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Autore: Shandris    19/04/2008    1 recensioni
Alexander scopre un drow prigioniero e sofferente, decide di scoprire cosa sta succedendo
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alexander camminava pensieroso nel fitto bosco  quando all’improvviso avvertì una vibrazione particolare nel suo campo psichico. Cercò di individuarne il punto d’origine tentando di definire la direzione di provenienza del segnale che riceveva. Cominciò a coglierne i contorni sfumati.. era una vibrazione che aveva un che di vagamente doloroso, ma probabilmente la fonte era lontana perché non riusciva a mettere a fuoco il segnale.

Alexander si fermò, chiuse lentamente gli occhi e si concentrò a fondo. Nord-ovest. Si incamminò in quella direzione tentando di stabilire un contatto telepatico con la mente sofferente.

D’un tratto il segnale divenne sorprendentemente nitido: si, era dolore ciò che quella vibrazione trasmetteva. Dolore frammisto ad una rassegnata disperazione.

La furia cominciò a montare in lui, mentre accelerava il passo. Dopo poco il sottobosco si infittì e lo costrinse a rallentare per farsi largo fra i rampicanti che ostruivano la via.

 

Ed ecco che finalmente intravide nella penombra, in una radura a qualche decina di metri di distanza, un carro di legno costruito a mo’ di gabbia che conteneva una figura curva.

Alexander si fermò ai confini della radura e, facendosi scudo con i rovi del sottobosco, scostò una manciata di foglie per esaminare la situazione restando inosservato. Non appena si rese conto di quello che stava vedendo, un brivido irrazionale gli scese per la schiena: un elfo scuro, un drow dalla pelle nera e dai lunghi e folti capelli bianchi, sedeva curvo nella gabbia angusta, con le mani legate dietro la schiena ad uno dei pali di legno. Le gambe giacevano semidistese sul pavimento; la testa era china in avanti sul petto, i capelli gli coprivano il viso nascondendolo.

Alexander non aveva bisogno di vederne i lineamenti somatici per dedurne la sofferenza: i tratti mentali lo indicavano già in modo sufficientemente eloquente. Era una sofferenza stratificata, dovuta principalmente a patimenti fisici, fame, sete, percosse.. ma in profondità c’era qualcos’altro.. qualcosa di terribilmente inquietante: un intimo tormento dovuto a... disillusione? Frustrazione? Alexander non riusciva a capirlo, ma decise che non era quello il momento di indagare. L’elfo stava evidentemente male e aveva bisogno di aiuto, e lui non aveva altra scelta che intervenire.

 

Per qualche secondo tentennò, soffermandosi a riflettere sulle implicazioni che avrebbe potuto comportare l’avvicinarsi a un drow. Una serie di leggende, racconti, proverbi, ammonimenti gli attraversarono la mente come un lampo. Li soppesò per qualche istante, ma ben presto li scacciò come avrebbe potuto scacciare una mosca.

 

Una volta controllato, sia visivamente sia psionicamente, che il campo fosse libero, Alexander uscì allo scoperto e si diresse verso la gabbia.

L’elfo scuro alzò lievemente il capo, la sua attenzione richiamata dal rumore prodotto dagli stivali di Alexander sul terreno. Sollevò stancamente le palpebre, rivelando due  penetranti (e tristi) occhi viola. Il  respiro si fece leggermente più affannato man mano che l’elfo riprendeva del tutto conoscenza.

Quando si trovava a pochi passi dalla gabbia, Alexander si fermò per un istante e fissò lo sguardo su quello del prigioniero. Le iridi viola avevano assunto un atteggiamento di sfida e ostentavano rabbiosa diffidenza, ma Alexander si sentì allo stesso tempo investire da una potente ondata mentale che trasmetteva angoscia, dolore, tormento e… e... sete? Sete.

 

Diventando improvvisamente consapevole dell’ambiente circostante, Alexander si rese conto che la radura era abbastanza ampia da restare assolata per buona parte della giornata.

Il calore di una giornata di fine estate, il tettuccio metallico della prigione e chissà quanti giorni di sevizia… Al diavolo tutti i maledetti aguzzini di questo dannato mondo, pensò furente, mentre scuotendo la testa amareggiato, sfilava la tracolla della borraccia.

Sul viso del drow si dipinse un’espressione incredula che per un breve istante riuscì persino a nascondere la malinconia dei suoi lineamenti.

Mentre svitava l’apertura della borraccia, Alexander si avvicinò alla gabbia. Infilò il braccio fra le sbarre e versò acqua fresca nella bocca arsa e assetata dell’elfo, che rovesciò il capo all’indietro e per diversi secondi continuò ininterrottamente a deglutire avidamente, fino a che la borraccia fu completamente vuota. Si leccò le labbra per recuperare anche le ultime gocce, poi, quando Alexander ritrasse finalmente il braccio, l’elfo lo guardò con un’espressione enigmatica che avrebbe potuto essere un misto di stupore e profonda gratitudine, ancora velate però da una sottile cortina di diffidenza.

 

Alexander decise che era il momento di provare a stabilire un contatto.

“Parli la mia lingua?”, chiese incerto. Non sapeva nulla degli appartenenti a questa razza, se non quello che narravano le leggende. E le leggende erano unanimi nell’attribuire alla razza dei drow un’indole sanguinaria e violenta, malvagia e perversa, incompatibile con qualsiasi razza di superficie.

Ma quanto poteva essere attendibile una leggenda?

 

L’elfo annuì lievemente, ora la sua espressione tradiva un accenno di curiosità.

 

“Hai fame?” chiese Alexander

Anche questa volta la risposta fu un unico, lento cenno.

Alexander si sfilò il pesante zaino da ricognizione dalle spalle e lo appoggiò a terra con un tonfo sordo. Frugando fra le tasche afferrò un contenitore rigido da cui estrasse qualche fetta di carne salata e dei pezzi di formaggio stagionato. Da un altro contenitore recuperò alcuni frutti secchi.

Con questa manciata di viveri si accostò nuovamente alle sbarre, per nutrire il drow prigioniero boccone dopo boccone.

 

Ad un tratto i suoi sensi psionici lo misero all’erta. Qualcuno si muoveva entro i confini del suo campo di percezione telepatica. L’aguzzino, senza ombra di dubbio.

Alexander infilò senza troppi complimenti gli ultimi bocconi nella bocca dell’elfo, afferrò lo zaino, e si avviò  a grandi passi verso il limitare della radura. Una volta raggiunto il fogliame più fitto, Alexander posò nuovamente a terra la sacca e si mise ad osservare la scena.

 

L’aguzzino era un uomo basso e tarchiato, dall’aspetto non troppo onesto. Vesti ricercate, anelli preziosi.. conduceva per la briglia un cavallo dalla bardatura semplice ma elegante, e si avvicinava alla gabbia lentamente e con un fare soddisfatto e supponente..

Alexander si convinse che aveva tutta l’aria di essere un mercante. Avrebbe indagato, ma non ora. Si era fatto tardi ed era ora di rientrare all’accampamento. Sarebbe tornato l’indomani, con altro cibo e altra acqua..

 

Mentre si allontanava silenziosamente, domandandosi come si sarebbe comportato se il mercante lo avesse scovato accanto al suo carro, le sue viscere si contrassero con un tenue sussulto, e Alexander si sorprese a provare un’intensa fitta di pietà e compassione per il drow. E anche un vivo senso di colpa per averlo abbandonato alla sua sorte...

Ma doveva andare, i suoi doveri lo chiamavano.

Sarebbe tornato all’alba..

Sarebbe tornato.

  
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