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Autore: Clairy93    01/11/2013    9 recensioni
Trieste. 1942.
Nel pieno di una guerra all'apice della sua degenerazione, i destini di due giovani, Massimo e Vera, si incroceranno in una calda giornata di settembre. Lui, giovane tenente dell'esercito italiano. Lei, diciannovenne ebrea.
Una storia di sacrifici, di dolore e paura dalla quale però l'amore può trionfare persino sulle ideologie inconfutabili e sui pregiudizi.
Genere: Guerra, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali, Olocausto
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Mi avevano portato via anche la luna'
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Mi sembra di essere tornata indietro di due anni.
Tutti quei ricordi impolverati e che in questi anni ho riposto in un angolo della mia mente, sembrano illuminarsi di energia nuova e premono per risorgere dal buio nel quale li ho relegati.
I momenti trascorsi con Massimo in particolar modo, scorrono davanti a me a velocità duplicata. Dal nostro primo incontro nei pressi del porto di Trieste fino a quella mattina alla stazione durante la quale l’ho salutato prima della sua partenza, senza poter minimamente immaginare che sarebbe stata l’ultima volta in cui mi avrebbe stretto tra le sue braccia.
Quegli attimi che gelosamente ho costudito in questi mesi tremendi, mi hanno permesso di rimanere ancorata a quello sprazzo di umanità ancora persistente dentro di me. Mi hanno portato via ogni cosa, mi avevano portato via anche la luna. Sono stata ridotta alla miseria, ma mai avrei permesso che mi privassero dei miei ricordi.
Massimo sembra un fantasma ai miei occhi stanchi, uno scherzo della mia debole mente. Eppure sembra così reale… Ma sì, è proprio lui! A pochi metri da me. Bello e fiero come ricordavo.
Tuttavia anche l’espressione di Massimo non è da meno.  Il suo sorriso muore sulle labbra in un istante non appena i nostri sguardi s’incrociano incatenandosi come un tempo.
Compie un passo verso di me e vorrei fare lo stesso. Tuttavia non ne ho il tempo poiché avverto una fitta lancinante al polpaccio. Cado a terra dolorante riuscendo però prontamente ad appoggiare i palmi sul terreno freddo. Scorgo una guardia tedesca alle mie spalle urlarmi parole di odio mentre minaccia di colpirmi ancora. Mi rimetto in piedi rapidamente, per quanto il mio gracile corpo me lo consenta, e mi avvio a passo spedito verso la cava di granito.
Dirigo un ultima volta lo sguardo verso Massimo. Lui mi osserva con occhi sbarrati e la bocca tremante. Un soldato tedesco richiama la sua attenzione scrollando il suo braccio. Per un momento Massimo sembra non sapere dove si trovi, come fosse stato risvegliato con violenza da un incubo. Accenna un sorriso all’uomo alla sua destra, pronunciando qualcosa e appoggiando la mano sulla sua spalla.
Purtroppo però il vero incubo l’ho sto vivendo io. E adesso mi sembra ancora più spaventoso.

“A cosa stai pensando Vera?” domanda Zia Baba notando la mia espressione alquanto distratta.
Reprimo un sospiro e mi adagio sulle scomode assi di legno del letto.
“Tesoro non avresti potuto fare niente per tua mamma.” sussurra al mio orecchio posando una mano sulle mie spalle “Non puoi incolparti per quello è accaduto. La mamma è stata coraggiosa fino alla fine e…”
Zia Baba è interrotta da un violento colpo di tosse. E’ china su se stessa e con estrema fatica riesce a riprendere fiato. Mi metto immediatamente a sedere e aiuto la zia a calmarsi.
“Sto bene Vera, non preoccuparti. Devo solo sdraiarmi un attimo.”
Sono quasi due giorni che questa maledetta tosse sembra non voler lasciare in pace la zia. E ogni volta sembra peggiorare.
Osservo zia Baba e le mani incrociate sul petto che si muovono al ritmo del suo respiro un poco affannato.
La verità è che i miei frenetici pensieri non sono rivolti alla mia povera madre come ritiene zia Baba e ciò mi fa sentire ancora più insensibile.   
Penso a Massimo, e come potrebbe non essere così?
