NdA
Scrivo le note prima perché... Boh, è meglio,
immagino. Leggerle dopo a me ogni tanto rovina quello che m'aveva
lasciato il capitolo, so...
Non c'è stato chissà quale responso
alla pubblicazione, ma, onestamente, sono più contenta
così. Quasi quasi lo speravo.
Questo è un capitolo di stallo, come il precedente. Diciamo
che si tratta di una sorta di introduzione al personaggio di SeHun e,
quando l'ho scritta mesi fa, solo Dio può sapere quanto mi
sia divertita a stenderla. In più, è una delle
parti che mi rende più soddisfatta, per qualche motivo.
Ho da ringraziare kateryna
per la recensione che m'ha lasciato e che è quasi riuscita a
darmi un po' di motivazione, nonostante non riesca ancora a trovarne
abbastanza per continuare a scrivere - e a fare circa qualsiasi altra
cosa. Ma, insomma, si vedrà...
Spero il capitolo sia di vostro gradimento. Buona lettura.~
2.
Oh SeHun non aveva una vita assolutamente movimentata. Non
era noiosa, ma semplicemente regolare. Lui cose da fare ne aveva, in
quantità
giusta da tenerlo occupato. Prima di tutto, quando la mattina si
svegliava, a
momenti senza neanche pettinarsi, accompagnava il suo Jack Russell di
due anni
a fare la sua passeggiata delle cinque e mezza. Il cane si presentava
sul suo
letto, seppur discretamente, ogni mattina, senza mai sgarrare una
volta, a parte
quando capitava che non si sentisse bene. SeHun lo aveva rimproverato
spessissimo, per i primi tempi. Aveva cercato di fargli capire in tutti
i modi
che sul suo letto non doveva salirci, ma alla fine ci aveva rinunciato.
In
fondo quella visita mattutina risultava solo un ulteriore incentivo per
svegliarsi, assieme alla sveglia sapientemente lasciata dall'altra
parte della
camera col volume impostato al massimo. Così lui si alzava,
con gli occhi che
per almeno un quarto d'ora non volevano assolutamente saperne di stare
almeno
un po' aperti, e si metteva seduto sul bordo del letto per quasi cinque
minuti,
ripetendo flebilmente una sequela di « Va bene » di
« Solo un attimo, ora
usciamo » di « Dammi solo il tempo di svegliarmi
» e di, soprattutto « Scendi da
questo cavolo di letto! ». Non che, comunque, SeHun avesse
effettivamente la
forza di alzare la voce. Venivano fuori solo delle parole arrancate e
dette con
voce rauca e poco convincente.
Il
suo cane si chiamava semplicemente Bob.
Sapeva che non si trattava di un nome originale, ma lui non
aveva alcun particolare interesse in cose come quelle e, fra l'altro,
non usava
mai il suo nome per chiamarlo. Piuttosto fischiava o faceva
riecheggiare un «
Bello, vieni qui! » per tutta la casa. E quello rispondeva
senza alcun
problema. Quel nome era solo per dargli una certa dignità e
scrivere qualcosa
sulla targhetta del collare che non fosse "Nessuno".
Bob
gli era stato regalato da una sua amica del liceo
qualche giorno dopo la cerimonia per il loro diploma. Aveva chiesto a
SeHun con
un sms se potessero vedersi al parco vicino la scuola quella domenica,
e lei si
era presentata con un fagotto grande quanto il suo avambraccio chiuso
con un
fiocco di raso rosso. Lui era letteralmente impazzito quando aveva
visto quel
musetto peloso sbucare dalla stoffa. Era un affare minuscolo che
dormiva
avvolto nella sua copertina. Notò subito che aveva una
macchia color caramello
proprio in mezzo agli occhi. Per questo, ogni tanto, SeHun lo chiamava
anche "Piccolo
Buddha".
Quella
sua amica, sorridendo, glielo porse. - Il mio cane ha
avuto dei cuccioli di recente. E' già sverminato, ma devi
stargli dietro, visto
quanto è piccolo, - aveva detto con la voce che a SeHun
parve affievolirsi
verso la fine. - Mi piaci, - aggiunse dopo qualche secondo che lui non
aveva
detto nulla, ma stava ad osservare il cucciolo ora fra le sue braccia.
A
SeHun dispiacque sinceramente. Lei non era una cattiva
ragazza, anzi, gli era stata sempre piuttosto simpatica. A scuola lui
era
abbastanza conosciuto e spesso aveva gruppetti di ragazze -
generalmente più
piccole - che lo seguivano per il corridoio. Solitamente non dicevano
nulla,
facevano dei commentini fra di loro sottovoce. Lui non vi badava la
maggior
parte delle volte, ma capitavano dei giorni, in cui magari si era
soltanto
svegliato col piede sbagliato, che faticava a non rivolgersi a loro in
maniera
scortese.
