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Autore: Acinorev    19/10/2013    19 recensioni
«Hai mai visto i Guinness World Records?» chiese ad un tratto Harry, continuando a fissare il sole splendente sopra le loro teste.
«Cosa c'entra ora?» domandò Zayn spiazzato, guardando l'amico attraverso le lenti scure degli occhiali.
«Hai presente quei pazzi che provano a stare in apnea per un tempo sempre maggiore? Ecco, tu devi fare la stessa cosa», spiegò il riccio, come se fosse un'ovvietà.
Gli occhi di Zayn si spalancarono, mentre iniziava a pensare che Harry si fosse beccato un'insolazione. «Devo provare a battere un record di apnea?»
«No, ovvio che no - rispose l'altro scuotendo la testa. - Loro si allenano per rimanere sott'acqua, un posto dove non c'è la nostra fonte di vita, l'ossigeno. Tu devi fare lo stesso, devi imparare a vivere senza di lei.»
Sequel di "Unexpected", da leggere anche separatamente.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Unexpected'
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Stay

Capitolo 22

Vicki.
 
Probabilmente un qualche meccanismo nel mio cervello aveva fatto cilecca. Era l’unica possibilità.
Non c’erano altre spiegazioni per quell’improvvisa e insistente voglia di fare qualcosa che pervadeva ogni centimetro del mio corpo.
Solo un paio di minuti prima Louis aveva cantato per me, provocando la ribellione di almeno un paio di sentimenti e spronandomi ad agire. E subito. Non che avessi un piano preciso, sia chiaro, ma sapevo di doverne mettere in pratica uno, qualsiasi esso fosse.
Così, mentre tornavo in salotto dagli altri ragazzi, varavo velocemente tutte le possibilità che avevo.
Liam e Niall stavano litigando per il telecomando, perché uno voleva assolutamente finire di vedere un film che era iniziato da poco e l’altro sembrava avere un impellente bisogno di guardare una partita di calcio. Zayn, seduto sul divano con il gomito destro sul bracciolo, teneva lo sguardo basso sul telefono nella sua mano e masticava una barretta al cioccolato.
Mi avvicinai a lui con un profondo sospiro, stritolandomi le mani l’una con l’altra.
«Ehy – mormorò quando si accorse della mia presenza, alzando lo sguardo su di me. – Iniziavo a chiedermi dove fossi finita».
«Zayn – esclamai, cambiando totalmente discorso e mordendomi l’interno della guancia. - Pensi ancora che Louis abbia solo bisogno di una provocazione, di una picola spinta?» chiesi di getto, a bassa voce per non farmi sentire dagli altri e ripetendo le parole che lui stesso mi aveva rivolto la sera dell’evento, proprio prima di baciarmi.
La sua espressione era evidentemente un po’ confusa, ma rispose un po’ titubante appena deglutì. «Sì, perché?»
«Perché sono impazzita e probabilmente sto per rovinare questo pomeriggio tra amici» borbottai guardandomi intorno, mentre sentivo i neuroni nella mia testa andare in fumo. Continuavo a pensare che fosse un’idea pessima, che non ci fosse bisogno di assecondarla proprio in quel momento e che non fosse nemmeno da me essere così audace. Eppure, dall’altra parte, sapevo che quell’occasione non poteva e non doveva sfuggirmi: se Louis doveva scontrarsi con qualcuno più testardo di lui, allora lo sarei diventata, a costo di rendermi ridicola davanti a tutti e una stronza davanti ad Eleanor.
Eleanor. Lei era uno dei contro, nella mia improvvisata lista affiancata dai “pro”: sapevo che il suo comportamento ostile fosse più che naturale, dato che io ero stata con il suo ragazzo in quei pochi giorni in cui loro avevano smesso di essere una coppia. Sapevo anche che vedermi così spesso non dovesse essere piacevole per lei. Eppure anche per me non lo era, e sinceramente ero stanca di lasciare che le cose andassero come gli altri decidevano di farle andare, senza fare o dire quasi niente per oppormi.
Non avrei ottenuto Louis semplicemente aspettando che un aiuto divino arrivasse a salvarmi da tutta quella situazione.
«Vicki, che diavolo hai in mente?» domandò Zayn un po’ preoccupato.
