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Autore: Maya Amy    11/10/2013    1 recensioni
Beatrix è finalmente libera. Dopo tutti questi anni, dopo tutto ciò che ha passa, è libera. ma, forse, ha scelto il momento sbagliato per scappare. Alle volte se lo chiede. Era meglio restare nella Cava, schiava per sempre, ma ignara di tutto? O è forse un bene essere fuggita, nonostante ad aspettarla sia una terra soggiogata dal freddo e dalla guerra, che le scarica sulle spalle un'enorme responsabilità? Vorrebbe scappare da quelle responsabilità, rifugiarsi in qualche posto remoto, con un futuro incerto, ma rassicurante e spensierato. Ma il Destino non si può evitare. Destino bussa alla tua porta e ti trascina via, per poi non mollarti più.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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*Capitolo 3*



Beatrix si lasciò cadere con un tonfo soffocato su un cumulo di foglie morte. Appoggiò la schiena al tronco dietro di lei e alzò gli occhi al cielo. Da dietro i rami, un altro bellissimo tramonto la salutava coi suoi colori caldi. Chiuse gli occhi e lasciò che la luce morente le riscaldasse lenta la pelle. Le sembrò che il malumore le scivolasse pian piano di dosso. Si sentiva un po’ meglio.
Ancora con gli occhi chiusi, Beatrix fu inondata dai ricordi non invitati di tutto ciò che era accaduto dal racconto di Nate a quel momento di momentanea calma.
 
Quando Nate aveva finito il racconto, Beatrix ricordava di aver provato una strana sensazione: era come se fosse stato aggiunto un tratto ad un disegno che lei non riusciva a vedere. E quel piccolo tratto le riecheggiò nella testa con un suono familiare. Si era chiesta cosa significasse, ma non era riuscita a trovare risposta.
Aveva fatto un distratto commento e ricordava vagamente che Nate le aveva risposto, ma non ne era sicura. La sua attenzione si risvegliò al suo improvviso cambio di espressione. Stava per dire qualcosa d’importante, lo sapeva, ma era stato interrotto. Chissà di che si trattava...
Di lì a poco, dopo i saluti, erano in marcia.  Sul trio era calato un velo di silenzio. Ognuno era immerso nei propri pensieri.  Jamal avanzava a grandi falcate mormorando a bassa voce tra sé e sé; subito dietro di lui c’era Nate, che aveva un’espressione corrucciata che sembrava veramente buffa sul suo viso; in fondo al gruppo, Beatrix camminava lenta, abbracciandosi come se sentisse freddo, nonostante facesse quasi caldo.
Un pensiero l’aveva colpita all’improvviso, era ovvio, tuttavia la sorprese ugualmente. Non sono più nella Cava. Sono scappata.  Rallentò ancor di più il passo. Io sono... libera. Formulò quest’ultimo pensiero con incertezza.  Certo, ci aveva già pensato prima, lo sapeva, ma era come se il suo cervello non avesse elaborato completamente l’idea, come se fosse un pensiero tipo “ Le persone hanno gli occhi.”. Era una cosa ovvia, su cui non ci stavi veramente a pensare, su cui non ti ci soffermi.  Ma adesso  la verità la colpì come un getto di acqua fredda, le entrò per bene nella mente, si fuse con ogni sua fibra.
 Per un momento, in modo del tutto irrazionale, le sembrò una cosa terribile. Fu assalita ancora una volta da mille dubbi. In un certo senso, essere schiavi era facile: non dovevi pensare, dovevi solo obbedire agli ordini, non dovevi decidere niente e l’unico tuo pensiero era che dovevi essere bravo a obbedire. Come un cane. O uno zombie. Invece da libera cosa avrebbe fatto? Doveva prendere decisioni importanti, ogni sua azione le sarebbe costato un prezzo e non sapeva cosa sarebbe successo se avesse fatto le scelte sbagliate. Fino a quella sera, il mondo esterno le era sembrato un meraviglioso sogno su cui fantasticare, che desiderava conoscere e toccare con le proprie mani. Ma in fondo non le era sembrato così vero, non come ora. Ora il mondo esterno non era più qualcosa a parte, diviso da lei, ora lei ne faceva parte. E questo le faceva paura. Perché era un mondo sconosciuto, dove le persone non erano divise nitidamente come nella Cava tra amici e nemici, dove le persone avevano modi diversi, dove si doveva decidere da soli delle proprie azioni, dove lei era un’estranea. Ebbe paura.
NO! Non mi farò sopraffare da tutta questa negatività. Avere paura è stupido. Affronterò il mondo a testa alta e vincerò!
Era ferma. Gli altri erano ormai lontani. Non riusciva più a vederli. Si guardò in giro. L’aria umida era invasa dai canti dei grilli e degli uccelli notturni. Non era un bel posto, di notte. Nel buio, gli alberi sembravano solo delle sottili sagome scure. Si sentivano fruscii dappertutto e più di una volta le sembrò che ci fosse qualcuno dietro i tronchi nodosi.  Aveva l’impressione di essere osservata. La paura le serrò di nuovo lo stomaco.  
Cosa c’è di sbagliato? Solitamente non ti spaventi così facilmente. Sono solo un po’ nervosa. Solo un po’ nervosa, eh? Allora perché ti tremano le mani?   Già, perché? Cercò di fermarle.
Un fruscio. Questa volta era sicura di non esserselo immaginato. La sua mano corse veloce verso l’impugnatura della spada.  Calma, Beatrix, devi essere calma. Prendi un bel respiro e preparati.
 Lo fece. Fissò la direzione da cui era arrivato il fruscio. Ne sentì un altro. Questa volta era più vicino.  Sguainò l’arma. Si sentì un ramo spezzato. Era uno solo, costatò lei. Bene.  Un ramo basso fu spostato da una mano bianca. Lei era pronta.