Quella
sua compagna di classe, invece, si era sempre
comportata in maniera discreta. Era discreta lei stessa in senso
più generale,
che fosse nel vestire, fino ai semplici movimenti che si ritrovava a
fare. Ed
essendo SeHun una persona abbastanza controllata anche durante quelle
giornate
in cui si svegliava con la luna di traverso, non avrebbe potuto
risponderle
male. Non ne avrebbe avuto alcun motivo. Tuttavia, si
ritrovò a rifiutarla.
Intavolò un discorso non troppo lungo, ma pensava fosse ben
calibrato per non
ferirla eccessivamente, con magari qualche frase di circostanza qua e
là, in
quei punti nei quali non avrebbe saputo davvero cosa dire. A quanto
pare era
riuscito nel suo intento di non apparire falso o insensibile, dato che
continuarono a sentirsi regolarmente anche dopo quel pomeriggio.
SeHun
non era nel periodo adatto per pensare a qualunque
tipo di relazione. Per lui, i "periodi" andavano aperti e chiusi, a
parte casi eccezionali. Non rivangava mai avvenimenti passati a meno
che non
fosse strettamente necessario o capitasse per caso, senza averlo
esplicitamente
chiesto al suo cervello. Non perché trovasse doloroso farlo,
perché fosse stato
segnato da chissà quale crudeltà la vita gli
avesse riservato, ma perché,
semplicemente, lo trovava inutile. Il presente, per lui, andava vissuto
così
com'era e guardando, tuttavia, al futuro. Quindi, una volta terminato
il liceo,
sapendo di doversi trasferire nel giro di pochi mesi nella capitale per
frequentare l'università, magari ingiustamente, aveva deciso
che i suoi amici
di scuola sarebbero rimasti confinati in quell'ambiente ed in quegli
anni.
Tralasciando qualche ipotetica rimpatriata una volta diventati
cinquantenni più
o meno insoddisfatti, non aveva neanche calcolato l'ipotesi di poter
prolungare
qualsiasi rapporto che non facesse parte del presente o del futuro. Con
lei, comunque,
decise di fare una specie di eccezione, seppur blanda e non finalizzata
ad
intaccare in alcun modo la sua vita di lì in poi.
A
parte il suo essere concentrato su faccende differenti -
come, appunto, il lasciare casa dei genitori al più presto -
si aggiungevano
altre "questioni" che stava ancora cercando di risolvere da almeno un
paio d'anni. Era, comunque sia, quasi arrivato alla soluzione. Non fu
un
percorso travagliato, per quanto per moltissimi ragazzi della sua
età processi
del genere fossero in qualche modo traumatizzanti, portandoli a crisi
interiori
ulteriormente estese. Con tutta probabilità lui era
bisessuale. « Oh, bene »,
si era detto, quando il possibile chiarimento gli era arrivato senza
preavviso
durante una mattinata a scuola. Dopodiché aveva solo avuto
bisogno dei suoi
tempi per accertarsene. Non era una cosa che lo tormentava. Gli
capitava di
pensarci nei momenti in cui gli sarebbe effettivamente dovuto passare
per la
mente, come quando incrociava per i corridoi della scuola un tale Kim
JoonMyun.
Si passavano quasi esattamente due anni di differenza. Non si erano mai
parlati, ma SeHun sapeva che lui si chiamava JoonMyun, e JoonMyun
sapeva che
l'altro si chiamava SeHun. JoonMyun era il ragazzo dell'ultimo anno con
il
miglior rendimento di tutta la scuola, quello con la migliore voce nel
coro,
quello con le migliori capacità di recitazione, quello con i
migliori modi di
fare, quello con la migliore famiglia, quello con il migliore tutto. E SeHun era il miglior giocatore
della squadra di calcio, grazie al quale la scuola si ritrovava con
svariati
trofei nella teca di vetro nel salone d'ingresso. Volenti o nolenti,
erano
sulle bocche di tutti e, volenti o nolenti, sapevano perfettamente
associare i
nomi reciproci ai reciproci volti.
La
prima volta che SeHun incontrò JoonMyun fu al bar della
scuola, durante la pausa pranzo.
