Capitolo II
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Ciao!
- Oh… ciao.
- Anche tu qui?
- A quanto pare sì.
- Senti io dovrei… vorrei…
- Lascia stare. È tutto passato.
Così dicendo voltò le spalle per rientrare al
castello. Iniziava a fare buio e l’aria era decisamente fredda, l’inverno
era giunto alla fine, ma i pomeriggi ancora non si erano intiepiditi. Ad
Hogwarts sembrava che i pomeriggi fossero sempre e solo freddi.
Girò ancora una volta la lunga sciarpa attorno al
collo e percorse il sentiero per tornare verso la Sala Comune, certamente più
calda del parco.
Certamente più calda del suo corpo.
Certamente più calda del suo animo.
Camminò a passo spedito e non si fermò nemmeno
per un attimo. I suoi pensieri erano fissi a ciò che era accaduto meno di tre
giorni primi.
A quando si erano scontrati così duramente e tutto
per una stupida partita di Quidditch. Avevano perso e tutto per colpa sua. Era
tutta colpa sua lo sapeva benissimo, lo avrebbe ricordato a vita. Certo che non
occorreva quella piazzata negli spogliatoi. Era già umiliante di suo aver perso
una partita, non occorreva ribadire, davanti a tutti i componenti della squadra
ed ai loro più cari amici, che avevano perso anche la Coppa d’Inverno sempre
a causa sua.
Aveva sbagliato, lo sapeva.
Aveva permesso al cercatore della squadra
avversaria di prendere il boccino d’oro, tutto perché non aveva visto un
bolide lanciato in sua direzione.
Tanto valeva che quel bolide facesse centro.
Avrebbe evitato tante storie. Tante liti. Tanti dispiaceri. Invece no. Non aveva
un graffio perché il loro cercatore aveva preferito evitare il suo male
piuttosto che prendere il boccino, e vincere.
Dannazione!
Doveva prestare maggiore attenzione!
Doveva saperlo che una partita contro le Serpi era
pericolosa. Doveva aspettarsi qualche tiro mancino da parte di quella viscida
serpe di Nott ed invece… invece stava già esultando. Harry era ad un soffio
dal boccino…
… quando poi…
L’urlo e lo schianto. Il bolide aveva fatto
centro. Aveva perso il controllo della sua scopa.
Precipitava.
Non riusciva a rallentare la corsa. Si trovava a
dieci metri dal suolo, se non avesse fatto qualcosa addio al suo sesto anno.
Peggio ancora, addio alla vita.
Osservò le tribune.
Hermione era con le mani chiuse davanti la bocca.
Gli occhi pieni di lacrime. La distingueva nitidamente. Come si poteva
concentrare sull’immagine della sua migliore amica piangente mentre
precipitava nel vuoto rischiando di ammazzarsi?
Forse lo sapeva.
Si ripete sempre che al momento della morte davanti
agli occhi si vede scorrere il film della propria vita: probabilmente stava
accadendo ciò, solo che al posto delle immagini più intense della sua vita
vedeva i volti delle persone che amava.
Degli amici. Dei famigliari. Del suo amore.
Prima aveva visto il volto di Hermione tra il
pubblico.
Poi gli occhi sbarrati di Ron che osservavano con
orrore la sua caduta libera.
Infine Harry. Il suo Harry. Il suo viso era tanto
vicino che le sembrava quasi di poterlo sfiorare. Sentiva la sua voce chiara e
nitida che le urlava a gran voce di non perdere altro tempo ed afferrare alla
svelta la sua mano.
Un attimo!
Harry era davvero davanti a lei e porgeva la sua
mano mentre anche lui precipitava nel vuoto con la mano sinistra ben ancorata al
manico della sua Firebolt.
Non si fermò più di tanto a riflettere. Prese la
mano del ragazzo che amava segretamente da sei anni e la strinse con tutta la
forza che aveva in corpo. Chiuse gli occhi ed attese.
Nessuno schianto.
Solo un boato.
No. Non era un boato. Erano applausi.
Che la partita si fosse conclusa?
Aprì un occhio lentamente. Quasi con timore.
Ciò che vide fu solo una divisa simile alla sua. I
colori rosso-oro erano ben distinti. Era stretta ad un torace ampio e muscoloso.
Improvvisamente ricordò tutto.
Stava piombando al suolo perché colpita da un
bolide lanciatole contro da Nott. Harry si era precipitato per soccorrerla.