Rivederlo ha provocato in me una grande confusione. E molta paura.
Mi sembra ancora impossibile Massimo sia un esponente delle SS, un membro di quegli uomini colmi di odio e pregiudizi nei nostri confronti.
Tutte le sue promesse perciò non avevano alcun significato? Erano solo belle parole pronunciate con il fine crudele di illudermi? E ci sono cascata miseramente, come una povera ingenua.
I miei pensieri sono interrotti da una gelida raffica di vento che travolge la stanza appena il portone del dormitorio viene spalancato.
Una guardia tedesca entra rapidamente ed esamina il pezzo di carta tra le sue dita.
Mi sembra di svenire appena pronuncia il mio nome.
Vera. Bernardis.
Queste due, semplici parole riecheggiano tra le pareti e risuonano nella mia mente come una cantilena infinita. Sono sempre stata identificata come un numero e dopo due anni non potevo che riconoscermi come tale. Ma il mio vero nome non è una cifra tatuata, e per poco stavo per dimenticarlo.
Torno alla realtà quando il soldato mi richiama, questa volta con rabbia. Incrocio lo sguardo spaventato di zia Baba, confusa quanto me. Le stringo forte la mano per rassicurarla e mi dirigo a testa bassa verso il soldato.
L’uomo mi fa cenno di precederlo e mi esorta a velocizzare il passo.
Attraversiamo il campo e mi stringo nelle spalle per ripararmi senza successo dal freddo.
Fortunatamente il tragitto si rivela breve. Entriamo in uno dei capannoni e percorriamo un breve corridoio scarsamente illuminato finché il soldato ordina di fermarmi. Gira la maniglia di una porta bianca e un poco scheggiata e con un rapido cenno mi esorta ad entrare. Non appeno varco la soglia, la porta si richiude alle mie spalle con un lieve cigolio.
Di primo acchito la stanza mi pare un’infermeria, fornita di un lettino e strumenti del mestiere. Le pareti spoglie sono illuminate da una lampadina appesa tristemente ad un filo che pende dal soffitto.
Tutto è così silenzioso. Mi sembra di sentire in lontananza un vocio, forse proveniente da una stanza attigua o da un altro punto del corridoio, e certo non mi tranquillizza. Dopotutto il motivo del mio richiamo mi è del tutto ignoto e non ho idea di cosa potrebbe accadermi.
Ma sono al caldo, grazie al cielo. Riesco lentamente a riacquistare la sensibilità delle dita e un poco titubante, decido di accomodarmi su una sedia di legno.
Improvvisamente avverto dei passi farsi sempre più vicini e decisi. Pochi secondi e la porta dell’infermeria si apre in un lampo per poi richiudersi con altrettanta rapidità.
Il mio cuore batte a una velocità considerevole tanto che la mia paura è di non riuscire a reggere l’emozione.
Massimo.
I nostri sguardi si incrociano per un istante ma chino immediatamente lo sguardo. Guardarlo negli occhi fa troppo male.
Massimo si avvicina con passo lento mentre il ticchettio dei suoi stivali riecheggia tra le pareti della piccola stanza. Si inginocchia di fronte a me levandosi il berretto e passandosi una mano tra i capelli.
Trascorrono i secondi. Poi i minuti. Nessuno pronuncia una parola. Massimo è desideroso di dire qualcosa, lo percepisco perfettamente, ma credo che la confusione nella mia testa sia in egual modo presente in Massimo.
Intravedo la sua mano avvicinarsi alla mia tuttavia la ritraggo rapidamente.
“Vera…”
E non appena sento la sua voce pronunciare il mio nome provo un malessere indescrivibile, un senso di disgusto nei miei confronti. Sono stata privata della mia femminilità e ridotta ad uno straccio, non posso che sentirmi insignificante di fronte a Massimo, sempre impeccabile e affascinante.
“Non potrei mai farti del male Vera.”
Continuo imperterrita a tenere il capo chino, fissando le mie mani scheletriche mentre sfrego con le dita un lembo della maglia.
“Non hai intenzione di rivolgermi nemmeno uno sguardo?” chiede Massimo e percepisco una punta di dolcezza nella sua voce.