Stava per partire all’attacco quando  riconobbe i disordinati capelli rossi di Nate.
<< Eccoti!>> esclamò lui. Le si avvicinò e lei gli diede uno schiaffo sul braccio. << Ahi! Perché l’hai fatto?!
<< Mi avete lasciato indietro!>> rispose lei.
<< Non è colpa nostra se cammini alla velocità di una lumaca. Anzi, se faceste una gara, lei vincerebbe sicuramente. >>
Lei gli diede un altro schiaffo.
<< E questo per cos’era?!>>
<< E’ perché mi hai fatto spaventare. >>
<< Scusa. >>
<< Sì, ok-ok, ora andiamo. >>
Quando lo ritrovarono, Jamal stava cercando di arrampicarsi su un albero. Beatrix lo guardò, sconcertata.
<< Penso di avere un’allucinazione. >>
<< Vedi per caso Jamal che si arrampica su un albero. >> chiese Nate.
<< Sì. >>
<< Allora siamo in due. >>
Intanto l’interessato si era accorto di loro.
<< Ehi, ragazzi, eccovi qui! >> li salutò giovialmente con una mano, mentre con l’altra si teneva aggrappato ad un ramo, come se essere appeso lì come una scimmia fosse una cosa assolutamente normale. <> e indicò con un cenno della testa le funi legati alla sua sacca.
<< Mi dici quale persona sana di mente si arrampicherebbe su un albero neanche fosse una dannata scimmia?>> chiese Beatrix intanto che gli passava le corde.
<< Nessuno ha mai detto che io sono una persona sana di mente. >> puntualizzò lui risentito. <>
Lei alzò un sopracciglio. << E da quando l’idiozia rende attraenti?>>.
<< Mi confondi con qualcun altro. Io non sono idiota.  Sono follemente geniale e viceversa. Essere folli è sexy. >> disse lui. Per un attimo a Beatrix sembrò che Nate annuisse. Assurdo!
<< Fingerò di darti ragione. Ora mi spieghi perché sei arrampicato su quel dannato albero. >>
<< Innanzitutto perché mi andava di farlo. >>
Le sembrò ancora una volta che Nate annuisse.  Si coprì il viso con una mano. Sono circondata da idioti...
<< Poi perché su questo dannato albero, come lo chiami tu, ci dormiremmo. Quindi ti consiglierei di essere più gentile con lui. Potrebbe offendersi e buttarti giù dal ramo mentre dormi...>>
<< Ti sei completamente bevuto il cervello.>> constatò lei dopo un momento di silenzio allibito.
<< A dire il vero no.  Sono solo prudente. Nel caso tu non lo sapessi, le persone, quando dormono, non possono difendersi. Se ci sorprendono mentre siamo n addormentati, siamo fregati. Così dormiremmo su quest’albero: non ci vedranno e non ci sentiranno ( a meno che naturalmente tu non russi peggio di mia zia Petunia); anche nel caso ci vedano,  bè, siamo su un albero! Non potranno raggiungerci così facilmente, ci vorrebbe troppo tempo per buttare giù l’albero e probabilmente ci sveglierebbero, per non parlare del fatto che probabilmente dopo un po’ si scoccerebbero. Sempre che non abbiano degli arcieri con una buona mira, in quel caso saremmo in guai grossi. >>
<< Ci sono troppi “a meno che”. Non mi piacciono gli “a meno che”, sono antipatici. Non hai considerato il problema della comodità. Non mi sembra il massimo del confort. Inoltre come ha risolto la tua geniale >> e caricò quest’ultimo aggettivo con quanto più sarcasmo riuscisse a trovare per poi continuare:<< mente il problema di una più che probabile caduta anche senza l’aiuto di alberi offesi?>>
<< Semplice. La mia risposta è funi. Ci legheremo all’albero con le funi.>> rispose lui.
Questo tipo non ci sta con la testa. Concordo. Però sembra divertente! COSA?! Allora neanche tu ci stai con la testa! Ti faccio notare che io sono tu. E anche che in quanto tale so che sei curiosa. La trovo una pessima idea. Può darsi, ma sembra anche spassosa! Spassosa? Veramente? Trovi spassoso dormire su un albero e svegliarsi con dolori ovunque peggio di una vecchia decrepita?! Ed io che pensavo che tu fosse la parte più ragionevole di me...
Alla fine si arrese.  Mentre si legava la fune intorno alla vita e alle gambe, pensò che almeno, da quella postazione più alta, riusciva a vedere il cielo(Te l’ho detto che non era male come idea! Zitta tu, non voglio parlare con te! Spero tu ti renda conto che ti sei offesa con te stessa... Vai a quel paese!!  Questo implicherebbe che tu ci venissi con me. UFFA! ). Incorniciato dalle foglie, si vedeva uno scorcio di cielo: il vellutato blu scuro era punteggiato dalla miriade di piccole stelle e la luna si nascondeva dietro delle nuvole scure, diventando un confuso alone chiaro.  Guardare il cielo la calmò. Ben presto si addormentò, esausta com’era.
La mattina, come lei stessa aveva predetto, si alzò tutta dolorante e peraltro di pessimo umore. Per non parlare del fatto che quasi cadde quando cercò di slegarsi le corde intorno alle gambe, meno male che era legata anche intorno alla vita! Scese quindi dall’albero facendo il massimo dell’attenzione. Perché non aveva seguito la sua prima impressione su quella faccenda?!
Ai piedi della’albero, gli altri erano doloranti come lei.
<< Cerchiamo di non farlo mai più.>>
Mormorii d’assenso.
