«Un giorno il principe Dudley Dursley scrisse una lettera al signor Albus Silente» cominciò Bill, «per chiedergli di andare fino in India e costruirgli un colossale palazzo fatto tutto di cioccolato».
«E il signor Silente riuscì a costruirlo, Bill?»
«Certo. E che palazzo! Aveva cento stanze ed era fatto tutto, ma proprio tutto di cioccolato al latte o fondente! I mattoni erano di cioccolato, la calce che li teneva insieme era di cioccolato, le finestre erano di cioccolato, le pareti e i soffitti di cioccolato come pure i tappeti, i quadri, i mobili e i letti; e quando si aprivano i rubinetti del bagno, ne usciva fuori cioccolata calda.
«Quando il palazzo fu pronto, il signor Silente disse al principe Dursley: «Però vi avverto, maestà, non durerà a lungo, quindi vi consiglio di cominciarlo a mangiare subito»
«“Che sciocchezza!” esclamò il principe. “Non ho alcuna intenzione di mangiare il mio palazzo. Non voglio neanche sbocconcellare un po’ le scale o leccare le pareti! Io nel mio palazzo ci voglio andare a vivere!”
«Naturalmente, però, aveva ragione il signor Silente: infatti, dopo qualche tempo arrivò una giornata particolarmente calda con un sole fortissimo e l’intero palazzo cominciò a sciogliersi e ad afflosciarsi lentamente; quel matto di un principe, che in quel momento stava schiacciando un pisolino in salotto, si svegliò e si ritrovò a nuotare in un immenso lago marrone di cioccolato appiccicoso».
Il piccolo Harry se ne stava seduto immobile sul bordo del letto, tutto preso dal racconto del fratello. Aveva il volto come illuminato e gli occhi talmente sgranati che si poteva vedere il bianco tutt’intorno all’iride. «Ma questa storia è proprio vera?» chiese. «Non è che mi stai prendendo in giro?»
«Altro che se è vera!» esclamarono in coro i quattro fratelli. «Sicuro che è vera! Chiedilo pure a chi ti pare!»
«Anzi ti dirò anche un’altra cosa che è vera» disse Bill, avvicinandosi ancor di più a Harry e abbassando la voce in tono confidenziale come per sussurrargli un segreto: «Mai... nessuno... ne esce!».
«Esce da dove?» domandò Harry.
«E mai... nessuno... ci entra!»
«Entra dove?» gridò Harry.
«Ma nella fabbrica Silente, no!»
«Di che cosa stai parlando, Bill?»
«Sto parlando degli operai, è chiaro».
«Gli operai?»
«Tutte le fabbriche» spiegò Bill, «hanno operai che entrano ed escono dai cancelli la mattina e la sera - tutte, tranne quella di Silente! Di’ un po’, hai mai visto qualcuno che entrasse o uscisse da quel posto?»
Il piccolo Harry si guardò lentamente attorno, fissando una dopo l’altra quelle quattro facce. Tutti ricambiarono lo sguardo. Erano facce sorridenti e benevole, ma erano anche molto serie. Non c’era alcun segno che stessero scherzando o tentando di prenderlo in giro.
«Allora, l’hai visto o no?» insisté Bill.
«Veramente io... non lo so, Bill» balbettò Harry. «Ogni volta che passo davanti alla fabbrica, i cancelli sembrano chiusi».
«Esatto!» esclamò Bill.
«Ma ci deve pur essere qualcuno che ci lavora, là dentro... Forse usano la Smaterializzazione.»
«Sì, ma non sono persone, Harry. O perlomeno non sono persone nel senso comune della parola»
«E allora chi sono?» chiese Harry
«Ah-oh... Il segreto è tutto qui, capisci?... Questo è un altro segno della straordinaria abilità del signor Albus Silente».
«Harry, tesoro» disse la signora Weasley da dove era rimasta in piedi, vicino alla porta, «É ora di andare a letto. Per stasera basta».
«Ma mamma, devo sapere...».
«Domani, caro...».
«Proprio così» disse Bill. «Domani sera ti racconterò il resto».