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Autore: Marge    23/10/2013    2 recensioni
Frozen Flowers è il seguito di Flowers Wall; dopo aver coronato il loro sogno d'amore sotto *diversi* punti di vista, Howl e Sophie si cacceranno di nuovo in qualche guaio. Di chi è la colpa, questa volta?
E dal momento che ne hanno già vissute molte in patria, mi sembra giunto il momento di esplorare un po’ i dintorni. Chi è Hilde, e che paese è mai il suo, perennemente immerso nei ghiacci? E cosa avrà a che fare con i nostri due eroi ed il loro demone del focolare?
Si consiglia la lettura solo dopo aver letto Flowers Wall e tutte le storie della stessa saga!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti | Coppie: Howl/Sophie
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Flowers Wall'
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FROZEN FLOWERS



I

In cui una principessa fatica ad accettare il proprio destino




Il palazzo di ghiaccio era quasi invisibile, abbarbicato su una collina in fondo alla pianura e nascosto da una fitta nebbiolina azzurra.
Ben al riparo nel suo palanchino, pur traballando di qua e di là, Hilde ringraziò gli dei per averle concesso di nascere ricca e poter viaggiare al caldo tra le coperte, seppur con una leggera nausea dovuta agli sballottamenti.
Hilde non scordava mai di ringraziarli, per ogni passo che compieva sulla terra bianca: era nata fortunata, senza alcun dubbio, e la tata non aveva fatto che ricordarglielo, fin da quando le faceva il bagno da bambina.
“Sei nata sotto una buona stella, e sarai felice” le diceva. Ad ogni tappa di quel lungo viaggio, quando il sole calava oltre l’orizzonte ed il suo seguito si fermava per la notte in qualche locanda sperduta, Hilde scendeva dal palanchino e si rendeva conto di quanto veramente lo fosse: perfino la tata, la sua adoratissima tata, camminava nella neve un passo dopo l’altro, mentre lei poteva starsene là dentro, al caldo e sdraiata.
Il palazzo bianco sorgeva in lontananza, ed era visibile ormai da tre giorni.

“Domani saremo lì” la rassicurò la tata quella sera, mentre le pettinava i lunghi capelli scuri e li avvolgeva in volute attorno alla testa. “Sei stanca del viaggio?”
Hilde scosse la testa. “È comodo viaggiare nel palanchino, ma sono preoccupata per te.”
“Io sono abituata” sorrise l’anziana donna. “Non ti annoi?”
La ragazza annuì impercettibilmente: “Il paesaggio è sempre uguale. Credevo che, andando via da Thule, avrei visto qualcosa di diverso, ed invece è sempre tutto bianco.”
“In estate sarà più bello, vedrai: la neve si scioglierà ed il terreno si coprirà di verde.”
“Esistono veramente luoghi in cui la neve cade solo pochi giorni l’anno, ed in cui vi sono tipi di erbe così variegati da essere di tutti i colori?”
La tata si mise a ridere: “Chi ti ha raccontato queste storie?”
“Sai che da bambina amavo ascoltare i racconti dei viaggiatori.”
“Origliare le conversazioni dei grandi, piuttosto.”
Terminò di acconciarle i capelli e prese un panno da una cesta.
“Una volta udii un uomo raccontare di erbe di tutti i colori, chiamate fiori. Era un uomo straniero, parlava con un accento particolare, e veniva da molto lontano.”
“Sì, anche io ho sentito parlare dei fiori. Sembra che abbiano un profumo buonissimo.”
Mentre la tata le fasciava la testa ed il collo con il panno morbido, Hilde lasciò vagare la mente, sforzandosi di immaginare i fiori. “A cosa assomigliano?”
“Secondo me, somigliano a nuvole. Hanno diverse forme e dimensioni, e ovviamente anche colori.”
“Nuvolette colorate sui prati!” rise la fanciulla. “Che idea buffa!”
“Quando sarai sposata con il nostro sovrano, bimba mia, potrai chiedergli qualsiasi dono vorrai, perfino di portarti dei fiori dalle terre lontane.”
“Oh! Sarebbe bello, ma ho sentito dire anche che i fiori qui non possono sopravvivere, e per questo non nascono spontaneamente. Potrei chiedergli di mandarmi a fare un viaggio laggiù.”
“Fossi in te, andrei cauta con richieste di questo genere: uno sposo ama avere accanto a sé la propria sposa.”
Hilde mise il broncio: da mesi ormai la tata cercava di inculcarle qualcosa sul quel matrimonio, ma lei non ne era affatto convinta.
“Ed una sposa non dovrebbe forse amare avere accanto a sé uno sposo amato?”
“E non è forse così?” chiese l’altra, aggrottando le sopracciglia scure.
“Non posso certo saperlo senza conoscerlo” bofonchiò Hilde, ma a bassa voce, perché sapeva di non dire una cosa gradita.
“Su, vai a dormire. Domani ci aspetta una giornata molto impegnativa. Sei coperta abbastanza?”
Imbacuccata da capo a piedi in abiti caldi, compresi due manicotti di pelliccia fatti realizzare appositamente per il viaggio, Hilde si sentiva al sicuro come tra le braccia della sua tata quand’era bambina. Annuì e si accoccolò sotto le coperte, ed ad occhi chiusi pregò gli dei di farle sognare un prato pieno di fiori colorati.

