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Autore: Samanta_Bianca_1D    22/10/2013    0 recensioni
DALLA STORIA:
`Sei stata un errore’, ‘Un preservative rotto, ecco cosa sei’ ’È colpa tua se non siamo una coppia felice’. Quelle parole mi rimbombavano nella testa.
- Mio padre è capace di punirmi anche solo perché respiro la sua aria. Mia madre è sempre categoricamente dalla parte di quel uomo.-
-Esattamente Madison, Londra, Big Smoke. Chiamala come vuoi, sta di fatto che QUELLA sarà la tua, anzi la vostra, prossima meta.- ci disse Brian a me e Elisabeth.
- L’evento si chiama ‘Bottle’s game’.E’ come il gioco della bottiglia,solo con quantità di persone quadruplicata.- mi disse Eli
- Centosettantadue per i maschi e centoventicinque per le donne. Si facciano avanti le coppie, su.-annunciò entusiasmato un signore.
Uno era biondissimo, con degli occhi azzurro chiaro. L’altro invece aveva un altro tipo di fascino, totalmente diverso. Alto, moro, palestrato. Gli occhi di un marrone che non so definire esattamente erano penetranti. Quasi assomigliavano ai miei. E poi quei capelli corvini,rialzati davanti in un ciuffo perfetto.
Le mie labbra, che fino a qualche secondo prima si muovevano istericamente per fare una scortese ramanzina, furono stoppate da una piacevole pressione. La pressione della bocca di quello sconosciuto sulla mia.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Niall Horan, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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-Ah sì? E dov’è che andresti?!- mi rispose sarcastica, con quel tono per dire ‘Hahahaha, ma per piacere, deficiente!’.
-Via di qui….- feci una breve pausa-… a Londra.- riuscii a scandire, facendo un profondo respiro. Non dovevo agitarmi, ci sarei andata comunque, che lo avesse voluto oppure no!
-Oh, Londra? Ti servono i soldi per il viaggio?-
-No, ci vado con Elisabeth.-
-Ah bhè, allora ciao.-affermò supertranquilla. Nel suo sguardo c’era oppressa un’armonia che non riusciva a camuffare.
Mi avvicinai al mobiletto antico alla mia destra. Lì di solito tenevano l’alcool. Aprii la leggera anta ed estrassi una bottiglia di vetro, colma di lucente vodka liscia.
-Festeggia ora. Davanti ai miei occhi, se ne hai le palle.- la sfidai, porgendole la bevanda. Volevo capire se per caso mi volesse bene. Se magari stessi sbagliando ad andarmene via.
Mi fissò per qualche secondo per poi scoppiarmi a ridere in faccia.
-Vodka?! Qui c’è bisogno di CHAMPAGNE. Passami il Dom Perignon!- esclamò gioiosa.
’No. No. Aspetta…cosaa?!’ pensai.
-Abbiamo del Dom Perignon in casa?- domandai incredula.
-E’ probabilmente la cosa più preziosa riposta in queste quattro mura. Conservata appositamente per quest’occasione. E’ lì, nel mobiletto… vicino al rum di tuo padre.- mi indicò lei, con tutta la franchezza di questo mondo. Ma certo, era tutto normale, chi non sarebbe stato così disinvolto mentre veniva abbandonato dalla propria unica figlia? Chi non avrebbe festeggiato? Chi non avrebbe conservato una bottiglia di champagne per un avvenimento simile?
‘Madre smaturata del cazzo.’ rimuginavo in mente.
Posai la vodka e sfilai da quella mini credenza la bottiglia dell’alcolico che quella donna mi aveva chiesto. La tenni a mezz’aria per qualche secondo, mantenendola per il collo, per poi allungare le dita della mano di scatto. Lasciai cadere la bottiglia con un gesto secco. All’impatto con il pavimento il vetro si frantumò in mille pezzi e il pregiato spumante invase il pavimento dell’ingresso, fino a raggiungere la non lontana moquette.
-Ma cosa fai?! PSICOPATICA…- Mi fissava quasi traumatizzata.
-Si chiama vendetta, stronza.- le rinfacciai chiudendole la porta in faccia e trascinandomi dietro l’enorme ed ultimo trolley. Avevo desiderato dirle quelle parole da tanto tempo. Ero decisamente fiera di me.