Il suo tono scettico e i suoi occhi indagatori fecero vacillare per un secondo tutta la mia determinazione, ma l’attimo dopo quella sensazione sparì, eliminata dal ritorno in salotto di Louis ed Eleanor. Mano nella mano.
Li osservai attentamente mentre tornavano a sedersi sul divano di fronte a quello di Zayn: parlottavano tra di loro e sembrava quasi che Louis tentasse in tutti i modi di non voltarsi verso di me, di non incrociare il mio sguardo nemmeno per sbaglio. Si stiracchiò le braccia e le appoggiò distese sullo schienale, allungando e poi piegando le gambe coperte dalla tuta. Lei, intanto, si ravvivava i capelli.
Ora o mai più, mi dissi.
«Louis, posso parlarti?» chiesi senza pensarci due volte, tenendo i miei occhi fissi nei suoi, in attesa di poterli di nuovo incontrare.
La stanza sprofondò in un silenzio carico di tensione e per un attimo sentii tutti gli sguardi puntati su di me, tutti esprimenti un’emozione diversa: subito dopo, però, Liam e Niall ripresero a parlare o litigare tra loro, prima a bassa voce e poi sempre più vividamente; Zayn morse di nuovo la barretta al cioccolato, ma bloccò lo schermo del telefono e lo gettò affianco a lui, probabilmente per godersi la scena; Eleanor tossicchiò nervosamente e Louis schiuse le labbra, inumidendosele immediatamente dopo. Era a disagio?
«Da soli» precisai con un fil di voce, obbligandomi a non guardare niente e nessun altro intorno a noi: avrei potuto perdere tutto quel coraggio e non sarebbe stata una buona cosa. In più, sapevo perfettamente che quella richiesta avrebbe comportato reazioni sgradevoli, le stesse conseguenze che fino ad allora mi avevano preoccupata.
Ero consapevole del fatto che Eleanor non avrebbe di certo accondisceso ai miei desideri così facilmente. E come darle torto?
«Qualsiasi cosa tu debba dirgli, possiamo sentirla anche noi, tranquilla» spiegò infatti, con un tono di voce falsamente cordiale. La sua espressione, però, tradiva il tutto con un’ostilità quasi palpabile.
Sospirai, pronta ad una possibile discussione, e «in realtà no» precisai.
Sembrò quasi che Louis stesse per dire qualcosa, ma Eleanor lo anticipò. «Senti, Victoria – esordì, inclinando il capo leggermente di lato e guardandomi come se avesse voluto staccarmi la testa dal collo. – Mi hai stancata, davvero».
Sentii la mano di Zayn posarsi delicatamente sulla mia schiena e accarezzarla come a volermi dare coraggio, o fosse per pregarmi di smetterla. Ma era quello il punto: io non mi sarei mai comportata in quel modo, se non avessi sentito la necessità di farlo in mancanza di altre possibilità. Stavo facendo tutto quello per Louis, per dimostrargli che non avrei gettato la spugna neanche se si fosse impegnato con tutto se stesso per farmelo fare: d’altronde avevo già provato di tutto, avevo provato a capirlo, a parlargli e poi ad urlargli contro, ma niente aveva funzionato.
Si poteva dire che quello fosse il mio ultimo e disperato tentativo di spronarlo.
Spostai lo sguardo su di lui, che mi guardava con la fronte leggermente aggrottata: le labbra serrate e i pugni chiusi. Era nervoso, parecchio, ma fino a che punto avrebbe resistito?
Io non per molto.
«Louis, devo parlarti» ripetei, ignorando le parole della ragazza al suo fianco.
«Questa è bella! – sbottò Eleanor, alzandosi in piedi e passandosi una mano tra i capelli. La stanza si immerse di nuovo nel silenzio e Louis scattò in piedi mormorando un “El, calmati” mentre le afferrava delicatamente un polso. Mi imposi di ignorare quei gesti. – Per quanto ancora cercherai di finire a letto con il mio ragazzo?» sputò lei, velenosa, tanto da farmi immobilizzare per qualche secondo.
«El, per favore» ripeté Louis, rivolgendomi poi uno sguardo arrabbiato e supplichevole al tempo stesso.
