Ero in macchina
con papà quel giorno.
Eravamo stati in pizzeria e stavamo portando a casa tanta buona roba da
mangiare. Adoravo la pizza: è tutt’ora il mio cibo
preferito.
Stavamo passando
lungo il porto di
Torre Annunziata. Il porto era deserto nonostante fosse pomeriggio.
Papà mi
disse che un tempo quella zona era piena di pescatori, ma ultimamente
in molti
erano falliti.
Papà
diceva: << Il sud Italia
sta morendo >>.
Nelle sue parole
percepivo sempre una
grande malinconia. Chissà cosa significa vedere un luogo
spogliarsi della sia
vitalità. Io purtroppo non posso proprio capirlo.
Ricordo ancora
le sirene della
polizia quel giorno. Si facevano sempre più forti. Mi girai,
vedendo che
stavano inseguendo una X5, una BMW enorme. Correva a forte
velocità. Ci
tamponò, facendoci finire fuori strada. La macchina cadde in
acqua ed iniziò ad
affondare.
<<
Papà!
>>. Ero in preda al terrore.
Lui
tentò di togliermi la cintura di
sicurezza, ma l’acqua aveva bloccato il gancio. Prese il suo
coltellino
svizzero ed iniziò a tagliare, mentre l’acqua mi
era già arrivata all’altezza
del collo.
<<
Forza tesoro, esci!
>>. Mi disse subito dopo avermi liberata.
La porta non si
apriva. Lui tentò di
tagliare anche la sua cintura, ma l’acqua ci aveva
già inghiottiti.
Sentivo un nodo
in gola, mentre
l’acqua iniziò ad entrare forsennatamente dentro
di me.
Il nodo in gola
era provocato dalle
mie corde vocali. Esse, in caso di annegamento, si contraggono per
impedire
alla laringe di aprirsi, così l’acqua non entra
nei polmoni. Purtroppo però
essa entra inevitabilmente nello stomaco, riempiendolo tutto. E se il
corpo non
riceve più ossigeno, le cellule cerebrali muoiono, creando
gravissimi danni al
cervello. Dopo ciò c’è la morte.
Ricordo solo che
la portiera fu
aperta e che un uomo mi prese. Tutto divenne buio poco dopo. Mi
risvegliai
mentre mi veniva fatta la respirazione bocca a bocca. Sputai un sacco
d’acqua.
Il poliziotto
che mi aveva salvata
sorrise: << E’ viva! >>.
Vicino a me
c’erano anche alcuni
pescatori. Avevano le facce sorridenti e sembravano molto simpatici.
Ero tutta
intontita: non capivo niente di ciò che mi succedeva
attorno. Sentivo solo
delle voci.
<<
Forza non fermarti!
>>.
Girai il volto
sulla sinistra. Quella
voce era di un altro poliziotto. Lui ed un altro ancora stavano vicini
a papà.
Stavano tentando di rianimarlo.
<<
Avanti respira! >>.
<<
Forza! Uno, due, tre,
quattro… >>.
Iniziai a
piangere: << Papà!
>>.
Il poliziotto mi
tenne a terra:
<< Ti prego non muoverti >>. I suoi occhi
erano tristissimi
<< Ti prego… resta giù
>>.
Papà
non si risvegliò più. Quello fu
l’ultimo giorno che visse. Non potrò mai
dimenticare quello che successe, non
potrò mai smettere di odiare il criminale che ci spinse in
mare. Fu catturato
poco dopo da un’altra volante. Era stato accusato di un
precedente omicidio e
di quello di mio padre. Prese l’ergastolo. Giurai su tutto
ciò in cui credo
che, se fosse mai uscito, lo avrei ammazzato io.
Sono passati tre
anni d’inferno. Tre
anni da quando vado da uno psicologo, tre anni da quando visito tutti i
giorni
il cimitero per vedere il volto di mio padre lì, su quella
lastra di marmo, tre
anni da quando ho paura dell’acqua. L’acqua
è pericolosa, l’acqua è mortale. Ed
ogni volta che mi avvicinavo al mare, ecco che mi veniva paura, paura
che
volesse uccidere anche me. Erano appunto tre anni che non mettevo
più piede su
una spiaggia. Mai, pensavo, ce
l’avrei rimesso.