Sophie aprì gli occhi quando un raggio di sole le colpì il viso. Mugugnò e nascose la testa sotto il lenzuolo.
“Su, in piedi!” la apostrofò Howl, afferrando un lembo della stoffa ricamata.
Sophie rimase immobile, sperando di divenire invisibile e poter dormire ancora un po’.
“Stamane c’è un sole splendido!” canterellò il mago, lasciando perdere per un momento il letto e cominciando a volteggiare per la stanza. Sophie cominciò a sentire degli oggetti cadere sul materasso, alla rinfusa.
“Ma è presto” si lamentò, tuttavia emergendo con la testa per la curiosità: ovviamente, il mago stava mettendo sossopra l’intera stanza provandosi tutte le camicie accuratamente piegate nel comò, prima di scegliere quella adatta alla giornata.
“Il mattino ha l’oro in bocca, mia cara Sophie.”
“Non chiamarmi così, sembra che io sia la tua vecchia zia…”
“Sei la mia nonnetta” confermò lui. Si avvicinò al letto e si piegò così da poterla fissare negli occhi. “Quand’eri vecchia eri senz’altro più arzilla.”
“Normalmente sei tu quello che alza dopo mezzogiorno” ribatté lei, ma si arrese ed uscì dalle coperte. “Ed io sono sempre in piedi fin dall’alba per lavorare. Ma questa mattina mi sento così pigra!”
Si stiracchiò e fece un bel respiro: dalla finestra spalancata proveniva un’aria frizzantina.
“Si gela fuori dal letto” mormorò, e si gettò sulle spalle una mantella di lana. Alzandosi, urtò la testa contro un mucchio di strani oggetti che penzolavano dal soffitto, dalla vaga forma a stella.
“Scendo a preparare la colazione?” chiese.
“Aspetta” disse lui, e l’abbracciò. “Buongiorno, bella bimba” mormorò con le labbra contro la guancia di lei.
Sophie sorrise: “Buongiorno a te, mago da strapazzo. Come mai stamattina sei in piedi così presto, e così pieno di energie?”
“Il tuo amore mi riempie ogni giorno di nuove forze, ed ho deciso che oggi verrai con me nel nostro giardino. Ho voglia di passare una giornata tra i fiori a contarne i petali ed osservare le farfalle.”
“Non dire sciocchezze” replicò lei, ed arrossì suo malgrado. “E poi non ci saranno molte farfalle, vista la stagione, e farà davvero freddo. Ma possiamo ugualmente andare a passeggiare.”
“Smonti ogni mio piano, Sophie. La tua crudeltà mi ucciderà.”
Sophie ridacchiò tra sé e sé. “Smettila di farneticare. Allora, vuoi la colazione?”
“Scendo io a preparare qualcosa da portare nella casina; tu vestiti.”
La strinse ancora un attimo tra le braccia, e quando scomparve al piano inferiore, Sophie sentì un brivido di freddo attraversarla da capo a piedi.

