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Autore: MadAka    16/11/2013    1 recensioni
Dopo essersi risvegliato in un letto di ospedale, Sean Darren si rende conto di non ricordare più niente di quello che gli è accaduto, né per quale motivo si trovi in quel posto.
Ma nella sua confusa situazione si rifiuterà di credere a coloro che dicono di poterlo aiutare ed inizierà ad inseguire la sua memoria da solo.
Genere: Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le grida dei tifosi arrivavano fino al corridoio più interno del grande stadio di Auckland, il corridoio bianco e luminoso, quello in cui si affacciavano gli ingressi degli spogliatoi. Eden Park era gremita di gente, tutti i 60000 posti erano occupati da altrettanti tifosi, in quel pomeriggio mite e soleggiato. I cori che si facevano largo fra la folla, fino all’interno delle strutture dello stadio, incitavano prima gli Springboks poi gli All Blacks, in attesa della loro discesa in campo.
Samantha Barkley era irrequieta, non pronunciava una parola da diverse ore, più o meno dal sul arrivo allo stadio, in vista della partita. Si trovava nel corridoio, proprio di fronte alla porta dietro la quale i giocatori tutti neri si stavano preparando per la partita, in compagnia dei suoi colleghi dello staff medico. Indosso portavano tutti la pettorina celeste con scritto Doctor e una volta raggiunto il campo avrebbero recuperato il loro borsone nero contenente tutta l’attrezzatura in caso di infortunio dei giocatori.
-Samantha, stai bene? Mi sembri tesa- le disse un suo collega, un giovane alto e sempre sorridente.
-No, sto… sto bene, sono solo sovrappensiero- si limitò a rispondere lei.
Era vero, aveva la testa da un’altra parte. Continuava a pensare a Sean, continuava a chiedersi che fine avesse fatto. Non lo vedeva più dal giorno del loro incontro al pub di Nick, il giorno in cui lei gli aveva raccontato di Simon. Aveva accettato contro voglia di lasciare che sistemasse la situazione da solo, ma non era riuscita ad opporsi alla sua richiesta e non era riuscita a controbattere quando lui le aveva detto “Fidati di me.” e le aveva fatto battere il cuore più forte che mai.
Sospirò, chissà dov’era finito Sean Darren.
-Ci siamo- disse il giovane sempre sorridente.
Lei alzò gli occhi sulla porta, che si stava aprendo mostrando le prime maglie nere subito oltre la soglia: i giocatori stavano uscendo.
Come da tempo immemore erano abituati a fare, i membri dello staff si spostarono e li lasciarono passare posando una mano sul petto a ciascun giocatore quando passava loro davanti, in segno di augurio per la partita imminente.
Anche Samantha stava compiendo quel gesto, toccava il petto di tutti i giocatori, dal primo all’ultimo e quando questi finirono e gli altri membri dello staff iniziarono a seguirli verso il campo, lei rimase indietro.
Erano ventidue, li aveva contati, come faceva sempre. Ventidue giocatori con indosso la maglia nera, ventidue su ventitré: ne mancava uno. Il rumore dei passi si stava allontanando lungo  il corridoio e lei rimase ancora immobile a domandarsi che cosa stesse succedendo, finché dietro non comparve Keith Noomu. La superò come se non l’avesse notata e lei lo fermò:
-Noomu, perché non sei vestito? Non devi giocare oggi?!- domandò confusa.
Il ragazzo balbettò qualcosa di insensato e poi riprese subito sicurezza:
-No, c’è stato un cambio all’ultimo. Scusami ma devo muovermi ad andare in campo-
Scomparve prima che lei potesse dire qualcosa. Ma quella spiegazione non la convinceva, affatto; c’era qualcosa di strano in quello che stava succedendo e prima ancora che il sospetto potesse insinuarsi nella sua mente una voce che conosceva bene le diede la conferma:
-Che ci fai ancora qui?-
Lei si girò di scatto, presa alla sprovvista. Si trovò davanti Sean Darren, con indosso la divisa nera degli All Blacks. Le mani posate sui fianchi, la maglia che metteva in evidenza il suo fisico che non aveva risentito dell’ultimo infortunio, la fasciatura alla testa che gli spettinava ulteriormente i capelli e il sorriso di chi è deciso ad andare fino in fondo nelle sue azioni.
-Sean…-  il suo nome le uscì con un filo di voce a causa dell’incredulità.
L’uomo si avvicinò e la guardò negli occhi, sempre sorridendo. Finalmente lui era tornato a ricordarsi tutto di lei e il perché dei sentimenti che provava nei suoi confronti.
