La pelliccia brillava nella notte.
Brillava di luce propria, di un oro intenso, sfavillante come il sole che nasce
prepotente scalando le spalle della notte. Inesorabile, ma lieve.
Era lì, e lo fissava. Tenera e tranquilla.
Aveva paura di muoversi, di respirare, di spaventarla e farla fuggire.
Incredibile, le leggende… erano tutte
vere.
La coniglietta d’oro, era vera.
Si piegò con lentezza misurata, allungando la mano per raccattare la spada che
gli era sfuggita per la sorpresa, ma senza distogliere lo sguardo dal
misterioso, maestoso animale.
Il terrore che lo aveva avvolto si stava lentamente dissolvendo nell’aria,
sentiva crescere dentro di sé la tranquillità propria di chi ha raggiunto una
vetta tanto impervia quanto desiderata, trovando finalmente pace per la propria
mente e per il proprio corpo.
Le pupille della coniglietta erano grandi, e l’iride azzurro. Questo
particolare non era mai stato accennato, nelle storie della sua gente, e si
sentì fiero di essere il primo, che di lì a poche ore, avrebbe raccontato
questo dettaglio insignificante a tutti quelli che lo avrebbero fermato.
Il pelo lungo e liscio del suo corpo pareva di una morbidezza impossibile, ma
aveva davvero il colore dell’oro più prezioso.
Gloria.
Rinfoderò la katana e respirò a pieni polmoni.
-Vuoi portarmi a far vedere la tua tana, coniglietta?
Per tutta risposta quella scattò nella notte, lontano da lui.
Corri!
Aveva sentito quell’ordine dentro di sé, non sapeva bene dove, ma fu
impossibile non ubbidire.
La notte era buia e il terreno sconnesso, ma la coniglietta lasciava dietro di
sé come una scia di lucciole che si dissolveva al suo passaggio, permettendogli
di seguirla senza troppa difficoltà. Incespicò e quasi cadde diverse volte,
riuscendo sempre a mantenersi in equilibrio grazie ad una determinazione che
mai aveva sentito, nemmeno in battaglia.
Doveva prenderla, viva, e portarla al
villaggio. Doveva porre fine a quelle stupide dicerie.
L’animaletto correva a zig- zag, sembrava non sapere nemmeno lui dove andare
veramente, ed il fiato iniziava a farsi corto.
Quasi scivolò nel fango per la sorpresa quando la coniglietta si fermò di
colpo, girandosi a guardarlo, arricciando un poco il musino e producendo un verso
alquanto stridulo, ma buffo.
Se non fosse stato solo uno scherzo della natura, avrebbe giurato che lo stesse
sfidando con arroganza.
-Sei mia.- sussurrò in un soffio, sollevando il braccio e portandoselo dietro
alle spalle.
Dannazione, aveva lasciato l’arco
alle rovine. Con la spada non sarebbe mai riuscito a ferirla di striscio per
potersela caricare sulla schiena e portarla via.
La rabbia gli divampò nel petto come un incendio, e urlando le piombò contro
chiedendo ai suoi muscoli di distendersi fino all’impossibile.
Fu un secondo, e il preciso punto dorato in cui la coniglietta si era fermata
diventò oscuro, e lo scoprì essere un sasso.
Sbatté la fronte, sentendo la pelle lacerarsi e qualcosa di caldo
fuoriuscirne, mentre col corpo atterrò rovinosamente sul terreno disseminato di
radici e arbusti. Non fece in tempo ad afferrarne uno che rotolò giù per un
pendio irto di massi e chissà che altro, finendo a faccia in giù su dell’erba
soffice e fresca.
Gemendo rimase immobile, tagli e abrasioni bruciavano ovunque sul suo corpo, i
vestiti oramai laceri e infangati.
Maledetta bestiola, stava tentando di ucciderlo, e lui era così sciocco da
lasciarglielo fare!
Forse la leggenda alla fine era solo quello: una dannata coniglia
incredibilmente scaltra per la sua razza, che con quel pelo e quegli occhi
portava poveri uomini alle morti più assurde e banali.
Che vergogna, Mamoru…
Voltò il viso di lato, facendo aderire un orecchio al terreno umido, e
intravide il profilo della discesa che aveva affrontato come un bambino alle
prese con le sue prime corse. Era scivolato giù da un piccolo colle.
Sospirando iniziò a chiedersi come avrebbe fatto a tornare al tempio
abbandonato, ora che la coniglia era scomparsa nel nulla e la sua strana luce
non gli avrebbe più mostrato il cammino.
