Curami
̴ 3.
Onore di
spadaccino; ci sarà da camminare.
“Hey, baby, I dig your
scars
I think you're smart, but they think you're kind of stupid
You don't say much, I don't care
They think you're strange, but I think it's kinda sexy
You're kind of lovely in an ugly way
Your feet scratch together, in my two-time waltz
I think you have a lot to say
I think it's strange but I think it's kind of fun”
Dal
piccolo
incidente tra lo spadaccino della ciurma di Cappello di Paglia e Perona
la
Principessa Fantasma, erano trascorsi ventotto giorni; e dei danni
subiti, dopo
l’impatto con alcuni Hollow esplosivi, era rimasta solo una
crosta
pruriginosa.
Zoro stava cercando di toglierla, scorticandosela dalla
fronte in una
delicata operazione di unghie e polpastrelli.
Lo spadaccino si trovava nel bagno vicino alla sua camera, ed era
impegnato con
doverose abluzioni; non aveva mai avuto tanto scrupolo verso la propria
igiene,
ma il richiamo della pulizia era stato invincibile: colpa di Perona, e
degli
unguenti dal lezzo insopportabile che la ragazza gli spalmava addosso
ogni
giorno. Lei diceva che servivano ad evitare che le ferite sviluppassero
infezioni; Zoro ci credeva poco: quando Occhi di Falco
l’aveva tremendamente
ferito al petto, si era medicato da solo alla bell’e meglio e
non gli era
accaduto nulla e, tralasciando la febbre che era sopraggiunta durante
la
battaglia ad Arlong Park, era stato sano come un
pesce… Come avrebbe
potuto contrarre malattie adesso, con le ferite che s’erano
rimarginate?! Non
aveva più bisogno di continue e insopportabili medicazioni!
Lui era resistente,
guariva in fretta, stava bene; così bene che lo sbraitava in
faccia alla
ragazza come ne aveva l’occasione, nel tentativo di farle
capire quanto fossero
inutili le sue cure con quelle creme che lo ungevano fino a farlo
diventare
viscido.
L’unica pecca di tali considerazioni era
un’orgogliosa presunzione: lo
spadaccino ometteva di essere stato curato dal dottor Nako –
quella volta a
Coco Village – che l’aveva disinfettato e ricucito
come si doveva.
Se ora sentiva di stare bene, il merito era certamente
dell’insistenza di
Perona; non soltanto del suo fisico robusto; ma Zoro, chissà
perché, stentava a
riconoscerlo. O forse un motivo c’era: lo infastidiva.
Ciò che il ragazzo non poteva assolutamente negare, ma sul
quale si sforzava di
far finta di nulla, era il viso di Perona quando arrivava il
momento di
cambiare i bendaggi: lei era tanto pallida che le si poteva vedere sul
volto il
minimo cambiamento della pressione sanguigna; e da un po’,
Zoro aveva notato
come le guance candide, e probabilmente lisce e morbide, divenivano
puntualmente rubiconde alla vista del suo torace.
E quante volte, poi, l’aveva scoperta a soffermarsi con lo
sguardo sulla lunga
cicatrice che gli dilaniava il torso!
In quel caso era lui a sentirsi in lieve imbarazzo: non gli importava
se la
cicatrice si vedesse o meno, anche se era un orribile segno di
indelebile
sconfitta – però degno di un sopravvissuto
– ma avrebbe preferito mostrarla il
meno possibile a Perona, perché c’era
qualcosa di strano negli occhi della
ragazza; troppo neri e troppo immobili che risultava complicato
leggervi
dentro; e Zoro, in quei momenti, era convinto di vederci
ripugnanza. Un
aspetto discrepante e in netto contrasto con l’imbarazzo che
imporporava le
guance della ragazza, ma altresì ennesimo accento di
stranezza: per lo
spadaccino, Perona restava un’incognita priva di soluzioni.
Tuttavia, nonostante il reciproco disagio, entrambi facevano finta di
niente e
non si dicevano nulla: il pirata, dopo aver scaricato la solita non
voglia di
farsi medicare, rimaneva zitto ad aspettare che lei finisse;
Perona,
rossore o altro che avesse, manteneva sempre una calma sorprendente che
le
permetteva di muovere le mani con sicurezza medica.