‘Fanculo l’educazione. Quella donna mi ha rovinato l’esistenza’ continuavo a ripetermi.
Caricato il bagaglio nel cofano entrai in macchina.
Probabilmente avevo stampata in faccia un’espressione poco rassicurante,dato che rimanemmo in un tombale silenzio fino all’arrivo alla di Elisabeth.
-Ora questa è anche casa tua.- urlò Brian entrando nella villa e trascinandosi dietro le valigie.
-L’ho sempre considerata tale, Brian.- gli risposi in maniera sincera, con un sorrisino dolce. Quello con i miei genitori era solo l’appartamento in cui vivevo. Per me la casa era quel luogo che ti faceva sentire protetta dalle cattiverie del mondo.
Elisabeth continuava a sorridere. Sapeva fin troppo bene che quello era tutto ciò che avevo sempre desiderato.
-Uhm, credo che possiamo cominciare ad organizzarci. Puoi sistemarti nella camera vicino a quella di mio fratello.- mi propose lei gentilmente.
-Oh, certo. Sapete già che non vi ringrazierò mai abbastanza. Vado a mettermi qualcosa di più comodo, i vestiti che ora ho addosso mi ricordano la tremenda giornata che ho passato e vorrei evitare di pensarci.- mugugnai stiracchiandomi.
-Io intanto vado a prendere le pizze allora!-esclamò la mia amica uscendo col solito entusiasmo che manifestava quando pensava a quella magnifica pietanza italiana.
Salii con l’ascensore e, entrata nella mia provvisoria cameretta, poggiai i trolley sul letto. Aprii quello più piccolo, cacciai una t-shirt più larga della norma e un paio di pantaloncini da tuta grigi.
Mi spogliai, rimanendo in intimo, mi girai per posare il jeans e la leggera felpa che stavo indossando poco prima che vidi Brian intento a fissarmi sulla soglia della porta della mia camera, appoggiato con una spalla ai cardini dell’anta in noce.
-Ma che fai, pervertito?!- dissi quasi urlando. Mi coprii impacciatamente con la felpa.
-Wow. A 14 anni, quando venivi qui d’estate a fare i bagni in piscina con mia sorella, non eri così…- osservò lui, con un sorriso malizioso in faccia, che quasi lo rendeva più bello.
-Acuta intuizione. Spero tu abbia finito di divorarmi con lo sguardo. Ora esci da qui, cavolo!!- lo spinsi fuori, mentre se la rideva di gusto. Misi velocemente gli indumenti che avevo preparato qualche minuto prima e uscii dalla camera. Eli era tornata. Una volta finito di mangiare la pizza mi ritirai subito in camera. Volevo andare a dormire presto. Volevo far passare veloce il poco tempo che mi separava da Londra. Mi stesi sul letto pensierosa. Decisi di addormentarmi con quei vestiti addosso. Mi scocciava dovermi mettere il pigiama.Mi distesi e chiusi gli occhi.
 
-Spogliati, su, veloce.- mi incitò papà, con un tono tra il severo e l’impaziente. Ubriaco, come al solito.
Obbedii intimorita. Tolsi lo short nero e il top dorato, anche se non è che mi coprissero un granché. A vestirmi, in quel momento, c’erano solo un reggiseno ed un sottile slip.
-Fatti guardare.- disse uno dei suoi amici tirandomi per il braccio e mettendomi al centro del cerchio che avevano creato con i 4 divani su cui erano seduti. I loro occhi puntati addosso facevano lo stesso effetto di quelli di un branco di lupi affamati puntati su un agnello indifeso.
-Fatti guardare? Fatti toccare vorrai dire, forse.- affermò mio padre con quel cazzo di sorrisino da maniaco .Le sue mani e quelle dei suoi compagni cominciarono ad allungarsi avide sulle mie curve, giovani ma già prosperose e…
 
No. Dovevo dimenticare. Lui, i suoi amici, le loro porcherie. TUTTO, odiavo quegli orrendi flashback che mi assalivano la mente prima di prendere sonno. Era una persecuzione. Anche a distanza. Non avevo bisogno di averlo affianco per soffrire. Mi bastavano i ricordi.