Durante il giorno successivo la nausea si attenuò, e Hilde ne approfittò per tirar fuori il suo quaderno dei disegni; amava disegnare fin da quando era bambina, e passò un po’ di tempo a sfogliare gli ultimi schizzi. Aveva cercato di ritrarre tutti i membri della famiglia, per portare con sé il loro ricordo.
Suo padre troneggiava su una poltrona appena accennata, con i lunghi capelli scuri sciolti sulle spalle, come nelle grandi occasioni, ed il mantello di pelliccia nuovo. Hilde aveva lasciato in bianco il viso, limitandosi a tracciare il contorno delle sopracciglia, e si era invece concentrata sulle mani, intrecciate fra loro in grembo. Osservando il disegno le sembrò di sentirle sulla sua testa, e si chiese quando lo avrebbe rivisto; lui le aveva promesso di venire in primavera, magari portando con sé Agnes, che quando lei era partita aveva pianto strillando come un cucciolo di foca rimasto solo.
Delle sue sorelle aveva realizzato un ritratto di gruppo, copiando un grande quadro che suo padre aveva commissionato l’anno prima per la sala da pranzo: cinque dolci fanciulle intente alle arti femminili, chi all’arpa, chi al cucito, chi alla danza. Lei, Hilde, rubava il centro della scena guardando fisso l’osservatore, immobile. Nel quaderno aveva omesso se stessa, concentrandosi invece sulle sorelle, ed osservò con tenerezza soprattutto la piccola Agnes, raffigurata seduta in terra con una bambola fra le mani.
Aveva sempre ringraziato gli dei per essere nata secondogenita, dal momento che non avrebbe dovuto portare su di sé il peso della responsabilità familiare; e quando due anni prima Elin si era sposata, aveva pensato con terrore a quando sarebbe accaduto a lei, poiché Elin era stata data in sposa ad un uomo molto più anziano, con il quale suo padre intendeva far affari.
Solo l’anno dopo, però, il Re aveva chiesto al signore dell’isola di Thule di sancire un accordo tra i Kanapohl e i Ramepohl; e quale modo migliore, se non un matrimonio tra la bella figlia della famiglia più importante dei Kanapohl, e lui, signore di tutto il regno di Angelia e quindi il maggior esponente dei Ramepohl?
Hilde aveva invidiato Agnes, per essere ancora così piccola ed essere l’ultima, ed anche Karit e Maren, che, pur avendo già tredici anni, erano ancora due bambine e nessuno si sarebbe mai sognato di darle in sposa a chicchessia. Ed Elin, almeno, era rimasta ad abitare lì sull’isola, e i due giorni di cammino necessari ad arrivare da lei sembravano nulla, in confronto al viaggio infinito che lei aveva intrapreso verso la capitale, nel continente.
“Sei così fortunata, bella come un raggio di sole all’alba, ed ora anche il Re l’ha notato e ti vuole tutta per sé” aveva detto la tata per annunciarle l’accordo. Hilde non era sicura di esserlo.
Infine, Hilde aprì la pagina in cui era ritratta sua madre, la bella signora di Thule, Pernille. Sospirò e lo richiuse quasi subito.
Subito dopo invece cambiò idea, prese una matita dalla sacca e cominciò a tracciare figure curve, quasi a caso: fiori multiformi come tante nuvolette riempirono il foglio ingiallito.