I loro attimi di “crocerossina e infermo”
terminavano nel giro di una ventina
di minuti scarsi ma molto intensi.
A
forza di
essere stuzzicata la crosta venne via, scoprendo una superficie di
pelle nuova
dal colorito roseo e lucido.
Zoro diede un ultimo sguardo al suo riflesso nello
specchio, girando il
viso di tre quarti – prima a sinistra e poi a destra
– e dopo si sciacquò la
faccia con energia utilizzando l’acqua fredda contenuta in un
catino.
Quel pomeriggio, lo spadaccino si era tolto tutte le bende da solo;
anche se
immaginava le imprecazioni che ne sarebbero nate da parte di Perona,
non gli
importava: ormai non v’era più
necessità, e così facendo poneva fine alla
pratica tanto scomoda per entrambi.
Terminò di curare il proprio aspetto mettendosi addosso dei
vestiti avuti in
prestito da Mihawk: erano un paio di pantaloni di fustagno, neri, e una
camicia
bianca, una di quelle che il corsaro indossava spesso.
Infilato l’ultimo bottone nell’asola e sistemata
l’haramaki, si sentì pronto.
Forse la camicia gli stava un po’ larga di spalle, ma non era
un problema;
quello che gli mancava erano le spade, non vedeva l’ora di
riaverle legate al
suo fianco, e l’intenzione di quel giorno era esattamente di
andare da Mihawk
per discuterne.
Sforzandosi
di ricordare dove si trovasse la stanza nella quale il suo futuro
maestro si
ritirava, lo spadaccino s’incamminò prendendo le
scale che lo portavano
all’ingresso del castello.
Arrivato lì, voltò a destra per attraversare un
susseguirsi di tre sale;
tra le quali, il salotto in cui Perona prendeva abitudinariamente il
tè… e
siccome s’era fatta l’ora giusta, pregò
e sperò di non incontrarla.
Stranamente non la vide, così raggiunse tranquillamente il
luogo in cui avrebbe
trovato Occhi di Falco.
Eccola lì: la pesante porta che aveva davanti a
sé era quella della studio di
Mihawk. Questa era accostata; Zoro non l’avrebbe mai ammesso,
ma di fronte ad
essa un leggero senso di soggezione lo portò a bussare prima
di entrare.
La risposta non tardò ad arrivare: «Sì,
sei ancora tu ragazza fantasma? Se è
per il tè non insistere, non ho intenzione di prenderlo con
te».
Il pirata spalancò la porta senza annunciarsi, ed
entrò. Se Mihawk avesse avuto
da ridire a riguardo, fatti suoi: aver bussato era già un
gran favore, per come
la vedeva l’apprendista spadaccino.
«Salve, Roronoa… Accidenti, sembri stare proprio
meglio. Cosa ti porta qui?»
Domandò il corsaro, sorpreso di vederselo davanti con la
solita aria spavalda
che sembrava chiedergli “ti prego dammi una lezione, fammi
capire chi comanda”.
Zoro cercò gli occhi del suo interlocutore, e dopo uno
sguardo veloce
all’ambiente – che trovò ricco di antica
mobilia – lo vide seduto su una
poltrona posta dietro ad un tavolo rettangolare e di legno
scuro.
Il corsaro stava consultando un libro
– lì ce n’erano molti: ogni
scaffale
presente in quella stanza pareva volersi spezzare sotto il peso di tomi
giganteschi, che Zoro non avrebbe letto nemmeno se avesse avuto
più di una vita
a disposizione – e finendo di scolarsi una bottiglia di
liquore. Un liquore
sicuramente buono, dall’odore che si sentiva avere impregnato
la piccola sala.
A Zoro avrebbe fatto molto piacere berne un po’, ma non era
lì per quello;
anzi, s’affrettò a portare la conversazione subito
al sodo: «È proprio di
questo che voglio parlarti», cominciò catturando
l’attenzione di Mihawk.
