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Autore: Emi Nunmul    13/10/2013    1 recensioni
[...] - Non importa, - tagliò corto, intanto che riponeva la sigaretta nel pacchetto. - Avevi pensato che non sarei tornato, immagino.
SeHun attese qualche istante per rispondere. Dava l’idea di non aver per nulla recepito le parole altrui. Diede un’ultima mandata, infilò le chiavi in tasca e si voltò a guardarlo, facendo un cenno con la mano, come ad invitarlo ad iniziare a camminare, assieme a lui.
- Forse, - si decise a dire, in una maniera talmente piatta e quasi atona che Lu Han si ritrovò effettivamente nel dubbio. - Sarebbe stato un peccato, non trovi?, visto che non ho il tuo numero…
- Vuoi il mio numero? - domandò subito, d’istinto, Lu Han, con la voce che tutto poteva sembrare tranne che piatta ed atona. SeHun non rispose.

HunHan ; LayHan ; KaiLu ; accenni KaiSoo, TaoRis, XiuHan, KRay.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Lu Han, Lu Han, Sehun, Sehun, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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1.

 

Nella vita di Oh SeHun ormai vi erano delle costanti: il profumo di vaniglia, dei Mont Blanc al bicchiere serviti al tavolo di un bar ogni giorno, le lenzuola scure di un cotone incredibilmente morbido, strade trafficate percorse sotto la pioggia senza ombrello. In tutto questo lui ci vedeva bellezza, quella per la quale, nonostante la vita non gli desse molto da sorridere, lui continuava ad alzarsi dal letto.

 

            « Aspetta... »

 

Non che lui la bellezza l'avesse sempre conosciuta, ma da quando gli era piombata sotto forma di cliente al bar, gli sembrava di poter capire.

 

            « La luce... »

 

Solo che colui che, probabilmente, voleva insegnargliela, era praticamente cieco.

Quindi SeHun si ritrovava a dover fare l'amore a metà ogni volta, perché Lu Han aveva il terrore che lui potesse vederlo. Non gli era consentito neanche uno spiraglio di luce proveniente dalla tapparella appena alzata, a parte qualche notte durante la quale Lu Han sembrava aver preso un minimo di sicurezza. Ma ci aveva rinunciato, perché doveva spendere minuti preziosi a rassicurarlo, a ripetergli « Sei bellissimo » più che poteva, quando, in realtà, avrebbe voluto che ci si spogliasse completamente.

 

            « Scusami, Lu Han... Scusami... »

 

Quindi sì, Oh SeHun sentiva di fare ogni volta l'amore a metà. Era solo un aggrapparsi alla carne altrui e sentirla, e per quanto lui vi impiegasse l'anima, senza alcun freno, nel volersi dare al compagno, l'altro, in quegli attimi, pareva solo un involucro. Non che in altri momenti della giornata fosse diverso, comunque.

Oh SeHun arrivava a sfiorare Lu Han sempre a metà.

 

--

 

Generalmente sarebbe andato nel panico. Era pur sempre in mezzo alla strada, la piega ai capelli gli si era rovinata ed il trucco gli si stava sciogliendo, lasciando delle righe scure a solcare le guance. Fra l'altro, non amava neanche la pioggia, ma tanto era contento che sembrava non essersi accorto del tremendo acquazzone che aveva preso il controllo di quella parte di Seoul. Voleva concedersi una trasgressione. Anche se a modo suo, Lu Han stava festeggiando.

            « Lu Han, nato a Pechino il venti aprile millenovecentonovanta. »

Lo avevano chiamato e lui, in riga assieme a tutti gli altri candidati, non aveva avuto il coraggio di alzare lo sguardo verso la giuria seduta al lungo tavolo davanti a sé.

            « Sei stato scelto per entrare a far parte della Trois Chances Academy. »

Pensava d'aver capito male o che si fosse trattato di una qualche specie di scherzo di pessimo gusto ma, per sua fortuna, così non era stato. Si era successivamente ritrovato a firmare qualche scartoffia per l'iscrizione alla nuova compagnia di ballo di Seoul.

 

Per una volta, Lu Han valeva qualcosa e, per una volta, poteva concedersi di farsi vedere dai passanti in condizioni che lui considerava pietose.

 

Non aveva molti won in tasca - si era scordato di prendere il portafogli intanto che usciva in fretta da casa, preso dall'agitazione per il verdetto dei provini. Avrebbe preso un cicchetto di qualche liquore scadente, forse due, ma tanto sarebbe stato semplicemente un modo simbolico di festeggiare, da solo, la sua prima importante realizzazione. Non che a lui importasse, tuttavia, con chi si dovesse ritrovare a "festeggiare", e non faceva molta differenza che lì, in Corea del Sud, da ormai qualche anno fosse praticamente da solo e che il suo sorriso si fosse risvegliato da un lungo torpore durante quella sera di metà settembre. Non faceva differenza, perché importava solo ciò che le persone vedevano, così come i passanti che lo guardavano straniti mentre attraversava le strade a passo svelto, con i ciuffi gocciolanti appiccicati al viso: un bellissimo ragazzo sulla ventina - e qualcuno gli avrebbe dato anche meno - con capelli biondi, occhi ridenti, tratti fanciulleschi, nessuna imperfezione di alcun genere, mai. Un tentativo disperato di mascherare un'indicibile bruttezza.