Le scottature del suo orgoglio bruciavano più delle ferite della sua pelle:
quando era partito da casa la sua unica intenzione era quella di passare la
notte, quella notte, nel bosco, da
solo, e di fare un ritorno trionfale in paese il mattino seguente, come unico e
solo sopravvissuto di quella stupida storiella, e non di uccidersi per un
animale che probabilmente non sarebbe stato nemmeno buono da mangiare,
considerando quanto doveva essere vecchio per aver popolato i racconti di suo
padre, di suo nonno e forse anche quelli dei suoi avi più antichi, non
ricordava.
Be’, se la coniglia non si fosse più fatta vedere non sarebbe potuto essere che
un bene per lui; non era necessario che raccontasse la verità, solo che
tornasse. Sulla strada per le rovine avrebbe ucciso un cervo, o un cinghiale,
per spiegare le sue pessime condizioni.
Se riuscirai a tornare a casa, Mamo-chan.
Con uno scatto tirò su il viso, guardando ansiosamente nel buio che lo
avvolgeva. Aveva sentito una voce, una voce nella sua testa.
Schiacciò i palmi contro l’erba, tentando di alzarsi, ma il taglio al lato
della fronte bruciava e pizzicava troppo, costringendolo con un lamento
sommesso a rimettersi sdraiato.
Stava impazzendo, stava sul serio perdendo la ragione.
Pensò a sua sorella, probabilmente ancora sveglia, nella sua stanza, o al
santuario, a pregare il fuoco, e il suo stomaco non poté non attorcigliarsi un
po’ di più di quanto già non fosse… -Rei…
-Mi dispiace forestiero, ma qui non c’è nessuna Rei.
Questa volta era reale, la voce, non
era solo nella sua testa. L’aveva
sentita con le sue orecchie, portata dal vento, molto vicina a lui.
-Chi c’è?!- gridò sforzandosi di mettersi almeno in ginocchio. –C’è qualcuno?!
Fatti vedere!
Tutto era immobile, un muro nero impenetrabile. Strinse i pungi poggiati sulle
cosce tese. –Ti ucciderò, quando ti avrò trovato! Chiunque tu sia!
Una risata cristallina, di donna,
echeggiò fra gli alberi, rimbalzò sui sassi e gli finì addosso.
No, non era possibile…
-E perché no, Mamo-chan? Hai desiderato così a lungo di incontrarmi… e ora
eccomi, sono qui.
Gli leggeva la mente, non poteva nascondersi da lei.
Qualcosa di caldo, e sottile, e morbido gli passò in mezzo ai capelli,
partendo da entrambi i lati della testa, alle sue spalle, e gli coprì gli
occhi.
Sarebbe dovuto scappare, il sangue correva selvaggiamente in ogni capillare del
suo corpo, il cervello si stava paralizzando dalla paura, di nuovo, ma tutto ciò che riuscì a fare fu sollevare le mani e
portarle sopra a cosa, o chi, gli
stesse togliendo la vista.
Mani. Tiepide. Asciutte. Piccole e
vellutate.
Mani di donna.
A quel pensiero si sentì sprofondare nel terreno malleabile sotto al suo
peso.
Qualcosa gli girò attorno senza
lasciare la presa delicata sulla sua testa, e gli si portò davanti in silenzio.
Poi fu liberato.
Ci mise meno di un battito di ciglia a registrare cosa, o chi, gli stava di fronte, sorridendogli: una giovane donna, una
ragazza.
Bellissima, pensò sinceramente di non
aver mai visto niente di più bello in vita sua.
A quel pensiero le labbra rosa e carnose di lei
si piegarono ancora di più in un sorriso ammaliatore. Aveva denti bianchi,
perfetti, e bianca era anche la sua pelle: pareva fatta di perle, le perle più
preziose che il mare potesse regalare.
Aveva lunghi capelli biondi, color del grano di giugno, portati in due code
mosse perfettamente acconciate, le cui punte sfioravano quasi l’erba.
Gli occhi venivano accarezzati da ciuffetti leggeri.
Gli occhi.
Azzurri, come uno zaffiro trapuntato
di stelle d’argento.
Non poté far altro che fissarla, fissare il suo viso dolce, gentile, il suo
corpo esile, ma di donna, avvolto in un abito bianco, le spalle scoperte.
-Sei un angelo?- sentì la propria voce chiedere. Voleva sentire la sua, di
voce, doveva per forza essere un canto di usignolo.
