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Autore: DarknessIBecame    22/10/2013    3 recensioni
"Non c’era nessuno che sarebbe arrivato a salvarla, perché non era utile a nessuno in quel momento.
Nessuno le chiedeva di rimanere lì e salvare la sua vita; per questo decise di tentare il tutto per tutto da sola, come sempre da quando aveva perso i genitori. Se l’era sempre cavata, escogitando geniali stratagemmi per tirarsi fuori dai guai con le sue sole forze. Certo, i guai di cui parlava erano proporzionati alla tediosa vita da tecnica informatica, ma ogni volta si ripeteva che SE avesse voluto, SE avesse ceduto, SE avesse accettato, ora sarebbe a New York con ben diverso incarico.
Un altro dei piccoli segreti che Felicity Smoak teneva nel cuore, celati ai più, probabilmente a tutti anzi, tranne che a se stessa."
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Felicity Smoak, John Diggle, Oliver Queen
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Fu una mano calda che gli accarezzava il volto a svegliarlo.
Più che notare ogni rumore - dal bip crudo ai passi ai respiri -, fu quel calore e la delicatezza delle dita, del palmo morbido a riportarlo nel modo dei coscienti. 

Il polpastrello del pollice continuava a scivolare sulla sua barba – che sembrava troppo lunga per essere andato a dormire solo la sera prima – mentre il palmo lo teneva con sicurezza, come a proteggerlo dall’aria fresca della camera. Istintivamente tentò di girarsi, allungando le braccia per afferrare e tirare a sé il corpo della proprietaria di quella mano, sicuro che anche se non ricordava chi fosse in quel momento, una volta svanita la confusione lo avrebbe apprezzato molto di più di quanto avesse apprezzato la maggior parte delle cose in vita sua. In quel momento sentiva solo calore, morbidezza ed un profumo che sapeva di casa e di pace, quindi cosa gli impediva di prenderla e farla sua?
Ci avrebbe dovuto pensare un po’ di più, forse.
Contemporaneamente, venne bombardato da un dolore spaventoso all’interno della gabbia toracica, mentre gli sembrava che degli artigli volessero strappargli la pelle dalla schiena e due mani forti e grandi lo bloccavano di nuovo sul letto. In più, quelli che ormai riconosceva come macchinari ospedalieri erano impazziti perché doveva aver strappato qualche polo connesso al suo petto, la stanza si stava riempiendo di medici ed infermieri e mentre una luce veniva sparata nei suoi poveri occhi non più abituati, sentiva solo la scottante assenza di ciò che aveva cercato di afferrare.
Felicity.

-Sono qui, Oliver. Tu…cerca di calmarti.-

-Signorina, stia indietro, quando avremo finito potrà tornargli vicino.-

Senza accorgersene, doveva aver gracchiato il nome della donna quando aveva capito, quando l’aveva riconosciuta con una chiarezza quasi dolorosa. Cercò di respirare normalmente, sembrava che un secondo prima il corpo fosse in fiamme e adesso…no; era morfina quella che sicuramente gli avevano iniettato. Ecco perché odiava sedativi ed anestetici di ogni genere, non gli permettevano di agire, di combattere, di parlare con lei. Sospirò subito dopo, lasciandosi andare all’inevitabile ed insieme a lui anche i rumori intorno si affievolirono. Come un buon sipario di teatro, lo staff ospedaliero si era aperto ed aveva lasciato passare la rossa che timidamente si stava avvicinando al suo letto, due occhiaie quasi nere e le mani strette tra di loro, davanti allo stomaco.
Perché non si allungava e tornava ad accarezzargli il volto?
Non c’era conforto migliore per lui in quel momento – non ce n’era mai stato, ormai era venuto a patti con se stesso – e lei invece sembrava titubante, quasi spaventata nell’avvicinarsi.
Probabilmente aveva emesso il suono frustrato che gli si era impigliato in gola perché in un secondo entrambe le mani di lei erano volate su di lui e nella sua visuale era entrata anche un’enorme figura scura che in meno di mezzo secondo aveva riconosciuto come Diggle, quindi non una minaccia.
Gli aveva lanciato una sincera occhiata di scuse ma era subito stato attirato dalla bionda che si sporgeva su di lui ed i cui capelli ora ricadevano attorno ai loro volti, solleticandogli le tempie. Si sforzò di sorriderle e probabilmente ci riuscì meglio con gli occhi, che con la bocca a giudicare da come le spalle si rilassavano e lei gli rispondeva al sorriso con un sospiro sollevato.
Non appena la sentì scivolare via però, spalancò di nuovo gli occhi e le macchine segnarono un nuovo balzo nel battito cardiaco.

