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Autore: Mil_Jack    16/11/2013    1 recensioni
Un risveglio confuso è ciò che riapre gli occhi ad Ageray. Umidità addosso, un bosco dove non ricorda di essere entrato e dolori che non ricorda di essersi procurato. Ritrovare la memoria può non essere piacevole come si crede.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era tutto molto confuso. Più Ageray tentava di ricordare ciò che era successo e più i suoi ricordi diventavano offuscati. Non ricordava perchè fosse in quella zona, né tanto meno ricordava perchè fosse caduto a terra. A stento sapeva qual era il suo nome.

Fu ridestato da qualcosa di umido che gli strofinava la faccia. Aprendo gli occhi si aspettava di vedere una signora che gli puliva il viso, ma ciò che si trovò di fronte era completamente diverso. Non era in un letto e non era nella casa di qualcuno che lo aveva visto svenuto a terra. Era ancora nel bosco, nel punto esatto dove fu disarcionato dal suo cavallo e l'umido che sentiva altro non era che la lingua di una cane che gli stava leccando la faccia e che lo annusava.

«Ehi, ehi... Ti assicuro che non c'è niente di gustoso da mangiare sotto la mia pelle, amico mio.» disse rivolgendosi al cane, che subito cominciò a ringhiare dolcemente. Ageray si ritrovò un po' spiazzato da questa reazione dell'animale, ma guardandolo capì.

«Scusami. Volevo dire, amica mia.»

Cercò di rialzarsi in piedi, ma il dolore provocatogli dalla caduta rese tutto ciò un'ardua impresa. Non appena staccò le mani da terra per alzarsi, sentì le sue gambe crollare per il peso e finì per inginocchiarsi a terra, accasciandosi sul cane.

«Scusami...»

Al secondo tentativo andò meglio, ma pochi istanti dopo essere riusciti a mettersi in piedi cominciò a sentire forti fitte al torace, che gli impedivano di respirare troppo profondamente. Si appoggiò a un albero, per evitare di cadere di nuovo.

«Beh, direi che ho visto giorni migliori.» disse al cane, che stava osservando tutta la scena da seduta.

Raccolse poi le poche forze che aveva e provò a camminare. Riuscì a fare solo pochi passi, poi dovette di nuovo appoggiarsi a qualcosa per non cadere. Il dolore era fortissimo, ma si costrinse a rimanere in piedi.

«E' pur sempre un inizio. Vieni bella, vediamo se riusciamo a trovare un posto dove poter mangiare qualcosa.»

Dopo essere uscito a fatica dalla foresta trovò un villaggio dove un'anziana signora prese in casa lui e il cane. Lo aiutò a guarire, mentre lui cercava di ricordare chi fosse e per quale motivo fosse nella foresta, senza risultati.

Qualche giorno dopo riuscì a rimettersi in piedi e a camminare, anche se non era completamente guarito dalle contusioni della caduta. Salutò l'anziana signora, la ringraziò per l'aiuto e poi partì. Era convinto che il cane fosse della vecchietta, ma si stupì quando vide che lo seguiva mentre se ne andava. Gli sorse quindi un dubbio, che una rapida domanda alla signora fece sparire: il cane non era suo e non l'aveva mai visto prima del suo arrivo. Ageray si accovacciò e guardò il cane.

«Bene, sembra che il tuo passato sia confuso quanto il mio! Ma non sarò certo io a impedirti di seguirmi se è quello che vuoi!».

La accarezzò poi sulla testa e la guardò bene. Un animale maestoso, dal pelo fulvo e folto. Il muso allungato, quasi come quello di un lupo e uno sguardo penetrante, capace di scavarti dentro l'anima. Sentiva una connessione con quell'animale, quasi come se si fossero già incontrati. L'idea gli sembrò però stupida e la accantonò rapidamente.

«Bene, andiamo allora» disse lui rialzandosi. Il cane abbaiò, quasi come fosse una risposta al ragazzo e i due si misero in marcia.

 

*

 

Era passato qualche mese ormai da quel risveglio confuso di Ageray. Ormai tutti i dolori erano spariti, ma i ricordi continuavano a non tornare. Camminarono e viaggiarono per così tanto tempo da perdere l'orientamento. Non avevano una meta, cercavano solo di volta in volta un posto dove poter stare per qualche giorno, prima di partire di nuovo. Non avevano una casa, ma col tempo si affezionarono l'uno all'altra, diventando inseparabili. Lui le diede anche un nome, pochi giorni dopo la partenza, Reas. Non fu semplice, ma quando vide la sua coda agitarsi sentendolo, capì di aver trovato quello giusto.

