Fu una mano calda che gli accarezzava
il volto a svegliarlo.
Più che notare ogni rumore - dal bip crudo ai passi ai
respiri -, fu quel calore e
la delicatezza delle dita, del palmo morbido a riportarlo nel modo dei
coscienti.
Il polpastrello del pollice
continuava a scivolare sulla sua barba –
che sembrava troppo lunga per essere andato a dormire solo la sera
prima –
mentre il palmo lo teneva con sicurezza, come a proteggerlo
dall’aria fresca
della camera. Istintivamente tentò di girarsi, allungando le
braccia per
afferrare e tirare a sé il corpo della proprietaria di
quella mano, sicuro che
anche se non ricordava chi fosse in quel momento, una volta svanita la
confusione
lo avrebbe apprezzato molto di più di quanto avesse
apprezzato la maggior parte
delle cose in vita sua. In quel momento sentiva solo calore, morbidezza
ed un
profumo che sapeva di casa e di pace, quindi cosa gli impediva di
prenderla e
farla sua?
Ci avrebbe dovuto pensare un po’ di più, forse.
Contemporaneamente, venne bombardato da un dolore spaventoso
all’interno della
gabbia toracica, mentre gli sembrava che degli artigli volessero
strappargli la
pelle dalla schiena e due mani forti e grandi lo bloccavano di nuovo
sul letto.
In più, quelli che ormai riconosceva come macchinari
ospedalieri erano
impazziti perché doveva aver strappato qualche polo connesso
al suo petto, la
stanza si stava riempiendo di medici ed infermieri e mentre una luce
veniva
sparata nei suoi poveri occhi non più abituati, sentiva solo
la scottante
assenza di ciò che aveva cercato di afferrare.
Felicity.
-Sono qui, Oliver. Tu…cerca di calmarti.-
-Signorina, stia indietro, quando avremo finito potrà tornargli vicino.-
Senza accorgersene, doveva aver
gracchiato il nome della
donna quando aveva capito, quando l’aveva riconosciuta con
una chiarezza quasi
dolorosa. Cercò di respirare normalmente, sembrava che un
secondo prima il
corpo fosse in fiamme e adesso…no; era morfina quella che
sicuramente gli
avevano iniettato. Ecco perché odiava sedativi ed anestetici
di ogni genere,
non gli permettevano di agire, di combattere, di parlare con lei.
Sospirò
subito dopo, lasciandosi andare all’inevitabile ed insieme a
lui anche i rumori
intorno si affievolirono. Come un buon sipario di teatro, lo staff
ospedaliero
si era aperto ed aveva lasciato passare la rossa che timidamente si
stava
avvicinando al suo letto, due occhiaie quasi nere e le mani strette tra
di
loro, davanti allo stomaco.
Perché non si allungava e tornava ad accarezzargli il volto?
Non c’era conforto migliore per lui in quel momento
– non ce n’era mai stato,
ormai era venuto a patti con se stesso – e lei invece
sembrava titubante, quasi
spaventata nell’avvicinarsi.
Probabilmente aveva emesso il suono frustrato che gli si era impigliato
in gola
perché in un secondo entrambe le mani di lei erano volate su
di lui e nella sua
visuale era entrata anche un’enorme figura scura che in meno
di mezzo secondo
aveva riconosciuto come Diggle, quindi non una minaccia.
Gli aveva lanciato una sincera occhiata di scuse ma era subito stato
attirato
dalla bionda che si sporgeva su di lui ed i cui capelli ora ricadevano
attorno
ai loro volti, solleticandogli le tempie. Si sforzò di
sorriderle e
probabilmente ci riuscì meglio con gli occhi, che con la
bocca a giudicare da
come le spalle si rilassavano e lei gli rispondeva al sorriso con un
sospiro
sollevato.
Non appena la sentì scivolare via però,
spalancò di nuovo gli occhi e le
macchine segnarono un nuovo balzo nel battito cardiaco.
-Oliver!!-
-Non andare via, Lis. Io non…-
-Non vado da nessuna parte ma tu non muoverti, ok?-
Annuì, ancora un po’ spaventato nel lasciarsi andare alla morfina, rischiando che lei sparisse di nuovo ma quando le mani ripresero il loro compito accarezzandogli il viso, i capelli, le spalle, poté rilassare il corpo e la mente, chiudendo finalmente gli occhi con l’immagine del volto stanco ma perfetto, bellissimo di Felicity, vicino al suo.
Più volte entrò
ed uscì dal dormiveglia senza riuscire a
chiedere altro che di lei e poche basilari funzioni. Ricordava solo una
forte stretta alla mano, lo sguardo intenso che di nuovo lui e Digg si
erano
lanciati perché in quel momento non avevano bisogno di
parlare e poi di nuovo
la pelle delicata della sua piccola tecnica che tornava in contatto con
la sua.
Gli era parso di sentir parlare, ad un certo punto; borbottii nella
camera di
voci familiari ed aveva visto un’altra figura estremamente
conosciuta ai piedi
del suo letto.
Due pacche sulla gamba e Thea si era issata sul materasso per sedersi
al suo
fianco, sdraiandosi con cautela così da poggiare il capo sul
suo petto.
-Si prenderà cura di te, 'Licity. Se eri tanto serio da seguirla ogni giorno e renderti mira di qualche pazzo che ti ha seguito dal Glades, allora si prenderà cura di te. Ed io sarò a casa ad aspettarti per litigare su tutto quello che vuoi.-
Gli aveva dato un bacio sulla guancia e poco dopo era nuovamente caduto nel suo sonno indotto, sentendo qualcosa di umido bagnare il suo camice d'ospedale.