Il corsaro alzò la testa dalle pagine che stava leggendo per
puntare lo sguardo
in quello del giovane spadaccino, «Va bene, nonostante tu
abbia interrotto le
mie ore di studio, ti ascolterò. Ma prima
accomodati».
Il ragazzo fece come gli era stato suggerito: prese una sedia che stava
accostata al muro, la piazzò davanti ad Occhi di Falco, e si
sedette. Nel
farlo, però, aveva notato un enorme forziere circondato da
catene e con più di
un lucchetto a chiuderlo; stava messo proprio a fianco alla sedia che
aveva
appena preso.
«Sentiamo…» lo incalzò
Mihawk, dando una veloce occhiata ad un orologio da
tasca.
Zoro non rispose subito, perché una carta nautica, grande
abbastanza da
occupare mezza parete e appuntata al muro dietro le spalle del corsaro,
l’aveva
momentaneamente distratto. Questa mostrava diverse rotte tracciate in
rosso, la
Red Line, isole e alcuni punti indecifrabili... forse a indicare le
basi della
Marina. Già, la Marina... Occhi di Falco era un
membro della Flotta dei
Sette, prendeva ordini dal Governo Mondiale; Zoro avrebbe
fatto bene a non
dimenticarlo.
Inoltre, accanto alla bottiglia di liquore poggiata sul tavolo,
c’era un
lumacofono; simbolo di come il corsaro mantenesse i contatti con i suoi
“padroni”.
Il giro della curiosità finì quando Mihawk
mostrò segni di impazienza, così il
ragazzo riportò l’attenzione alla sua causa.
«Sto bene, credo di essere guarito e vorrei cominciare
l’addestramento»
«Magnifico, non credevo potessi riprenderti così
in fretta, mi fa piacere»
«Sì, ma prima vorrei riavere le mie spade, dove
posso trovarle?»
Mihawk sorrise impercettibilmente, poi parlò:
«Questo non devi chiederlo a me».
Ascoltando la risposta, una vena gonfia e pulsante comparve
istantaneamente
sulla fronte di Zoro. Ma egli si impose l’assoluto
autocontrollo.
«Perona mi ha detto di aver ricevuto l’ordine di
sequestrarle proprio da te…
quindi è a te che mi sto rivolgendo per
riaverle».
«Certo, sei stato bene informato, ma non le ho prese io. Devi
andare da lei,
perché solo lei sa dove sono».
Non gli stava piacendo, non gli stava piacendo neanche un pochino;
cos’era un
gioco? Si stavano divertendo alle sue spalle? Il giovane
spadaccino era
sull’orlo di mandare a quel paese il rispetto e farla vedere
a tutti e due.
Al contrario, il corsaro s’era messo comodo sulla sua
poltrona; per osservare
meglio quella sottospecie di intrattenimento non richiesto a cui stava
dando
adito lo spadaccino di Cappello di Paglia.
«Non guardarmi così, Roronoa! Non te le sto
nascondendo, non saprei che farmene
delle tue spade. Vai da Perona, te le darà lei…
Sempre che tu riesca a
convincerla».
Stavolta Mihawk non riuscì a trattenersi e si
lasciò scappare una tetra risata;
poi, con noncuranza, riportò lo sguardo tra le righe del
libro che attendeva di
essere finito.
Il dialogo con il ragazzo era concluso.
Tutto
aveva
un limite, e questo – a detta di Zoro – era stato
appena superato; la rabbia
che a stento riusciva a trattenere trovò un piccolo
pertugio nella corazza
di selfcontrol che si era imposto di indossare:
«Qui sto solo perdendo tempo, maledizione!
D’accordo, andrò dalla mocciosa, e
una volta riavute le mie katana… scoprirò se sei
davvero un uomo di parola!»
Calò il silenzio.
Il corsaro alzò immediatamente la testa e
cambiò espressione del volto,
mostrando quello sguardo freddo, di predatore, grazie al quale il mondo
l’aveva
conosciuto e con il quale, ora, lo temeva. Aveva capito bene il senso
delle
parole di Zoro: queste non erano una semplice insinuazione dettata
dalla
collera, ma una sfida sfacciata… erano una provocazione!
