Giochi di Ruolo > D&D - Forgotten Realms
Ricorda la storia  |       
Autore: Nuel    12/10/2013    5 recensioni
Appena giunta nella città santa, Elmara Kestal viene coinvolta negli intrighi della sua nuova Casata di appartenenza. Personaggi potenti e misteriosi si muovono attorno a lei che, come un abile ragno, dovrà riuscire a sopravvivere tra le insidie del palazzo. Forse, come dice sempre sua madre, il Buio è vivo, e ha fame...
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'Guallidurth'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
“In questa infinita notte senza giorno sono stata condotta di fronte al mio nuovo destino.
Lloth dispone perché su ogni cosa governi il Caos e la mia esistenza scorreva forse troppo monotona in seno alla casata che mi ha generata.
Destino di nomadi e pellegrini parrebbe quello della stirpe da cui discendo e quindi, cosa posso attendere in questa nuova città in cui giungo come ostaggio, accolta da sinistri presagi di una somma sacerdotessa folle.
Solo Lloth sa cosa mi attende, ma di certo non mi farò trovare impreparata.
Un nuovo nome non cambia quello che sono.”




La grande porta si aprì senza alcun rumore, svelando un confine che era, ad un tempo, una strada senza ritorno e la più grande opportunità che la vita le avesse offerto fino ad allora.
    Probabilmente le guardie che l'accompagnavano le avevano ordinato di entrare, ma l'unico suono che riusciva a sentire era il martellare frenetico del suo cuore che le rimbombava nelle orecchie.
    Entrò.
    La sala era ampia, buia, fredda e le presenze al suo interno la osservavano, immobili, respirando piano, perfetti ragni che attendono la preda stando nel centro della tela.
    Elmara Kestal mantenne la sua espressione impassibile, nonostante il tumulto che aveva in petto.
Avanzò fino a metà della sala, come le era stato insegnato a fare e poi si fermò, con gli occhi rivolti al pavimento di marmo, in attesa dell'ordine di avvicinarsi.
    L'ordine arrivò sotto forma di voce gelida e sicura, con quell'inflessione del sud così particolare da renderla inconfondibile. A parlare era stata una donna avanti negli anni, invecchiata come un veleno distillato lungamente che diviene, anno dopo anno, più letale. 
    Non aveva ancora visto il suo volto e, probabilmente, non l'avrebbe visto durante quell'incontro: avanzò fino ad una distanza adeguata dal trono, consapevole che non c'era solo la Santa Madre Yasraena ad osservarla, ma anche la sua prima figlia ed altre somme sacerdotesse che, probabilmente, sarebbero state ben liete di strapparle il cuore dal petto e gettarlo ancora palpitante nel braciere sacro, ma che non potevano.
    Il fiato le uscì di colpo dai polmoni e dalle labbra nel realizzare quell’unica verità insindacabile: non potevano
    Per quanto lo desiderassero, lei era necessaria: lei e nessun’altra era l'unica figlia femmina della scomoda somma sacerdotessa che si era insediata nella loro santissima città e come tale era l’unico strumento di controllo che le potenti matriarche in quella sala avevano per controllare sua madre.
    Piegò un ginocchio a terra e poi l'altro, sempre guardando verso il pavimento, pronta ad allungare le braccia in avanti e poggiare la fronte al suolo, come era solita fare anche di fronte alla sua semi sconosciuta genitrice nelle rare occasioni in cui la incontrava, quando, improvvisa ed inattesa, una voce esplose in un grido alto ed agghiacciante.
    « Germe di un clero corrotto! Una straniera spargerà il sangue divino prima che Ella faccia ritorno! »
    Elmara Kestal resistette alla tentazione di sollevare gli occhi e guardare chi avesse parlato con quel tono ispirato e tremendo, ma poco dopo si sentì sollevare il viso e sgranò gli occhi nel trovarsi faccia a faccia con  una  sacerdotessa china su di lei, balzata fuori dalle tenebre, senza che se ne fosse resa conto; aveva le pupille dilatate e lo sguardo assente, il respiro tremante ed il suo accento era chiaramente del nord; non poteva sbagliarsi: era la stessa cadenza estranea di sua madre.
