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Autore: Pandroso    02/10/2013    2 recensioni
IV CAPITOLO PUBBLICATO, ERA ORA! E NUOVA ILLUSTRAZIONE
Una convivenza forzata, un addestramento in corso e forse un’attrazione accidentale che non vuole nessuno. L’isola Kuraigana non è solo un luogo di morte; e Perona e Zoro non sono soltanto una coppia di disgraziati spediti sulla stessa macchia di terra.
Facciamo luce su due anni di buio.
Buona lettura.
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Drakul Mihawk, Perona, Roronoa Zoro
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Curami ̴  3. Onore di spadaccino; ci sarà da camminare.  



“Hey, baby, I dig your scars 
I think you're smart, but they think you're kind of stupid
You don't say much, I don't care
They think you're strange, but I think it's kinda sexy

You're kind of lovely in an ugly way
Your feet scratch together, in my two-time waltz
I think you have a lot to say
I think it's strange but I think it's kind of fun”

Dal piccolo incidente tra lo spadaccino della ciurma di Cappello di Paglia e Perona la Principessa Fantasma, erano trascorsi ventotto giorni; e dei danni subiti, dopo l’impatto con alcuni Hollow esplosivi, era rimasta solo una crosta pruriginosa. 
Zoro stava cercando di toglierla, scorticandosela dalla fronte  in una delicata operazione di unghie e polpastrelli.
Lo spadaccino si trovava nel bagno vicino alla sua camera, ed era impegnato con doverose abluzioni; non aveva mai avuto tanto scrupolo verso la propria igiene, ma il richiamo della pulizia era stato invincibile: colpa di Perona, e degli unguenti dal lezzo insopportabile che la ragazza gli spalmava addosso ogni giorno. Lei diceva che servivano ad evitare che le ferite sviluppassero infezioni; Zoro ci credeva poco: quando Occhi di Falco l’aveva tremendamente ferito al petto, si era medicato da solo alla bell’e meglio e non gli era accaduto nulla e, tralasciando la febbre che era sopraggiunta durante la battaglia ad Arlong Park, era stato sano come un pesce… Come avrebbe potuto contrarre malattie adesso, con le ferite che s’erano rimarginate?! Non aveva più bisogno di continue e insopportabili medicazioni! Lui era resistente, guariva in fretta, stava bene; così bene che lo sbraitava in faccia alla ragazza come ne aveva l’occasione, nel tentativo di farle capire quanto fossero inutili le sue cure con quelle creme che lo ungevano fino a farlo diventare viscido.
L’unica pecca di tali considerazioni era un’orgogliosa presunzione: lo spadaccino ometteva di essere stato curato dal dottor Nako – quella volta a Coco Village – che l’aveva disinfettato e ricucito come si doveva. 
Se ora sentiva di stare bene, il merito era certamente dell’insistenza di Perona; non soltanto del suo fisico robusto; ma Zoro, chissà perché, stentava a riconoscerlo. O forse un motivo c’era: lo infastidiva.
Ciò che il ragazzo non poteva assolutamente negare, ma sul quale si sforzava di far finta di nulla, era il viso di Perona quando arrivava il momento di cambiare i bendaggi: lei era tanto pallida che le si poteva vedere sul volto il minimo cambiamento della pressione sanguigna; e da un po’, Zoro aveva notato come le guance candide, e probabilmente lisce e morbide, divenivano puntualmente rubiconde alla vista del suo torace.
E quante volte, poi, l’aveva scoperta a soffermarsi con lo sguardo sulla lunga cicatrice che gli dilaniava il torso! 
In quel caso era lui a sentirsi in lieve imbarazzo: non gli importava se la cicatrice si vedesse o meno, anche se era un orribile segno di indelebile sconfitta – però degno di un sopravvissuto – ma avrebbe preferito mostrarla il meno possibile a Perona, perché c’era qualcosa di strano negli occhi della ragazza; troppo neri e troppo immobili che risultava complicato leggervi dentro;  e Zoro, in quei momenti, era convinto di vederci ripugnanza. Un aspetto discrepante e in netto contrasto con l’imbarazzo che imporporava le guance della ragazza, ma altresì ennesimo accento di stranezza: per lo spadaccino, Perona restava un’incognita priva di soluzioni.
Tuttavia, nonostante il reciproco disagio, entrambi facevano finta di niente e non si dicevano nulla: il pirata, dopo aver scaricato la solita non voglia di farsi medicare, rimaneva zitto ad aspettare che lei finisse; Perona, rossore o altro che avesse, manteneva sempre una calma sorprendente che le permetteva di muovere le mani con sicurezza medica.
I loro attimi di “crocerossina e infermo” terminavano nel giro di una ventina di minuti scarsi ma molto intensi.