Ancora silenzio.
Zoro, che intanto si era messo in piedi e stringeva i pugni talmente
forte da
tremare, sostenne quegl’occhi magnetici fissandoli a sua
volta… Era
esattamente con quelle iridi
ambrate e con quello sguardo accigliato che Mihawk l’aveva
guardato prima di
affondare la lama dello spadone nero nella sua carne; il ricordo
cominciò a
serpeggiargli veloce sul torace, provocandogli brividi lungo la schiena.
«Ti aspetto qui, Roronoa – proruppe Occhi
di Falco, squarciando a
parole la tensione che s'era creata tra loro – ...
Ma non pensare che sarà
facile prendere lezioni da me: tu sarai il primo a cui ne
darò, perciò non so
se riuscirò a controllarmi… Dovrai stare attento
a non farti uccidere».
Agganciato! Zoro aveva messo in discussione l’onore del
corsaro e quest’ultimo
non s’era tirato indietro, anzi, sembrava esserne rimasto
molto urtato.
Prima di andarsene, il giovane spadaccino sostenne ancora lo sguardo
del suo
maestro; poteva quasi apparire perverso, ma l’idea
di battersi di nuovo con
lui – anche se sotto l’aspetto di un addestramento
– dopo la sfida che si erano
lanciati, lo stava facendo eccitare come la prima volta sul Baratie.
Doveva recarsi in fretta dalla ragazza fantasma, non poteva
più aspettare.
***
Prendere
il
tè in solitudine era infinitamente triste; e Perona amava la
tristezza, fin qui
nessun intoppo… ma, sfortunatamente per lei, amava quella
degli altri. Per cui
la situazione non era solamente triste, era tragicamente drammatica!
Occhi di Falco si era rivelato essere non solo di poca
ospitalità, ma anche un
taccagno di tempo e oltretutto simulacro della scortesia; la povera
ragazza ne
aveva avuto prova quel pomeriggio: gentile e sorridente come mai era
stata, si
era recata dal corsaro presentandosi con due fumanti tazze di
tè caldo e dei
biscottini appena sfornati dall’aspetto delizioso –
aveva provveduto lei stessa
ad inventarsi qualcosa coi pochi ingredienti che aveva trovato in
cucina,
perché senza dolci non poteva assolutamente stare
– e lui che cosa aveva avuto il
coraggio di fare?! Di liquidarla con un semplice, e completamente privo
di
cordialità, “adesso ho da fare, non
disturbarmi”.
Poco c’era mancato che ella gli mollasse tutto a terra per
scoppiare in un
pianto alluvionale.
Ma quale essere tanto mostruoso e insensibile poteva rifiutare il suo
unico e
specialissimo invito a “l’ora del tè di
Perona” ?! Ecco, ecco che cos’era Occhi
di Falco: era un mostro insensibile!
Ad ogni modo, la ragazza si era limitata a fargli una smorfia: peggio
per lui,
non sapeva quello che si perdeva; e poi, in fondo, lei aveva sempre
Zoro che
poteva tenerle compagnia.
Proprio grazie al pensiero che avrebbe condiviso un
tè con lui – ne
era certa: non le avrebbe mai potuto dire di no
– il suo umore era
tornato allegro e aveva abbandonato l’idea della piazzata a
Mihawk, per
dirigersi svelta dallo spadaccino.
Ma a pochi passi dalla camera di quest'ultimo, le era
tornato il
ricordo di averlo medicato e lasciato a riposo; e così,
rimasta fregata -
perché con i precedenti avuti era meglio non creare
nuovi problemi - era
stata costretta a fare dietrofront contro la sua volontà.
Ora, la ghost-girl se ne stava sola e scontenta su una sdraio in una
delle
ampie terrazze del castello, a centellinare con poco gusto il
tè e a
mangiucchiare i suoi biscotti (che erano veramente buoni, ma lei se li
stava
finendo dal nervoso).