Mancava poco, me lo sentivo.
«No» mimò lui con le labbra, per non farsi sentire dagli altri ma per farsi capire da me.
Non gli diedi retta.
«Ho solo detto di volergli parlare» ribattei, stringendo i pungi e deglutendo la frustrazione.
«Certo, come no – riprese lei, gesticolando. – Non sono stupida, sai? So perfettamente quello che stai cercando di fare, perché ci sono state altre mille ragazze prima di te, ragazze che pensavano di poter ottenere un po’ di notorietà e di dividere me e Louis. Ma indovina un po’? Nessuna di loro è mai riuscita nel suo patetico intento, quindi perché non la smetti?»
Nella sua voce non c’era solo rabbia, ma anche molta stanchezza. Doveva essere abituata a situazioni del genere, ad approfittatrici ed opportuniste, ma non potevo fare a meno di pensare che nel mio caso fosse tutta un’altra storia.
Quella fu la prima volta in cui provai davvero pena per lei.
«Non sono come quelle ragazze» affermai, cercando di mantenere la calma. Non volevo mettermi ad urlare o cose del genere, anche perché lei stessa non se lo meritava e in più non ce n’era bisogno.
«Questa è la scusa che usano tutte – ribatté prontamente. Negli occhi ostilità e mancanza di fiducia. – Ma ho già sopportato abbastanza: ho sopportato la vostra scappatella, il tuo essere sempre in mezzo e la tua aria da angioletto. Ora però non rimarrò qui a guardare mentre…»
«Ed io non me ne andrò fin quando non avrò parlato con Louis» la interruppi a malincuore, spostando lo sguardo su di lui. Mi sentivo una persona orribile.
Eleanor serrò la mascella e «Louis» sospirò, come se gli stesse chiedendo aiuto. Ma lui quasi la ignorò, perché i suoi occhi erano fissi su di me: e se avevo l’impressione che volesse uccidermi per tutto quel casino, al loro interno leggevo anche dell’altro.
«Louis!» lo riprese El, scuotendolo leggermente per un braccio. Era esausta. E impaurita.
Scusa, pensai tra me e me.
La mano di Zayn scivolò via e io non osai guardarlo, né guardare Liam o Niall, per paura di notare espressioni ben poco favorevoli al mio comportamento. Ma se conoscevano davvero così bene il loro amico, forse mi avrebbero dato ragione nel dire che metterlo alle strette era l’unica cosa da fare.
Louis si voltò a guardarla, ma non disse niente, e io non riuscii a capire cosa ci fosse in quello sguardo, ma quasi mi stupì nel vedere Eleanor reagire indignata. Non disse nulla, assolutamente nulla, ma si mosse velocemente con rabbia, per raccogliere la borsa dall’angolo del divano e dirigersi a grandi passi verso la porta di casa, solo per poi farla sbattere dietro di sé una volta uscita.
Rimasi a guardare quella tavola di legno per qualche istante, incredula, sollevata e preoccupata al tempo stesso: non potevo crederci.
 
All’improvviso sentii una mano – la sua mano – stringersi intorno al mio polso sinistro e trascinarmi via con forza: spostai il mio sguardo su di lui e osservai le sue spalle tese e il viso contratto dal nervosismo. I capelli disordinati e le sue dita sulla mia pelle.
Si fermò soltanto quando raggiungemmo una stanza alla fine del corridoio, quella che sembrava una camera degli ospiti: chiuse la porta  con un tonfo e si girò verso di me, il respiro accelerato.
«Ma che cazzo stai facendo?» sbottò ad alta voce, avvicinandosi di un passo e paralizzandomi con le sue iridi terribilmente fredde e grate contemporaneamente.
Non risposi.
Lui abbassò la voce e assottigliò gli occhi. «Ti è dato di volta il cervello?» domandò ancora, con un sonoro sbuffo.
Stava reagendo, ed era un bene. Era quello che avevo sperato di ottenere.
«A quanto pare era l’unico modo per obbligarti a parlarmi» spiegai, tentando di mantenere un certo contegno. Essere di nuovo da soli dopo tutto quel tempo mi indeboliva.