-Oliver!!-

-Non andare via, Lis. Io non…-

-Non vado da nessuna parte ma tu non muoverti, ok?-

Annuì, ancora un po’ spaventato nel lasciarsi andare alla morfina, rischiando che lei sparisse di nuovo ma quando le mani ripresero il loro compito accarezzandogli il viso, i capelli, le spalle, poté rilassare il corpo e la mente, chiudendo finalmente gli occhi con l’immagine del volto stanco ma perfetto, bellissimo di Felicity, vicino al suo.

Più volte entrò ed uscì dal dormiveglia senza riuscire a chiedere altro che di lei e poche basilari funzioni. Ricordava solo una forte stretta alla mano, lo sguardo intenso che di nuovo lui e Digg si erano lanciati perché in quel momento non avevano bisogno di parlare e poi di nuovo la pelle delicata della sua piccola tecnica che tornava in contatto con la sua.
Gli era parso di sentir parlare, ad un certo punto; borbottii nella camera di voci familiari ed aveva visto un’altra figura estremamente conosciuta ai piedi del suo letto.
Due pacche sulla gamba e Thea si era issata sul materasso per sedersi al suo fianco, sdraiandosi con cautela così da poggiare il capo sul suo petto.

-Si prenderà cura di te, 'Licity. Se eri tanto serio da seguirla ogni giorno e renderti mira di qualche pazzo che ti ha seguito dal Glades, allora si prenderà cura di te. Ed io sarò a casa ad aspettarti per litigare su tutto quello che vuoi.-

Gli aveva dato un bacio sulla guancia e poco dopo era nuovamente caduto nel suo sonno indotto, sentendo qualcosa di umido bagnare il suo camice d'ospedale.

Sembrava che ogni giorno, ogni minuto, Felicity fosse lì per lui. Non riusciva a spiegarsi l’irrequietezza di quella giovane donna al suo fianco ma se doveva dirla tutta non gli interessava al momento; aveva solo bisogno che lei gli fosse accanto ed appena fosse tornato in forze avrebbe sistemato tutto ciò che non andava, rassicurandola e cacciando ogni sua paura.
D’altronde se l’era promesso dalla prima notte in cui l’aveva vista rannicchiarsi lontana dal nuovo letto - quando era riuscito finalmente a trovarla – e gli aveva ricordato con spaventosa precisione il suo stato non appena tornato dall’isola.
Come si era ridotta?
Era stato lui a farle questo?
Si sarebbe battuto fino ad arrivare all’inferno per poi tornare indietro, se solo avesse saputo con certezza di poterla salvare dal suo. Tutto quel che voleva era tornare a vederla sorridere, più di quando erano insieme in un sotterraneo, più di quando non si conoscevano.
Voleva che avesse un sorriso nuovo tutto per sé: sapeva di poterci riuscire e non vi avrebbe rinunciato.