<< Ammetto che non è stata la mia idea più geniale...>> disse Jamal massaggiandosi con una smorfia una spalla.
<< No, infatti. E’ stata una delle peggiori!>>  disse Nate stiracchiandosi. La sua schiena protestò con uno scrocchio inquietante. << Ah... la vecchiaia...>>
Mangiarono lentamente e senza proferir parola.  Se stava diventando un’abitudine, a Beatrix non andava bene. Il silenzio non le piaceva, non se così pensante. Il silenzio imbarazzato era uno dei peggiori. Nessuno sapeva cosa dire e restava il più concentrato possibile sulla sua porzione di cibo. Intanto il suo malumore cresceva piano piano.
La marcia fu altrettanto silenziosa. Beatrix teneva gli occhi incollati al manto di foglie morte, sotto di cui si nascondevano mille insidie: rami, pietre affilate e roba schifosa. Non era il miglior percorso per una persona scalza. Borbottava tra sé e sé mentre una brutta sensazione le stava appiccicata addosso come una sanguisuga, sensazione che non l’aveva mollata un secondo  da quando quella mattina aveva aperto gli occhi. Se le emozioni avessero un odore, probabilmente quella avrebbe puzzato di bruciato.  Ma probabilmente era solo lei, o solo quella giornata che la rendeva paranoica. Più paranoica del solito. Si sentiva osservata: già, sentiva chiaramente la nuca formicolarle, era un istinto animale che la avvertiva di qualcosa. Ma di cosa?  Ogni volta che quel pensiero si faceva più insistente, lei si voltava, ma non riusciva a scorgere niente, nonostante ciò quell’ansia non la abbandonava.
Chissà se anche gli altri sentivano quest’inquietudine. Beatrix lanciò loro un’occhiata. Niente. Era solo lei. Paranoica. Quella fu una delle poche volte in cui fu d’accordo con l’altra lei.
Persa nei suoi pensieri, Beatrix non si era neanche accorta di aver camminato così tanto. Per fortuna c’erano i suoi piedi, che con gentilezza cominciarono a farle un male cane per avvisarla.
 
Ed eccola di nuovo nel presente. Quel flashback le aveva fatto perdere la cognizione del tempo. Caspita se è tardi! Era ormai buio. Sentì un sonoro sospirò da qualche parte vicino a lei e si volto. Jamal ne fece uno ancor più esagerato e si massaggio gli occhi.
<< Deduco dalla tua espressione che non hai sentito una parola di quello che ho detto...>> disse lui stancamente. OK, questo era stato piuttosto imbarazzante. << Ho detto che ci accamperemmo qui.>> quando vide la sua espressione sofferente, Jamal ne trattenne appena una divertita. << Non ti preoccupare, niente notte sull'albero. Dormiremo come tutti i viaggiatori intorno al fuoco e faremmo i turni di guardia.>>
<< Turni di guardia. Finalmente qualcosa di sensato!>>
Nel frattempo che lei stava pensando alle mucche volanti, gli altri si erano dati da fare. Nate era andato a prendere la legna e Jamal aveva acceso il fuoco. Questo la fece sentire profondamente in colpa.
Seduta davanti al fuoco, Beatrix tese le mani verso le fiamme. Queste danzavano un ballo frenetico sulle note incomprensibili dei crepitii del fuoco, alzandosi e fondendosi a ritmo prima lento poi veloce, in una danza caotica e ipnotizzante. Mentre ammirava i movimenti delle fiamme, Beatrix si sentì più calma. Oltre ad aver riscaldato le sue mani fredde, il fuoco sembrò aver sollevato un po’ l’umore del gruppo.
<< Ho sentito dire che intorno al fuoco si raccontano storie...>> buttò lì lei.
Nate e Jamal sembrarono entusiasti dell’idea. << SI’! Storie dell’orrore!>>ghignò lui, per poi unire le dita davanti al viso e imitare una risata malefica.  << Ovviamente inizio io. Mmmm… vediamo...Qualche anno fa, prima di entrare nella Cava, ero dalle parti di Rossville, vicino a Perderk. Ero lì per un lavoro>> cominciò lui, poi fece una piccola pausa che diede a Beatrix il tempo di chiedersi che lavoro facesse. Non se lo era mai chiesto. Lui fece un gesto veloce con la mano, proseguendo:<< ma questo è irrilevante.  Avevo un paio di amici lì e il giorno in questione avevamo deciso di ubriacarci, se non mi sbaglio era il compleanno di Vic ( o del suo gatto? Non ricordo bene). >>  per quanto si sforzasse, la ragazza non riusciva a immaginarsi un amico di Jamal ( probabilmente un omaccione tutto muscoli e tatuaggi) con un gatto. Che nome poteva avere? Mirabelle? << Se ve lo state chiedendo, il suo gatto si chiamava Sir Pelosotto. Era una peste.
<< Dov’ero rimasto? Ah, sì... A metà serata eravamo tutti un po’ ubriachi. La locanda non era pienissima, ma neanche vuota. Bene, a quel punto a uno di noi venne la geniale>> e da come lo disse, non lo sembrava per niente.<< idea di giocare a braccio di ferro (mi sa che mi è venuta proprio a me...). C’ero io contro Vic, che era parecchio ubriaco. Per quanto Vic sia una montagna>> Ah, quindi ho indovinato. << quasi non si reggeva più in piedi, quindi pensai di potermela cavare.  Allora ci mettiamo seduti e tutti che ci stanno intorno a noi, a gridare a ridere. Vi giuro, quando ho stretto la sua mano, la mia quasi non la vedevo più! Aveva il pugno il doppio del mio. Questo, teoricamente, avrebbe dovuto mettermi all’erta. E invece no! Ero convinto, come un mulo testardo, di farcela. La convinzione certe volte ti fotte. Ma evidentemente ero troppo ubriaco per rendermene conto.