“Vieni” le disse Howl, e le tese la mano come la prima volta che l’aveva invitata nel giardino. Sophie si tirò sulla testa il cappuccio della mantella prima di uscire all’aperto.
“Nevicherà?” chiese dubbiosa; gli prese il braccio e cominciarono a camminare.
“L’aria è fresca, ma non credo. Hai paura di rimanere bloccata con me nella casina per tutto l’inverno?”
Le strizzò un occhio, e Sophie sentì il calore diffondersi su viso e collo. “Potrebbe essere interessante…” mormorò in risposta, per provocarlo, ma l’imbarazzo era talmente evidente che Howl scoppiò a ridere.
“Trovi divertente che io arrossisca?” replicò piccata.
“Lo trovo fantastico. Quando diventi rossa sei veramente bella, Sophie.”
“Non riesco a controllarlo” rispose, ed arrossì ulteriormente. Per evitare altri commenti si tirò il cappuccio fin sulla fronte, lasciò il suo braccio e corse avanti, sbatacchiando il cestino appeso al braccio. Dopo poco si fermò ad ammirare il paesaggio davanti a sé: in lontananza le montagne erano completamente ricoperte di bianco, mentre ai loro piedi una fitta nebbiolina lattiginosa mascherava l’orizzonte; ma i prati rilucevano come fossero di cristallo, d’un verde splendente.
“Peccato che i fiori siano così pochi” disse fra sé e sé, ma si voltò comunque di slancio offrendo ad Howl un sorriso entusiasta.
“Ho fame!” urlò, e lui accelerò il passo. “Nel cestino ho messo tante cose buone, sbrighiamoci ad arrivare alla casina.”

Arrivarono nella grande città a metà mattinata, nelle ore più calde. Hilde, entusiasta, si sporse dal palanchino per osservare la vita frenetica nelle vie, le donne e gli uomini, quasi tutti dei Ramepohl, intenti nelle loro faccende quotidiane. Il seguito attraversò zone periferiche, in cui si assiepavano piccole costruzioni chiare e i bambini si rincorrevano tirandosi palle di neve, fino alle vie centrali, dove grandi palazzi facevano bella mostra di sé, decorati con gli stemmi delle famiglie che vi abitavano. In cima alla città sorgeva il Castello Reale, una costruzione circolare ed imponente, sulla cui sommità svettava la statua alata simbolo di Angelia.
Il Castello era circondato da un largo fossato ora ghiacciato, ed era collegato al resto tramite un ponte di pietra. Era lì che li aspettava una delegazione di guardie reali, e tra loro un uomo con una lunga tunica candida.
“Il mio nome è Gunnar” esordì. “Sono il Primo Ministro, ed a nome della città di III ti do il benvenuto, Hilde principessa di Thule.”
Hilde s’inchinò come le era stato insegnato: “Per me è un grande onore essere accolta in questo nobile Castello. Sono giunta fin qui con la speranza di poter contribuire, per quanto in mio potere, alla pace ed alla serenità dei nostri popoli.”
Fremette, dentro di sé, ma rimase immobile con la fronte chinata; le sembrava assurdo dover sposare uno sconosciuto, per quanto fosse il Re, ed al contempo si vergognava di se stessa: non si sarebbe mai tirata indietro, di fronte al dovere che aveva verso il suo paese.
Il Primo Ministro Gunnar fece strada, e mentre attraversavano l’ampio spazio all’aperto a piedi, con il seguito dietro di loro, illustrò brevemente le ali del Castello, che si sviluppava attorno a loro.
“Vi accompagno alle stanze che sono state riservate a voi ed alle vostre dame. Le vostre guardie ed i servitori potranno sistemarsi negli alloggi con le nostre.”
“Ho con me solo la mia tata” ammise Hilde. “E le mie guardie sono davvero poche. Non ho voluto portare con me un largo seguito, dal momento che abiterò qui, d’ora in poi. Questa sarà la mia casa.”
“Sarò lieto di offrirvi dunque qualunque persona di cui abbiate bisogno. Non dovete far altro che chiedere.”
La fanciulla annuì brevemente: “Mandatemi una cameriera; siamo molto stanche a causa del viaggio, ed avremo sicuramente bisogno di aiuto. Il Re mi aspetta?”
“Sarà a vostra disposizione nel pomeriggio. Vi manderemo a chiamare.”
“Vi ringrazio.”
Poco dopo si ritrovarono nell’ala del Castello opposta rispetto alla città: lì erano gli appartamenti privati. Entrando nell’enorme anticamera che le era stata riservata, Hilde non poté fare a meno di meravigliarsi per il lusso e la grandiosità dei luoghi.
“Sulla destra vi sono diverse camere da letto e di studio. Manderò subito la ragazza” concluse Gunnar.