Era
in fila per pagare alla cassa la sua lattina di
Coca-Cola e gli si era ritrovato dietro, senza, tuttavia, sapere di chi
si
trattasse e senza neanche curarsene, a dire il vero. Non aveva notato
alcun
particolare della persona che gli stava davanti. Era, appunto, solo una
persona
che gli stava davanti nella fila per poter pagare alla cassa del bar
della
scuola. Questo perché, in linea generale, SeHun non badava
per nulla alle
persone, specialmente se facenti parte dell'ambito scolastico. Fu solo
un caso
che lui avesse alzato lo sguardo quando lo aveva sentito dire alla
cassiera un
« Grazie a lei, buona giornata ». Quando si
voltò per andare via, aveva subito
capito che si trattava di Kim JoonMyun, per via dei capelli rosso
scuro, la
pelle incredibilmente chiara e dei tratti gentili, seppur abbastanza
maturi,
descritti da molti. E JoonMyun parve riconoscerlo a sua volta, quindi
lo salutò
con un semplice « Ciao », che sembrava celare una
punta di stupore,
accompagnato da un sorriso gentile. SeHun, una volta alla cassa, si
scordò di
prendere il resto, di salutare e ringraziare.
Lo
incontrò svariate volte e svariate volte fu colpito, in
seguito, da un qualsiasi tipo di lapsus.
Solo verso la fine dell'ultimo anno di scuola di JoonMyun - e quindi
del suo
terzo anno di liceo - quella domanda gli saltò in mente:
« E se mi piacesse? ».
Ci rifletté un attimo, poi scrollò le spalle e
riprese a camminare nuovamente
verso la sua classe. Per i due mesi successivi si accertò
che effettivamente
provasse quel genere di interesse per JoonMyun. E così era.
Dall'inizio
dell'estate, invece, si dedicò a delle "verifiche" con uno
scopo più
generale.
Nel
suo discorso di scuse a quella ragazza non fece
riferimenti al suo orientamento sessuale ancora senza un chiarimento
definitivo.
Dopo
aver accompagnato Bob, SeHun ritornava a casa sempre
con un'incontrollabile voglia di tornarsene a letto. Era la parte della
giornata che più detestava. Era quella durante la quale
sentiva di faticare a
prendere una decisione, quando, in vero, lui era sempre assolutamente
certo di
ogni cosa. C'era il suo buon senso che gli diceva « Devi
andare a lavorare »,
oppure « Devi andare a scuola di danza », mentre il
suo istinto gli urlava,
schifosamente persuasivo, qualcosa come « Bevi una caraffa di
cioccolata calda
e mangia tre brioches, quindi tornatene sotto le coperte; fuori fa
così
freddo... ». Ma in linea generale lui era anche piuttosto
diligente. Così,
sganciava il guinzaglio dal collare di Bob, preparava la macchinetta
per il suo
caffè rigorosamente amaro, senza neanche un cucchiaino di
zucchero, ed intanto
si infilava sotto la doccia. Fino ai primi di maggio, lo scopo
dell'acqua della
doccia era esclusivamente quello di svegliarlo un po'.
Il
martedì ed il giovedì mattina non lavorava.
Andava ad una
scuola di ballo a poco meno duecento metri da casa sua. Non era una
scuola per
nulla seria né conosciuta. Lì insegnavano
principalmente balli di gruppo o di
coppia a uomini e donne - ma maggiormente donne - di mezza
età o anche anziani.
Poi c'era anche l'orario di danza classica - se tale poteva definirsi -
per i
bambini. In determinati orari e determinati giorni si poteva prenotare
una sala
di discrete dimensioni per permettere a chiunque di potersi esercitare
per
fatti propri. Ovviamente sempre pagando l'entrata. C'era anche la
possibilità
di avere un abbonamento settimanale, mensile o annuale. SeHun lo aveva
acquistato annuale. Tutto ciò che gli veniva da pensare ogni
volta che varcava
la soglia di quella sottospecie di scuola era « Qui non ci
viene proprio un
cane ». E a lui conveniva.
I
suoi orari erano tutti perfettamente incastrati fra di
loro. Ogni attività era anche inframezzata da un'ora o una
mezz'ora di respiro.
Tralasciando la sua innata capacità di organizzazione, tutto
quello non gli
sarebbe stato possibile senza la flessibilità del titolare
del bar nel quale
lavorava. Un certo Hwang ZiTao, un ragazzo cinese più grande
di lui di solo un
anno. Si erano conosciuti alle elementari, e facendo qualche calcolo -
o
semplicemente mente locale - ZiTao era l'unica vera eccezione alla
"regola
dei periodi" che SeHun s'era imposto. Non sapeva bene neanche lui per
quale motivo. Se gli capitavano cose come quelle qualche domanda se la
faceva.