Dalla sua altezza poteva osservare tutto il paesaggio circostante, e se
aguzzava la vista – quando la foschia lo permetteva
– oltre le cime dell’oscuro
bosco di pini neri, riusciva a scorgere il mare: una scia argentea che
tagliava
il tenebroso orizzonte dell’isola da quello livido del cielo.
«Certo che se ci fosse stato Kumacy qui con me…
Altro che fare l’infermiera a
quell’ingrato!»
Ovviamente l’allusione era indirizzata a Zoro; manco a
nominarlo che
improvvisamente…
«Perona!!! Perona!!! Sono stufo di cercarti, vieni fuori!!!
Peronaaa!!!»
Il tè quasi le andò di traverso per lo spavento.
Ma lui non stava dormendo?
Comunque, che cos’era quel modo di chiamarla come se
si stesse rivolgendo
ad un cane?! Per non parlare del tono con il quale stava bistrattando
il suo
nome! A tal maniera lo faceva assomigliare ad un insulto. No, doveva
porre fine
a quella tortura prima che le orecchie le iniziassero a sanguinare.
Fortunatamente, il ragazzo non era molto distante da lei: si trovava
esattamente nel giardino dove si affacciava la terrazza in cui Perona
aveva
tentato di sorseggiare, invano, il suo benedetto tè.
«Si può sapere che ti urli a quel modo?»
disse la ragazza, rimproverandolo
appena gli fu vicino.
Come la vide, lo spadaccino quasi le si avventò addosso:
«Le spade! Devi darmi
le spade!».
Sentendolo avanzare quella richiesta, Perona sospirò:
purtroppo Zoro non si
smentiva; e lei che per un breve istante si era lasciata elettrizzare
dall’idea
che lui l’avesse cercata con così tanta enfasi
perché desiderava vederla, e
magari prendere il tè insieme…
«Se me le stai chiedendo è
perché credi di essere guarito, altrimenti sai
quale sarà la mia risposta. Pensi davvero di stare
bene?» gli domandò
lievemente retorica.
Zoro aveva il fiatone – a causa dei molti giretti che s'era
fatto per trovare
la ragazza – e la voglia di discutere con lei era scarsa,
«Ho già parlato con
“Occhi Gialli”, mi sta aspettando, tu non farmi
perdere altro tempo!»
«Non essere insolente! Non ti permetto di rivolgerti a me con
quel tono, io non
sono la tua serva», Perona dava tutta l’aria di non
voler collaborare; lo
spadaccino storse il naso, ma il peggio che temeva non era ancora
arrivato.
Vane speranze: «Non ci posso credere! Hai tolto tutte le
bende che t’avevo
cambiato solo poche ora fa!» gridò la ragazza, che
non aveva fatto subito caso
all’assenza della sua opera medica sul corpo del pirata.
Zoro entrò in riserva di pazienza e, già stufo
della ramanzina che di lì a poco
avrebbe sopportato, premette gli incisivi sul labbro inferiore;
l’esaurimento
nervoso era alle porte.
«Se ti dico che sono guarito, perché dovrei
continuare a tenerle?! Comunque,
non tergiversare, rivoglio le mie spade!» esclamò
irremovibile.
«Ma sai dire solo questo?! Sei noioso!»
«Tu dammi le mie katana e vedrai che non ti
infastidirò più».
La voce dello spadaccino s’era fatta insolitamente
ammaliatrice e
invitante; questo perché utilizzare le maniere forti con la
Principessa
Fantasma era inutile, oltre che dannoso – lui l'aveva capito
a sue spese –,
quindi non gli restava che tentare con lei una sorta di falsa
accondiscendenza.
La quale ebbe esiti inaspettati...
Perona ci pensò su; purtroppo raggiunse una brutta
conclusione: lei esisteva
solo perché custode dei tesori del ragazzo, altrimenti lui
non l’avrebbe mai
cercata con tanta foga… o forse non l’avrebbe
cercata e basta!
La ragazza s’incupì liberando i suoi fantasmi, che
cominciarono a girarle
attorno, e abbassò la testa permettendo alla frangetta di
proiettarle un’ombra
sinistra sugli occhi.