< <<” Cinque silbern che vince Vic!”
<< “ Quattro su Jamal!!”
<<” Cazzo, ma l’avete visto a Vic?! Io punto dieci su lui!”
<< “ Sì, ma Jamal è uno stronzo che se la cava sempre. Dieci sullo stronzo!!”
<< E intanto che quelli scommettevano, io mi stavo sudando anche l’anima. Nel caso di Vic, il detto “ Non giudicare mai dalle apparenze” non contava. Se ti appariva uno stronzo maledettamente forte, allori avevi ragione. Però non me la cavavo male neanche io! Gli stavo tenendo  testa e vi assicuro che non è cosa da poco. I nostri pugni erano ancora completamente fermi, nessuno stava vincendo e sembrava quasi che non avessimo iniziato. Però avevamo iniziato, eccome! Avevamo entrambi i muscoli tesi per lo sforzo ( Dio! Il braccio di quel pazzo era raddoppiato!). E intanto che cercavo di non farmi vincere, pensai: “Cazzo! Ma questo non era ubriaco marcio?!” Alla fine il mio braccio non ce la faceva più.  Mi stava inclinando il braccio verso sinistra e me con esso, mentre avvicinava pericolosamente il mio pugno al tavolo. E mentre cercavo di vincere la sua forza, pensavo “ Merda, merda, merda!! Non devo perdere!”
<< Inutile dire che ho perso.>> ne sembrava ancora infastidito.
<< Per quanto capisca che per un pallone gonfiato come te sia una tragedia perdere a... qualcosa, non trovo che questa si possa considerare una storia d’orrore...>> gli fece notare Beatrix.
<< Solo perché non ho finito. Ero stato sconfitto, quindi avevo perso la scommessa. Ora, non vi ho detto in cosa consisteva la scommessa. Ebbene, chi perdeva doveva vestirsi per tutta il resto della sera da donna. E’ stato terribile!! Joanne, una delle cameriere, mi ha fatto indossare un vestito verde. Non bastava l’umiliazione di dover indossare una gonna, ci si metteva anche quel dannato corsetto che non mi faceva respirare! Seriamente, come fanno le donne a indossare quella macchina da tortura tutti i giorni!? Il resto della serata è passato con tutti che ridevano e facevano commenti tipo “ Una signorina perbene non dovrebbe stare seduta in quel modo”, o “ Una signorina non beve come un pirata che non vede una goccia di rum da anni!”. Vi assicuro che è stato orribile! Secondo me a Rossville si ricordano ancora di questo episodio!>>
Tutti risero.
<< Secondo me te la sei presa perché il verde non ti dona.>> fece Nate fra una risata e l’altra.
<< Oh, su questo ti sbagli di grosso, amico! Il verde s’intona ai miei occhi.>> rispose lui con la faccia di uno che se ne intendeva. Scoppiarono di nuovo a ridere. << La parte peggiore, però, non è stata né la gonna e neanche il corsetto. Anzi, la gonna era pure comoda, anche se c’erano troppi spifferi per i miei gusti... No,no, la parte peggiore è stata quando George era così ubriaco che mi ha scambiato veramente per una donna.>>
<< Oddio, ti prego, smettila! Mi scoppia la pancia!>> rise la ragazza. E invece lui continuò.
<< Quell’idiota viene verso di me. Barcollava così tanto che mi chiesi com’è che riusciva a restare in piedi.  Comunque si avvicina e fa “ Ehi, bellezza! Sono per caso morto? Perché tu mi sembri un angelo.”. Dio! Ero in imbarazzo per lui! Allora io gli ho detto “ Amico, sei ubriaco. Non sai quello che dici. Meglio se vai a schiacciare un pisolino da qualche parte.”. Ma quello non mollava. Alla fine, non ricordo come ( non è che fossi tanto lucido neanche io), il coglione mi tocca il sedere. Alla fine non ci ho visto più e gli ho tirato un pugno e lo mandato dritto per terra. Allora, l’idiota, steso per terra, sapete che ha detto? >> fece una pausa ad effetto, alzando un sopracciglio.  Nate era ormai rosso in viso e sembrava che stesse per scoppiare da un momento all’altro , tanto che cercava di trattenere le risate. Con le guance piene d’aria scosse la testa. << “Mi piacciono le donne con carattere!”>> rispose Jamal imitando una voce strascicata e un tono da ubriaco.
Alla fine Nate scoppiò. No, non veramente, scoppio solo a ridere ancor più forte di prima, con le lacrime agli occhi, subito seguito dagli altri. Beatrix pensò che probabilmente Jamal era l’unica persona che sarebbe riuscita a raccontare un episodio come quello così tranquillamente e facendoli ridere così tanto.
Ma a quanto pare si sbagliava. Stettero svegli per un altro bel po’ di tempo, a raccontarsi storie davanti al fuoco. Quando arrivò il suo turno, Nate raccontò che, quando aveva poco più di quattro anni, lui e sua madre erano appena arrivati in una nuova città; era inverno e c’era neve dappertutto e lui, curioso, si era avvicinato a un lampione e lo aveva leccato, perché voleva sapere che gusto aveva. Sua madre, tra una risata e l’altra, era riuscita a staccarlo dal lampione con dell’acqua calda. E risero ancora (<< Non ridete, non è stato affatto divertente>> protestò lui, ma intanto sghignazzava).  Beatrix riuscì miracolosamente a raccontare tra una risata e l’altra della rissa col supervisore( << Ben fatto! Io perché non ci ho pensato?! >> fece Nate).  Parlarono ancora, se sparare parole a caso e scoppiare a ridere può considerarsi parlare, poi andarono a dormire, ancora con le spalle che di tanto in tanto tremavano per una nuova risata soffocata.