A forza di essere stuzzicata la crosta venne via, scoprendo una superficie di pelle nuova dal colorito roseo e lucido. 
Zoro diede un ultimo sguardo al suo riflesso nello specchio, girando il viso di tre quarti – prima a sinistra e poi a destra – e dopo si sciacquò la faccia con energia utilizzando l’acqua fredda contenuta in un catino.
Quel pomeriggio, lo spadaccino si era tolto tutte le bende da solo; anche se immaginava le imprecazioni che ne sarebbero nate da parte di Perona, non gli importava: ormai non v’era più necessità, e così facendo poneva fine alla pratica tanto scomoda per entrambi.
Terminò di curare il proprio aspetto mettendosi addosso dei vestiti avuti in prestito da Mihawk: erano un paio di pantaloni di fustagno, neri, e una camicia bianca, una di quelle che il corsaro indossava spesso.
Infilato l’ultimo bottone nell’asola e sistemata l’haramaki, si sentì pronto. Forse la camicia gli stava un po’ larga di spalle, ma non era un problema; quello che gli mancava erano le spade, non vedeva l’ora di riaverle legate al suo fianco, e l’intenzione di quel giorno era esattamente di andare da Mihawk per discuterne.

Sforzandosi di ricordare dove si trovasse la stanza nella quale il suo futuro maestro si ritirava, lo spadaccino s’incamminò prendendo le scale che lo portavano all’ingresso del castello.
Arrivato lì, voltò a destra per attraversare un susseguirsi di tre sale; tra le quali, il salotto in cui Perona prendeva abitudinariamente il tè… e siccome s’era fatta l’ora giusta, pregò e sperò di non incontrarla. 
Stranamente non la vide, così raggiunse tranquillamente il luogo in cui avrebbe trovato Occhi di Falco.
Eccola lì: la pesante porta che aveva davanti a sé era quella della studio di Mihawk. Questa era accostata; Zoro non l’avrebbe mai ammesso, ma di fronte ad essa un leggero senso di soggezione lo portò a bussare prima di entrare.
La risposta non tardò ad arrivare: «Sì, sei ancora tu ragazza fantasma? Se è per il tè non insistere, non ho intenzione di prenderlo con te».
Il pirata spalancò la porta senza annunciarsi, ed entrò. Se Mihawk avesse avuto da ridire a riguardo, fatti suoi: aver bussato era già un gran favore, per come la vedeva l’apprendista spadaccino.
«Salve, Roronoa… Accidenti, sembri stare proprio meglio. Cosa ti porta qui?»
Domandò il corsaro, sorpreso di vederselo davanti con la solita aria spavalda che sembrava chiedergli “ti prego dammi una lezione, fammi capire chi comanda”.
Zoro cercò gli occhi del suo interlocutore, e dopo uno sguardo veloce all’ambiente – che trovò ricco di antica mobilia – lo vide seduto su una poltrona posta dietro ad un tavolo rettangolare e di legno scuro. 
Il corsaro stava consultando un libro – lì ce n’erano molti: ogni scaffale presente in quella stanza pareva volersi spezzare sotto il peso di tomi giganteschi, che Zoro non avrebbe letto nemmeno se avesse avuto più di una vita a disposizione – e finendo di scolarsi una bottiglia di liquore. Un liquore sicuramente buono, dall’odore che si sentiva avere impregnato la piccola sala.
A Zoro avrebbe fatto molto piacere berne un po’, ma non era lì per quello; anzi, s’affrettò a portare la conversazione subito al sodo: «È proprio di questo che voglio parlarti», cominciò catturando l’attenzione di Mihawk.
Il corsaro alzò la testa dalle pagine che stava leggendo per puntare lo sguardo in quello del giovane spadaccino, «Va bene, nonostante tu abbia interrotto le mie ore di studio, ti ascolterò. Ma prima accomodati». 
Il ragazzo fece come gli era stato suggerito: prese una sedia che stava accostata al muro, la piazzò davanti ad Occhi di Falco, e si sedette. Nel farlo, però, aveva notato un enorme forziere circondato da catene e con più di un lucchetto a chiuderlo; stava messo proprio a fianco alla sedia che aveva appena preso. 
«Sentiamo…» lo incalzò Mihawk, dando una veloce occhiata ad un orologio da tasca.
Zoro non rispose subito, perché una carta nautica, grande abbastanza da occupare mezza parete e appuntata al muro dietro le spalle del corsaro, l’aveva momentaneamente distratto. Questa mostrava diverse rotte tracciate in rosso, la Red Line, isole e alcuni punti indecifrabili... forse a indicare le basi della Marina. Già, la Marina... Occhi di Falco era un membro della Flotta dei Sette, prendeva ordini dal Governo Mondiale; Zoro avrebbe fatto bene a non dimenticarlo.
Inoltre, accanto alla bottiglia di liquore poggiata sul tavolo, c’era un lumacofono; simbolo di come il corsaro mantenesse i contatti con i suoi “padroni”.
Il giro della curiosità finì quando Mihawk mostrò segni di impazienza, così il ragazzo riportò l’attenzione alla sua causa.
«Sto bene, credo di essere guarito e vorrei cominciare l’addestramento»
«Magnifico, non credevo potessi riprenderti così in fretta, mi fa piacere»
«Sì, ma prima vorrei riavere le mie spade, dove posso trovarle?»
Mihawk sorrise impercettibilmente, poi parlò: «Questo non devi chiederlo a me».
Ascoltando la risposta, una vena gonfia e pulsante comparve istantaneamente sulla fronte di Zoro. Ma egli si impose l’assoluto autocontrollo.
«Perona mi ha detto di aver ricevuto l’ordine di sequestrarle proprio da te… quindi è a te che mi sto  rivolgendo per riaverle».
«Certo, sei stato bene informato, ma non le ho prese io. Devi andare da lei, perché solo lei sa dove sono».
Non gli stava piacendo, non gli stava piacendo neanche un pochino; cos’era un gioco?  Si stavano divertendo alle sue spalle? Il giovane spadaccino era sull’orlo di mandare a quel paese il rispetto e farla vedere a tutti e due.
Al contrario, il corsaro s’era messo comodo sulla sua poltrona; per osservare meglio quella sottospecie di intrattenimento non richiesto a cui stava dando adito lo spadaccino di Cappello di Paglia.
«Non guardarmi così, Roronoa! Non te le sto nascondendo, non saprei che farmene delle tue spade. Vai da Perona, te le darà lei… Sempre che tu riesca a convincerla».
Stavolta Mihawk non riuscì a trattenersi e si lasciò scappare una tetra risata; poi, con noncuranza, riportò lo sguardo tra le righe del libro che attendeva di essere finito. 
Il dialogo con il ragazzo era concluso.