Eppure persevero nel mio silenzio tombale, ancora troppo sconvolta per dire o fare qualsiasi cosa.
“Il terrore di non poterti più rivedere mi ha quasi ucciso Vera.” dichiara dopo un lento sospiro “Appena tornato a Trieste dopo la missione in Germania, ho scoperto cosa era accaduto alla tua famiglia e ho fatto qualunque cosa fosse in mio potere per ritrovarti. Ho saputo della deportazione alla Risiera di San Sabba ma quando sono arrivato, vi avevano già condotto alla stazione. Non è stato facile conoscere la destinazione esatta del treno, né tantomeno entrare a Mauthausen senza suscitare sospetti. In questi mesi non ho mai smesso di cercarti Vera, nemmeno per un momento. Non mi sarei mai dato pace se ti fosse capitato qualcosa…”
Vorrei poter pronunciare anche una sola parola, lo giuro. Ma mi sembra impossibile. Non ci riesco. Pare tutto un’illusione, come se non fossi realmente qui ma stessi vivendo per la centesima volta quella fantasia che ho custodito in tutti questi mesi di prigionia.
“Cazzo Vera dimmi qualcosa!” il tono esasperato della voce di Massimo mi scuote con violenza e al fine incrocio i suoi grandi occhi scuri.
E tutto potrebbe finire in questo istante. Finalmente riesco ad avvertire un senso di pace dentro di me. Una scarica di luce sembra piacevolmente diffondersi allontanando le ombre che per troppo tempo hanno soffocato la mia esistenza.
“Vera, mio tesoro!” Massimo stringe con dolcezza le mie mani tra le sue “Torneremo a casa e ti porterò via da questo inferno.”
Vorrei dirgli quanto mi sia mancato, quanto abbia sofferto per la sua lontananza e nonostante tutto, quanto ancora lo ami. Tuttavia riesco solo a pronunciare il suo nome e poi…piango. Finalmente sento le lacrime scorrere lungo le mie guance, bagnare il mio viso e scivolare via inesorabili. E paradossalmente ciò mi rende serena e sorrido come non riuscivo da tempo mentre sono scossa dai singhiozzi.
Massimo gioisce con me stringendomi a sé. Quasi temevo di aver dimenticato come piangere. Da quando sono giunta al campo non sono riuscita a versare nemmeno una lacrima, nemmeno quando mia madre mi ha lasciato.
“Tutto quello che ho fatto per trovarti Vera, i giorni trascorsi nella speranza di riabbracciarti e riportati a casa non saranno stati vani.” dice Massimo prendendo il mio volto tra le mani.
“Ma come hai fatto a organizzare questo incontro senza che i tedeschi si insospettissero?”
“Fingo di essere parte delle SS, in questo modo ho ottenuto la loro fiducia. Sto correndo un rischio enorme in questo momento, ma appena ti ho intravista al campo dovevo parlarti e avere la possibilità di spiegare. Se indosso una divisa tedesca è per non destare sospetti e portarti in salvo. Ma per fare ciò avevo bisogno che il colonello Ziereis non serbasse dubbi su di me.”
“Quell’uomo è un mostro.” affermo mentre un brivido diffonde in me una sensazione spiacevole pensando all’uomo a capo di Mauthausen.
“Pagherà per le crudeltà che ha commesso. Non riesco nemmeno a concepire come un essere umano possa instaurare un regime di violenze e terrore nei confronti dei suoi simili.”
Massimo infila una mano nella tasca del giubbotto tirando fuori un pacchetto avvolto da un foglio di carta.
“E’ tutto ciò che sono riuscito a racimolare. Ma è già qualcosa.”
Mi porge il fagotto e lo scarto con trepidazione riuscendo a percepire l’odore di buono proveniente dall’interno del pacco.
Mi sembra di impazzire quando vedo delle patate schiacciate, qualche fetta di prosciutto e un pezzo di pane bianco e morbidissimo. Durante la mia lunga permanenza a Mauthausen non ho mai avuto la fortuna di godere di un pranzo così ricco.
Mi fiondo sul cibo con voracità tuttavia Massimo ferma il mio entusiasmo. Improvvisamente mi sento tremendamente in imbarazzo nonostante la fame mi dilani e non aspetto altro che addentare qualcosa di sostanzioso.