Era un giorno di viaggio come tanti altri. Camminavano da ore e, non avendo mangiato niente per colazione, cominciavano entrambi a sentire i morsi della fame allo stomaco. Le provviste erano ormai finite da un paio di giorni e dovevano trovare in fretta qualcosa da mangiare, altrimenti non sarebbero resistiti molto. Il bosco dove camminavano non offriva molto, era tutto secco, come bruciato. Inoltre molti rami erano spezzati, sembrava fosse passato un esercito da quel posto. Pochi minuti di cammino dopo tutto divenne più chiaro. Gli alberi si diradarono e ciò che si stagliò di fronte ad Ageray lo lasciò senza fiato. Un enorme castello, più grande di quanto lui potesse immaginare, imponente nel centro di una radura nel bosco. Ma quello che lasciò Ageray maggiormente attonito era il fatto che l'edificio era tanto grande e maestoso quanto diroccato e distrutto.

«Tu aspettami qui, vado a vedere che cosa c'è la dentro.»

Lentamente si diresse verso il portone principale.

“Doveva essere stato molto imponente al suo massimo splendore” pensò, guardando quel poco che rimaneva dei delicati intarsi che decoravano il legno.

Fece un respiro profondo e spinse la porta. Si aspettava di dover fare uno sforzo sovrumano per spostare quell'immensa mole di legno, ma la facilità con cui riuscì ad aprire la porta lo lasciò senza parole. Lentamente si addentrò nell'atrio, la polvere faceva da sovrana nell'ambiente, ma ciò che più lo sorprese fu l'odore. Non era semplicemente l'odore di un ambiente vecchio rimasto chiuso per molto tempo, ma aveva qualcosa di diverso. Riusciva a sentire delle punte di zolfo nell'aria, misto ad odore di bruciato.

Cominciò ad esplorare un po' la zona. Dall'atrio principale entrò in una stanza secondaria, che con tutta probabilità era la sala da pranzo. A fianco si poteva intravedere, tra le macerie, la porta che dava sulla cucina e sulla dispensa.

“La cucina... Vediamo se c'è qualcosa da mangiare”.

Si rimboccò le maniche e cominciò a spostare qualche asse di legno da davanti la porta, fortunatamente non erano molte e gli ci volle poco per liberare il passaggio. Data la mole del palazzo si aspettava una cucina immensa, ma in realtà non era così grande. Probabilmente non ci vivevano molte persone. Aprì tutte le credenze e gli armadietti, ma tutto ciò che riuscì a trovare fu solo della polvere e qualche topo. Nella dispensa la situazione non cambiò, ancora polvere e topi, ma nessuna traccia di cose commestibili.

Sentì uno scricchiolio.

“Cos'era quello? Veniva dalla sala da pranzo.”

Aspettò qualche istante, magari era solo un forte vento che aveva fatto tremare un po' i muri del castello. Un altro scricchiolio, seguito da un altro ancora.

“Questo non è niente di rassicurante.”

Si guardò rapidamente intorno, ma l'unica cosa che riuscì a trovare come arma fu un ripiano di una scaffalatura che aveva ceduto. Lo prese in mano senza pensarci due volte e si girò verso l'ingresso della dispensa. Attento a non fare il minimo rumore cominciò a camminare lentamente verso la cucina. Ancora scricchiolii, la tensione e l'adrenalina stavano salendo. Si preparò all'aggressione e poi si lanciò oltre la porta della dispensa, verso la cucina.

«WOF!!»

«Mamma mia Reas, mi hai spaventato! Ti avevo detto di rimanere ad aspettarmi fuori, che cosa ci fai qui?».

Per risposta, il cane si sedette.

«Va bene, fai quello che vuoi allora. Andiamo, qui non c'è niente.»

Passarono un altro paio d'ore a esplorare il castello. Le altre stanze erano tutte esattamente come la cucina e la sala da pranzo, tutte piene di macerie e senza niente di interessante da poter raccogliere. In più, in tutte quante c'era quella persistente puntina di zolfo nell'aria, che ormai dava la nausea.

«Ci conviene uscire, qua non c'è niente e rischiamo che ci crolli qualcosa sulla testa.»

Nel giardino sul retro, però, le cose non cambiarono. Quello che una volta doveva essere stato uno splendido parco, adesso non era altro che un ammasso di piante morte e rinsecchite. Cercarono per qualche minuto, ma anche qui, come nel resto del castello, non c'era niente da trovare.

«Ehi, che cosa c'è?»disse Ageray quando si accorse che Reas stava fiutando qualcosa.

Per un attimo la guardò incuriosito, poi lei si alzò di scatto e drizzò le orecchie. Poi cominciò a correre, tornando verso il maniero.

«Ehi! Dove stai scappando, torna qui!»