«Obbligarmi? – ripeté lui, quasi arrabbiato. – E se io non volessi parlare con te?»
«Non mi interessa. Lo farai – mi imposi. – Devi farlo».
«Ti sbagli.»
«Allora perché non sei intervenuto? Perché non hai seguito Eleanor?»
«Smettila.»
«Per favore.»
«No.»
Quando lo vidi voltarsi in direzione della porta, il mio cuore si fermò. «Te lo giuro, Louis: se tu ora esci da qui, non mi vedrai mai più.»
Il tono della mia voce, nonostante tremasse leggermente per l’improvviso terrore che mi aveva attanagliato lo stomaco, sembrò essere abbastanza deciso da fermare Louis. Forse anche lui aveva temuto qualcosa, con quelle mie parole?
Chiusi gli occhi e respirai profondamente, sollevata dall’avere ancora la sua presenza a pochi passi da me.
«Anche io ho paura – esordii dopo una manciata di secondi, flebilmente e abbassando lo sguardo sul pavimento in mattonelle color panna. Le sue spalle, ciò che mi concedeva di vedere, si contrassero insieme alle sue mani, che si chiusero a pugno: subito dopo si rilassarono. – Ho terribilmente paura, Louis. L’ho avuta dal primo momento e credo che non mi passerà mai completamente: all’inizio avevo paura che tu mi stessi prendendo solo in giro. Poi ho avuto paura dei tuoi cambi d’umore, delle tue parole e dei tuoi occhi. Ho avuto paura di quello che sentivo… che sento, per te. Ho avuto paura anche oggi, quando ho dovuto comportarmi in quel modo solo per avere una tua reazione, paura di essere rifiutata di nuovo da te. E ho paura anche ora: ho paura che ti volterai a guardarmi e te ne andrai come hai sempre fatto, che dirò una parola sbagliata e tu scapperai.»
Mi fermai solo per regolarizzare il respiro e tutte le altre mie funzioni vitali, perché avevo gli occhi lucidi e la voce spezzata. Louis mi dava ancora la schiena e io non sapevo se lo odiassi per questo, o se gliene fossi grata perché mi permetteva di parlare più facilmente.
«Ho paura che, se anche tu deciderai di dare ascolto a quello che provi, noi due non riusciremo a stare insieme. Ho paura delle mie illusioni e del tuo carattere, del tuo essere parte di una boyband di fama mondiale e del mio essere solo un’organizzatrice di eventi – ripresi, alzando il viso. – Ma è questo il punto: è giusto avere paura».
Louis girò impercettibilmente il volto alla sua destra, quasi avesse sentito il bisogno di voltarsi completamente ma avesse poi pensato che fosse meglio non farlo. Quello bastò ad incoraggiarmi.
Mi avvicinai a lui con passi esitanti, quasi non volessi nemmeno farmi sentire, e arrivai a percepire il suo profumo: si accorse subito di me, ma non si scansò né diede segno di fastidio, limitandosi a guardarmi con la coda dell’occhio, dato che il suo viso era ancora nella stessa posizione di prima.
Inspirai profondamente – se i miei polmoni avessero avuto anche solo un po’ più di capacità, sarei riuscita a toccargli la schiena anche solo respirando – e mossi le mani molto lentamente: ero io quella più terrorizzata, tra i due.
Gli toccai i fianchi, quasi sfiorandoli, e subito dopo glieli circondai con le braccia, attenta a valutare qualsiasi segnale che avrebbe potuto sconsigliarmi quel mio gesto: mi sembrava di avere a che fare con un’animale spaventato, uno di quelli che ad ogni minimo movimento brusco scappano a gambe levate senza mai guardarsi dietro. Ed io dovevo proprio evitare che Louis fuggisse.
Quando riuscii a far aderire il mio petto alla sua schiena, appoggiando la guancia sinistra sulla sua scapola, chiusi per un attimo gli occhi e cercai di godermi il più possibile quell’abbraccio stentato e che avrei voluto che lui ricambiasse.
«Si ha paura perché si ha qualcosa da perdere, no?» sussurrai, con le labbra vicino alla sua maglietta e il cuore che batteva contro di lui, quasi a volergli dire “non vedi? non ti accorgi di cosa mi fai?”.