“Il tuo stomaco non è abituato Vera, non vorrei ti sentissi male. Mangia con calma.” afferma Massimo sorridendomi con dolcezza.
Annuisco e mi sforzo nel mangiare lentamente senza ingozzarmi.
“Pochi sono davvero a conoscenza di cosa accada qui.” dico mentre raccolgo le ultime briciole “Sono convinti siano semplici campi di lavoro così che i massacri possano avvenire con tutta tranquillità.”
“E la tua famiglia come sta?” domanda Massimo dopo un lungo sospiro.
“La mamma è morta pochi giorni fa. Papà è tanto debole. Appena arrivati al campo abbiamo incontrato mia zia.”
“Non sono riusciti a raggiungere l’America?”
Scuoto tristemente il capo.
“I tedeschi devono averli fermati presso qualche frontiera. I tuoi zii stanno bene?”
“E’ rimasta solo zia Baba, cerchiamo di farci forza a vicenda.”
“La porteremo via da questo posto Vera.” afferma Massimo posando una mano sulla mia guancia “E verrà anche tuo padre ovviamente.”
“E’ impossibile lasciare il campo Massimo, non ti permetteranno mai di farci uscire.”
“Lo so, per questo vi aiuterò a scappare.”
Il luccichio che brilla nei suoi occhi non mi rasserena, tutto il contrario.
“Massimo non fuggirò di nascosto. Mio padre non lo reggerebbe e sarebbe un rischio troppo grande.”
“Vera non puoi dire sul serio!”
Un rumore improvviso fuori dalla porta dell’infermeria ci azzittisce all’istante e volgiamo i nostri sguardi allarmati verso l’entrata. I passi si fanno sempre più nitidi e scorgo la mano di Massimo sfiorare la pistola che porta alla cintura ponendo il dito sul grilletto. Tuttavia chiunque fosse si allontana mentre i passi echeggiano ancora per qualche secondo tra i muri del corridoio, sempre più lontani e impercettibili.
“Vera ascoltami bene.” dice Massimo richiamando deciso la mia attenzione “Ricordi due anni fa, quando passeggiavamo per Trieste e incontrammo per caso tuo padre? Mi ha chiesto di proteggerti a qualunque costo. Ho rischiato tutto per ritrovarti e non ti lascerò. Riferisci a tua zia di stare pronta, domani notte verrò da voi e abbandoneremo per sempre questo posto.”
“Come pensi di riuscirci senza farti scoprire?”
“Pensi davvero che non abbia già programmato ogni dettaglio? Ci lavoro da mesi Vera, ho giurato a me stesso che ti avrei riportato a casa e così farò.” dichiara Massimo irremovibile e con quel barlume negli occhi che è impossibile dimenticare.
“Raccontami i dettagli allora!”
“Non è necessario Vera. Ti basta sapere che ho tutto sotto controllo. Tu dovrai solo avvisare tua zia e tuo padre, al resto ci penserò io. Ho alcuni amici disposti ad aiutarci. Il soldato che è venuto a prenderti al dormitorio sta con me, l’ho incaricato io di portarti qui.”
“Avresti potuto avvisarmi! Stavo per morire di paura quando quell’uomo mi ha chiamato.”
“Mi dispiace...” Massimo posa dolcemente le sue labbra all’angolo della mia bocca “Ma non potevo rischiare di essere scoperto, non adesso che siamo così vicini dal fuggire.”
Chino lo sguardo ed emetto un flebile sospiro.
Massimo avverte le mie perplessità. Solleva il mio mento con le dita per permettermi di incrociare il suo sguardo.
“Torneremo a Trieste Vera, e questo incubo finirà.” dice con profonda determinazione “Ti amo, ti amo dal primo giorno che ti ho incontrata e per quanto abbia provat
o, non riesco a immaginare la mia vita senza di te. Ti assicuro che andremo via da qui, te lo prometto Vera. Devi fidarti di me.”
Prendo il suo volto
tra le mani un poco tremanti e Massimo posa la sua fronte sulla mia.
“Mi fido Massimo.”
   
 
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