Aveva stretto le sue mani prima di sentire il fragore degli applausi e
dimenticare tutto.
Questo voleva dire che era ancora stretta ad Harry!
Sentì le gote diventare improvvisamente calde.
Probabilmente il suo viso adesso era della stessa
tonalità dei capelli di Ron. Immaginò le efelidi risaltare ancora di più
sulla sua carnagione chiara come il latte.
Decise di aprire anche l’occhio destro. Era
inutile stare ancora stretta ad Harry ora che il pericolo era passato. Non
voleva passare per la bambina paurosa. Sollevò lentamente il capo, pronta ad
incontrare gli occhi verdi del ragazzo. Quando li vide si sentì persa. Grandi e
luminosi. La tranquillizzavano in ogni circostanza. Sorrise debolmente,
altrettanto debolmente lui le rispose. Sperava che quel momento non finisse mai,
era la prima volta che si trovavano così vicini. Il suo cuore batteva a mille.
Anche il cuore di Harry sembrava impazzito? Durò poco però, presto furono
raggiunti da Hermione e tutti gli altri. Solo Ron era rimasto un po’ più
indietro che fissava preoccupato la sorella. Presto però fu raggiunto da Harry
che si era allontanato dalla bolgia.
Ginny si ritrovò stretta da mille abbracci.
Hermione aveva ancora le guance umide a causa delle lacrime. Dopo aver
tranquillizzato tutti sulle sue condizioni fisiche si ritrovò a porre la
domanda che le era saltata in testa da quando aveva sciolto l’abbraccio con
Harry.
- Ragazzi ed il boccino? Lo ha preso Harry vero?
Un attimo di silenzio. Imbarazzo. Alla fine fu la
Caposcuola Granger che rispose alla domanda.
- Gin… il boccino lo ha preso Malfoy.
- Cosa? Ma Harry lo aveva ormai in pugno. Come è
possibile? Non dirmi che…
- Tu stavi precipitando. Se non avesse lasciato
perdere il boccino adesso tu…
La frase di Lee rimase incompleta. Ginny chinò il
capo mortificata. Questo voleva dire che avevano perso. Avevano perso e tutto
solo a causa sua. Con le spalle curve a
causa del senso di colpa, Ginny lasciò il campo diretta agli spogliatoi. Voleva
piangere ma non lo fece. Non voleva farsi vedere debole. Doveva essere forte.
Prese posto su una panca. Seduta composta, in
maniera eretta. Il capo poggiato contro le piastrelle bianche. I capelli
risaltavano maggiormente nel biancore degli spogliatoi. Gli occhi chiusi
cercando di trattenere le lacrime che minacciavano di uscire da un momento
all’altro.
Avevano perso la partita.
Peggio. Avevano perso la Coppa d’Inverno.
Lo spogliatoio si riempì del resto dei componenti
della squadra. Dall’altro spogliatoio, quello di Serpeverde, provenivano le
urla di vittoria. Gli applausi. Nello spogliatoio di Grifondoro regnava il
silenzio più assoluto. Nessuno parlava. Demoralizzati.
- Mi spiace. È tutta colpa mia. Io…
- Non è così grave Ginny. Ci rifaremo con la
Coppa delle Case. Siamo sempre avanti rispetto a quelle Serpi.
Harry. Sempre e solo Harry. L’unico che poteva
restituirle il sorriso. Alzò il capo, che fino a poco prima aveva tenuto chino,
e sorrise. Ad Harry ed a tutti i compagni di squadra.
- Certo Ginny non è grave. Semplicemente ci hai
fatto perdere una partita importante come quella contro le Serpi. Una partita
che preparavamo da quanto? Tre mesi? E poi cosa c’è di grave? Abbiamo perso
solo la Coppa d’Inverno, un’ipoteca sulla Coppa delle Case. Niente di grave
Ginny. Ti stavi per rompere l’osso del collo solo perché sei ancora troppo
immatura e disattenta. Quante volte te lo devo ripetere che non devi mai
abbassare la guardia. La partita finisce solo quando sei scesa dalla scopa. Sei
un’irresponsabile. Chiederò alla Mc Grannit di metterti fuori squadra. Sei un
pericolo per te stessa ed un peso per la squadra.
Ginny guardò il fratello come se lo avesse visto
per la prima volta. Le sue parole erano state come tante pugnalate. Davvero era
stato Ron a sputarle contro tutte quelle cattiverie? Davvero era stato il suo
fratellone?