Tutto aveva un limite, e questo – a detta di Zoro – era stato appena superato; la rabbia che a stento riusciva a trattenere trovò un piccolo pertugio nella corazza di selfcontrol che si era imposto di indossare:
«Qui sto solo perdendo tempo, maledizione! D’accordo, andrò dalla mocciosa, e una volta riavute le mie katana… scoprirò se sei davvero un uomo di parola!»
Calò il silenzio. 
Il corsaro alzò immediatamente la testa e cambiò espressione del volto, mostrando quello sguardo freddo, di predatore, grazie al quale il mondo l’aveva conosciuto e con il quale, ora, lo temeva. Aveva capito bene il senso delle parole di Zoro: queste non erano una semplice insinuazione dettata dalla collera, ma una sfida sfacciata… erano una provocazione!
Ancora silenzio.
Zoro, che intanto si era messo in piedi e stringeva i pugni talmente forte da tremare, sostenne quegl’occhi magnetici fissandoli a sua volta… Era esattamente con quelle iridi ambrate e con quello sguardo accigliato che Mihawk l’aveva guardato prima di affondare la lama dello spadone nero nella sua carne; il ricordo cominciò a serpeggiargli veloce sul torace, provocandogli brividi lungo la schiena.
«Ti aspetto qui, Roronoa – proruppe Occhi  di Falco, squarciando a parole la tensione che s'era creata tra loro – ... Ma non pensare che sarà facile prendere lezioni da me: tu sarai il primo a cui ne darò, perciò non so se riuscirò a controllarmi… Dovrai stare attento a non farti uccidere».
Agganciato! Zoro aveva messo in discussione l’onore del corsaro e quest’ultimo non s’era tirato indietro, anzi, sembrava esserne rimasto molto urtato.
Prima di andarsene, il giovane spadaccino sostenne ancora lo sguardo del suo maestro; poteva quasi apparire perverso, ma l’idea di battersi di nuovo con lui – anche se sotto l’aspetto di un addestramento – dopo la sfida che si erano lanciati, lo stava facendo eccitare come la prima volta sul Baratie.
Doveva recarsi in fretta dalla ragazza fantasma, non poteva più aspettare.

 

***

 