Il giorno in cui venne dimesso gli tremavano le gambe.
Era stato sotto osservazione per le prime 12, fatidiche ore dopo che un proiettile l’aveva colpito ed aveva rischiato di mandargli il polmone in collasso.
Digg gli aveva raccontato di come Felicity, mani sporche di sangue, trucco colato sul volto e vestito rosso da sera ancora indosso, avesse aspettato quelle 12 ore senza mai muoversi dalla poltrona al suo fianco, dopo l’intervento improvviso che aveva dovuto subire all’ospedale della cittadina in cui Lis si era trasferita.
Una volta passate quelle prime ore, avevano aspettato qualche giorno perché i segni vitali si stabilizzassero; gli dissero che lui, effettivamente, si era svegliato più di una volta, troppo confuso e rabbioso per capire dove fosse.
Qui come sempre era intervenuto l’amico e guardia del corpo a proteggere Mr Queen e chi gli stava intorno.
La Smoak invece non aveva fatto neanche un passo indietro, stoicamente testarda nel non volersi neanche andare a cambiare.
Solo quando si erano decisi a trasferirlo a Starling City, grazie ad uno degli elicotteri posseduto dalla sua famiglia, lei si era permessa di ritornare all'appartamento con solo un pensiero in mente. Tornare a casa e poi da lui.
Digg si era occupato della ditta di traslochi e di farle riavere un appartamento nello stesso condominio, poi avrebbero pensato al resto.

Il problema ora, mentre veniva trasportato verso l’uscita sulla sedia a rotelle, come da prassi, era che aveva paura di non trovarla lì. Quella mattina, mentre la sorella e John l’avevano aiutato a vestirsi si era guardato intorno spaesato, l’incertezza fatta persona nel non trovarla lì come i giorni precedenti.
Non avevano parlato molto, non si erano spiegati, ma la sua mano piccina non aveva mai lasciato per più di pochi minuti la sua; quella presenza confortante al suo fianco era diventata indispensabile.
Con un leggero tremito spinse sui braccioli e chiuse gli occhi, rimettendosi in piedi con meno forze di quante pensasse di avere ed ascoltando le porte automatiche di fronte a sé aprirsi per lasciare che il mondo esterno lo assalisse.
Fu un attimo, un momento di indecisione e due braccia magre ma più forti di quanto potessero sembrare lo strinsero alla vita, il corpo minuto schiacciato contro il suo come unico invito ad avvolgere quella palla di energia che gli si era attaccata addosso.
La circondò immediatamente con le braccia, poggiando il naso sulla sua nuca ed inspirando a fondo.
Quello doveva essere uno di quei momenti in cui si facevano dichiarazioni strappalacrime, in cui l’uomo prometteva fede cieca e la donna singhiozzava il suo amore di rimando.

-Prometti di non farlo più?-

-Voglio prometterti tante cose, ma…so solo che mi dispiace, Lis.-

Non l’aveva mai sentito quel “mi dispiace”, Felicity.
Le sue vere scuse per come si era comportato quasi un anno prima, non erano mai arrivate più chiare di così. E mentre l’ascoltava ridere sul suo petto, si mise in cammino verso l’esterno e sì sentì finalmente più sicuro.

Protetto e protettore, la sua famiglia era di nuovo completa.


Soooo…che ne pensate? Lo so che non c’è bacio, ma io la Olicity ancora non la vedo abbastanza matura, se devo scrivere qualcosa di molto serio…certo, ho già un qualcosa in mente, ma vorrei un vostro consiglio. Stacco il tutto in una one shot a parte? Lo includo qui? Come ve la immaginate, la coppia nel futuro?
Ps lo so che il PoV Oliver è stato un bel distacco dai precedenti 5 capitoli, ma non trovate che sia adatto?
Mi sono ritrovata a scriverlo senza neanche aver capito perché. Forse per questo ho già in mentre qualcos’altro, magari per spiegare il cambiamento di Felicity. Oppure no, a me piace com’è finito questo capitolo e…sì, stranamente sono soddisfatta della mia storia.

Quindi è arrivato il momento.
Grazie per aver seguito It had to…

…END.

   
 
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