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Autore: Cabiria Minerva    08/11/2013    1 recensioni
Al suo risveglio Loki avrebbe visto la costa – ricoperta da una bassa vegetazione – e le onde del mare infrangersi su di essa. Avrebbe alzato lo sguardo e avrebbe visto pesanti nuvole grigie coprire il cielo, ed allora avrebbe capito qual'era il luogo che il fato aveva scelto per punirlo.
Genere: Generale, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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VII.

 

 

Bring me home in a blinding dream
Through the secrets that I have seen
Wash the sorrow from off my skin
And show me how to be whole again
Cause I'm only a crack in this castle of glass
Hardly anything there for you to see.

 

Castle of glass, Linkin Park


 

Si era chiuso nella stanza che, un tempo, in un'altra vita, conteneva le reliquie del passato – trofei di guerra, regali proveniente da altri regni. Ricordi. Forse era per questo che Loki aveva sperato di trovarvi un poco di conforto. Ricordi. Ricordi di un'esistenza prosperosa, di guerre da cui gli asgardiani erano usciti vittoriosi, di un regno che Loki aveva sempre considerato suo da governare. Ricordi di un'Asgard che non ritrovava nel grigiore di quella città di cui era sovrano in questo mondo dove non esistevano altri principi all'infuori di lui. Ricordi che erano svaniti, rimasti nell'Asgard originaria, lasciando una camera vuota, spogliata di storie da raccontare. Al loro posto, ora, si trovavano solo pochi mobili scuri – la stanza in cui i due figli di Odino avevano passato interi pomeriggi ad ascoltare racconti di battaglie e di nemici lontani non era ormai che un mero spazio vuoto in un palazzo silenzioso, usato forse per riporre temporaneamente cose che non servivano più a nessuno.

Qui, Loki sentì la frustrazione accumulata durante quella giornata montargli dentro, ribollire e fargli fremere le dita. Strinse i pugni, e l'aria attorno ad essi tremò, satura del suo potere. Con la coda dell'occhio coglieva scorci del suo mondo: fantasmi, ombre, lampi di colore fugaci. Ma ogni volta che si voltava per raggiungerli sparivano, lasciandolo solo in quel regno che non poteva essere il suo. Il suo regno sarebbe stato grande, anche più maestoso di quello di Odino, e lui, Loki di Jotunheim, sarebbe stato un grande re.

Sei nostro figlio, Loki...

La voce di Frigga risuonò nelle sue orecchie, riempendo il silenzio stantio di quelle camere che non avevano mai conosciuto la loro vera essenza. Loki chiuse gli occhi, cercando di scacciare il nodo alla bocca dello stomaco. Erano solo parole. Lui era Loki di Jotunheim, un gigante di ghiaccio, e non si sarebbe certo lasciato intenerire da stupidi sentimentalismi.

e noi siamo la tua famiglia.

«Basta!» Con uno scatto tirò un pugno al muro spoglio e l'energia che in quei minuti si era condensata attorno alla sua pelle esplose. Tirò un secondo pugno, ed un terzo, e poi ancora ed ancora, finché la mano non cominciò a pulsare dolorosamente e una crepa raggiunse il centro del soffitto.

Loki di Jotunheim. Loki di Asgard.

Qual era la differenza? Cosa importava, in quel suo regno smorto, pallido? Ora che Thor era finalmente assente dal gioco e lui era l'unico principe, il trono di cui era l'unico erede non valeva nulla. Era un trono inconsistente, svuotato della grandezza che lo aveva distinto nella realtà di cui era originario. Perché mandarlo lì? Perché quella dannata strega lo aveva drogato, spedito in un mondo a cui non apparteneva e che sembrava volerlo torturare con quelle ombre sfuggenti?

Avrei potuto farcela, padre. Per te. Per tutti noi.