A quelle parole lo sentii respirare profondamente, mentre le mie mani rimanevano sul suo addome.
«Quello che voglio dire è che… Louis, noi abbiamo qualcosa – continuai, lasciando che le frasi si assemblassero da sole. Trattenne il respiro, come se l’avessi ferito. – E tu lo sai, perché se no non avresti paura, così come non l’avrei io. Allora perché non ti concentri su quello che c’è e non su quello che potresti perdere?»
Sentii i suoi muscoli contrarsi, come se quella possibilità l’avesse messo a disagio, come se avesse potuto soffrire al solo pensiero: ma io non sapevo come fargli capire in altro modo che tutto ciò che sentiva era normale, e che io ero esattamente nella sua stessa situazione. Ero con lui.
«Vorrei davvero che tu lo facessi» dissi, talmente piano da dubitare che mi avesse sentito. Sembrava una preghiera, un pensiero sfuggito al mio controllo.
Mi strinsi un po’ di più al suo corpo, quasi a volerlo rassicurare, e aspettai che fosse lui a dire qualcosa: o almeno sperai che così succedesse. Ero talmente sommersa da sensazioni ed emozioni, da non avere nemmeno più le forze di affrontarlo ancora e ancora.
Quando poi si mosse, non seppi se essere preoccupata o impaziente: lasciai semplicemente che mi sfiorasse la mano destra con la sua, facendomi venire i brividi per quel contatto che tanto mi era mancato.
«Io invece non voglio farti soffrire» sussurrò.
Sembrava l’ennesimo rifiuto.
Strinsi le palpebre come riflesso per il dolore che le sue parole mi avevano provocato e mi ritrassi lentamente: abbandonai la sua schiena e portai le braccia lungo il mio corpo. Era come se mi avesse tolto ogni briciola di determinazione e volontà: ero stanca. E ferita.
«Lo stai già facendo» mormorai, più a me stessa che a lui. Il viso abbassato e alcune lacrime che insistevano per lasciare i miei occhi.
Louis si voltò velocemente verso di me e per un attimo nessuno dei due si mosse. Quando vidi la sua mano alzarsi verso di me, feci un passo indietro in modo da essere salva, e mi obbligai a fissare le mie iridi scure nelle sue: non mi importò di leggere in loro ciò che probabilmente stavano cercando di dire o di nascondere.
«Dici che non vuoi ferirmi, che hai paura di rovinare tutto, ma continui a farlo! – sbottai, alzando un po’ la voce a causa del tumulto che regnava in me. Una parte di me sapeva che quelle mie parole andavano contro tutti i tentativi precedenti, ma erano anche la verità. – Ogni volta… Ogni volta che mi respingi, ogni volta che ti tiri indietro, tu… Tu mi fai male, Louis.»
Le ultime parole uscirono a stento dalla mia bocca, perché ormai avevo perso contro la mia emotività, contro quelle stesse lacrime che avevo tenuto a bada fino a quel momento. E Louis mi guardava come se fosse pietrificato, come se non riuscisse a muovere un muscolo e allo stesso tempo avesse voluto ribaltare il letto singolo di quella stanza, rovesciare a terra i soprammobili sulle due mensole, rompere le ante dell’armadio in legno chiaro e poi baciarmi.
Anzi, quell’ultima parte era solo frutto della mia immaginazione.
«Quindi, per favore, smettila – continuai, tirando su con il naso. – Non respingermi più o… Se proprio devi, fallo una volta per tutte e lasciami in pace».
Mi pentii immediatamente dopo di aver parlato in quel modo, di aver lasciato che i miei sentimenti oscurassero tutti i buoni propositi che avevo fino ad allora seguito: temetti di averlo fatto scappare definitivamente e di avergli appena dato il pretesto per scomparire dalla mia vita, mentre era l’unica cosa che non avrei mai voluto. Temetti di averlo perso.
Avrei voluto riaprire bocca e rimangiarmi tutto, pregarlo di far finta di niente e riscrivere la mia battuta, ma fui distratta da un suo movimento.
Chiuse gli occhi e si passò una mano tra i capelli, rendendoli ancora più disordinati: quando rialzò lo palpebre, permettendomi di perdermi di nuovo nelle sue iridi, illuminate dalla luce del tramonto proprio come nella sale del pianoforte, sentii le gambe cedere sotto la loro intensità.