Fortunatamente ero stremata e, verso le 23.05, caddi in un profondo semi-coma, meglio conosciuto come dormita profonda.
 
Scuola.
Il giorno dopo. 
 
Ultimo giorno di scuola, finalmente. Elisabeth era assente, come suo solito in quel giorno ‘speciale’. Diceva che era una giornata inutile, tanto non si combinava niente. Effettivamente aveva ragione. Frugavo nel mio armadietto, mentre pensavo a lei, alla ricerca disperata del mio libro di letteratura e del quaderno degli appunti.
-Guarda guarda chi si vede. Come va all’orfanotrofio, Collins?- mi chiese un’ochetta tipa della mia scuola, il cui viso era coperto dall’anta del mio armadietto.
-A volte mi chiedo chi te le scrive le battute. Non sono esattamente convinta che tu sia abbastanza intelligente da essere così pungente e sagace.- le risposi a tono chiudendo l’armadietto e scoprendole la faccia.
-Ma per piacere. Chi ti credi di essere? Io ti r...- continuava a parlottare, credendosi la regina del mondo.
-Oooh, Roberts spegni quella radio che ti ritrovi al posto della bocca e prendi pace.- le consigliai scocciata, entrando in classe. Mi sedetti all’ultimo banco, come mio solito. Le prime due ore passarono velocemente tra uno schizzo e l’altro sui quaderni.
Ero intenta ad abbozzare un viso femminile sul libro di letteratura, quando la porta della classe si aprì. Entrò una donna sui 50, Wanda, la nostra bidella.
-Collins Madison è autorizzata ad uscire. Le è stato firmato il permesso.- annunciò, porgendo il candido foglietto rettangolare al prof. Quest’ultimo mi fece un lieve cenno col capo permettendomi così di prepararmi. Presi quelle quattro cianfrusaglie che ingombravano il banco e le buttai alla rinfusa nella mia borsa a tracolla.
-Arrivederci.- salutai uscendo dall’aula. In lontananza vidi Elisabeth e Brian vicino alla segreteria. Prima ancora che chiedessi loro spiegazioni,la mia migliore amica mi precedette:
-Non dirmi che sei stupita perché non ci credo. Avanti, oggi pomeriggio partiamo per la città dei nostri sogni. Credevi davvero che avrei lasciato che tu buttassi questa mattinata al cesso andando a scuola?- mi domandò con fare non esattamente elegantissimo.
-Aaaaw, mi cogli sempre di sorpresa.- le dissi dolcemente, soffocandola in un abbraccio.
-Ma come avete fatto a farmi uscire? Serve un tutore autorizzato per farlo! E voi non siete miei tutori.- osservai divertita e alquanto incuriosita.
-Bhè, sai com’è…Bisogna saper sfruttare le proprie qualità nella vita.- mi rispose Brian roteando l’indice della mano destra intorno al viso, per sottolinearne il fascino.
-Sì, ok. Ora però smettila di fare l’egocentrico re del mondo. Madison, torniamo a noi. Vediamo un po’, quali sono , da sempre, i tuoi sogni?- mi chiese Elisabeth.
-Mmh, vediamo un po’. Andare via di casa mia.-
-Realizzato.-
-Poi…andare a Londra.-
-Stiamo lavorando per voi…-
-Ehmm. E poi bho. Ah, no, giusto.Tingermi i capelli e tatuarmi.- elencai fiera.
-E indovina ora che si fa?- chiese lei con un sorriso talmente grande da unire un orecchio all’altro.
-Oooh no. Non dirmi che…-. Neanche il tempo di finire che mi trascinò, prendendomi per il polso, verso l’enorme macchina nera del fratello.
-Destinazione: PAR-RUC-CHIE-RA!! Stiamo per partire. Invitiamo i clienti ad allacciare le cinture di sicurezza.- annunciò Brian mimando un microfono con la mano.
Scoppiammo in una sonora risata e in men che non si dica arrivammo da Chloe. La parrucchiera, insomma.
Sapevo già di che colore tingere i miei capelli che, con quella lunghezza, sarebbero stati assolutamente perfetti.
