingranano a malapena la prima, dalle urla dei ragazzini, e dal cigolio del dondolo sulle verande. Il suo appartamento a Londra è un attico, un silenzioso attico sul tetto della città che smorza i rumori ma sa anche accoglierli. 
È il caos che cerca, il silenzio che può trovare, la pace se lo chiede, confusione quando lo decide.
Gli piace il caos, gli ricorda le urla sul campo, allo stadio, in strada. Gli autografi, le feste dove poter saltare la fila, gli occhiali da sole a specchio per mascherare le occhiaie e i pensieri amari.
Gli piace spegnere il caos quando vuole, quando è il momento, quando le grida diventano troppe, le dita fanno male a forza di stringere la penna, e la partita è finita. Ascoltare solo il sudore precipitare dalla fronte al petto sotto la doccia, e i pensieri premere contro le tempie.
Una donna bionda cammina verso di lui sul prato, pestando i piedi in un paio di sandali aperti sulle dita smaltate di amaranto
“Scusa, ci ho messo sei mesi a convincere quella testa di cavolo di mio fratello a tagliare il prato, quindi spero non sia troppo disturbo per te” lo osserva, squadrando i suoi pantaloni blu acceso con il risvolto e le bretelle in coordinato, arricciando il naso “chiunque tu sia, togliere le tue bellissime scarpe da vela dal mio giardino” Louis sorride, in quel modo da riflettori, catturando la luce giusta del sole che ormai è quasi coperto dai tetti. Il modo falso che ha imparato a tracciare fra le labbra e i denti, ma che non sa colorare gli occhi.
“Scusami. Sono Louis. Cerco Harry Styles di Holmes Chapel. Mi hanno detto che vive qui. Devo offrirgli un lavoro” qualcosa dentro gli solletica il fondo della gola allo sguardo leggermente sorpreso di lei. È una tosta, ma a lui le tibie rotte e i paparazzi hanno insegnato quasi a camminare. Di certo a raccontare palle.
“Holmes Chapel uh? Hai un sacco di informazioni per essere uno che ancora non ha capito l'uso corretto dei vialetti nei giardini altrui...” ma sorride. In modo vagamente minaccioso, ma sorride. Una bella tonalità di biondo, delicata, polsi piccoli, caviglie sottili. Alta. Sicuramente prevaricatrice ma affidabile. Belle labbra. Su un uomo sembrerebbero femminili.
Su un uomo, effettivamente lo sembrano.
“Un lavoro tipo?” 
Ciao, tu devi essere la famosa Gemma che lo avrebbe ucciso lentamente e accuratamente.
“Tipo un gran lavoro del ca-” pausa “-volo”. Lei incrocia le braccia al petto
“Mhn, vedremo” si lascia sfuggire una mezza risata calpestando la sua adoratissima erba appena tagliata per fargli strada “Siamo nel mezzo di una festa, ma non farci troppo caso, ce ne sarà un'altra la prossima settimana” agita la mano in aria per sottolineare il concetto “Niall, piantala di ossessionare Zayn, o non mangeremo mai più” un tipo biondo con una voce gorgogliante e un accento irlandese appena masticato fra le parole sta blaterando qualcosa ad un ragazzo dalla carnagione olivastra e grandi occhi pensierosi. 
Lunghe ciglia, belle labbra. Scopabilissimo. 
Fuori c'è ancora un po' di luce, ma la casa è in penombra. 
Odora di barbecue, cannella e vaniglia.
Detersivo per piatti e deodorante per ambienti.
Omogeneizzati. Latte in polvere. Borotalco.
Gemma lo guida fino alla scala di legno con la ringhiera rosa confetto che porta al piano di sopra.
“Prima porta a destra. Non fare troppo casino”
Prima che Louis abbia il tempo di chiedersi perché lei non avverta come minimo suo fratello che un estraneo lo sta cercando, i suoi sandali aperti e il suo smalto color amaranto sono già scomparsi sulla veranda.