Prendere il tè in solitudine era infinitamente triste; e Perona amava la tristezza, fin qui nessun intoppo… ma, sfortunatamente per lei, amava quella degli altri. Per cui la situazione non era solamente triste, era tragicamente drammatica!
Occhi di Falco si era rivelato essere non solo di poca ospitalità, ma anche un taccagno di tempo e oltretutto simulacro della scortesia; la povera ragazza ne aveva avuto prova quel pomeriggio: gentile e sorridente come mai era stata, si era recata dal corsaro presentandosi con due fumanti tazze di tè caldo e dei biscottini appena sfornati dall’aspetto delizioso – aveva provveduto lei stessa ad inventarsi qualcosa coi pochi ingredienti che aveva trovato in cucina, perché senza dolci non poteva assolutamente stare – e lui che cosa aveva avuto il coraggio di fare?! Di liquidarla con un semplice, e completamente privo di cordialità, “adesso ho da fare, non disturbarmi”.
Poco c’era mancato che ella gli mollasse tutto a terra per scoppiare in un pianto alluvionale.
Ma quale essere tanto mostruoso e insensibile poteva rifiutare il suo unico e specialissimo invito a “l’ora del tè di Perona” ?! Ecco, ecco che cos’era Occhi di Falco: era un mostro insensibile!
Ad ogni modo, la ragazza si era limitata a fargli una smorfia: peggio per lui, non sapeva quello che si perdeva; e poi, in fondo, lei aveva sempre Zoro che poteva tenerle compagnia. 
Proprio grazie al pensiero che avrebbe condiviso un tè con  lui – ne era certa: non le avrebbe mai potuto dire di no – il suo umore era tornato allegro e aveva abbandonato l’idea della piazzata a Mihawk, per dirigersi svelta dallo spadaccino. 
Ma a pochi passi dalla camera di quest'ultimo, le era tornato il ricordo di averlo medicato e lasciato a riposo; e così, rimasta fregata - perché con i precedenti avuti era meglio non creare nuovi problemi - era stata costretta a fare dietrofront contro la sua volontà.
Ora, la ghost-girl se ne stava sola e scontenta su una sdraio in una delle ampie terrazze del castello, a centellinare con poco gusto il tè e a mangiucchiare i suoi biscotti (che erano veramente buoni, ma lei se li stava finendo dal nervoso).
Dalla sua altezza poteva osservare tutto il paesaggio circostante, e se aguzzava la vista – quando la foschia lo permetteva – oltre le cime dell’oscuro bosco di pini neri, riusciva a scorgere il mare: una scia argentea che tagliava il tenebroso orizzonte dell’isola da quello livido del cielo.
«Certo che se ci fosse stato Kumacy qui con me… Altro che fare l’infermiera a quell’ingrato!»
Ovviamente l’allusione era indirizzata a Zoro; manco a nominarlo che improvvisamente…
«Perona!!! Perona!!! Sono stufo di cercarti, vieni fuori!!! Peronaaa!!!»
Il tè quasi le andò di traverso per lo spavento. Ma lui non stava dormendo? Comunque, che cos’era quel modo di chiamarla come se si stesse rivolgendo ad un cane?! Per non parlare del tono con il quale stava bistrattando il suo nome! A tal maniera lo faceva assomigliare ad un insulto. No, doveva porre fine a quella tortura prima che le orecchie le iniziassero a sanguinare.
Fortunatamente, il ragazzo non era molto distante da lei: si trovava esattamente nel giardino dove si affacciava la terrazza in cui Perona aveva tentato di sorseggiare, invano, il suo benedetto tè.
«Si può sapere che ti urli a quel modo?» disse la ragazza, rimproverandolo appena gli fu vicino.
Come la vide, lo spadaccino quasi le si avventò addosso: «Le spade! Devi darmi le spade!».
Sentendolo avanzare quella richiesta, Perona sospirò: purtroppo Zoro non si smentiva; e lei che per un breve istante si era lasciata elettrizzare dall’idea che lui l’avesse cercata con così tanta enfasi perché desiderava vederla, e magari prendere il tè insieme…