Erano riusciti, chissà come, a stabilire i turni di guardia. Beatrix era la prima, Nate il secondo e Jamal l’ultimo.
Ora che era più calma, la giovane ebbe modo di pensare un po’. Alzò lo sguardo verso il cielo, scorgendolo a pezzi fra i rami. Non ricordava di aver mai riso così tanto, di essersi mai divertita in quel modo. Si sentiva bene, certamente. Forse non è un posto così male, il mondo. Forse ci starò bene.
 
Beatrix era stanca. Aveva le palpebre pesanti e gli occhi si chiudevano a intervalli sempre più corti. Ogni volta lei se li strofinava irritata, dandosi qualche pizzicotto per svegliarsi.  Non mancava molto al turno di Nate, ma non voleva svegliarlo in anticipo, non le sembrava giusto. Così si disse di resistere un altro po’.
Ma era più facile a dirsi che a farsi. A un certo punto non era più sicura se stesse dormendo o fosse sveglia. Aprì gli occhi di scatto. Evidentemente dormiva.
Ma non era stato la consapevolezza di star dormendo a svegliarla (Sarebbe comunque una cosa assurda). Aveva sentito un rumore. Ed era certa che non fosse la foresta. Non le risultava che la vegetazione o gli animali potessero imprecare. Tutto il sonno che aveva avuto fino a quel momento sparì in un battibaleno.  Un altro rumore confermò la sua tesi, nel caso non fosse abbastanza convinta.
Si mosse silenziosa verso i compagni e li sveglio. Prima che potessero protestare, li zittì con un gesto, facendo loro segno di ascoltare. Stanno facendo un sacco di baccano!  Tanto valeva mandare un messaggero ad annunciarli! Non scordarti che hai un udito straordinario. Nonostante il suo udito, anche gli altri li sentivano benissimo. Si prepararono svelti ad accogliere adeguatamente degli ospiti con così poco preavviso. In un attimo erano tutti belli, profumati e armati. Bè, forse profumati no, ma belli sì. E anche armati.
La prima li colse di sorpresa. Sfrecciò come un fulmine e quasi non la vide. Però Nate la vide eccome! Andava dritta verso il suo viso e se non si fosse spostato in tempo, lo avrebbe centrato in pieno. La freccia sibilò vicino al suo orecchio, districò con forza il groviglio di capelli rossi e andò dritta verso l’albero portandosene alcuni dietro. Si conficcò nella corazza della pianta vibrando.
<< Merda! Hanno un arciere!!>>
<< Non buono.>> Nate sembrava leggermente scosso.
<< No, infatti>> mormorò a mo’ di conferma la ragazza.
Un’altra freccia vibrò nell’aria. Più che vederla, Beatrix la sentì e si spostò istintivamente. La freccia le disegnò un lungo e sottile tratto rosso sul braccio scoperto, poi proseguì indisturbata e si conficcò poco lontano dalla gemella. Se non fosse vissuta in quell’inferno della Cava, probabilmente  il taglio le avrebbe fatto molto più male. Bruciava, ma essendo abituata a colpi ben peggiori, non ci fece caso più di tanto.
Poco tempo dopo, la minuscola radura in cui si erano accampati si era riempita di uomini.
Si avventò sul primo nemico che le venne incontro. Le lame cozzarono una contro l’altra con uno stridio fastidioso e poi si separarono come se si fossero scottate. Il nemico la saluto con un sorriso disgustato prima di attaccare ancora, con forza. La giovane parò il colpo tenendo la spada con entrambe le mani. Era piuttosto impegnativo tenergli testa: ce la stava mettendo tutta, ma le mani stavano cominciando a tremarle e la lama avversaria si avvicinava pericolosamente al suo volto. Da così vicino, ebbe modo di osservare la spada. Era bella, doveva ammetterlo:  sebbene l’elsa non fosse di metallo prezioso, era lavorata con eleganza; la lama era spessa e aveva l’aria di essere molto pesante; tutta la spada poteva misurare poco meno di lei. Le venne un’idea.
<< Bella spada, veramente!>> fece lei. << Lavorata per bene, pesante , ben bilanciata. Anche molto imponente, già...>> a questo punto assunse un sorriso malizioso<< Non è che cerchi di compensare a... qualcos’altro?>>
Il suo avversario non sembrò gradire l’insinuazione. Beatrix aveva raggiunto il suo scopo: si era deconcentrato. Con un sorriso vittorioso colpì l’uomo con un possente calcio nello stomaco. I suoi polmoni si svuotarono bruscamente e il tipo spalancò gli occhi, sbalordito, prima di cadere con un tonfo a terra.  Senza perdere tempo, la ragazza gli infilò fulminea la spada nella gola, dal quale uscì uno schizzo rosso. Probabilmente aveva reciso qualche vena importante, o qualcosa del genere. Presto intorno alla testa dell’uomo si creò una pozza scura e i corti capelli assorbirono il sangue come un pezzo di stoffa. Beatrix distolse lo sguardo dai cerulei occhi ora inespressivi.
Diede un’occhiata a com’era la situazione. Jamal combatteva contro un uomo un po’ più basso di lui. Parò agile un colpo e sbadigliò, coprendosi teatralmente la bocca,giusto per dargli fastidio. Tipico. Nate, invece, combatteva contro una donna energica. Non sembrava proprio a suo agio, ma aveva difficoltà.