«Non capisci…» cominciò a bassa voce, interrompendosi subito dopo.
Mi asciugai il viso dalle lacrime che mi ero imposta di fermare, e lo guardai fare un passo verso di me: si avvicinò tanto da farmi sentire il respiro sulla mia pelle.
«Non capisci che non ci riuscirei, a lasciarti in pace?» soffiò sul mio viso, alzando un mano per accarezzarlo e incastrare le dita tra i miei capelli.
Non capivo più nulla, non sapevo cosa dire, come comportarmi, se dargli un altro ultimatum o pregarlo di non lasciarmi, se ignorare tutta quella indecisione e cedere all’istinto di stringerlo a me, di baciarlo e tirargli uno schiaffo.
Alla fine, però, tutto si risolse in un semplice ed involontario «allora non farlo».
E in quel momento, mi accorsi che forse non me l’ero immaginata, quella sfumatura dei suoi occhi, quella che mi aveva fatto credere – sperare – che anche lui volesse solo mettere tutto da parte e baciarmi. Infatti, l’istante dopo, era proprio quello che stava facendo.
Gemetti qualcosa, nel momento in cui sentii di nuovo le sue labbra sottili e leggermente secche, ma non esitai oltre: portai le braccia intorno al suo collo e mi avvicinai ancora di più al suo petto, al suo profumo, a lui.
Mi sembrava impossibile che stesse davvero accadendo. Che il mio cuore potesse sopportare un tal carico di emozioni. Che le sue mani fossero di nuovo sulla mia pelle. Che io fossi di nuovo in grado di averlo.
«Tu devi restare» disse sulle mie labbra, quasi con sofferenza, come se si stesse arrendendo con riluttanza e avesse avuto bisogno di un’assicurazione.
Respirai il suo respiro caldo e lo guardai negli occhi, così vicini da farmi perdere il senno.
«Quando sbaglierò, tu dovrai restare» ripeté, rendendomi tutto più chiaro.
Era una richiesta - un po’ dura e quasi presuntuosa, certo -, ma pur sempre una richiesta che racchiudeva in sé tutta la paura di Louis: era come se mi stesse chiedendo di non abbandonarlo, di stargli vicino nonostante il suo carattere discutibile e i suoi modi di fare a volte poco delicati.
Ed io non avevo intenzione di lasciarlo.
«Resterò» gli assicurai, tornando sulle sue labbra dolcemente.
 
 
Harry.
 
L’auto si fermò troppo presto davanti all’aeroporto: Celeste, al mio fianco, si voltò a guardarmi a disagio e io mi nascosi dietro gli occhiali scuri che avrebbero dovuto contribuire a farmi passare inosservato.
Naturalmente sapevo che non sarebbe stato così facile, e per questo erano venuti con noi tre uomini della sicurezza che ci avrebbero scortati fino al gate: nonostante il cambiamento nel nostro rapporto, non volevo che andasse da sola verso l’aereo che ci avrebbe divisi per molto tempo, se non per sempre.
«Andiamo» sussurrai, indicando l’esterno dell’auto, mentre sentivo qualcuno aprire il bagagliaio per prendere la valigia di Alice e mentre lei aspettava che io incontrassi il suo sguardo. Non ne avevo intenzione.
Scesi dall’altra parte, sperando che lei si decidesse ad imitarmi.
Il cielo ormai stava per cadere nell’oscurità e io osservai per una manciata di secondi il sole rossastro che stava scomparendo proprio dietro la struttura imponente dell’aeroporto: non sapevo nemmeno come mi sentissi, in realtà. I miei sentimenti erano disordinati, contraddittori e terribilmente precari: avevo l’impressione di non riuscire a gestirli e passavo dalla convinzione di sapere cosa fare a quella di essere un completo stupido.