-Che cosa significa tutto questo?- gli chiese infine la donna, dopo essersi ripresa dallo stupore.
Non attese una risposta, afferrò l’uomo per la spalla e lo costrinse a girarsi in modo da poter vedere il numero sette stampato in bianco sulla sua schiena.
Lui la lasciò fare poi si voltò e disse:
-Ho riacquistato la mia memoria, ecco che significa-
Lei alzò lo sguardo, sorpresa:
-Come? E quando?-
-Giovedì sera-
-Perché non me lo hai detto?-
Sean fece spallucce:
-Volevo fare una sorpresa a tutti, solo Noomu lo sa-
Samantha ci mise poco a fare i suoi conti, guardò l’uomo sempre più stupefatta ed esclamò:
-Sei impazzito, non è vero?! Come pensi di poter giocare dopo tutto quello che ti è successo?-
-I medici dell’ospedale mi hanno visitato ieri pomeriggio, hanno detto che posso giocare- il tono di lui continuava ad essere calmo e pacato.
-E per te questo è abbastanza?-
-Perché non dovrebbe esserlo? Sono fisioterapisti proprio come te-
Lei si appoggiò di peso alla parete del corridoio, alcune ciocche di capelli le ricaddero stancamente sul viso.
Lui le si avvicinò:
-Io devo giocare, solo così potrò dimostrare di essere veramente guarito-
Lei posò i suoi occhi su quelli nocciola dell’uomo:
-Sean tu non devi dimostrare niente a nessuno-
-Felice di sapere che la pensi così, ma non sono d’accordo. Voglio dimostrare a Berry che è un vero pezzo di merda-
-È per questo che vorresti giocare oggi?-
Alzò le spalle:
-Più o meno-  
Appoggiò una mano al muro, accanto a Samantha e si abbassò per poterla vedere bene in volto:
-Ascoltami, dopo quello che mi hai detto quel giorno, davanti al pub di Nick, ho fatto tutto il possibile per ritrovare la mia memoria in fretta-
-Perché lo avresti fatto?- gli chiese, reggendo a stento il suo sguardo, così vicino.
-L’ho fatto per Simon- rispose Sean senza esitazione e la donna ebbe un tuffo al cuore.
Lui riprese subito parola, avvicinando ancora un po’ il suo viso a quello di Samantha e sussurrandole:
-E lo fatto per te-
Samantha non riuscì a controbattere, non riuscì a fare nulla, si stava solo domandando che cosa intendesse Sean con quelle parole, ma non gli importava, non più.
La voce di Noomu la costrinse a voltarsi:
-Hei, Sean! Vedi di muovere il culo, non ti ho lasciato giocare al mio posto perché tu perdessi tempo in questo modo!-
Darren si allontanò da Samantha e scoppiò a ridere:
-Arrivo, arrivo- poi si rivolse alla donna: -Mi conviene muovermi, ci vediamo più tardi-
Si avviò lungo il corridoio, verso l’ingresso del campo, per poi voltarsi e rivolgersi nuovamente a Samantha:
-Ah, giusto. Mi piacerebbe portarti a cena una sera, cosa ne pensi?-
Lei sorrise, presa alla sprovvista, ma non poté ignorare il suo cuore che le stava facendo capire, martellando a tutta velocità, che quella richiesta la stava rendendo felice. Ma non avrebbe mai dato una simile soddisfazione a uno come Sean Darren.
-Direi che si può fare- si limitò a rispondergli, con finta noncuranza.
Lui le simulò un inchino:
-Perfetto allora, ci vediamo dopo-
E si affrettò a raggiungere il campo.
 
Era passata solo una settimana, ma appena posò il primo passo sul prato di Eden Park non riuscì a fare a meno di emozionarsi. Scendere su quel campo, quel giorno, per lui significava tutto. Sean si riempì i polmoni con l’aria di quello stadio, che profumava di birra, erba e gomma. Si inebriò completamente di quella sensazione che lo faceva sentire vivo, quell’ansia che precedeva la partita, quando il suo corpo preparava l’adrenalina da portare in circolo dopo il fischio d’inizio. Sentì il suo nome sussurrato fra gli spalti, la sua presenza, inattesa, aveva sorpreso tutti quanti.
-Darren!- l’urlo arrivò dal suo coach e Sean si voltò per guardarlo.
L’allenatore lo raggiunse a grandi passi, con un’espressione visibilmente contrariata:
-Cosa significa tutto questo?-
-Questo cosa?- chiese Sean facendo finta di niente.