Siccome nessuno aveva bisogno del suo aiuto, Beatrix si preparò ad affrontare il successivo nemico. L’aria le sibilò rabbiosa vicino all’orecchio. Frecce! Se n’era dimenticata! Doveva stare più attenta.
Si avvicinò cauta verso il nuovo avversario. Oh, pardon. L’avversaria.  Era così minuta che Beatrix si chiese come faceva a tenere dritta la spada. Era graziosa e lei non poté fare a meno di pensare che fosse completamente fuori luogo con quell’armatura addosso e con quella spada tra le mani. Poi notò il suo sorriso spietato e l’espressione sicura di sé, tronfia, e si ricordò. Mai giudicare dalle apparenze, almeno che non ti trovi davanti a Vic.  La giovane la attaccò con energia. Fece un affondo veramente elegante, nonché molto potente: per poco non la infilzò come uno spiedo. Beatrix si scostò abilmente, ma l’avversaria partì veloce con una serie di colpi a raffica che le diedero a malapena il tempo di proteggersi. Stava per contrattaccare, quando udì il fischio pericoloso di una freccia avvicinarsi. La individuò e sfruttò al situazione a proprio vantaggio. Si spostò verso destra e l’avversaria la seguì. La freccia fece il suo lavoro, solo che sbagliò bersaglio. Si conficcò con un suono umidiccio e disgustoso nel collo del nemico. Chissà se l’arciere si sentiva in colpa per la morte della compagna.
Passò al nemico seguente e a quello ancora. Mentre si muoveva sinuosa tra un corpo e l’altro, evitando le frecce, per un momento pensò che con la musica sarebbe sembrato una danza. Una danza pericolosa, nella quale un passo sbagliato le poteva costare la vita.
Raggiunse un soldato di spalle. Preda facile. Si avvicinò pian piano, ma l’uomo si voltò verso di lei e...
<< WoW! Amico, ti ha mai detto nessuno che hai dei bei baffi?>> esclamò lei. E non stava scherzando. Erano folti e ben curati, di un lucido castano mielato e pettinati con cura in modo che agli estremi si arricciassero in modo stranamente elegante. Dei baffi da invidiare! Se mai se ne fosse fatta crescere un paio, li voleva come i suoi... Oddio, questa tipa non ci sta con la testa...
<< Grazie, molto gentile.>> rispose l’uomo divertito e alzò un sopraciglio.
<< Ah, giusto! Dobbiamo combattere!>> fece lei. L’uomo alzò le spalle, come se volesse dire “ Come ti pare”.
Quindi cominciarono a combattere.
 Beatrix  aveva sempre avuto talento nel combattimento. Ma non era uno di quei tipi sadici che lo trovavano divertente, no, affatto. Lei combatteva perché doveva, e se poteva evitarlo, lo faceva. Non aveva mai infierito su un avversario e non si era mai divertita uccidendo. Perché uccidere non è divertente,  disapprovava chi lo faceva perché lo trovava tale. E’ da psicopatici, è da persone deviate.
Ma in quel momento, non riuscì a impedirsi di divertirsi. Era più forte di lei. Inoltre, non sembrava l’unica.
 Giravano in cerchio, studiandosi. Sembravano i primi passi di una danza assurda. Con gli occhi, l’uomo le disse che il primo passo spettava a lei. Così lei attaccò. Un colpo non troppo forte, giusto per saggiare il terreno. L’avversario parò con facilità e decise che ora era il suo turno. Beatrix parò. Continuarono così per po’, man mano più velocemente, mettendoci sempre più forza e attaccando con attacchi sempre più complicati. Beatrix imitò l’affondo elegante della ragazza di prima. L’uomo, per non farsi infilzare, tirò lo stomaco indietro e si piegò in una posizione spassosa; Beatrix, invece, si piegò in avanti per far raggiungere all’attaccò il suo scopo. Risultato? Sbatterò testa contro testa!
<< Ahi! Nel tuo caso testa dura non è solo un modo di dire!>> la prese lui in giro.
<< Senti chi parla!>> ridacchiò lei.
Ripresero a combattere, ma nessuno dei due sembrava voler vincere. Era come se... come se stessero giocando. Ma cosa sto facendo?! E’ il nemico! 
Presto si ritrovarono entrambi con una lama alla gola. La ragazza esaminò la situazione. Aveva la lama del soldato puntata alla gola, molto vicina, tanto che sentiva un sottile rivolo di sangue colare lento sul colo. Se si muoveva di anche solo un centimetro verso di lui, lo avrebbe ucciso, ma anche lui avrebbe ucciso lei. La buona notizia era che neanche lui poteva avanzare senza correre il suo stesso rischio. La migliore delle scelte sarebbe stata quella di abbassare entrambi le lame. Le sembrò che lui pensasse alla stessa cosa. Chi vorrebbe morire solo per uccidere qualcun altro?
Non seppe mai se avrebbe scelto di assecondare quell’idea. Un dardo fischiò. Non fece in tempo a spostarsi. Le trapassò fulmineo la carne all’altezza del fianco per poi proseguire il suo volo. Ma questa volta non era un taglio di striscio. Era profondo, lo sentiva. Il dolore la colpì improvviso e lei sentì che la gamba non la reggeva più. Cadde a terra con un tonfo. Il sangue le inzuppò i pantaloni scendendole sulla gamba, caldo, mentre la ferita pulsava.
Il nemico sfruttò la situazione. Torreggiava sopra di lei, con la lama appoggiata all’altezza del suo cuore. Bastava solo spingere un po’, giusto un po’, e per lei sarebbe finita. In quel momento  le sembrò un colosso. Sto per morire. Beatrix fissò il suo carnefice intensamente. Fa’ veloce. Voleva dire, ma le parole non volevano uscire. Sperò che lo capisse dal suo sguardo.