Le corse dietro, “Maledetto cane, dove stai correndo?”

Reas corse fino a tornare nelle vicinanze delle mura e si fermò vicino a un cumulo di macerie. Ageray tentò di prenderla e di portarla via.

«Andiamo, che cosa vuoi che ci sia lì sotto? Sono solo i resti di un gazebo! Non c'è niente!»

In tutta risposta, Reas si liberò con uno strattone e continuò ad annusare le macerie. Si infilò poi in un piccolo pertugio lasciato dalle assi di legno.

«Ma dove stai andando?!? Vieni fuori da lì!» urlò Ageray.

Niente, sembrava che il cane fosse del tutto intenzionato a trovare quello che stava fiutando.

“Mi farai diventare matto” pensò Ageray.

Cominciò poi a togliere un po' delle assi di legno, liberando il passaggio dove Reas si era infilata in modo da poter passare anche lui. Dopo un po' di lavoro riuscì a ritrovare il cane, che cercava di scavare sopra a un tappeto.

«Ecco vedi, lo sapevo. Sei impazzita. Lo so che è da giorni che non mangiamo, ma insomma, non pensavo che questo ti rendesse così iperattiva! Dai, andiamo. Qui non c'è niente.»

Riprovò poi a prenderla per portarla via, ma non ci fu niente da fare. Era convinta di aver trovato qualcosa e non voleva andarsene da lì fino a quando non l'avrebbe dissotterrata.

«Forza, spostati. Vediamo se riesco, una volta per tutte, a farti capire che non c'è niente qua sotto.»

Spostò il cane e tolse il tappeto. Era parecchio grande quindi dovette spostare delle altre macerie per riuscirci.

«Ecco, visto? Come al solito hai ragione tu! Quanto ti odio per questo!» disse Ageray con un misto di umorismo e sarcasmo.

Aveva davvero ragione Reas, levando il tappeto infatti si rivelò esserci una botola, sul pavimento del gazebo. Prese per la maniglia la botola e fece forza per aprirla. Cigolando, la botola si aprì.

«Adesso, per favore, lascia andare avanti me. Non sappiamo che cosa possa esserci là sotto.»

Reas si sedette, come per dare il suo consenso a ciò che aveva appena detto Ageray. Ma non appena lui le voltò le spalle per scendere nella botola, lei si lanciò davanti a lui e scese per prima.

“Ci avrei scommesso, mai una volta che mi ascolti!”.

Ageray scese le strette scale subito dopo.

«Finirai per farci ammazzare tutti e due, sappilo!» sussurrò a Reas.

Non sapevano cosa ci fosse in quel posto, era meglio non urlare troppo.

Scese le scale, che sembravano non finire mai, si ritrovarono in uno stretto corridoio, senza vederne la fine. Lo spazio era angusto e umido, dovevano essere parecchi metri sottoterra. Camminarono in quel corridoio per parecchi minuti, come le scale, sembrava non avere un termine. In più, quel corridoio dava ad Ageray un grande senso di oppressione, le pareti sembravano stringersi sempre di più mano a mano che si procedeva. L'odore di muffa e di chiuso, poi, non lo aiutavano a sentirsi meglio. Reas ormai era scappata in avanti e Ageray stava procedendo molto lentamente. Accelerò il passo, anche se non riusciva a vedere a più di qualche metro davanti a lui. Poi, la luce sparì completamente, era troppo distante anche per i pochi raggi che riuscivano a scendere dalla botola. Si avvicinò al muro e procedette rasente a quello, così almeno non si sarebbe perso. Continuò per qualche altro minuto in questo modo, con l'angoscia che cresceva per il non sapere dove si trovava e a cosa stava andando incontro. Sicuramente, non doveva essere niente di buono se era stato nascosto così bene.

Riuscì finalmente a raggiungere Reas, fortunatamente non c'erano bivi in quel tunnel.

«Come mai ti sei fermata?» chiese, ma gli bastò mettere una mano avanti per capirlo.

Aveva trovato una porta, ovviamente chiusa. Era in legno massiccio e al tatto sembrava lì da parecchio tempo. Era tutta umida e sgretolata, ma non dava segni di cedimento. A tastoni Ageray cercò la maniglia, fece un respiro profondo e la sposto verso il basso.



Note finali:

Premetto che è la prima volta che tento un esperimento simile. Spero che quello che è uscito non sia una fucina di errori di grammatica eccetera e spero che lo stile di scrittura non sia troppo pesante da leggere. Lietissimo di accogliere qualsiasi eventuale critica e suggerimento, se posta con il giusto tono. Ringrazio anticipatamente tutti coloro che decideranno di concedermi 10 minuti del loro tempo per dirmi che non valgo un tubo XD

  
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