 

Spesso si era ritrovato a maledire Seoul. Era troppo affollata, era troppo grande, e gli sembrava che le sue ricerche, proprio per questo, fossero ancora più difficili. Lu Han cercava qualcosa di bello in ogni angolo che superava, ogni vetrina nella quale sbirciava, ogni casa nella quale spiava mentre sedeva in un bus, intanto che questo doveva stare fermo al semaforo. Sbirciava - se non vi erano tende - nelle cucine e nei saloni spesso vuoti ed illuminati da qualche luce calda, sbirciava delle vite belle ed immaginarie. Per il cielo scuro ed infinitamente alto di Seoul lasciava volare un'utopia ogni volta, come origami a forma di gru che avevano preso vita. E con ogni gru, lasciava andare via una parte di sé che urlava. Lu Han urlava tanto, eppure le persone lo fissavano estasiate, meravigliate, ammaliate, ogni qualvolta lui camminasse, perché, in realtà, sembrava ciò che di più buono ed inarrivabile vi fosse. Un tentativo disperato di mettere a tacere un indicibile dolore.

E non vi era un solo giorno che facesse eccezione, così come quella sera. Intanto che attendeva, da circa mezz'ora, di asciugarsi un po', seduto ai gradini di un negozio di abbigliamento vintage, fissava i passanti, ed in ognuno di questi non riusciva a vedere assolutamente qualcosa di bello, non riusciva a sentire alcun interesse nel voler sapere cosa facessero nella vita e di cosa pensassero di quest'ultima. Se qualcuno, tuttavia, si fosse avvicinato a lui ed avesse iniziato a raccontare tutto il suo trascorso dalla nascita fino a quel momento, così, dal nulla, probabilmente avrebbe accettato d'ascoltare di buon grado. Perché, nonostante guardasse tutti con grande apatia - sempre senza che questi se ne accorgessero - Lu Han perdeva ogni corazza con qualunque altro essere umano quando vi arrivava a contatto. Ed attenzione, il che è ben diverso dall'aprirsi, dallo spogliarsi. Semplicemente, diventava estremamente comprensivo ed empatico, una grande volontà di capire ed aiutare. In una prima fase non riusciva proprio a soffrire nessuno, ma in definitiva credeva che nessuno meritasse di sentirsi brutto come lui.

Fumò la quarta sigaretta da quando si era fermato. Le teneva fra le dita ora in modo delicato e quasi femminile, ora in maniera assolutamente svogliata, scordandosi che qualcuno potesse guardarlo. Generalmente, il tabacco, i vizi, non fanno pensare a qualcosa di bello. Per Lu Han, invece, quelle stecche di carta e tabacco così dannose, potevano benissimo esserlo, e non si trattava dell’unico paradosso su cui si costruiva la sua mente.

 

Da qualche parte, forte ed incredibilmente chiara, sentiva provenire Dear dei Mad Soul Child. La voce di Jinsil aveva momentaneamente fatto ridurre il brusio delle persone ed ogni altro rumore circostante ad un semplice flusso ovattato, che non faceva altro che far risaltare ancora di più la melodia di quella canzone. Lu Han, seduto a quei gradini bianchi, con i gomiti sulle ginocchia, chiuse gli occhi, ora concentrato in un rituale che non è esagerato definire sacro. Ogni singola nota si insediava - più o meno senza che lui se ne accorgesse - all'interno del suo corpo. Le sentiva scorrere una ad una nelle sue vene assieme al sangue e le assimilava perfettamente, diventando lui stesso la musica, diventando una scia di ricordi, sorrisi, promesse e lacrime che non lasciavano solchi indelebili sulle guance. Si trasformava nello spettatore ignaro ed involontario di una pellicola che, al momento, gli sembra surreale. Un passato che non gli pareva realistico. Il suo volto senza maschere ed un disegno sulle labbra assolutamente armonioso e spontaneo, come un fiore che sboccia.

Ed ora rimanevano solo le ceneri di tutto quello. Lui le raccoglieva con cura ed attenzione, le richiudeva in una boccetta dall'aspetto delicato. Tuttavia sapeva di non poter raccogliere ogni singolo granello, che qualche frammento sarebbe andato perdendosi, e con questo qualche parte di lui stesso. Ne diventava ulteriormente consapevole man mano che Dear volgeva al punto culminante, quello durante il quale gli diventava impossibile non farsi travolgere dai brividi.