Non voleva piangere. Sarebbe stato infantile e ridicolo. Non voleva neanche chiudere gli occhi. Voleva vede la morte arrivare, non sapeva perché. Guardò il soldato dritto negli occhi e vide qualcosa che non si aspettava. Era... incertezza? Gli occhi castani dell’uomo si spostavano velocemente, come se stesse pensando a cosa fare. Ad un certo punto, si spalancarono. A quanto pare aveva trovato la risposta al suo quesito.
L’uomo la lasciò da sola. Corse veloce verso il folto del bosco, con gli occhi pieni di determinazione. Cosa gli ha fatto cambiare idea? Lei non riusciva a rispondersi.
Restò immobile per altri pochi secondi, poi, a fatica, si alzò. Strappò una lunga striscia di tessuto  dalle proprie vesti e se la legò stretta a mo’ di benda sullo squarcio al fianco. Fu doloroso.
L’accampamento era disseminato di corpi. Era uno spettacolo terribile, ma i suoi occhi continuavano a vagarci. Cercava i suoi compagni. Riconobbe i capelli rossi di Nate. Si avvicinò il più velocemente che poteva. Arrivata vicino a lui, si lasciò cadere in ginocchio come un burattino a cui sono stati tagliati i fili.
Nate aveva un colorito terreo. Giaceva a terra e lì vicino, ancora stretta leggermente tra le sue dita, c’era una freccia insanguinata. Aveva una profonda ferita all’addome, rossa, scura, viscida. Lei sentì un dolore sordo allo stomaco, come se anche lei fosse ferita. Allungò una mano tremante verso i suoi capelli.
<< Nate. Nathan?>>  sussurrò lei. Scorse un tremito sotto le palpebre. La speranza la invase. Scosse leggera l’amico, chiamandolo un po’ più ad alta voce. Lui aprì gli occhi e Beatrix pensò che, nonostante  fosse sempre lo stesso, il blu intenso dei suoi occhi non fosse mai stato così bello.
<< Ehi>> sorrise lui stanco.
<< Mi hai fatto prendere uno spavento!>>
<< E’ la seconda volta in due giorni. Forse devo cambiare tecnica di seduzione. Devo segnarmelo. Spaventare la ragazza:no. >> scherzò lui. Lei ridacchio piano.
<< Tu... sei vivo. Sei vivo!>> fece lei, incredula e felice. Gli toccò leggermente il viso, come per controllare che fosse veramente lì. Scottava. Un’ombra di tristezza velò gli occhi di Nate. Lui scosse la testa, o almeno ci provò.
<< Sono vivo, ma non per molto.>> disse.
<< Ma che dici? Tu... tu riuscirai a sopravvivere, lo so! Io... ti porterò in salvo!>> protestò lei. Lui scosse ancora la testa.
<< Non capisci. Io morirò, lo so, è già stato scritto. Lo sapevo già da molto tempo... >>. Ma Beatrix non riusciva a capire. << Ho cercato di dirtelo, quella notte, ma poi non ho più avuto il coraggio. Erano i tuoi primi giorni fuori dalla Cava, non volevo rovinarteli ancora di più, sapendo che probabilmente eri presa da mille dubbi. Farti preoccupare per me non sarebbe comunque servito a nulla.>>
<< Tu lo sapevi. Lo sapevi da molto tempo>> ripeté lei con tono piatto, come se farlo riuscisse a dare un senso al tutto. << Come?>> chiese poi semplicemente.
<< Non posso dirtelo. Però sappi che non puoi fare niente>>.
<< Niente?>> chiese lei con voce spezzata. Non bastava che il suo amico stava morendo? Non poteva neanche cercare di aiutarlo? Lui fece di no con la testa.
Poi si ricordò. Si sentì profondamente in colpa per esserselo dimenticato. << Jamal... lui...?>>
<< Lui non morirà. Fidati di me, lo so.>>
Ci fu un momento di silenzio.
<< Posso... restare finché tu...>> non riuscì a finire la frase. Lui fece un cenno d’assenso e sorrise, debole.
Così lei restò. Vegliò su di lui mentre i suoi respiri si facevano veloci e piccoli, come se respirare gli facesse male. Restò mentre il colore scivolava pian piano dalla sua pelle e dai suoi occhi. Restò mentre il sangue si allargava sulla sua tunica, per poi scivolare sul terreno e per creare una pozza scura. Restò lì mentre lui tremava, cercando di calmarlo, nonostante lei stessa non lo fosse. Restò e non pianse, perché voleva che la vedesse forte, nonostante stesse cadendo a pezzi.  Gli passava le dita tra i capelli e quasi non se ne rendeva conto.
Non seppe mai quanto tempo passò. Ad un certo punto, Nathan alzò lo sguardo verso di lei, che cercò di memorizzare ogni pagliuzza blu elettrico o grigio tempesta delle sue iridi, ormai non più così vivide come prima.  Lui cercò di abbozzare un sorriso.
<< Arrivederci>> lo disse così piano che lei si sforzò per sentirlo.
Poco dopo, non seppe mai come lo capì, se ne andò.
Con dita tremanti, Beatrix abbassò le palpebre del suo amico. Si chinò lenta verso di lui e gli diede un leggero bacio sulla fronte.
<< Arrivederci>> lo salutò lei. Finalmente si concesse di piangere.
 
Non sapeva per quanto tempo era rimasta lì, a piangere. Ad un certo punto si alzò, svuotata, e barcollò tra i corpi. Erano tutti morti e lei si sentiva un’intrusa. Un’intrusa in cerca dell’altro intruso. Perché Nate aveva detto che Jamal non era morto. E lei voleva credergli.
