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Autore: Mary P_Stark    18/11/2013    3 recensioni
La Ricerca di Brie e Duncan ha inizio. Non è più tempo degli indugi, i berserkir vanno trovati prima che si riversino sul loro branco per distruggerli tutti. La verità deve infine venire a galla, perché la faida venga fermata sul nascere. Nuove avventure aspettano i nostri eroi, e nuovi amici si uniranno ai vecchi per questo nuovo viaggio tra le lande della Norvegia, dove il culto dell'uomo-orso ha avuto il suo massimo fulgore. Sarà possibile, però, fermarli in tempo? E il nemico è rappresentato solo da loro? O le maglie di Loki sono più intricate di quanto essi non immaginano? TERZA PARTE DELLA TRILOGIA DELLA LUNA. (riferimenti alla storia presenti nei 2 racconti precedenti)
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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Capitolo 18
 
 
 
 
 
L'arrivo ad Aberdeen fu per me fonte di autentico sollievo.

Spiegare ad Erin i motivi che avevano spinto sia Alec che Duncan a preferire che lei rimanesse ad Aberdeen, assieme al clan di Bright, fu cosa davvero difficile.

Sulle prime, Erin protestò vibratamente, inalberandosi anche con me per la mia presa di posizione ma, quando finalmente passò oltre alla sua rabbia e scorse i mille dubbi che si affastellavano nei miei occhi, iniziò a capire.

Non ero felice di infilarmi in quel ginepraio, e l'idea di scoprire quanto reali fossero certi miti proprio non mi solleticava.

Saperla al sicuro ad Aberdeen, ci avrebbe resi più tranquilli.

Alla fine, Erin accettò l'inevitabile e non disse più nulla ma, per tutta la durata del viaggio in aereo, mi parve di averla tradita.

Mi sembrava ingiusto che lei non potesse partecipare alla partita finale visto che, fino a lì, era stata assieme a noi, ma sapevo bene quanto Duncan e Alec fossero seri, sulla faccenda del Nilfheimr.

Qui non si trattava di fare i duri; era una faccenda dannatamente seria, e loro non volevano guai.

Speravo davvero che Elspeth e Beverly, per raggiungere quella maledetta prigione, avessero adottato tutte le protezioni possibili e immaginabili.

Non volevo avere sulla coscienza la loro sanità mentale.

Quando raggiungemmo il nastro trasportatore per recuperare i nostri bagagli, trovammo ad attenderci il gruppo piuttosto folto di berserkir capitanati da quello che immaginai essere Gunther e, per un momento, temetti il peggio.

A poca distanza, infatti, si trovavano anche Bright, Estelle, Kate e diversi loro lupi, tutti rigidi come bastoni e torvi in viso come se fossero appena tornati da un funerale.
Lanciata un'occhiata d'avvertimento a Thor, mi incamminai lesta verso il gruppo di Bright mentre il berserkr si occupava dei suoi compagni, preventivamente protetti dalle figure di Erin, Duncan e Alec.

Allungate le mani verso Estelle, che stava osservando i nuovi venuti con occhi che sprizzavano scintille, abbracciai la mia cara amica con calore, sperando di dissipare così le sue paure.

Mi ritrovai letteralmente stritolata dalle sue braccia candide e, con voce accorata, Estelle esalò: “Oh, cielo, tesoro! Tutto bene, vero?”

“Se mi lasci intatte le costole, sì” ansai, ridacchiando nervosamente.

Bright accennò un sorrisino ma non scostò gli occhi dal gruppo di berserkir che, dubbiosi, se ne stavano il più impassibili possibile per non attirare l'attenzione.

Come potessero sperare di ottenere una simile concessione dodici montagne alte due metri e più, era ancora da stabilire, ma quanto meno ci provarono.

Sempre stretta nell'abbraccio di Estelle, allungai una mano per sfiorare il braccio teso di Bright, e mormorai: “Va tutto bene, davvero. Non stavo scherzando, quando ti ho chiamato.”

Lui annuì debolmente, limitandosi a dire: “Ad ogni modo, non è il posto giusto per una zuffa.”

“E neppure ci sarà bisogno di azzuffarsi. E' tutto appianato” sottolineai con vigore, stringendo la mia mano sul suo braccio.

Bright emise un lungo sospiro, cercando di rilassare i muscoli del corpo tesi allo spasimo ed io, sciogliendomi dall'abbraccio di Estelle, dissi perentoria: “Usciamo e discutiamone a casa vostra. Non possiamo attirare l'attenzione.”

Si dichiararono tutti d'accordo e, come un compatto squadrone, ci dirigemmo tutti all'esterno dell'aeroporto, dove trovammo ad attenderci diversi SUV a sette posti.