Lei si morse il labbro inferiore, divertita. –Posso essere quello che
preferisci, Mamo-chan.
E le mani di lei raggiunsero le sue, aiutandolo ad alzarsi.
Era così piccola, davanti a lui. Così
fragile e indifesa. Innocente.
-Come conosci il mio nome?
Sentì le loro dita intrecciarsi, e i suoi polsi essere rivolti al cielo scuro.
Poi la vide chinarsi con eleganza, e posare sulla sua pelle, di entrambe le
braccia, un bacio appena accennato.
Qualcosa in lui prese fuoco.
Guardandolo negli occhi gli sorrise ancora. –So molte cose di te, Mamo-chan. Ti
da fastidio se ti chiamo così? Preferisci forse il tuo nome completo? Mamoru…
Negò con la testa, schiudendo la bocca senza però sapere cosa dire. Lei rise di
nuovo, e tutto intorno sembrò illuminarsi un poco. Gli sembrò che la sua pelle luccicasse, un poco.
-Cosa ci fai qui, Mamoru? Non lo sai che è pericoloso frequentare questi boschi
in certe notti?
Mamoru? Perché lo aveva chiamato così? Le aveva detto, o meglio fatto capire,
che per lei poteva essere qualcosa di più, di Mamoru…
Strinse la presa sulle sue mani e l’attirò velocemente a sé, facendo combaciare
i loro corpi. Lei parve sorpresa, piacevolmente sorpresa, ma anche… complice.
-Per te, solo per te, sono Mamo-chan. Tu come ti chiami?
Lei liberò una mano e la portò alla sua testa, sfiorandogli appena la ferita
con la punta delle dita. –Come ti sei fatto questo, Mamo… chan?
Lui sorrise per la prima volta. Si sentiva leggero, troppo leggero.
Non ricordava di essersi mai sentito così.
-Sono scivolato.
-E cosa ci fai qui, Mamo-chan?
Mh… che cosa ci faceva lì?! Non era più tanto sicuro di ricordarselo bene.
-Sono venuto a caccia…
Gli fece spostare appena la testa di lato, per studiare meglio il taglio
incrostato di sangue. –E cosa hai cacciato, per ridurti in questo stato?
-Una coniglietta. Ma è scappata.
Annuì.
Passò i polpastrelli sulla sua pelle, e subito sentì il dolore scomparire. La
toccò lui stesso, e si sorprese nel non sentire niente, assolutamente niente.
-Io mi chiamo Usagi.
Usagi… che nome buffo.
Non voleva dire coniglio nella sua
lingua?
-Sembri distrutto, Mamo-chan… vuoi venire nella mia tana, ti farò stare meglio…
Lo sussurrò nella più splendida delle tentazioni, e fu come se una nebbia fitta
e densa, perlacea, gli avesse invaso totalmente, finalmente, la mente…
Annuì in silenzio, non sapendo controllare lo stato d’eccitazione che lo stava
pervadendo.
Lei si alzò sulla punta dei piedi e gli posò un bacio sulla guancia, caldo,
indugiando, e sorridendogli se lo tirò dietro, camminando nella notte.
Strano, pensò Mamoru, gli sembrava
che tutto intorno a loro danzasse un pulviscolo dorato, lucente.
Come lucciole.
Alèèè!
Ce l’ho fatta, la seconda parte di questa storia è finalmente uscita dalle mie
dita dopo più di un anno!
Più che un’impresa, è stato un parto plurigemellare, ma sono davvero davvero
felice di aver finalmente rotto questo maledetto blocco dello scrittore! :D
All’inizio questa fic doveva essere una one-shot, poi avevo deciso di dividerla
in due parti, ma oggi pomeriggio, mentre scrivevo, mi sono accorta che solo due
capitoli non sarebbero stati sufficienti, avrei corso troppo, quindi ho deciso
di stroncare sul più bello il racconto… anche per invogliarvi a leggermi e
magari a scrivermi una recensione! ;)
Io m’impegnerò a ritornare a scrivere seriamente (anche con una certa storia
revisionata che forse qualcuno di voi starà aspettando), ma voi vi impegnerete
nel farmi sapere la vostra opinione? Che sia buona o meno?
Ho bisogno di un po’ di sostegno morale, sennò ricadrò nel baratro… sono fatta
così purtroppo!
Grazie in anticipo a chi mi considererà, e già che ci sono vi auguro anche un
felice Halloween!
Uuuuuh!
Bacioni,
Francesca