Celeste, con i suoi capelli castani e gli occhi scuri che in qualche modo avevano ancora un certo potere su di me, si avvicinò a me in silenzio: mi guardò per un istante che sembrò infinito e io per la prima volta ricambiai lo sguardo, inumidendomi le labbra. Conoscevo quelle iridi e sapevo che quella sfumatura che avevano assunto fosse innaturale: stava soffrendo e, nonostante fossi ancora arrabbiato con lei per ciò che mi aveva nascosto, nonostante mi fossi accorto di quanto l’amore nei suoi confronti fosse stato in realtà dettato da un ricordo, tenevo così tanto a lei da desiderare di prendere quel dolore e lasciarla libera.
Allungai la mano verso la sua e gliela strinsi delicatamente, provando a darle un po’ di conforto. Abbozzò un sorriso e cacciò indietro le lacrime.
 
Forse, se avessi chiesto di non essere seguito e se quindi non fossimo stati scortati da quei tre uomini, le persone all’interno dell’aeroporto non avrebbero nemmeno fatto caso a noi: magari la maggior parte avrebbe solo pensato che io fossi strano, con gli occhiali da sole quando il tramonto lo stava portando via, e che lei fosse bella con quel vestitino color panna con le maniche a tre quarti e le gambe magre scoperte.
Perché bella lo era davvero, oltre ogni limite, come sempre.
Ci volle un po’, comunque, ad allontanare i pochi fans che mi riconobbero, per lo più costituiti da genitori che chiedevano autografi e foto per le loro figlie a casa: alla fine, però, la postazione dei metal detector ci stava di fronte e io non sapevo che dire. La mia mano ancora stretta nella sua e le labbra torturate dal nervosismo.
«Harry, io…»
«Lo so» la interruppi, guardandola negli occhi e lasciando gli occhiali appesi al maglioncino verde militare.
«No – mi contraddisse, ostentando una certa malinconica sicurezza. – Lasciamelo dire».
Annuii dopo qualche secondo e mi passai una mano tra i capelli.
«Immagino che per noi non sia mai stato destino – riprese, facendomi corrugare la fronte. I suoi occhi erano seri e fissi su di me. – D’altronde anche all’inizio Abbie era in grado di dividerci e ora si mettono in mezzo anche migliaia di chilometri, come se non bastasse: e so che sono stata io a scegliere di partire, so che tutto questo è solo colpa mia, ma voglio che tu sappia che… Che non mi pento di niente, nemmeno di un istante passato con te: tutti gli sforzi che abbiamo fatto, tutte le difficoltà che abbiamo attraversato e superato, io ricorderò sempre tutto con un sorriso. E anche se ti amo, perché sai che è così, voglio che tu sia felice, a costo di vederti con Abbie: e mi dispiace… Mi dispiace di averti tenuto lontano da lei per così tanto, perché te lo leggo negli occhi che lei… Che lei è quella che…»
Le lacrime che le bagnavano il viso erano insopportabili per me, così come la sua voce spezzata dal pianto, quindi non le permisi di finire la frase e la abbracciai più forte che potei. La circondai con le braccia e le accarezzai la pelle profumata con il naso, affondando il viso nell’incavo del suo collo.
Avevo deciso di essere sincero con lei, quindi le avevo raccontato dei miei dubbi, dei miei sentimenti e del mio incontro con Abbie: avevo bisogno che tra di noi non ci fossero più segreti, perché non erano corretti e non ci facevano bene. Per questo stava parlando in quel modo, ben consapevole di come mi sentissi.
«E io voglio che tu sappia che mi hai reso felice più di quanto lei abbia mai fatto, e che ti ho amata, più di quanto abbia mai amato lei. Devi ricordartelo» le sussurrai all’orecchio, con una morsa allo stomaco per quelle verità che avrei desiderato potessero ancora valere.
Tornai a guardarla negli occhi e le asciugai una guancia con il pollice. Singhiozzava.
«Tu non mi hai tenuto lontano da Abbie: sono stato io a scegliere te, a volere te, a preferire te. E ti chiedo scusa se ora non sono più in grado di farlo, anche se lo vorrei. Celeste, te lo giuro, io lo vorrei».
La vidi annuire lentamente, mentre tirava su con il naso  e mi guardava negli occhi per l’ultima volta per chissà quanto tempo: ci eravamo promessi che, nonostante tutto, saremmo rimasti in contatto o comunque in buoni rapporti. Io non sapevo se ci saremmo riusciti, perché in fondo non ce l’avevamo fatta nemmeno quando eravamo una coppia innamorata, ma ero deciso a provarci: era il minimo che potessi fare.