Noomu raggiunse i due e il coach riprese parola:
-Questo, Darren, questo!- indicò con un gesto l’uomo: -Perché indossi la divisa di Keith, oggi tu non dovresti giocare, non dovresti neanche essere in campo!- il suo tono era alterato, innervosito, ma Sean riuscì a leggervi anche una leggera nota di sorpresa e puntò su quello:
-Coach, sono guarito, mi è tornata la memoria. La prego, mi faccia giocare-
-Perché dovrei dopo quello che ti è successo? Sarebbe da irresponsabili farti scendere in campo ora, nelle tue condizioni-
-Quali condizioni?- chiesero all’unisono Sean e Noomu.
-Le tue! Hai battuto la testa e hai perso la memoria, non puoi giocare-
-Le ho appena detto che la memoria mi è tornata. Senta, ho parlato con i medici dell’ospedale di Auckland e mi hanno detto che posso giocare, che dal punto di vista fisico sto più che bene, si fida di loro, no?-
L’allenatore non seppe come ribattere e Noomu andò in sostegno di Darren:
-Sta dicendo la verità, c’ero anche io. Senta, non era lei che rivoleva Sean in campo per la partita contro gli Springboks? È riuscito a ristabilirsi in tempo, perché non farlo giocare?-
L’ head coach, nuovamente, non riuscì a controbattere, rendendosi conto che Noomu aveva ragione. Voleva Sean Darren in campo per quella partita ma non aveva potuto schierarlo a causa dell’infortunio. Ora invece poteva farlo giocare, fingendo un cambio all’ultimo momento dovuto al ritorno in piena forma del numero sette.
Si passò le mani sul volto e sospirò, sentendosi alle strette: se Sean non avesse giocato al suo meglio ne avrebbero pagato le conseguenze entrambi. Tuttavia la determinazione di Darren era impossibile da ignorare, così come era impossibile fare finta di non vedere la luce che brillava nei suoi occhi.
-Stammi a sentire, Sean, ti farò giocare, ma guai a te, guai a te, se sbagli qualcosa!-
Il giocatore sorrise, determinato e soddisfatto e il suo coach riprese parola:
-Lo faccio solo perché voglio dimostrare a Berry che è uno stronzo, d’accordo? Ma tu dovrai giocare come non hai mai fatto prima, altrimenti ti sostituisco, Smith non vede l’ora di scendere in campo, oggi-
Sean rise e ringraziò l’allenatore:
-Conti su di me-
Prima che si potesse allontanare il suo head coach lo richiamò:
-Lo schema è il quattro, dimostrami ora che ti ricordi di cosa sto parlando-
-Schema quattro? Portare pressione, gioco veloce e calci di spostamento-  lo disse tutto d’un fiato, dimostrando all’altro che sapeva esattamente quello che stava facendo.
L’allenatore sospirò, come se si fosse salvato da un’orrenda situazione:
-Meno male, allora è vero- poi diede una pacca sulla spalla al numero sette che di tutta risposta scoppiò a ridere.
-Ora muoviti e vai in campo- disse infine e Sean si avviò a grandi passi verso i compagni di squadra.
Questi abbracciarono il compagno ritrovato, lo salutarono calorosamente e lo tempestarono di domande a cui lui rispose con semplici frasi tipo: “È tutto a posto”, “Vi spiegherò poi”.
Al termine di entrambi gli inni nazionali, che Darren cantò ad occhi chiusi, come per assaporare fin nel profondo quel momento, i tutti neri si riunirono al centro del campo, per prepararsi a ballare l’antica danza maori.
Sean si piazzò al solito posto, in prima fila, davanti a tutti, si sistemò la fasciatura al polso e quella alla testa, mentre il suo cuore martellava come non mai nel petto, facendolo sentire ancora più vivo e ancora più innamorato della vita che aveva scelto di seguire, praticando lo sport che aveva da sempre adorato.
-Hei, almeno la Haka te la ricordi, vero?- gli chiese il suo compagno di squadra, in piedi accanto a lui.
Sean Darren si voltò e si limitò a sorridergli, certo che ricordava la Haka, ricordava tutto.
Rilassò i muscoli e chiuse gli occhi, pronto a seguire i comandi del suo leader nella danza che, in piedi in mezzo ai compagni, guardava fisso negli occhi i sudafricani, schierati difronte a loro, e cominciava ad urlare le prime parole di quell’antica danza.
Ka Mate! 
  
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