Come quasi tutti i capiclan che conoscevo, anche l'abitazione di Bright ed Estelle si trovava fuori città, vicino al Vigrond del loro branco.

Anche in quel caso, quindi, attraversammo l'intero abitato di Aberdeen prima di puntare verso le colline e la campagna circostante.

Dopo avere imboccato Whitestripes Road, la seguimmo per un paio di miglia prima di svoltare a sinistra, su una piccola mulattiera sterrata che costeggiava un'immensa siepe di piante di nocciolo.

La prima auto, dove si trovavano Estelle, Bright e Kate, svoltò subito a destra, dove un cancello automatico in ferro battuto si aprì dinanzi a loro senza fare alcun rumore.
Uno dopo l'altro, i SUV guidati dai lupi di Fenrir di Aberdeen entrarono nella proprietà, parcheggiando nell'ampio cortile inghiaiato.

Lì, mi lasciai andare ad un’ammirata occhiata della bella casa colonica dai bei muri di sasso dove abitavano i nostri amici.

Gli alti comignoli si allungavano verso un cielo costellato di mille nuvolette burrose, sgusciando come tante dita dal tetto di tegole grigie.

Due enormi giare in terracotta erano poste ai lati dell'entrata e, intorno al perimetro della casa, lunghe file di erica rosa e azzurra si estendevano fino a perdita d'occhio.

L'ampio giardino si estendeva sulla destra della villa, e comprendeva – oltre a un prato curatissimo – anche alte piante di acero e di betulla.

Sulla sinistra si innalzava una seconda struttura in sasso, in tutto simile alla casa padronale e, dopo averne chiesto spiegazione a Estelle, lei mi disse: “E' la casa di Kate. L'abbiamo voluta qui vicino a noi, dopo che... beh, dopo che sua madre è morta.”

Rammentavo fin troppo bene l'incidente automobilistico che aveva strappato la vita della madre di Kate e, nel vedere sorridere debolmente la mia amica wicca, non potei che stringerla a me in un silenzioso abbraccio.

“Bright ha esagerato come al solito. Ci sono una marea di stanze, ed io sono sola” ridacchiò debolmente Kate, accettando di tutto cuore il mio abbraccio.

“Sono speranzoso, a leannan1, perché non credo che tu rimarrai sola ancora per molto” ghignò Fenrir di Aberdeen, portandomi a sgranare gli occhi, sorpresa.

Kate arrossì copiosamente, tingendo il suo volto dello stesso color scarlatto dei capelli ed io, dandole una pacca sulla spalla, le mormorai all'orecchio: “Ne parleremo più tardi, okay?”

“Sarà meglio” brontolò lei, seguendo Bright e gli altri in casa assieme ai nostri strani ospiti.

Quando ci ritrovammo all'interno, riconobbi subito il tocco sopraffino di Estelle.

Il mobilio antico ben si sposava con le linee esterne della casa, un classico della campagna inglese, e l'abbondanza di centrini ricamati a mano denotava il passaggio di una mano femminile.

Dubitavo fortemente che fosse stato Bright a metterceli.

Oltrepassando un largo corridoio interamente ricoperto di tappeti, ci riversammo in un salone dalle ampie finestre che davano sul retro della casa, e da cui si poteva scorgere il bordo di un'ampia piscina.

Poco più in là, si intravedeva un gazebo in ferro e chiuso da vetrate in cui svettava, invitante, una bellissima vasca idromassaggio da esterni.

“E' bellissimo immergersi lì, in inverno, quando fuori c'è la neve e l'acqua è caldissima” mi spiegò in un sussurro Estelle, intuendo cosa stessi guardando. “Le vetrate ci riparano dal vento e le intemperie, e noi possiamo sollazzarci quanto vogliamo, là dentro.”

“Immagino” esalai deliziata prima di lanciare un'occhiata significativa a Duncan, che ridacchiò.

“La vuoi anche tu?” mi domandò, dandomi un buffetto sulla guancia.

“Sì” annuii con vigore.

“Vedrò dove metterla” assentì lui prima di guardare in direzione di Bright e aggiungere: “Credo che ora possiamo parlare di cose serie.”

Fenrir di Aberdeen non poté che annuire e, scrutando con apprensione l'abbondanza di berserkir presenti nel suo salone, dichiarò: “Mi sono accontentato della parola di una mia cara amica, ma esigo spiegazioni in merito alla loro presenza sul mio territorio.”

Fu Thor a parlare, dimostrando lo stesso indubbio charme del nonno.

Spiegò a Bright il perché del loro improvviso cambio di programma, della presenza di un così alto numero di berserkir nella zona di Aberdeen e della sua decisione di unirsi al mio gruppo per raggiungere le Orcadi.