«Grazie» mormorò flebilmente, spostando una mano dietro il mio collo. Poi si alzò sulla punta dei piedi e si sporse verso di me, baciandomi le labbra con delicatezza, quasi avesse paura di una mia reazione.
Reazione che però non ci fu, perché io la lascia fare e perché forse anche io ne avevo bisogno.
Quando si allontanò da me, piegandosi per prendere la sua valigia da terra e mettersi in fila per il metal detector, ci guardammo solo più un’altra volta negli occhi: nessuna parola, nessun gesto, niente.
Nemmeno ce n’era bisogno.
Mi diede le spalle e, nonostante io fossi rimasto lì fino a quando non la vidi scomparire dietro l’angolo che l’avrebbe portata al suo gate, non si girò mai a guardarmi: e io la conoscevo.
Sapevo che, se l’avesse fatto, probabilmente non sarebbe più riuscita a partire.
 

 


ANGOLO AUTRICE

La situazione è questa: è da ieri che combatto con raffreddore e febbre, 
quindi non ho idea di cosa sia uscito fuori da questo capitolo (mi scuso se qualcosa non quadra)
ma spero voi possiate capirmi, dato che l'ho scritto oggi mentre ero circondata da fazzoletti ahahah
Detto questo, lasciatemi festeggiare per Louis e Vicki che cazzarola finalmente ce l'hanno fatta hahahahha
So che alcune di voi saranno deluse, perché tengono fede al loro schieramento pro-Zayn,
ma ahimè, questo è quanto e spero comunque che il capitolo vi sia piaciuto :)
In una recensione una lettrice mi aveva fatto notare che non avevo mai rappresentato un vero e
proprio confronto tra Vicki ed Eleanor, ebbene, non l'ho mai fatto perché aspettavo questo capitolo :)
L'idea che Vicki ha avuto nello scorso capitolo era proprio quella di creare un po' di scompiglio:
e se avete apprezzato il suo coraggio nel decidere di rimanere a casa di Zayn (mi ha fatto molto piacere),
avrete di certo apprezzato anche quello con cui si fa avanti in questo capitolo!
Ovviamente non è una stronza insensibile, quindi le dispiace per Eleanor, anche perché
dalle sue parole si può capire quante volte abbia dovuto affrontare una situazione del genere: però alla fine
era l'unico modo che secondo lei rimaneva per prendere Louis e fargli una lavata di testa hahah
E alla fine ci riesce! Louis non poteva smentirsi di certo, quindi continua a fuggire da Vicki - almeno all'inizio -,
ma lei ha più o meno imparato come trattarlo, quindi è capace di farsi stare a sentire (finalmente!!!).
Parlando del suo discorso, io spero sia chiaro ahhaha Ditemi pure se qualcosa non vi torna!
In più, vorrei sapere cosa ne pensate del suo "cambio di strategia" dopo che lui le dice di non 
volerla ferire e quindi in un certo senso la respinge di nuovo: si sa che Vicki e i sentimenti sono pappa e ciccia,
quindi mi è piaciuto scrivere il suo piccolo sfogo, completamente in contrasto con il suo discorso pacato e logico
di poco prima: secondo voi? :)
Comunque lascio a voi qualsiasi altro parere, non vedo l'ora fkjsdalfhs (Vale, soprattutto il tuo ahahha)
Harry e Alice: la tenerezza che non mi fanno quei due, non potete capire hahaha
Creoo non ci sia molto da dire su di loro, se non che sono due cucciolotti e che sono sicura che molte di voi
mi diranno che dovevano stare insieme! Ma io vi giuro che non lo faccio apposta, è colpa loro :(((

Aspetto con ansia le vostre opinioni, perché questo capitolo è abbastanza importante 
e perché con il mal di testa che ho non sono proprio oggettiva hahah
Vi ringrazio come sempre per tutto: adoro il modo in cui mi supportate e in cui analizzate i personaggi!
Quindi grazie, grazie, grazie :) (caterina un grazie in più a te <333)

A presto!!

Storia originale: "Morning Bar"
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