Sì, avrebbe potuto farcela. Era degno di quel trono – di quello reale, quello su cui ancora sedeva Odino, dimentico del piccolo gigante che aveva cresciuto come un figlio – e aveva cercato così ardentemente di dimostrarlo, di dimostrare il suo valore, le sue capacità.

No.

Ma aveva fallito. Non aveva mai avuto la possibilità di mostrarsi all'altezza, un degno eguale del fratello, e come egli un degno erede al trono, perché non aveva mai avuto un trono a cui ambire. Non ad Asgard, non a Jotunheim. Era cresciuto nelle bugie, nella speranza che – malgrado le palese preferenze di Odino nei confronti del primogenito – un giorno il padre sarebbe stato fiero di entrambi i suoi figli in egual modo, e che il trono sarebbe stato destinato al principe che si fosse dimostrato meritevole – un guerriero, ma anche uno stratega. Era stato doppiamente ripudiato.

Chiuse gli occhi, cercando di trattenere quella nuova ondata di rabbia che già gli faceva tremare le mani.

Sì, voleva essere re. Era suo diritto esserlo. Ma non in quella realtà: essere re in un mondo dove Thor non era mai esistito, dove non aveva dovuto combattere contro la cecità di Odino, non avrebbe mai potuto essere soddisfacente. No, perché in quella realtà lui stesso sarebbe stato un altro Loki: senza un fratello spavaldo e irruento che attirasse le attenzioni del padre, non aveva dovuto sviluppare le sue capacità illusorie, né la sua mente. Non aveva avuto motivi di frustrazione – senza Thor non c'erano state bagarre tra fratelli, litigi, sfide, lotte per apparire importante agli occhi di Odino. Era probabilmente stato tutto troppo facile, troppo scontato, e Loki non aveva avuto la necessità di dimostrare il proprio valore.

Quasi a malincuore, l'asgardiano dovette ammettere che l'esistenza di Thor era stata il motore del suo perenne tentativo di raggiungere mete sempre più ambiziose, di padroneggiare la sapienza tramandatagli da Frigga, di affinare la sua intelligenza. Era a causa della costante sensazione di non essere considerato bravo tanto quanto Thor che aveva studiato per mesi, anni.

Che lo volesse o meno, il motore della sua infinita ambizione era il desiderio di essere considerato eguale a Thor, non quello di sedere sul trono di Asgard. Quello era arrivato dopo, quando alle infantili gelosie fraterne si era aggiunta la brama di potere. Ma l'inizio di tutto era riconducibile a Thor – lo sapeva, lo aveva sempre saputo, e avrebbe dovuto capire che gioire della sua assenza sarebbe stato da stupidi – e a Odino, a quel loro rapporto privilegiato che gli era precluso.
 

* * *


«È tempo.» La strega appoggiò la scodella che teneva tra le mani accanto alla vecchia sedia su cui Loki, la fronte aggrottata e le palpebre agitate, era bloccato nel suo sogno. Raggiunse il contenitore di terracotta con mani tremanti. Aveva dovuto andarsene da Asgard a causa di giare come quella – giare molto più grandi, il cui ricordo la faceva sempre rabbrividire – ed aveva giurato che non vi avrebbe mai più posato occhio. Una lacrima scivolò sul suo viso mentre, con dita incerte, toglieva per l'ultima volta (ah, illusa, anche nell'ultimo rituale prima della fuga aveva pensato di potersi lasciare alle spalle quella magia) il sigillo purpureo che, non appena venne rimosso, lasciò che le voci delle vittime sacrificali il cui sangue aveva riempito quel piccolo contenitore le risuonarono nelle orecchie.

Kaia chiuse gli occhi. Per lei era sempre stata una tortura. Le sue sorelle, le sue compagne, potevano rimanere intere giornate in compagnia delle giare aperte e della loro maledizione, ma lei... lei era dovuta fuggire, incapace di sopportare le urla silenziose di centinaia di bambini, sacrificati nell'oscurità per permettere ad Asgard i suoi rituali e le sue cerimonie. Versò velocemente una goccia in una tazza, nella quale versò quindi una sostanza giallastra simile a quella che aveva trascinato Loki in quel sonno profondo. Con una smorfia richiuse la piccola giara, scacciando i sensi di colpa, i ricordi. Un ultimo sacrificio per Asgard, per riportarvi la pace. Poteva sopportarlo.