    Le serpi della frusta della sacerdotessa sibilavano e si contorcevano come sconvolte da spasmi, ma non accennavano a colpire la giovane straniera che restava immobile, quasi non riuscisse nemmeno a respirare sotto lo sguardo sconvolto della figura che incombeva su di lei.
    « Guerra! » la voce della veggente si impenno e poi si affievolì diventano un farfugliare incomprensibile, mentre le sue membra allungate e nere come il basalto tremavano, le gambe non la sostennero più ed un rantolo sembrò porre fine alla sua visione, segnando anche la sua caduta a terra sotto lo sguardo attonito di Elmara Kestal, germe di un clero corrotto.
    « Portatela via! » 
    Una voce autoritaria strappò la giovane dallo sgomento, gli occhi ancora spalancati, Elmara Kestal spostò lo sguardo nella direzione della Santa Madre, dimentica di ogni etichetta che prevedeva che nessuno di rango inferiore levasse lo sguardo su qualcuno di rango superiore, ma Yasraena la osservava con attenzione, incatenando i loro sguardi come farebbe un serpente dagli occhi ipnotici con la sua preda. Intanto, altre due sacerdotesse si incaricavano di sollevare il corpo svenuto della veggente e portarlo fuori dalla sala.
    « Così anche tu hai potuto udire la profezia della sacerdotessa Simrivvin » le labbra le si piegarono appena in un sorriso di facciata, privo di simpatia o comprensione « ma da oggi tu non sei più straniera, in questa città e pertanto le sue parole non erano rivolte a te. Da oggi, tutto ciò che sei stata, non è mai stato perché ciò che sei ora, sarai e sei sempre stata: mia figlia, Elmara Kestal Mizz'rinturl ». 
    Yasraena aveva parlato e già le dava le spalle.
    Non erano ammesse repliche, non c'era altro da aggiungere. Era congedata.
    Quell'incontro era stato completamente diverso da qualunque cosa lei avesse immaginato e la lasciava con la strana sensazione di essere una mosca intrappolata nei filamenti di una ragnatela più grande di quanto avesse previsto, così obbedì come se l'avesse sempre fatto. 
    In pochi attimi era diventata una figlia adottiva della signora della città, ma al di là delle apparenze, il suo status di ostaggio non cambiava e lei ne era perfettamente consapevole.
 
-o-


    Il ciclo successivo, il nome “Simrivvin” le girava nella mente come qualcosa che avrebbe dovuto conoscere, ma che le sfuggiva, come le sfuggiva, ancora, il senso di quella adozione, nonostante per tutto il tempo della reverie non avesse fatto altro che rivivere l'incontro con la veggente e con la Santa Madre Yasraena: era stata data, assieme al fratello maggiore, in ostaggio, ceduta dalla sua stessa madre, ma con quel gesto, Yasraena aveva compiuto una mossa eccellente sulla scacchiera del sava, sradicandola dalle sue origini e garantendosi la sua fedeltà.
    Almeno in teoria.
    Oppure era stata una mossa improvvisa, dettata dalla legge del Caos, per strapparla alla nefasta profezia che pareva gettare un'ombra oscura sulle sorti della casata e che era parsa vederla ignara protagonista di misteriosi giochi di potere.

    Elmara Kestal non lo sapeva e mentre stringeva la fascia di seta di ragno intorno al collo, per coprire agli sguardi il marchio che vi si trovava dalla nascita, si rendeva conto di avere molto da cui guardarsi: la notizia della sua adozione si sarebbe sparsa in fretta ed in molti si sarebbero interessati a lei.
    Naturalmente, a causa della sua augusta madre, era abituata a stare al centro dell'attenzione, ma questa volta era lei a trovarsi in posizione di svantaggio: sola, isolata e separata, ora, anche dal fratello, di cui non aveva notizie da quando erano stati presi in custodia dalle sacerdotesse Mizz’rinturl. 