Sembrava
che ogni giorno, ogni minuto, Felicity fosse lì per lui. Non
riusciva a
spiegarsi l’irrequietezza di quella giovane donna al suo
fianco ma se doveva
dirla tutta non gli interessava al momento; aveva solo bisogno che lei
gli
fosse accanto ed appena fosse tornato in forze avrebbe sistemato tutto
ciò che
non andava, rassicurandola e cacciando ogni sua paura.
D’altronde se l’era promesso dalla prima notte in
cui l’aveva vista
rannicchiarsi lontana dal nuovo letto - quando era riuscito finalmente
a
trovarla – e gli aveva ricordato con spaventosa precisione il
suo stato non
appena tornato dall’isola.
Come si era ridotta?
Era stato lui a farle questo?
Si sarebbe battuto fino ad arrivare all’inferno per poi
tornare indietro, se
solo avesse saputo con certezza di poterla salvare dal suo. Tutto quel
che
voleva era tornare a vederla sorridere, più di quando erano
insieme in un
sotterraneo, più di quando non si conoscevano.
Voleva che avesse un sorriso nuovo tutto per sé: sapeva di
poterci riuscire e
non vi avrebbe rinunciato.
Il giorno in cui venne dimesso gli
tremavano le gambe.
Era stato sotto osservazione per le prime 12, fatidiche ore dopo che un
proiettile l’aveva colpito ed aveva rischiato di mandargli il
polmone in
collasso.
Digg gli aveva raccontato di come Felicity, mani sporche di sangue,
trucco colato
sul volto e vestito rosso da sera ancora indosso, avesse aspettato
quelle 12
ore senza mai muoversi dalla poltrona al suo fianco, dopo
l’intervento
improvviso che aveva dovuto subire all’ospedale della
cittadina in cui Lis si
era trasferita.
Una volta passate quelle prime ore, avevano aspettato qualche giorno
perché i
segni vitali si stabilizzassero; gli dissero che lui, effettivamente,
si era
svegliato più di una volta, troppo confuso e rabbioso per
capire dove fosse.
Qui come sempre era intervenuto l’amico e guardia del corpo a
proteggere Mr
Queen e chi gli stava intorno.
La Smoak invece non aveva fatto neanche un passo indietro, stoicamente
testarda
nel non volersi neanche andare a cambiare.
Solo quando si erano decisi a trasferirlo a Starling City, grazie ad
uno degli
elicotteri posseduto dalla sua famiglia, lei si era permessa di
ritornare all'appartamento con solo un pensiero in mente. Tornare a
casa e poi da lui.
Digg si era
occupato della ditta di traslochi e di farle riavere un appartamento
nello
stesso condominio, poi avrebbero pensato al resto.
Il problema ora, mentre veniva
trasportato verso l’uscita sulla sedia a
rotelle, come da prassi, era che aveva paura di non trovarla
lì. Quella
mattina, mentre la sorella e John l’avevano aiutato a
vestirsi si era guardato
intorno spaesato, l’incertezza fatta persona nel non trovarla
lì come i giorni
precedenti.
Non avevano parlato molto, non si erano spiegati, ma la sua mano
piccina non
aveva mai lasciato per più di pochi minuti la sua; quella
presenza confortante
al suo fianco era diventata indispensabile.
Con un leggero tremito spinse sui braccioli e chiuse gli occhi,
rimettendosi
in piedi con meno forze di quante pensasse di avere ed ascoltando le
porte
automatiche di fronte a sé aprirsi per lasciare che il mondo
esterno lo
assalisse.
Fu un attimo, un momento di indecisione e due braccia magre ma
più forti di
quanto potessero sembrare lo strinsero alla vita, il corpo minuto
schiacciato
contro il suo come unico invito ad avvolgere quella palla di energia
che gli si
era attaccata addosso.
La circondò immediatamente con le braccia, poggiando il naso
sulla sua nuca ed
inspirando a fondo.
Quello doveva essere uno di quei momenti in cui si facevano
dichiarazioni
strappalacrime, in cui l’uomo prometteva fede cieca e la
donna singhiozzava il
suo amore di rimando.
-Prometti di non farlo più?-
-Voglio prometterti tante cose, ma…so solo che mi dispiace, Lis.-
Non l’aveva mai sentito
quel “mi dispiace”, Felicity.
Le
sue vere scuse per come si era comportato quasi un anno prima, non
erano mai
arrivate più chiare di così. E mentre
l’ascoltava ridere sul suo petto, si mise
in cammino verso l’esterno e sì sentì
finalmente più sicuro.
Protetto e protettore, la sua famiglia era di nuovo completa.
Soooo…che
ne pensate? Lo so che
non c’è bacio, ma io la Olicity ancora non la vedo
abbastanza matura, se devo
scrivere qualcosa di molto serio…certo, ho già un
qualcosa in mente, ma vorrei
un vostro consiglio. Stacco il tutto in una one shot a parte? Lo
includo qui?
Come ve la immaginate, la coppia nel futuro?
Ps lo so che il PoV Oliver è stato un bel distacco dai
precedenti 5 capitoli,
ma non trovate che sia adatto?
Mi sono ritrovata a scriverlo senza neanche aver capito
perché. Forse per
questo ho già in mentre qualcos’altro, magari per
spiegare il cambiamento di
Felicity. Oppure no, a me piace com’è finito
questo capitolo e…sì, stranamente
sono soddisfatta della mia storia.
Quindi
è arrivato il momento.
Grazie per aver seguito It had to…
…END.