Alla fine lo trovò. Giaceva a terra, con i dread sparsi intorno al viso.
Sta dormendo. O forse è svenuto.
Faticosamente lo mise in piedi. Lui non accennava a svegliarsi, allora lei si mise un suo braccio intono alle spalle e lo trascinò.
Così si mise in marcia. Aveva la mente vuota e i suoi piedi si muovevano automaticamente. Erano partiti in tre. Ora erano rimasti solo in due, nessuno dei quali sembravano interi.
 
 

Era ora di pranzo e Thomas non ne era molto entusiasta. Guardò il suo piatto di minestra diffidente. Aveva la consistenza del fango, nel quale giacevano i corpi martoriati di poveri legumi irriconoscibili. Vi affondò il cucchiaio e questo vi sprofondò con un ploch! Poco rassicurante, mandando piccoli schizzi sulla tovaglia pulita. Ripescò il cucchiaio. La minestra lo mollò con un risucchio. Ne guardò il contenuto: era forse una carota, quella? Doveva prepararsi psicologicamente prima di infilare quella roba in bocca.
Lanciò un’occhiata a sua sorella Roxanne. Lei spalancò gli occhi. Non mangiarlo! Potrebbe essere pericoloso! Era questo che voleva comunicarli. Lui ridacchiò. Per fortuna Grace, che aveva cucinato quella robaccia, non se ne accorse. Per quel giorno e per quello seguente toccava a lei cucinare. Ogni volta che era il suo turno, Thomas e Roxanne speravano che quei due giorni di tortura finissero in fretta. Di farle saltare il turno, non se ne parlava. L’ultima volta aveva messo il broncio per una settimana.
Thomas sospirò e si arrese.  Mise in bocca il cucchiaio. Il sapore, se possibile, era ancora peggio dell’aspetto. Masticò a fatica. Guardò fuori dalla finestra mentre cercava di ignorare il saporaccio.
La loro casa era appena fuori dalla foresta. Davanti alla finestra si estendeva tutto l’immenso groviglio di rami, tronchi e foglie.
Mentre mandava giù, Thomas notò qualcosa di curioso. Una persona era uscita dalla foresta. Strano...  Prese quasi senza rendersene conto un’altra cucchiaiata  mentre seguiva i movimenti lenti della figura. Guardando meglio, si rese conto che erano due persone. Una figura minuta ne trascinava a fatica un’altra.
Improvvisamente, le due figure si accasciarono a terra. Thomas si alzò di scatto dalla sedia. Le sue sorelle lo guardarono incuriosite.
<< C’è qualcuno là fuori. E ha bisogno di noi.>>
Corse veloce fuori di casa e cercò di raggiungere in fretta le due figure, mentre la preoccupazione lo invadeva.
Uno era un uomo, che non accennava a muoversi. Thomas sperò che non fosse morto. L’altra era una donna. Probabilmente aveva trascinato il compagno a lungo.
La giovane tramava leggermente e mormorava tra sé e se. Delirava.
<< E’ tutta colpa mia. È colpa mia, lo so... Dovevo restare lì. Anzi, non dovevamo dividerci... E’ tutta colpa mia...>> mormorava.


Angolo dell'autrice:
E rieccomi qui, dopo un lungo periodo di innattività!! *folla furiosa che lancia pomodori marci* WAAH!! Scusatemi! Ho dovuto combattere contro la scuola, l'assenza di creatività e l'avversità del computer per questa storia!! ToT
Spero che l'annedoto di Jamal vi è piacciuto. 
La parte dei baffi... bè, era neccessaria, perché, in seguito alla scomparsa del suo amico, Betrix deciderà di farsi crescere i baffi, già u__ _u. Per poi decidere che dei semplici baffi non sono abbastanza per ricordare Nate e quindi li tingerrà dello stesso blu dei suoi occhi, già.. U___ ___U
Ora siamo arrivati all'argomento scottante.. Mi è dispiaciuto veramente tanto uccidere Nathan, mi stava simpatico! Beatrix continua ad accusarmi di essere crudele(ha pianto veramente tanto; Jamal non ha reagito in alcun modo, visto che sta ancora interprettando il ruolo della bella addormentata..), la sua morte però era neccessaria. Avevo fatto anche un disegno carino per commemorare la sua morte, ma me ne sono scordata(come le chitarre! *BUUU*) lo pubblico nel prossimo capitolo. Anche se prima qualcuno dovrebbe spiegarmi come si fa ._.
L'ultimo pezzetto è dalla prospettiva di un altro personaggio, lo so che lo avete capito anche da soli, ma volevo dirvi che ogni personaggio avrà il colore della scritta diverso, così capirete ancor prima dalla prospettiva di chi è il pezzo. 
Secondo voi cosa deciderà di far accadere quest'autrice stramba nel prossimo capitolo? Perché Nate è passato a miglior vita? Beatrix si farà le meches celeste fosforescente ai baffi? Jamal si risveglierà? Chi è Thomas? Perché continuo a scrivere?!
Rispondetemi con un video-risposta qua.. ah,no, sito sbagliato. 
Recensite e ditemi cosa ne pensate.Ditemi se vi è piaciuto. Se devo migliorare lo stile e smettere di tirare la creatività per capelli finché mi fa scrivere una cosa qualsiasi. Ditemi se volete che il linguaggio volgare di Jamal venga censurato ( in questo caso metterò parole tipo beep, pipo-pipo e vruuuum al posto delle volgarità, giusto perché la storia non è gia abbastanza assurda *-*). Corregetemi... insomma, mi farebbe molto piacere in ogni caso.
Ora grazie a tutti per essere arrivati fino a qui! 

Bless!!! (arrivederci in islandese)
 
  
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