La cameriera comparve subito dopo: era una ragazzina di neanche quindici anni, ed era una Kanapohl bassetta ed allegra. Immediatamente decise in quale delle numerose stanze Hilde avrebbe dormito, ne assegnò un’altra alla tata e cominciò a svuotare i bauli, continuando a ripetere: “Se a voi va bene, principessa, ovviamente!”
Hilde si chiese se Gunnar avesse mandato una Kanapohl in segno di riguardo, o non vi avesse fatto caso.
“Volete che vi prepari un bagno caldo?” chiese infine la ragazza.
“Vi è acqua calda nel Castello?”
“Ma certo” sorrise, “siamo raggiunti da una corrente calda che proviene da sud, dal regno d’Ingary. È una corrente sotterranea, ma il Re è riuscito a portarla in superficie e serve l’intera città. Inoltre, le caldaie riscaldano ulteriormente quella che giunge al Castello. Posso prepararvi un bagno fumante, se a voi va bene, principessa!”
“Sta bene, ma portate dell’acqua calda anche alla mia tata.”
“Certamente!”
Mentre la ragazza s’involava verso la porta, Hilde la richiamò: “Come hai detto di chiamarti?”
“Rikke, principessa.”
“Torna qui il prima possibile ad aiutarmi, Rikke, devo prepararmi per l’incontro con il Re.”
Le sorrise ed aggiunse: “Grazie”, e Rikke sorrise in risposta.