-Voglio esattamente questo colore
(
http://23kyb1ku7gv35azn84drgagouz.wpengine.netdna-cdn.com/wp-content/uploads/2012/10/capelli_colorati_570_63.jpg) - le indicai, mostrandole la foto dal mio BlackBerry.- Il solo pensiero che sarà il colore della mia chioma mi rende la ragazza più felice della terra.-.Ecco che ricominciavo ad essere logorroica. Mentre io facevo vedere la foto a Chloe, Elisabeth ne cercava una per i suoi di capelli
(
http://23kyb1ku7gv35azn84drgagouz.wpengine.netdna-cdn.com/wp-content/uploads/2012/10/Capelli-colorati-570-3.jpg) . Succedeva troppo spesso quando ero felice. Bhè almeno era un buon segno. Segno che ero serena.
Quando Chloe finì di tingermi i capelli e boccolarne le punte, Brian e sua sorella mi guardarono a bocca aperta.
-Cazzo, sei uno schianto Madison.-esclamò Brian.
-Hei Bri, la bava sul fazzoletto per favore, non sulla mia spalla. Sei davvero magnifica. Bella sisi.- si complimentò Elisabeth.
-Aaaw, grazie. Ad entrambi. E ora? Che si fa?- domandai più impaziente che curiosa. Sapevo bene che non era finita lì.
-Bhè ora si va da Ivan.- disse il moretto, con aria da saputello.
-Togliti quell’espressioncina da so-tutto-io dalla faccia. Certo, non di persona, ma so chi è Ivan. So che è il miglior tatuatore di Brighton. E so anche che è sempre stato il mio sogno farmi tatuare da lui.- gli rinfacciai con occhi sognanti, pensando a quell’artista. Sì, perché per me lui ERA un’artista. E la pelle della gente erano le sue tele, dove riproduceva veri e proprio capolavori.Sapevo dove si trovava il suo centro. E sapevo anche che potevamo arrivarci a piedi, visto che era poco più avanti.
Proseguimmo per una decina di metri, per poi arrivare alla traversa che ci interessava. La imboccammo e subito sulla destra trovammo lo studio al quale ambivo da anni. Non passarono due secondi dal nostro ingresso che subito un ragazzo ci venne incontro, salutando Brian.
-Bella, bro. Da quanto tempo non ci si becca, oh. Pronto per qualche gioellino?- chiese indicando con la mano tesa la teca piena di piercing lucenti. - Scherzo, so che non sei qui per questo. Solo che mi sono arrivati nuovi modelli di piercing e me la devo menare, perché sono l’unico in zona ad averceli.-ammise, scoppiando in una contagiosa risata con il moro. Non avevo mai visto una persona così `sincera`. Lì , a Brighton, quasi nessuno era come lui. Tutti avevano paura dell’opinione della gente. Se ti distinguevi dalla massa i pregiudizi delle persone sarebbero stati capaci di indurti al suicidio, tanto erano oppressivi. Erano un ammasso di bigotti, tutti concentrati in un’unica cittadella. Cominciai a fissare Ivan. Aveva un bridge che gli trapassava la cute sopra il setto nasale. Un conch gli perforava l’orecchio sinistro. Due enormi tattoos gli abbellivano le muscolose braccia scoperte e una spirale gli dilatava il lobo dell’orecchio sinistro.Wow.
-Di quant’è il dilatatore?- gli chiesi curiosa. Mi intromisi nel dialogo, nonostante non avessi la minima idea di cosa stessero parlando. La sua figura mi aveva rapita e distratta dal discorso.
-È di 40.- rispose con un sorriso iper orgoglioso.
Smettemmo di intrattenerci con quelle quattro chiacchiere inutili. Passammo ai fatti. Entrai impaurita nella stanza addetta ai tatuaggi. Mi distesi sul gelido lettino imbottito e scoprii la schiena, togliendo la maglietta. Non so dire esattamente in quanto, ma credo che Ivan finì di smanettare con quell’aggeggio pungente dopo circa tre quarti d’ora. Spalmò della vasellina sul tatuaggio e lo coprì con una pellicola trasparente. Il dolore, anche se non esagerato, si era un po’ fatto sentire. Mi ero fatta 2 tatuaggi: una frase, in cui, fino a qualche giorno prima, non credevo.
