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Autore: HellWill    07/10/2013    0 recensioni
I ricordi possono essere una brutta bestia, e così le incomprensioni.
Salvare una vita non vuol dire solo sottrarla al pericolo, ma prendersene cura e curarsi della sua integrità, anche quando il pericolo è passato.
La vendetta non è dolce come sembra all'animo immaturo...
Genere: Angst, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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«Cerca di capire. Non puoi venire con me».
La bambina singhiozzò, coprendosi il viso con le mani e digrignando i denti.
«Io devo! Devo venire con te!».
«No, no.. non puoi, non devi. Stai qui.. con la mamma. Non serve che tu venga... morirai!».
 
Quanto gliela ricordava, quella ragazzina? Che uomo terribile che era.. non sapeva nemmeno il suo nome. Sentiva il respiro affannoso della bambina dietro di lui, ma da quanto erano partiti non si era voltato nemmeno un attimo per guardarla.. era troppo arrabbiato.
«Sei un assassino» mormorò lei ad un certo punto; lui si fermò così di botto che la ragazzina gli andò a sbattere contro, stampandogli la faccia sulla schiena. Si voltò con studiata lunghezza, mentre gli occhi della bambina si spalancavano per accogliere l’enormità di quello che aveva detto.
«Sì» rispose Kame con semplicità, in attesa di urla e strepiti... che non arrivarono.
«Mi va bene» mormorò lei, fissandolo pacata. «Sei un uomo gentile» disse poi, abbassando lo sguardo. L’uomo inclinò il capo di lato, stentando a capire come si fosse finiti a quel punto.
«Sei davvero terribile» commentò lui, prendendo dalla borsa l’otre con l’acqua e bevendo; la bambina lo osservò di sottecchi, piccata.
«Davvero?».
«Sì» disse, porgendole l’acqua. Keilin bevve avidamente, poi si vergognò per aver condiviso dell’acqua che era solo dell’assassino e gli porse l’otre mezzo vuoto.
«Scusami» bisbigliò, intimorita.
Il cammino andò avanti più o meno fino al tramonto, con una sola sosta per mangiare qualcosa: Keilin non toccò cibo e a Kame non andava di costringerla a mangiare, tuttavia quando calò l’oscurità e si ritrovò ad accendere un fuoco, i pensieri lo assalirono.
«Dovresti mangiare qualcosa» disse, come se stesse commentando il tempo. Lei alzò lo sguardo dal terreno che stava fissando da venti minuti, con occhi vacui.
«Ah sì» mormorò, sprofondando nuovamente nella contemplazione del nulla. L’uomo la guardò per qualche istante, poi scrollò le spalle e scomparve nel fitto del bosco, lasciandola sola con il fuoco. Dopo qualche minuto, fu di ritorno con due fagiani morti e una quaglia viva che gemeva di dolore.
«È ancora viva» osservò cautamente Keilin, aggrottando la fronte. Kame non le diede attenzione: con un coltello affondò nel petto dell’animale, che spirò immediatamente.
«Vola via» mormorò l’assassino, socchiudendo gli occhi, dopodiché alzò lo sguardo su di lei. «Ora non più» commentò lui freddo. La bambina sentì una strana sensazione impossessarsi di lei.
«..come ti chiami?».
«Kame».
Lei rabbrividì: aveva come la sensazione di conoscere già quel nome.
«Io mi chiamo Keilin».
«Il piacere è tutto mio» disse sarcastico, spennando i tre animali. La bambina si morse il labbro: era tutto sbagliato.. come poteva dirgli ciò che pensava?
«Posso diventare tua allieva?» mormorò, mordendosi le labbra a sangue. L’uomo si fermò. Il fuoco si fece più silenzioso. Persino la foresta parve tacere per assorbire quelle parole pesanti come rocce.
«Starai scherzando spero» brontolò lui, per nulla entusiasta, iniziando ad agitarsi. La bambina scosse piano il capo.
«No.. sono serissima».
«Ti vuoi davvero abbassare al livello di uno che ha ammazzato una donna e tante altre persone? Ti vuoi abbassare al livello dell’uomo che ha ucciso tua madre?» disse lui scettico, rievocando le parole che lei stessa gli aveva praticamente urlato contro. Keilin si morse il labbro: aveva ragione a trattarla così.. dopotutto era lei che l’aveva insultato e aveva giurato di vendicarsi... ma non era in sé! Come aveva potuto prenderla sul serio!?
«No.. mi abbasso al livello del sopravvivere» disse in un soffio, avvicinandosi a lui. Kame evitò il contatto fisico, visibilmente infastidito.
«Mi disprezzi così tanto?» mormorò amaro.
«Cosa..?» la bambina sembrò confusa.
«Mi disprezzi così tanto che non ti importa di macchiarti le mani di sangue innocente pur di arrivare a vendicarti su di me? Non ti importa della tua vita? Della tua coscienza? Davvero mi disprezzi così tanto, arrivi davvero a credere che sarei disposto ad insegnarti il modo con cui uccidermi e condannarti ad una vita terribile fatta di fuga ed incertezze?» mormorò lui, alzando lo sguardo solo alle ultime parole. Contemporaneamente, Keilin abbassò lo sguardo. No, non era quello... eppure le sue parole l’avevano ferita come se fosse vero.
«No, non è questo» mormorò. Si sentiva come se l’avesse schiaffeggiata, il che era strano visto e considerato che l’uomo non aveva nemmeno alzato la voce. Sentiva una profonda comprensione per quell’uomo.. era come un padre che non aveva mai avuto; una vita fatta di fuga ed incertezze, oh, non era forse la vita che la attendeva? E questo a dispetto che lei avesse deciso o no di imparare a fare l’assassino... no, no, lei voleva essere sua allieva per stare con lui, perché lui poteva essere il padre che non aveva mai avuto.
«E allora cos’è?» oh, il ragazzo sapeva fingere molto bene di non sapere cos’era, e lei lo percepì persino dalla sua voce seccata ma dolce. Ma Keilin capì che lo voleva sentire da lei, dalle sue labbra.. e questo nonostante lei non avesse alcuna intenzione di dirlo.
«Voglio essere tua allieva» ripeté caparbiamente, sull’orlo delle lacrime.
«E non sai il perché?» ridacchiò l’ombra, sarcastica e amara.
Keilin scosse la testa, anche se non era sicura del fatto che lui l’avesse vista. Kame sospirò e si scostò i lunghi capelli che gli ricadevano sul volto. Aveva un’espressione stanca, infinitamente stanca, e gli occhi velati da una leggera tristezza. Il volto ora era quello, il suo vero volto, e Keilin lo apprezzò per la sua semplicità, la sua familiarità: era più vecchio di quello che aveva prima, i capelli blu più sfibrati e corti, gli occhi velati da un antico dolore.
«Sei sicura di ciò che vuoi, piccola? Diventare grandi può essere.. traumatico» mormorò atono. Lei gli andò vicino e, incerta, gli pose le mani sulle sue. Lui alzò pacato lo sguardo, come se non potesse sorprendersi più di nulla, e le sfiorò il viso per farle una carezza. «Somigli così tanto alla mia Ann..» mormorò piano, mentre gli occhi viola diventavano lucidi. Per puro orgoglio, lui distolse lo sguardo ed estrasse un coltello dalla propria camicia: Keilin lo fissò con soggezione.
«Cosa fai..?».
«Questa sarà la tua arma. Con questo imparerai a cacciare, a difenderti, a tagliare aria e legna... sarai in grado di farlo?».
Keilin spalancò gli occhi e annuì piano, prendendo il pugnale dalla parte del manico: era liscio, di cuoio, e dalla fattura comune; ciò nonostante, la lama era lucida e ben curata, affilatissima e pronta ad uccidere.
«Bene. Ora mangiamo».
 
