Autore:
Achernar
Fandom:
Yu Gi Oh (manga)
Personaggio/Pairing:
Yami no Yuugi
Set mix:
prompt ‘angoscia’
Nota dell'autrice: la
storia racconta il momento in cui Yami si ritrova nel Puzzle del
Millennio, privato di tutti i suoi ricordi
Aprì gli occhi. Aveva degli
occhi? Cos’erano, oltretutto? Ricordava
vagamente:
occhi... una parola... servono per vedere. E vedere... che voleva dire?
Immagini... vedere le immagini intorno a te. Ma intorno a lui non c’era niente.
Era davvero sicuro di
aver aperto gli occhi? La sua mente non avrebbe saputo rispondere ma il
suo
istinto gli diceva di sì. Le
palpebre erano così
spalancate da fargli quasi male. Eppure non era cambiato niente. Chiusi
o
aperti la vista non cambiava. Tutto intorno a lui, qualunque cosa fosse
quel...
posto e qualunque cosa fosse lui, era nero. Completamente buio. Un
ricordo,
vago, impercettibile, lo folgorò.
Buio... il buio è
assenza di luce. La luce... una sensazione di tepore, una sensazione
dolce e
delicatissima gli attraversò la
mente, non avrebbe saputo spiegarlo, ma sapeva cos’era la luce. Sapeva che gli
piaceva, o che
gli era piaciuta, e che qui non ce n’era
traccia. E sapeva un’altra
cosa: gli mancava. Tantissimo.
Un’emozione nuova, non
ricordava di aver mai
provato emozioni, neanche di sapere cosa fossero, lo scosse. Rabbrividì. Cos’era
quest’ansia?
Quest’angoscia
e questo improvviso bisogno di luce, di stringersi intorno a sé, trovare un luogo sicuro,
restare immobile
e non muoversi? Paura... d’improvviso
lo pervase la paura. Nera come il luogo dove si trovava, e d’istinto si abbracciò il petto. Non riusciva a
vederlo però, non vedeva neanche le sue
braccia, né le gambe. Altri ricordi...
corpo. C’era ancora il suo corpo? Era
cambiato? Cos’era successo. Perché non riusciva a vederlo?
La paura divenne sempre
più potente, cominciò a tremare, lentamente si
accasciò, si lasciò cadere, toccò il suolo. Per un attimo si
sentì sollevato: c’era un pavimento, questo
spazio non era
infinito, il buio non era infinito.
Ma poi fu assalito da una nuova scarica di sentimenti ed emozioni,
sconosciuti,
eppure così
familiari: angoscia, solitudine, smarrimento, rabbia, freddo, dolore:
si
sentiva perso, abbandonato, terrorizzato. Chiuse gli occhi. Non c’era differenza tra il
tenerli aperti o
chiusi. Ma almeno tenendoli chiusi poteva negare la realtà al di là di loro, fare finta di
essersi sbagliato,
che lo spazio intorno a lui era mutato e che se li avesse riaperti
avrebbe
visto che l’oscurità era sparita. Una misera,
vana, lievissima
speranza. Un’illusione.
Tutto ciò che
gli restava.
Tempo. Cos’era il tempo? Non lo sapeva,
ma cominciò a pensare che doveva
esserne passato
tantissimo, o forse poco? Come faceva a dirlo? Non sapeva, non sapeva
niente. E
questa consapevolezza amara non faceva che aumentare la sua angoscia.
Domande.
Centinaia, migliaia di domande si affollavano in lui. Se ricordava la
luce,
allora la realtà che
lo circondava non era sempre stata così,
non era sempre stato tutto così
buio e freddo, così
vuoto. Tempo. E da quanto era così? E
perché?
Lui c’entrava
qualcosa? Poteva fare qualcosa? Forse doveva aspettare. Non sapeva
neanche cosa aspettare, tutto ciò che conosceva era una
sottile reminiscenza
della luce. Avrebbe aspettato quella, lì,
immobile, nel silenzio, nel vuoto, nel freddo, nel buio più assoluti. Ma sarebbe mai
venuta?
In quel momento un concetto, terribile e remoto, riaffiorò nella sua mente: eternità. La sua neonata, flebile speranza svanì e lasciò il posto alla paura più grande che potesse immaginarsi: sarebbe rimasto lì per sempre.