 

Dear fu scritta nel 2010 dai Mad Soul Child per il film d'azione Ajussi. Il film racconta di un ex agente delle forze segrete coreane ritiratosi dalla scena in seguito alla morte della moglie, allora incinta del loro primo figlio. Era sparito senza lasciare alcuna traccia di sé, come se, d'un tratto, si fosse smaterializzato con uno sbuffo senza che nessuno se ne fosse accorto. Ma in realtà si era stabilito in un banco dei pegni, dove ritirava regolarmente i "tesori" di coloro che si rivolgevano a lui, ed intanto passava, abbastanza frequentemente, del tempo con una bambina di forse dieci o undici anni, sua vicina di casa. Tuttavia, l’agente dimostrava una certa riluttanza a volersi avvicinare alla piccola per i più disparati motivi, che essi fossero ovvi o meno. Un giorno lei, dopo una serie di avvenimenti, viene rapita da un gruppo di malavitosi e letteralmente destinata al macello per alimentare il traffico di organi. Lui, ovviamente, come un film con un lieto fine che si rispetti, riesce a salvarla. Un lieto fine dal gusto agrodolce, in vero.

A Lu Han non piaceva quel genere di film, anche se, doveva ammetterlo, quello non era davvero niente male. Lo trovava un lavoro più che valido. E fra l'altro era riuscito a strappargli non poche lacrime. Tuttavia, lui era più per film del calibro de Il Diario Di Bridget Jones.

 

Per quanto quella canzone fosse nata con un preciso scopo, nel caso di Lu Han questa aveva preso un fine diverso. Non era strettamente legata a quel film. A dirla tutta Ajussi gli veniva in mente come ultimo collegamento a quelle note, ed essendo la colonna sonora di un "periodo" - di quelli che qualunque persona possiede - aveva, per forza di cose, deciso di lasciarla riposare nel suo iPod e nel suo computer senza ascoltarla almeno per un anno. Proprio come si fa con dei vestiti che al momento vanno troppo stretti - o troppo larghi - e si attende di riacquistare la forma giusta per poterli indossare di nuovo. Rimaneva lì temporaneamente, come tanti altri brani musicali, come tante altre colonne sonore e come tanti altri ricordi piacevoli. Perché Lu Han aveva ancora speranza e doveva solo attendere che quest'altro "periodo" terminasse, preparandosi a combattere, sapeva, una battaglia con se stesso che avrebbe potuto lasciargli non poche cicatrici. E quel giorno era un punto di partenza. Mettere piede alla scuola di ballo sarebbe stato nient'altro che l'input per fargli muovere i primi passi. Presto, forse, si sarebbe dimenticato di indossare maschere di qualsiasi tipo, avrebbe ripreso a ricordare senza troppi rimpianti e a tirar fuori Dear dai meandri dove l'aveva abbandonata.

Fu solo quando iniziò a rassicurarsi con pazienza, e da solo, che la musica prese ad affievolirsi, e poté riprendere a guardarsi intorno e a vedere, effettivamente, ciò che lo circondava. Lentamente la pellicola sbiadita ed ovattata di ricordi svanì, lasciando posto al frenetico passeggio ed all'asfalto bagnato, i palazzi ed i negozi illuminati dalle luci. Una veduta molto più chiara, concreta ed in qualche modo rassicurante. Lu Han sentì anche di poter toccare i suoni, per quanto li percepì nuovamente nitidi e lineari, non come se avesse avuto due bei tappi  per le orecchie e qualcosa ad interferire fastidiosamente con ciò che cercava di udire già a fatica. « E' tutto ok », si era ripetuto, semplicemente.

Abbassò lo sguardo verso la punta delle sue scarpe di tela ancora umide, e si rese conto che aveva trattenuto il fiato per tutto quel tempo senza accorgersene o in qualche modo risentirne. Espirò profondamente ed a lungo, provando un insolito piacere nel sentire i polmoni svuotarsi. Chiuse anche gli occhi, cercando di non badare troppo a quello che gli era successo, perché sapeva che non gli avrebbe fatto bene stare a rimuginare ulteriormente su qualsiasi cosa passata ed ormai andata persa, ed anche volendo, quello non era il posto né, soprattutto, il momento adatto per farlo. Premette due dita su entrambe le tempie e, poco dopo, sospirò di nuovo. Sollevò la testa e riaprì gli occhi. Li strizzò per un attimo, sentendo che le lenti a contatto gli si erano spostate e gli stavano dando fastidio. Erano lenti a contatto azzurre. Alla fine si alzò. Passò le mani sui pantaloni, dietro, per pulirsi. Chi l'avesse visto, avrebbe potuto vedere un ragazzo dall'aria per qualche motivo tranquilla e probabilmente soddisfatta. Lu Han riprese quindi a camminare, stavolta con calma e stando attento a rimanere sotto i balconi.








NdA: Non mi sembra vero di star pubblicando questo.  Il mio intento era quello di non pubblicarla affatto, questa storia, perché è il lavoro che ha di me stessa molto più di tanti altri e, ad ora - tralasciando questo capitolo scritto ancora con parecchia incertezza - è anche quello scritto meglio. Invece di metterla qui, avrei voluto terminarla e cercare di farla pubblicare da qualche casa editrice, se mai avessero dovuto accettare e, ovviamente, con le dovute revisioni. 
In ogni caso, questo capitolo è solo un preambolo, nulla di particolare. Quando m'andrà, se m'andrà, pubblicherò il secondo.
Bye.

   
 
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