Il buio era calato su di loro e Kame si era steso dall’altra parte del fuoco, dandole le spalle. Keilin non dormiva, e non sapeva se lui invece lo stesse facendo.. ma poco importava, dopotutto, perché lei avrebbe preso sonno abbastanza presto. Prima di dormire, estrasse il pugnale dal fodero e se lo rigirò fra le mani: era troppo piccola, troppo impacciata, troppo inutile... non sarebbe mai diventata un’assassina, probabilmente. E lei si era resa conto che non c’era spazio per lei nel mondo. Cosa fare? La risposta le baluginava nelle mani, riflettendo la luce della luna in cielo, ridotta ad uno spicchio calante. Oh, sì, sapeva cosa fare: il metallo le dava sicurezza.
Aveva detto di volersi vendicare, no? Voleva vendicarsi di lui, dell’assassino di sua madre... l’uomo che l’aveva salvata. Quel dualismo la confondeva, ma forse dopotutto ora sapeva cosa fare.
«Hai ucciso mia madre» sussurrò, con l’arma in pugno. Kame non si mosse, ad occhi chiusi.
«Sì» mormorò poi.
Lei rimase scossa. Era sveglio, ma non la stava fermando.
“Somigli così tanto alla mia Ann...”.
Quel pensiero la scosse. E se invece...
Keilin chiuse gli occhi e sorrise appena.
«E allora io mi vendicherò».
«Sì» mormorò ancora lui, aspettando di essere colpito. Ma non accadde. «Ragazzina?».
«Kame».
Il tono era piatto, esangue, ma solo il suono del coltello che rimbalzava contro una pietra fece riscuotere l’uomo, che si alzò di scatto e la fissò a bocca aperta, impallidendo.
«Cosa stai facendo!?».
Keilin sa che lui sta urlando, ha anche una vaga percezione di cadere, ma non si rende conto delle sue mani che le esaminano il braccio squarciato, non si rende conto del suo sguardo disperato e triste, come se l’avesse distrutto.
“La vendetta.. non è affatto dolce come pensavo”.
Ma anche quel pensiero le stava scivolando via di dosso, sentiva un freddo crescente, stava perdendo sangue.. tanto sangue, questo lo sapeva.
«Stupida, sei una stupida...» singhiozzò l’uomo accanto a lei, tirando un calcio ad un masso, mentre la guardava morire.
Keilin sapeva di averla fatta grossa, e sapeva di aver aperto dentro quell’uomo una voragine se possibile più enorme di quella che c’era già.
«Non.. colpa tua. No» mormorò, mentre chiudeva gli occhi: aveva così tanto sonno.. era così che ci si sentiva a morire? Come se ci si addormentasse?
“Vola via”, e la quaglia che invece di spalancare le ali si accasciava fra le sue mani.
“Vola via”.
“Vola via”.
«Vai via. Vola via» mormorò l’uomo, prendendole una mano e portandosela alle labbra. Keilin aprì gli occhi e scrutò per l’ultima volta quelli viola dell’uomo; non sapeva da cosa fossero dettate quelle sue ultime parole, ma sentiva di dovergliele dire.
«Ann.. ti perdona» sussurrò, con un filo di voce. «Ti.. perdona» ripeté, come se non capisse il senso di quello che stava dicendogli.
L’assassino rimase immobile, poi singhiozzò appena mentre gli occhi della piccola si velavano d’incoscienza.
“Vola via, via, via”.
«Vola via dalla mia piccolann, Keilin. Vola via» mormorò l’uomo, piangendo disperato accanto al corpo esanime della bambina.
   
 
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