- Adesso basta Ron, non ti sembra di esagerare?
Ginny non ha nessuna colpa se Nott è un bastardo.
- Certo Harry hai ragione. Difendiamola povera
piccola Ginny. È ancora una bambina. È piccola. Indifesa. È una palla al
piede per la squadra. Per l’E.S. Per la lotta contro Tu-Sai-Chi. Harry non
potrai difenderla in eterno.
Ginny stringeva sempre con maggiore forza i pugni
chiusi. Si sentiva umiliata. Venduta. Tradita. Era davvero questo ciò che
pensava Ron di lei? Che era una palla al piede. Con gli occhi pieni di lacrime,
che non varcarono mai il confine delle rime palpebrali, lasciò la stanza. Muta.
A testa bassa.
Quel pomeriggio l’aveva distrutta. Aveva evitato
Ron per tre giorni. Era arrabbiata ma non con il fratello ma con sé stessa. Era
stata talmente cieca da non accorgersi di essere un peso per i suoi amici.
Stupida ragazzina che non era altro.
Era seduta davanti il caminetto. Le fiamme
danzavano e riscaldavano l’ambiente. Era affascinata da quella danza. La Sala
Comune era stranamente deserta. Sicuramente molti erano ancora a lezione, altri
in biblioteca. Era seduta sul divano con le gambe strette al suo corpo. Il mento
poggiato sulle ginocchia ed una cascata di fuoco, data dai suoi capelli, a
coprirle le spalle.
Sentì entrare qualcuno ma non se ne curò.
Osservava la danza delle fiamme. Presto però comprese di avere qualcuno seduto
al suo fianco. Riconobbe il profumo del fratello. Non alzò nemmeno il capo.
Stava per alzarsi quando la mano del fratello glielo impedì.
- Scusami Ginevra. Ho esagerato.
Ginevra. Era una vita che non la chiamava più
così. Solo lui lo faceva quando erano piccoli. Suo fratello le ripeteva sempre
che lei era bella come la bella moglie del Principe Artù e lui sarebbe stato
per l’eternità il suo cavaliere servente. Quanto tempo era trascorso? Molto.
Tanto. Troppo. Adesso erano cresciuti. Erano diventati grandi. Erano distanti.
Ron adesso la considerava una palla al piede.
- Lascia stare Ron. È tutto passato.
Lo aveva detto con voce fievole. Un sussurro.
Sentiva nuovamente gli occhi pieni di lacrime ma non voleva piangere. Non
davanti al fratello. Non voleva confermargli che era una bambina. Questo mai.
- Ed invece no. Sono stato uno stupido troglodita.
Non dovevo attaccarti in quella maniera. Non è stata colpa tua. Tu non hai
nessuna colpa. Sono io semmai a dovermi scusare con te come sto facendo. Sono io
il tuo cavaliere servente. Dovevo essere io a proteggerti e salvarti e non
Harry. Quando ho visto che precipitavi non sono riuscito a capire più nulla.
Sono rimasto pietrificato. Ho avuto paura. E poi Harry. Lui ti ha salvata. È
stato un bene che ci fosse stato lui. Io… io ti prego di perdonarmi se non
sono riuscito a salvarti. Se ti fosse accaduto qualcosa io ne sarei morto. Tu
sei la mia sorellina. Sei la cosa più preziosa che possiedo. Ed adesso che sei
grande è difficile da accettare. Quando eravamo bambini ero io il tuo eroe. Ero
io che ti facevo ridere. Che ti difendevo dai cattivi. Ero io il tuo confidente
mentre adesso… adesso nel tuo cuore c’è posto solo per un altro ragazzo. Ed
io… io sono tremendamente geloso perché ho paura che tu possa dimenticarti di
me. Perdonami Ginevra se io…
Ma Ron non finì il suo discorso perché si ritrovò
abbracciato dalla sorella. Le lacrime di Ginny finalmente ebbero libero sfogo
tra le braccia del rosso. Restarono così tutto il pomeriggio a ricordare
episodi della loro infanzia. Restarono stretti a rinsaldare, ancora una volta,
la promessa che si erano fatti tanti anni addietro: il loro amore fraterno
sarebbe andato al di là del tempo e dello spazio. Sarebbero sempre stati
presenti l’uno per l’altra.