Steso a terra sul grande tappeto di fronte al camino, tra le vettovaglie ed il resto della colazione, Howl si lasciò prendere dal torpore e chiuse gli occhi, mentre Sophie si affaccendava come sempre per riporre nel cestino gli avanzi.
“Oggi non devi lavorare?” gli chiese mentre ripiegava una tovaglia.
Lui mugugnò una negazione.
“Più tardi passerà Nina. Sta diventando molto brava con le lettere, credo che entro la prossima primavera sarà in grado di leggere speditamente quasi ogni cosa.”
“Mmmm.”
“Non studia molto, quando è a casa, perché ha sempre tanto lavoro da fare per aiutare la sua famiglia, ma è molto intelligente. È un peccato che non abbia studiato da bambina.”
“Mmmm.”
“Ad ogni modo, credo che arriverà verso il tramonto, come sempre, quindi abbiamo ancora alcune ore prima di dover tornare.” Ripose la tovaglia nel cestino e sopra vi mise una gavetta con del pasticcio avanzato. “E posso sempre tornare da sola, se vuoi fermarti qui. Ma forse Calcifer si sentirà solo…”
“Sophie.”
“Sì?”
“Puoi smettere di parlare e venire qui vicino a me, per favore?”
Lei si guardò attorno dubbiosa, soppesando la quantità di oggetti da mettere ancora in ordine: qualche piatto e posata sporchi da lavare, la caraffa del thè da vuotare; decise quindi che potevano aspettare, e si alzò dal tavolo.
Non sapeva quando, ma Howl aveva arredato nuovamente la casina, apportando delle modifiche, a suo dire, indispensabili per affrontare l’inverno: un tappeto folto e caldo ricopriva gran parte del pavimento, e dal momento che la casina non aveva divani, vi erano stati poggiati grandi cuscini. Sul lettino nell’angolo diverse coperte colorate erano ammonticchiate. Ed infine, una catasta di ciocchi ordinatamente impilati vicino al focolare, per non essere costretti ad uscire sul retro.
Sophie si sdraiò accanto a lui, rannicchiandosi con un suo braccio sotto la nuca. Il viso di Howl si distese in un sorriso.
“Che strana giornata…” mormorò lei, guardando la foschia fuori dalla finestra. “Sembra sospesa a metà, con questa neve nell’aria che non si decide a cadere, ogni cosa immobile…”
“Se venisse la neve, e restassimo qui intrappolati per giorni e giorni…”
“Non abbiamo abbastanza da mangiare, Howl.”
“Ma potrei mangiare te…”
Le prese il mento con due dita e si chinò a baciarla. “Potrei assaggiarti da capo a piedi, così lentamente da impiegarci ore…”
La voce di Howl aveva un tono basso e languido, ogni volta, che la immobilizzava; se fosse rimasto in silenzio, forse, sarebbe riuscita a fare qualcosa, a prendere l’iniziativa o fargli capire quanto le piacesse tutto quello, ma quella voce la inchiodava lì, perché il suo corpo sembrava rispondere solo a quella e non più a se stessa. Le carezze di quella voce arrivavano prima di quelle delle mani, e le provocavano brividi d’aspettativa che la confondevano.
Anche lì, a terra sul tappeto morbido, non riuscì a muoversi mentre lui parlava e le sbottonava, uno dopo l’altro, i bottoni del vestito, e poi della camicia, ed uno dopo l’altro eliminava gli strati dei suoi abiti. Rimase immobile mentre le accarezzava la pelle, ed alle mani sostituiva le labbra, e la lingua giocava a bagnarla e un soffio le procurava mille piccoli fremiti.
“Hai freddo?”
Annuì, e lui si alzò; poco dopo una delle grandi coperte la ricopriva.
Howl rimase in piedi, a sbottonarsi il pantalone; Sophie chiuse gli occhi, imbarazzata, e non li riaprì neanche quando il corpo di lui fu di nuovo accanto a lei, senza nulla addosso, e con frenesia venne spogliata anche dell’ultima biancheria.
La abbracciò e mormorò contro i suoi capelli: “Oh, Sophie, sono così felice…tu lo sei?”
Annuì e sorrise.
“Sei silenziosa…”
“Solo perché sono timida e tu…”
“Io?”
“Oh, lo sai bene! Quando cominci a… io non capisco più nulla e…”
“Ma oggi non voglio essere così” le disse, prendendole il viso tra le mani. “Oggi mi sembra di essere sospeso come in un sogno, e non vorrei più tornare indietro. Vorrei rimanere qui con te così, per sempre.”
Sophie posò una mano sul suo petto, pensierosa, e la fece scorrere lievemente. Se solo non fosse stata così timida, avrebbe potuto passare anche lei tutta la vita a carezzare quella pelle diafana. Posò un bacio leggero sulle sue labbra, poi continuò, a caso, lungo lo zigomo, il collo, la spalla.
Nel silenzio della casina, in cui solo il vento nella canna fumaria soffiava il suo canto, rimasero ad accarezzarsi e baciarsi a lungo, stretti al caldo sotto la coperta, finché diventare tutt’uno fu così naturale come respirare, ed ansimare l’uno nella bocca dell’altra, e stringersi e mescolare odori e sapori, e scordare ogni cosa al di fuori.