Inspira, sale sul primo gradino, e percorre tutta la scalinata, una mano che scivola velocemente sulla ringhiera, e la testa altrove.
Una porta rosa. Decorazioni, adesivi. Cinque lettere di legno dipinto inchiodate alla porta e un nome.
Darcy. 
Elefanti azzurri e strani animali tappezzano il legno.
Bussa una volta. Silenzio. Un'altra.
L'asse cigola sui cardini, solo leggermente, ma abbastanza perché il respiro di Lou segua uno strano percorso fra la giugulare e i polmoni.
Una luce diversa, più calda, più scura, più profumata, taglia in due la stanza rivestita di gommapiuma e pupazzi di peluche.
Harry, con una maglietta macchiata degli Stones, addormentato su un divano.
E lei. La lei degli elefantini, del borotalco, della vaniglia e degli omogeneizzati.
La lei del profumo di crema e avena.
La lei del latte in polvere.
Lei, i suoi pugni stretti contro la stoffa, la testa con pochi capelli rossicci abbandonata sulla spalla di Harry Styles di Holmes Chapel.
Lentiggini, lunghe ciglia, bava. Piccole mani, bocca grande, un po' come lui, come Gemma, forse come tutti loro. 
Una strana tristezza, qualcosa di morbido lungo l'esofago. 
E Louis riesce solo a restare fermo in mezzo alla stanza, a guardarli in silenzio. Vorrebbe uscire, e basta, richiudere la porta cosparsa di elefanti azzurri e nuvolette di tulle, e dimenticare di essere stato lì. Dimenticare l'odore del barbecue, della vaniglia e del borotalco.
Di Harry Styles che quell'odore lo indossa senza accorgersene.
Dovrebbe andarsene, semplicemente, ma invece si schiarisce la voce.
“Non ci si annoia mai con te, Harold Edward Styles di Holmes Chapel” l'altro socchiude gli occhi ancora confuso, la bambina che sobbalza, si sveglia, piagnucola, si aggrappa.
I suoi occhi sembrano neri nella penombra. Non sa se sorridere o spalancare la bocca per la sorpresa. Decide che lei ha la precedenza, ovviamente. Se la sistema in braccio senza nemmeno accorgersi di quanto sembri facile visto da fuori. La solleva, la appoggia nel lettino di legno chiaro, e le lascia l'indice sospeso sulla guancia per un secondo.
Aveva qualcuno da cui tornare, Lou lo sapeva. Ma una bambina, una neonata. Quasi avrebbe sperato in una moglie. 
L'altro lo guarda in tralice, i riccioli incasinati sulla fronte e le guance. Non sorride, ma non è nemmeno serio. Aspetta, cosa non si sa.
E Louis sa che tocca a lui rompere quel silenzio inebetito e imbarazzato.
“E lei?” sorride, si avvicina al lettino ma non si appoggia. Una lontananza che è rispetto e qualcos'altro. È anche un po' terrore, e un po' timore di sfiorare qualcosa che poi vorrebbe stringere.
"Lei è mia" sorride "mia, tipo solo mia..." il modo in cui lo dice, un suono basso, gutturale, protettivo, terrorizzato e fin troppo coraggioso, è come uno sbadiglio sospeso all'infinito. Un enorme sospiro.
Come precipitare senza mai toccare terra.
Se l'infinita incertezza della caduta avesse un suono, sarebbe la voce di Harry Styles.










Note: anche qui siamo arrivati^^ Sto procedendo spedito con loro, perchè li amo. Amo questa cosa e Eva Zanker che me l'ha richiesta. Libera un po' la mente e il cuore, e io ne ho veramente bisogno <3
Non ho nulla da dire, se non che mi piacerebbe davvero sapere cosa ne pensate.
Un bacio e un grazie alle meravigliose persone che l'hanno letta, seguita, piaciuta, recensita e anche solo apprezzata un pochetto. Siete preziosi, tutti. Veramente.
   
 
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