    Si guardò nello specchio che si trovava nella stanza che le era stata assegnata e cercò di guardarsi con occhi estranei, di vedersi come avrebbero potuto vederla gli altri: una giovane femmina attraente, dai tratti sottili, con la pelle nera come il giaietto ed occhi dall'esotico colore viola. Lunghi capelli perfettamente candidi le ricadevano sulle spalle larghe, stretti sulle tempie da due trecce congiunte dietro al capo, che lasciavano scoperte le orecchie dalla punta delicata.
    Era alta e sottile, con le spalle dritte e le forme non ancora del tutto sviluppate, quel pericoloso miscuglio di fragilità infantile e sfrontatezza giovanile tutto teso nel divenire. 
    Se fosse rimasta nella sua città natale avrebbe proseguito gli studi nell'Accademia ed in capo a qualche anno sarebbe tornata alla sua casata per servire la Madre Oscura, ma ora le cose erano cambiate: le era stato detto che avrebbe seguito le lezioni assieme agli altri giovani di casato e che avrebbe cominciato subito.
    Infilò il giaco di fattura perfetta, squisitamente decorato ed agganciò ai fianchi la cintura d'armi, prima di concedersi un sospiro e lasciare la stanza per infilare un corridoio silenzioso, dagli alti soffitti a crociera sostenuti da colonne di pietra che formavano archi a sesto acuto.
    Ogni sei metri una torcia illuminava fiocamente il corridoio che sembrava snodarsi all'infinito, ingoiato dalle ombre ed attraversato da altri corridoi, salendo e scendendo in maniera irregolare, come se fosse fatto appositamente per disorientare l'incauto intruso che vi si fosse avventurato senza conoscere la pianta del castello.
    Spesso i castelli dei casati nobiliari avevano piante labirintiche, con percorsi fasulli che non portavano da nessuna parte o verso trappole mortali, progettate appositamente per far perdere gli ospiti indesiderati e una leggera ansia si stava propagando nel cuore della giovane femmina che si ritrovò a stringere l'impugnatura della mazza ferrata per mantenere la calma mentre proseguiva senza conoscere il percorso. 
    Dopo alcuni minuti, delle voci maschili giunsero alle sue puntute orecchie, consentendole di determinare una direzione in cui muoversi. Allungò il passo e svoltò alla prima diramazione del corridoio, quasi sicura di essere già passata da quel punto, non molto prima.
    I corridoi dei piani nobili erano decorati con bassorilievi ed arazzi che consentivano di non smarrirsi, ma le zone del casato riservate agli allievi erano decorate in maniera monotona, con un intrico di ragnatele sempre uguale a se stesso, che spingeva i giovani ad affidarsi unicamente ai propri sensi per orientarsi fino alle aule ed alla mensa.
    Quando sbucò nel nuovo corridoio, alcuni giovani maschi si stavano allontanando, lasciandone uno indietro. 
    Elmara Kestal lo vide di spalle: piuttosto basso e sottile, il busto coperto da una corazza brunita ed i capelli legati in una coda bassa.
    Il maschio si voltò di scatto, udendo i suoi passi e le piantò addosso due roventi occhi rossi.
    « Venduì » lo salutò lei, avvicinandosi con passo calmo, mentre il maschio la osservava con attenzione.
    Sul giovane viso scuro dello jaluk comparve un sorriso di scherno. « Venduì, jalil. Forse vi siete persa? »
    Elmara Kestal si ritrovò a trattenere il fiato: non aveva pensato che il suo smarrimento potesse essere così evidente. « Non mi sono persa! » sbottò, con voce più alta di un'ottava.
    Il maschio sogghignò alla sua risposta e la giovane si rese conto di non essere stata credibile.
    Si morse il labbro inferiore e accorgendosi subito che quel maschio la osservava ancora, studiando ogni sua mossa ed espressione e quel gesto poteva avergli rivelato il suo imbarazzo. Doveva calmarsi. Sentì il cuore rallentarle nel petto, obbediente ad un radicato autocontrollo sviluppato durante le lezioni di tutta una vita: non mostrare alcuna emozione.