«Se me le stai chiedendo è perché credi di essere guarito, altrimenti sai quale sarà la mia risposta. Pensi davvero di stare bene?» gli domandò lievemente retorica.
Zoro aveva il fiatone – a causa dei molti giretti che s'era fatto per trovare la ragazza – e la voglia di discutere con lei era scarsa, «Ho già parlato con “Occhi Gialli”, mi sta aspettando, tu non farmi perdere altro tempo!»
«Non essere insolente! Non ti permetto di rivolgerti a me con quel tono, io non sono la tua serva», Perona dava tutta l’aria di non voler collaborare; lo spadaccino storse il naso, ma il peggio che temeva non era ancora arrivato. Vane speranze: «Non ci posso credere! Hai tolto tutte le bende che t’avevo cambiato solo poche ora fa!» gridò la ragazza, che non aveva fatto subito caso all’assenza della sua opera medica sul corpo del pirata.  
Zoro entrò in riserva di pazienza e, già stufo della ramanzina che di lì a poco avrebbe sopportato, premette gli incisivi sul labbro inferiore; l’esaurimento nervoso era alle porte. 
«Se ti dico che sono guarito, perché dovrei continuare a tenerle?! Comunque, non tergiversare, rivoglio le mie spade!» esclamò irremovibile.
«Ma sai dire solo questo?! Sei noioso!» 
«Tu dammi le mie katana e vedrai che non ti infastidirò più».
 La voce dello spadaccino s’era fatta insolitamente ammaliatrice e invitante; questo perché utilizzare le maniere forti con la Principessa Fantasma era inutile, oltre che dannoso – lui l'aveva capito a sue spese –, quindi non gli restava che tentare con lei una sorta di falsa accondiscendenza. La quale ebbe esiti inaspettati...
Perona ci pensò su; purtroppo raggiunse una brutta conclusione: lei esisteva solo perché custode dei tesori del ragazzo, altrimenti lui non l’avrebbe mai cercata con tanta foga… o forse non l’avrebbe cercata e basta!
La ragazza s’incupì liberando i suoi fantasmi, che cominciarono a girarle attorno, e abbassò la testa permettendo alla frangetta di proiettarle un’ombra sinistra sugli occhi.
«Perona, che ti prende?» domandò Zoro, preoccupato dell’improvvisa e imprevista reazione della ghost-girl; ma soprattutto temendo che uno di quei cosi che le volteggiavano attorno gli venisse scagliato contro da un momento all'altro.
Dopo un breve istante, con la stessa velocità con cui era caduta nella mestizia, Perona tirò su il volto e mostrò allo spadaccino un grande sorriso da fare impressione – anche i suoi spettri fecero lo stesso – «Va bene, lascerò il mio tè e ti restituirò le tue preziose spade, ma ci sarà da camminare».
Il ragazzo rimase sconcertato: umore altalenante, cambiamenti comportamentali improvvisi; aveva a che fare con una psicopatica, ormai ne era sicuro. 
Ma finalmente lei aveva ceduto! L’unica incognita che lo lasciava ancora perplesso, era quel “ci sarà da camminare”… Non prometteva nulla di buono, a suo parere.
«Fammi capire: non le hai nascoste nel castello?» chiese incredulo.
«Non potevo, l’ho fatto la prima volta, tu avresti potuto trovarle facilmente»
«Ma ti sarebbe bastato metterle in un posto diverso! Qui è immenso, ce ne sono di luoghi dove nascondere le cose!»
«Nessuno mi ha colpita a sufficienza. Dai, non fare domande e seguimi, sennò non ti ridò niente» disse la ragazza, giocherellando con l’ombrellino rosso e strizzando un occhio in direzione dello spadaccino.
Messo alle strette e non avendo altra scelta, Zoro cacciò le mani in tasca e, poco convinto, lasciò che Perona gli facesse strada... Un brutto presentimento gli suggerì che l'allenamento avrebbe tardato ancora a cominciare