Con un profondo sospiro ripose il contenitore su uno scaffale in penombra, dietro a barattoli di vetro straboccanti di erbe secche, tornò accanto al principe asgardiano e, lentamente, versò tra le sue labbra il contenuto della tazza.

 

* * *

 

Nei minuti che Loki impiegò ad abbandonare quel mondo capovolto e distorto e a risvegliarsi nella capanna della strega, Kaja si preparò all'inevitabile ira che l'avrebbe travolta. Sapeva che Loki aveva dovuto imparare una lezione – Kahlea era stata molto chiara, chiedendole di trattenerlo in quel sogno per un certo numero d'ore («Non è necessario che tu sia precisa nel costruirlo, il figlio di Laufey è molto perspicace, capirà da sé ciò che necessita d'imparare. Ti basti sapere che è necessario che comprenda. Quest'inutile guerra deve finire. Ora.») – ma non era sicura quale fosse, la lezione.

Quando Loki aprì gli occhi, di scatto, fissando il soffitto – probabilmente cercando di mettere nuovamente a fuoco la visione del suo mondo – Kaja sobbalzò, preoccupata. L'uomo volse allora il volto verso di lei, le labbra increspate in un sorriso malizioso. «Devono averti dato informazioni sbagliate su di me, strega. Non sono solito usare violenza per inezie simili.» Si massaggiò il collo indolenzito. «Anche se ammetto che l'avermi lasciato in una posizione così scomoda per... quanto? Tre, quattro ore?, mi irrita abbastanza.»

Kaja indietreggiò, quasi più per un istinto di sopravvivenza innato che per paura – d'altronde vivere, morire... per chi aveva vissuto ciò che aveva vissuto lei il male minore era sempre difficile da definire.

«Oh, non ti preoccupare. Non sono arrabbiato, anzi... Il tuo trucchetto mi ha fatto cambiare prospettiva.» Il sorriso si trasformò in un ghigno. «Anche se non credo che la prospettiva sia quella auspicata dalle tue compagne...» Con grazia raccolse il proprio mantello da terra, dove era scivolato mentre dormiva. «Ma dì pure loro che grazie a questo escamotage ho capito l'importanza che persino un essere grezzo e apparentemente inutile come mio fratello può avere. Senza di lui non sarei mai potuto diventare ciò che sono. Potrei anche decidere di graziarlo, una volta che il trono sarà mio.» Si avvolse nel mantello. «E ora scusami, strega, ma nel mio lungo sonno ristoratore ho pensato a molti modi in cui riappropriarmi di ciò che mi spetta di diritto, e non vorrei perdere tempo.» Si inchinò beffardamente. «Ti ringrazio per i tuoi servigi, strega, e per la tua gentilezza nel sacrificare quel poco di pace che ti restava per dar nuovo vigore ai miei desideri.»

Oltrepassò la porta cigolante e Kaja lo guardò sparire nella notte nordica, la realizzazione dell'inutilità del suo sacrificio pesante e nera dentro di sé.

 


Ed ecco l'ultimo capitolo di questa mini-long post-Thor. Mi dispiace veramente molto di averci messo così tanto, ma purtroppo negli ultimi mesi ho avuto pochissimo tempo libero (che di norma passo a collassare sul letto..). Vorrei ringraziare chi, malgrado le attese, ha continuato a leggere (e spero ad apprezzare) questa storia :)
Se avete commenti, domande, critiche, una scatola di cioccolatini che volete regalarmi, potete contattarmi qui o su facebook!
A presto,
Cabiria Minerva
   
 
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