    « Sto cercando la sala d'armi per presentarmi al maestro ed iniziare le lezioni di combattimento ».
    « Sei la nuova figlia della Santissima Madre, vero? » il maschio non pareva interessato a dove stesse andando e lei si limitò ad annuire.
    « Se non vi siete persa, non è necessario che io vi indichi la strada per la sala d'armi » di nuovo le labbra di lui si stesero in un ghigno di chi la sa lunga, mentre aspettava la nuova reazione della sua interlocutrice.
    Elmara Kestal si accigliò e lo squadrò da capo a piedi: era parecchio più basso di lei e probabilmente sarebbe riuscita a sopraffarlo facilmente, ma non aveva motivi di rischiare con quell'arrogante. « E tu chi sei? »
    « Mi chiamano Gulvelven » rispose lui scrollando le spalle ed indicando le due lame che portava ai fianchi, appese alla cintura d'armi. 
    « “Lame fantasma”? » Elmara Kestal abbassò gli occhi sulle armi portate dall'altro, sollevando un candido sopracciglio ed in meno di un batter di ciglia, il maschio aveva già sguainato le sue spade, disponendosi in posizione di attacco, tanto che la jalil arretrò istintivamente di un passo, prima di digrignare i denti.
    « Come osi?! »
    « Non sei ancora diplomata, nika. Sei un'allieva come me, quindi che c'è di sbagliato? » la sua voce era ironica e supponente ed il concetto che aveva espresso era corretto, quindi ad Elmara Kestal non rimase che raccogliere la sfida, staccando dalla cintura d'armi la mazza. 
    « Se è lo scontro che vuoi... » non era abile nel combattimento. Non quanto avrebbe voluto. Non come suo padre, che era stato Ul'saruk, il mai battuto e per questo era diventato il compagno di sua madre, la obok.
    Gulvelven però sogghignò di nuovo, riponendo le lame nei foderi. « No, jalil. Gli scontri nei corridoi sono vietati, ma prego, precedimi verso la sala d'armi e lì sarò lieto di raccogliere la tua sfida ».
    Si sentiva irrimediabilmente presa in giro da quel presuntuoso e già sentiva di odiarlo come non aveva mai odiato nessuno.
    « Non ti permetterò di starmi alle spalle, maschio! » non poteva fidarsi. Non poteva dargli le spalle e rischiare che lui la pugnalasse tra le scapole.
    Gulvelven chinò impercettibilmente la testa riconoscendole, forse, un briciolo di assennatezza. « Da questa parte »
    Elmara Kestal lasciò che il maschio avanzasse di alcuni passi prima di muoversi dietro di lui. Non aveva alcuna certezza che Gulvelven la stesse conducendo nella direzione giusta, ma non aveva alternative se non voleva passare ancora chissà quanto tempo girando tra i corridoi di quel livello del castello Mizz'rinturl.

    La sala d'armi era una sala di ragguardevoli dimensioni, alta due piani, con un ballatoio tutto  intorno, che permetteva agli allievi di assistere dall'alto agli scontri.
Il pavimento di pietra era coperto da un grande tappeto di fibre che attutiva il rumore e le pareti erano in gran parte occupate da rastrelliere che contenevano qualunque arma gli allievi dovessero imparare ad usare.
    C'erano anche alcuni manichini malconci per gli allenamenti ed alcuni allievi piuttosto giovani erano intenti a sferrare fendenti contro di loro.
    Altri si stavano affrontando al centro della sala, femmine e maschi indistintamente, coperti da corazze più o meno efficaci contro armi da taglio e da botta.
    Lo sguardo di Elmara Kestal spaziò su tutti loro in cerca del maestro a cui si sarebbe dovuta presentare.
    « Combattiamo? O adesso hai paura? » la voce di Gulvelven la fece sussultare, ma reagì scoccandogli un'occhiata gelida e spazientita. 