Era come se la sua vita fosse un puzzle - un puzzle piuttosto semplice,
a dire
il vero - e vi rimanessero dei buchi che non riusciva a riempire con
nessun
pezzo. E lui si tormentava per cercare di trovare una motivazione a
quello
squilibrio. Tuttavia, nel caso di Oh SeHun, tormentarsi equivaleva a
pensare a
qualcosa con intervalli regolari di una volta al giorno e per non
più di un
paio di minuti. Solo che in qualche modo gli pesava, rimaneva stanco da
tutto
quel pensare e per questo cercava di evitare il più
possibile qualsiasi tipo di
eccezione. Credeva che avrebbe dovuto trovarne solo una in tutta la sua
vita e
concentrarsi su quella, ma probabilmente non era proprio possibile.
Prima di tornare a casa, passò da Mary's, una piccola pasticceria all'angolo della via, dove terminava la pendenza della strada ed iniziavano incroci trafficati. Non amava particolarmente andarci per questo, nonostante ci fossero dei graziosi tavolini in ferro battuto, fosse pulito e i proprietari fossero decisamente cordiali. Tuttavia, almeno per quanto lo riguardava, lì avevano i dolci migliori di tutta la zona, per cui, se ne sentiva la necessità, quello che voleva lo acquistava e se lo portava a casa. Insomma, se si concedeva qualche sfizio, almeno preferiva gustarselo in tranquillità. Non che SeHun fosse un patito della linea. Semplicemente non aveva un particolare interesse nel mangiare. Ogni tanto poteva anche saltare un pasto per dimenticanza e sentire i crampi della fame solo qualche ora dopo. A proposito di questo, spesso s'era sentito dire che lo invidiavano, ma lui non capiva per quale motivo, neanche fosse chissà quale talento per cui essere effettivamente gelosi.
Sedette alla penisola della sua cucina, le serrande alzate poco meno della metà, una piacevole penombra ed un canale di musica alla TV, dove avrebbero trasmesso video ancora per una mezz'ora, un sorso del cappuccino dal bicchiere in cartone, un morso di quel delizioso croissant al cioccolato, tutto nella più assoluta tranquillità. Si concesse anche di pensare qualche minuto extra senza per questo sentirsi turbato o spossato.
Pensò a JoonMyun. Quello che si chiese, per prima cosa - fra le tante che avrebbe potuto domandarsi - fu dove potesse essere in quel momento. Come già precisato, Oh SeHun confinava le persone e le situazioni in determinati periodi di tempo, quindi non aveva mai voluto prendersi la briga di stare a chiedere in giro di lui a qualunque altro conoscente del periodo del liceo. Fra le altre cose, di JoonMyun non sapeva assolutamente nulla, se non nome, cognome, anno di nascita e le materie in cui eccelleva - visto che il suo nome era perennemente presente nelle graduatorie della scuola, in bella vista nella sala d'ingresso. Probabilmente, facendo due calcoli, Kim JoonMyun poteva essere ancora benissimo a Seoul, a studiare diligentemente, com'era suo solito. Ce lo vedeva in qualche facoltà che riguardasse la letteratura o forse anche la medicina. Ma lui era primo sia nelle materie scientifiche che in quelle umanistiche, quindi SeHun non riusciva a darsi una risposta precisa a tale quesito. Per qualche motivo, comunque, non se la sentiva di incastrarlo in nessuno di quegli ambiti. Poteva starci bene come poteva anche non starci per nulla.
Prendendo un altro morso del croissant, le briciole a ricadere su un piattino in ceramica, gli tornò in mente di quando, in fondo all'hangar della scuola, si era appostato per ascoltare il concerto di fine anno. Fu un bel concerto. Non s'era mai sentito più adolescente di quelle due ore. Due ore durante le quali non aveva fatto altro che pensare, senza sentirsi stanco, stranamente. Non si sistemò in prima fila perché, appunto, era lì per ascoltare. JoonMyun cantava molto bene. E quello era il giorno in cui SeHun stava lasciando la sua prima vera cotta. Non s'era mai sentito più adolescente di quella volta, decisamente.
Riportando alla mente quelle due ore - e specialmente i minuti durante i quali lo sentì cantare Layla di Eric Clapton - pensò che il posto dove JoonMyun non avrebbe potuto stonare sarebbe stato un bel palco. Tuttavia, per quanto ne sapeva, poteva anche essere diventato un idraulico. E chissà che un giorno, trovandosi la casa allagata e con la necessità di un aiuto, non si fosse trovato Kim JoonMyun in persona, alla porta, con la cassetta degli attrezzi.
Concluse con questo pensiero - che cercò di allontanare dalla mente il più in fretta possibile, visto che lo trovava al limite della comicità - si alzò, sciacquò il piattino, buttò bicchiere e fazzoletti ed andò a fare una doccia.