‘A hope can change your life’ (Una speranza può cambiare la vita), scritto in corsivo, nella parte bassa della schiena, in prossimità delle fossette di Venere e l’altro era un jeco sulla parte superiore della mano, sotto il pollice e l’indice, era magnifico. Mentre Ivan mi decorava la pelle avevamo discusso sul perché avessi scelto proprio quell’espressione. E dopo averglielo spiegato mi aveva detto ‘Le parole saranno solo parole se non darai loro vita’. Avrei ricordato quella risposta per il resto della mia vita….
Riemersi dai miei pensieri e tornai alla realtà. Andai nella sala d’attesa dello studio dove c’erano ad aspettarmi i miei due angeli custodi. Mostrai loro quei capolavori, girandomi di spalle e alzando di poco la maglietta.
-Hei Bri, devi guardarle il tatuaggio, non il sedere.- puntalizzò Ivan sorridente, fulminandoBrian, che faceva il furbetto. Salutammo velocemente quel simpatico ragazzo alternativo e tornammo a casa.
Una volta arrivati la prima cosa che feci fu guardare l’orologio 13:10. Il tempo era praticamente volato.
In un paio di giorni avevo realizzato i ¾ dei miei sogni!
Ma l’orario passò in secondo piano quando notai che il salone era pieno di bagagli, compresi i miei, e sul tavolino c’era poggiata una specie di cesta colma di cibo. Panini, forse.
-Hei, perché quella faccia confusa? Dobbiamo partire. E tu lo sai.- mi chiarì le idee il moro.
-Coooosa?! O-ora?- Ma mi avevano detto che ci saremmo avviati di pomeriggio. No, non ero psicologicamente pronta. I sogni ti spaventano quando si avvicinano, perché hai l’impressione che da un momento all’altro tutto possa svanire.
-Oh yeah. Ora aiutami a caricare tutto in macchina, su- mi rispose. Annuii stralunata e dopo un po’, con l’aiuto svogliato di Elisabeth, le valigie riempirono il bagagliaio, che era quasi sul punto di scoppiare. Brian salì alla guida, sua sorella si sedette alla sua destra. Io occupai uno dei sedili posteriori e misi affianco a me il cesto pieno di cibo che sarebbe dovuto essere il nostro pranzo. L’auto partì e io cominciai a guardare fuori dal finestrino. Addio Brighton. Non mi mancherai affatto. Stavo per iniziare un discorso per ingannare il tempo, quando quasi mi uscirono gli occhi fuori dalle orbite per l’incredulità. Perché Elisabeth dormiva alle 13:25 di mattina?! Quella ragazza era capace di dormire ovunque, a qualunque ora. In qualsiasi situazione. Stavo per scoppiare a ridere ma mi trattenni. Non volevo svegliarla. Così mi tappai le orecchie con le cuffie dell’iPod. Modalità shuffle, perfetto, presi un panino e lo addentai, mentre attendevo l’inizio della prima melodia. La stoppai quando mi accorsi che era ‘Fuckin’Perfect’ di P!nk, no, non mi sarei fatta deprimere. Non c’era niente per cui deprimersi. Stava andando tutto fottutamente bene! Dopo aver saltato QUEL pezzo, mi imposi di non mandarne avanti nessun altro. Una canzone. Due canzoni. Tre canzoni. Dieci canzoni. Quindici canzoni. Diciassette canzoni. Lasciavo che le note mi invadessero la testa. HAKUNA MATATA. Senza pensieri. Totalmente priva di preoccupazioni. Per tutto il tempo del viaggio avevo guardato fuori dal finestrino, spaparanzata in una strana posizione ma, mi rialzai in piedi quando lessi quel cartello.
WELCOME TO LONDON.
-Oh,cazzo. Eli, Eli, Elisabeth, siamo arrivati.- urlai perforandole l’orecchio.








SPAZIO AUTRICE:

Eccomi!! Spero che vi piaccia anche questo capitolo e mi scuso tantissimo per il ritardo ma, questo wee-kend non ci sono stata e visto che la prossima settimana ci sono le vacanze autunnali, i maestri ci hanno bombardato!!
Scrivetemi tutto quello che volete risponderò a tutto e cercherò di seguire tutti i vostri consigli!! Grazie a tutti ciao a presto!!




 
  
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