“Hey baby, I dig your scars
They think you're smart, but I think you're kind stupid
You don't say much, I don't care
They think you're strange, but I think it's kind fucking fun!

And I can't believe you're still stuck to me
Can't believe you're still stuck to this world

And I can't believe you're still stuck to me
Can't believe you're still stuck to this world
But he's not that kind of girl

 

 

˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜
Qui parla l’autrice:
terzo capitolo, procediamo con ordine: quanto  mi piace descrivere Occhi di Falco come se fosse un signorotto colto che se ne sta chiuso in una stanza a elucubrare sul mondo tra una lettura e po’ d’alcol. ^_^
So che chiamare la sua Yoru spadone non è corretto (spadone indica un certo tipo di spada europea del ‘400, più o meno) ma per via della lunghezza e del tipo di impugnatura mi sono permessa.
Passando a Zoro, apriamo la questione “Occhi Gialli”… Spero di non essere linciata.
Poi, tra loro ho voluto mettere un po’ di tensione (non che non ci fosse già) ma avevo bisogno di attizzare di più il clima per lo svolgersi della storia.
Perona… povera Perona, la sto facendo soffrire questa ragazza (ed è solo l'inizio!  - risata maligna-)
Nuovo disegno: stavolta m’è venuto a tema (a proposito, se tornando indietro di un capitolo non trovate nessuna immagine, tranquilli, l’ho tolta apposta: ci ho pensato e non voglio ripetizioni, quando avrò tempo vedrò di riempire il buco).  Ma quanto l'ho fatto alto Mihawk?! Mi sa che ho un tantino esagerato. ^^' E per la mappa, Nami le disegna meglio di me. Il tavolo con le cariatidi ha un che di postmoderno… come m’è venuto in mente?! Va be’ sto delirando, colpa della febbre (sono malata ç_ç)  io volevo solo darvi l’idea di come fosse questa stanzetta che alla fine m’è uscita semplice semplice… e porca miseria ho dimenticato di fare il lumacofono e la poltrona!
Il testo del pezzo musicale che ho inserito è  roba dei Therapy? ̴ He's not that kind of girl  (buoni da ascoltare mentre si tracanna birra e, se c'è la possibilità, mentre si prende a calci un ragazzo).

Un grazie appiccicoso va a chi mi sta seguendo! =)

Pandroso

   
 
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