    « Ora non ho tempo da perdere con te! Dov'è il maestro? »
    « Non te l'ho detto? » il giovane si stava sistemando i bracciali dell'armatura ed intanto gli allievi gli si stavano facendo vicini.  « Lo jabbuk non c'è, oggi. Mi occupo io degli allievi, in sua assenza ».
    Se avessero potuto, probabilmente, gli allievi avrebbero riso dell'espressione stupita della jalil, ma la rigida disciplina con cui erano stati cresciuti, non permise loro di mostrare più di qualche sorriso malevolo.
    « Tornate a fare quello che stavate facendo! Muovetevi! » ordinò il giovane con tono perentorio e nessuno discusse sebbene, nell'allontanarsi, qualcuno indugiò nell'osservare Elmara Kestal più a lungo di quanto avrebbe dovuto.
    « Vediamo cosa sai fare! » Gulvelven le indicò di prendere la mazza e di attaccarlo.
    Lui non si muoveva ed Elmara Kestal sentiva le mani iniziare a sudare. Non voleva fare una brutta figura: si sentiva gli sguardi degli allievi addosso e le sembrava di sentir sussurrare nika alle sue spalle.
    Lentamente sganciò di nuovo la mazza dalla cintura d'armi, si mise in posizione d'attacco e dopo un istante si proiettò in avanti, cercando di colpire il suo avversario e lisciandolo completamente.
    Gulvelven si era scansato all'ultimo istante e lei, sbilanciata dal peso della testa dell'arma aveva rischiato di cadere in avanti.
    « Sei lenta! » l'apostrofò mentre sguainava le sue armi. « Di nuovo! »
    Elmara Kestal ringhiò e si rimise in posizione di attacco: non aveva mai preso parte ad uno scontro vero e si limitava a ripetere posizioni e movimenti che le erano stati insegnati dai suoi maestri. Nella sua città natale, difficilmente avrebbe avuto bisogno di combattere realmente: il denaro poteva comprare qualunque scudo e lei si sarebbe sempre potuta permettere scudi abili e fedeli, ma nella città santa le cose non andavano così: lì il potere personale andava guadagnato con la forza e con l'intrigo.
    Il secondo attacco non fu più fortunato del primo ed anzi, Gulvelven la colpì col piatto della lama, aprendo la sua difesa con estrema facilità, facendo arrivare la punta della seconda arma al suo collo.
    La lezione che il maschio le stava impartendo metteva in luce tutte le falle della sua preparazione, la sua inesperienza, la facilità con cui qualsiasi avversario avrebbe avuto la meglio su di lei, ma Elmara Kestal vedeva unicamente come il maschio la stava umiliando pubblicamente ed il suo odio per lui aumentava a dismisura.
    Alla fine dell'allenamento era ammaccata, stanca e profondamente arrabbiata.
    « Un consiglio, jalil: procurati un'armatura più solida e fai togliere quell'emblema sulle tue armi: sei una Mizz'rinturl adesso, anche se per noi, qui, resti una nika » con un gesto del mento e l'apertura del braccio indicò tutti gli occupanti della sala, come se ci fosse bisogno di chiarire di chi si trattava: tutti i figli legittimi della casata sapevano che era un straniera e tale, per loro, sarebbe rimasta.
 
_________________________

Questo racconto deriva dall'ultimo filone di quest in cui ho giocato, filone introduttivo ad una nuova ambientazione in cui, presto, tornerò a giocare; come avrete forse intuito, Elmara Kestal è il mio personaggio, quello secondario, a dire la verità, dato che il principale è la sua "amatissima" madre!
Nel testo, faccio uso di alcuni termini in linqua drow, sono poche parole, facilmente intuibili, ma se doveste trovare qualche difficoltà, vi basterà cercare il traduttore simultaneo di Valm Neira, oppure chiedere direttamente a me o, se preferite, provvederò ad inserire un piccolo vocabolario.
Spero di non avervi annoiato e che vorrete continuare a leggere il mio racconto.
Aluvè a jal (Arrivedeci a tutti),

     Nuel
   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Giochi di Ruolo > D&D - Forgotten Realms / Vai alla pagina dell'autore: Nuel