«Perona, che ti prende?» domandò Zoro,
preoccupato dell’improvvisa e imprevista
reazione della ghost-girl; ma soprattutto temendo che uno di
quei cosi che
le volteggiavano attorno gli venisse scagliato contro da un momento
all'altro.
Dopo un breve istante, con la stessa velocità con cui era
caduta nella
mestizia, Perona tirò su il volto e mostrò allo
spadaccino un grande sorriso da
fare impressione – anche i suoi spettri fecero lo stesso
– «Va bene, lascerò il
mio tè e ti restituirò le tue preziose spade, ma
ci sarà da camminare».
Il ragazzo rimase sconcertato: umore altalenante, cambiamenti
comportamentali
improvvisi; aveva a che fare con una psicopatica, ormai ne era
sicuro.
Ma finalmente lei aveva ceduto! L’unica incognita che lo
lasciava ancora
perplesso, era quel “ci sarà da
camminare”… Non prometteva nulla di buono, a
suo parere.
«Fammi capire: non le hai nascoste nel castello?»
chiese incredulo.
«Non potevo, l’ho fatto la prima volta, tu avresti
potuto trovarle facilmente»
«Ma ti sarebbe bastato metterle in un posto diverso! Qui
è immenso, ce ne sono
di luoghi dove nascondere le cose!»
«Nessuno mi ha colpita a sufficienza. Dai, non fare domande e
seguimi, sennò
non ti ridò niente» disse la ragazza,
giocherellando con l’ombrellino rosso e
strizzando un occhio in direzione dello spadaccino.
Messo alle strette e non avendo altra scelta, Zoro cacciò le
mani in tasca e,
poco convinto, lasciò che Perona gli facesse strada... Un
brutto presentimento
gli suggerì che l'allenamento avrebbe tardato ancora a
cominciare
“Hey baby, I dig your scars
They think you're smart, but I think you're kind stupid
You don't say much, I don't care
They think you're strange, but I think it's kind fucking fun!
And I can't believe you're
still stuck to me
Can't believe you're still stuck to this world
And I can't believe you're
still stuck to me
Can't believe you're still stuck to this world
But he's not that kind of girl”
˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜
Qui parla l’autrice:
terzo capitolo, procediamo con ordine: quanto mi
piace descrivere
Occhi di Falco come se fosse un signorotto colto che se ne sta chiuso
in una
stanza a elucubrare sul mondo tra una lettura e po’
d’alcol. ^_^
So che chiamare la sua Yoru spadone non è corretto (spadone
indica un certo
tipo di spada europea del ‘400, più o meno) ma per
via della lunghezza e del
tipo di impugnatura mi sono permessa.
Passando a Zoro, apriamo la questione “Occhi
Gialli”… Spero di non essere
linciata.
Poi, tra loro ho voluto mettere un po’ di tensione (non che
non ci fosse già)
ma avevo bisogno di attizzare di più il clima per lo
svolgersi della storia.
Perona… povera Perona, la sto facendo soffrire questa
ragazza (ed è solo
l'inizio! - risata maligna-)
Nuovo disegno: stavolta m’è venuto a tema (a
proposito, se tornando indietro di
un capitolo non trovate nessuna immagine, tranquilli,
l’ho tolta apposta:
ci ho pensato e non voglio ripetizioni, quando avrò tempo
vedrò di riempire il
buco). Ma quanto l'ho fatto alto Mihawk?! Mi sa che
ho un tantino
esagerato. ^^' E per la mappa, Nami le disegna meglio di me. Il tavolo
con le
cariatidi ha un che di postmoderno… come
m’è venuto in mente?! Va be’ sto
delirando, colpa della febbre (sono malata
ç_ç) io volevo solo darvi
l’idea
di come fosse questa stanzetta che alla fine m’è
uscita semplice semplice… e
porca miseria ho dimenticato di fare il lumacofono e la poltrona!
Il testo del pezzo musicale che ho inserito è
roba dei Therapy?
̴ He's not that kind of girl (buoni da
ascoltare mentre si
tracanna birra e, se c'è la possibilità, mentre
si prende a calci un ragazzo).
Un
grazie
appiccicoso va a chi mi sta seguendo! =)
Pandroso