Hilde aveva visto il Re diverse volte, ma pur sempre in ritratto; di persona, si sorprese di trovare i suoi tratti più infantili, ed il suo corpo più longilineo e sottile di quanto apparisse nei disegni. Entrando nella sala, preceduta da Gunnar e seguita dalla tata, si meravigliò di trovarsi in una piccola stanza, calda ed accogliente, arredata con alcuni divani e numerosi quadri alle pareti. Un piccolo fuoco in un camino nella parete di fronte riscaldava l’ambiente, ma erano sistemati qui e lì anche numerosi bracieri.
Hilde rimase interdetta ed in silenzio, perché si aspettava un incontro molto più formale.
“Principessa, accomodatevi” disse il Re, ed aveva la voce di un ragazzo. Fece un gesto con una mano, e Hilde sentì la tata spingerla dolcemente verso il divano indicato.
“Il mio nome è Baldur, e come sapete sono il Re di Angelia. Spero che voi vorrete essere la mia regina.”
“Sono qui per questo” pensò Hilde, ma non lo disse. Lo fissò, cercando di capire il ragazzo dietro la corona, e mentre lo squadrava meccanicamente rispose: “È per me un onore essere qui. Ho dei doni da parte di mio padre.”
Offrì la scatola che aveva tra le mani, ed un paggio subito gliela tolse dalle mani per porgerla al Re, che ringraziò secondo la formula ed espresse il desiderio di avere presto ospite presso di sé la sua famiglia. Poi cambiò espressione, curvando le sopracciglia chiare: “Purtroppo, ho delle notizie che credo non saranno piacevoli per voi.”
“Non può più sposarmi!” pensò lei, e si scoprì felice; il cuore cominciò a batterle forte nel petto.
“Il nostro matrimonio è stato fissato per il mese prossimo. Tuttavia, sono sopraggiunti degli impegni impellenti proprio per quel periodo.”
“Il regno d’Ingary ha da poco firmato la pace con il suo regno confinante, Turny” intervenne una voce bassa, e Hilde si voltò verso l’uomo che aveva parlato. Lo conosceva di fama: era Espen, il mago di corte.
“È assolutamente necessario che il nostro Re si rechi laggiù per discutere al più presto alcuni accordi, ora che le alleanze sono state ridefinite. Ma Ingary è lontana, e starà via per almeno due mesi” continuò l’uomo, mentre Hilde fissava affascinata i suoi occhi neri, brillanti come perle.
“Non voglio rimandare di così tanto il nostro matrimonio” si affrettò a precisare il Re. “Ho dunque pensato di anticiparlo alla prossima settimana.”
“Oh” riuscì solo a dire Hilde. La prossima settimana! Così poco tempo per abituarsi all’idea, e sperare ancora…
“So che è poco tempo per i preparativi, ma credo sia necessario. Metterò a vostra disposizione tutte le mie cameriere, le pettinatrici e le sarte della città ed ogni altra persona che possa esservi utile. Ogni vostra richiesta sarà per me un ordine, e sarò felice di accontentarla.”
“Ho consigliato al Re di rimandare il matrimonio, ma egli ritiene che sia meglio anticiparlo” disse ancora Espen.
“Come volete” rispose con un fil di voce Hilde, e la tata le strinse un gomito, non vista.
Il Re le sorrise, e sembrava sincero, ma lei rimase sgomenta a guardarsi attorno, spaesata e confusa da quella notizia.
“Credo che siate molto stanca, l’isola di Thule è davvero lontana. Ho ordinato che la vostra cena venga servita in stanza, così che possiate riposarvi. Domani cominceremo i preparativi.”
“Vi ringrazio molto, Sire” intervenne la tata. “La principessa è molto affaticata dal viaggio, ed è anche colpita dal luogo in cui si trova, così diverso dalla sua casa natale. Vogliate scusare il suo silenzio.”
Hilde chinò il capo, turbata, ma sentì il Re rispondere con voce gaia: “È assolutamente naturale, e non c’è bisogno di scusarsi. Questa sarà presto la sua casa, e vi potrà abitare da regina.”
Pochi minuti dopo si alzarono per congedarsi.
Mentre uscivano dalla stanza, la ragazza sentì su di sé gli sguardi dei tre uomini: Gunnar, Primo Ministro, Espen, il mago di corte, e Baldur, il Re e suo promesso sposo. S’inchinarono formalmente al suo passaggio, ma Hilde uscì sentendo un brivido lungo la schiena.







***
Son tornata! Dopo una lunga pausa in cui ho scritto tutt’altro (avete dato un’occhiata alle mie storie su Avatar – Aang & Korra?), eccomi qui per cominciare una nuova, grande avventura insieme ad Howl e Sophie. E dal momento che ne hanno già vissute molte in patria, mi sembra giunto il momento di esplorare un po’ i dintorni. Chi è Hilde, e che paese è mai il suo, perennemente immerso nei ghiacci? E cosa avrà a che fare con i nostri due eroi ed il loro demone del focolare? I prossimi capitoli sono già in lavorazione, quindi fatemi sapere cosa pensate di questo mentre io sono la lavoro; e come sempre vi ricordo il mio LJ, dove trovate impressioni, appunti di viaggio, prove, scleri e tanto altro.
See ya giovani principesse del ghiaccio!
  
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