Hati e Sköll di Aberdeen, in piedi accanto al loro Fenrir, ascoltarono con attenzione l'intera spiegazione mentre Estelle, seduta su una sedia vicino a Kate, teneva nella sua la mano della wicca.

Era evidente quanto Kate stesse ascoltando con attenzione per percepire eventuali bugie nel discorso di Thor ma, nulla trovando, annuì al suo Fenrir alla fine del discorso, dicendo: “Non ha mentito, Bright. Puoi fidarti.”

L'uomo sospirò, passandosi una mano tra i folti capelli castani e, fissando i suoi occhi color del brandy in quelli chiari di Thor, asserì: “Puoi ben immaginare quanto tutti noi siamo restii a stare tranquilli, dopo quello che è successo a Brianna. Ci ha sconvolto sapere del suo rapimento.”

“Posso immedesimarmi in tutti voi senza problemi, e anche per questo vogliamo aiutare la vostra amica a venire a capo di questa situazione. Debellato il problema principale, e cioè la nostra possibile Ordalia, non ci resta che stabilire se il lupo che avete imprigionato sia sotto l'influsso di Loki, o un vero e proprio nemico” assentì Thor, sorridendo benevolo.

Non mi era possibile percepire i suoi sentimenti come facevo con i lupi, ma ipotizzavo senza problemi quanto, la morte del cugino Lot, gli pesasse ancora sul cuore.
Era troppo fresca, troppo violenta, per essere già stata passata sotto silenzio.

Presi la parola, aggiungendo con enfasi: “Abbiamo sofferto tutti fin troppo a causa delle manovre di Loki, e quel che ci serve ora è coesione tra i nostri due popoli. Fenrir ed io abbiamo potuto parlare con Padre Tutto, chiarendo ogni possibile disguido con lui. Non fa specie che i berserkir si siano accaniti contro di me con così tanto livore. Per loro, Fenrir rappresentava un pericolo per il loro signore, e andava debellato. Ora che però è stato chiarito tutto, non dobbiamo portare rancore. Le morti che ci siamo lasciati alle spalle non ne hanno di certo bisogno.”

Uno dopo l'altro tutti annuirono ed io, sospirando, terminai di dire: “Abbiamo bisogno di supporto per poter raggiungere le Orcadi. Non possiamo andarci di corsa. Siamo troppi e attireremmo l'attenzione, prima o poi.”

“Le auto che abbiamo usato sono vostre fino a nuovo ordine” asserì Bright, scrollando le spalle. “Manderò con voi anche alcuni dei miei lupi, giusto per non farvi mancare nulla e, nel frattempo, chiamerò Bryan per avvisarlo del vostro arrivo.”

“Molto bene. Non vedo l'ora di mettere le mani su Sebastian” ringhiai a quel punto, già pregustando il nostro incontro.

Questo mio commento diede il via a una serie di urla soddisfatte e di battute su ciò che ognuno dei presenti avrebbe voluto fare a Sebastian ma, quando la faccenda si fece volgare, mi defilai alla svelta dalla stanza con le poche donne presenti.

Che gli uomini si sfogassero – e si conoscessero – un po' per conto loro.

Noi avevamo altro da fare.

Raggiunta una piccola serra, dove Estelle coltivava le sue piante esotiche, ci accomodammo su un paio di panchine in ferro tinto di bianco e, rivoltami alla padrona di casa, le dissi: “Ho un favore da chiederti.”

“Tutto quello che vuoi” assentì subito lei, sorridendomi gentilmente.

“Vorremmo che Erin rimanesse qui fino al compimento della missione. Non voglio che torni a casa da sola, perché desidero che l'ultima parte del viaggio si svolga assieme a noi, ma Nilfheimr non è posto per chiunque. Se potessi, lo eviterei anch'io, ma non posso. Perciò...”

Interrompendomi con un cenno della mano, Estelle disse perentoria: “Può rimanere da noi finché vuole.”

“In casa mia c'è un sacco di posto, e sarà un piacere avere un'ospite” aggiunse Kate, dando una pacca sulla mano di Erin, che sorrise debolmente.

Dovevo convincermi di non stare facendo nulla di male, lasciandola lì.

Sarebbe stata al sicuro, in mezzo a persone gentili e premurose.

Non stavo facendo niente di sbagliato.

Ma allora perché mi sentivo così da schifo?
***
Non avrei mai pensato che lasciare Erin sarebbe stato così complicato.

Dopotutto, la conoscevamo appena, avevamo passato con lei poco meno di due mesi, tra la nostra permanenza a Belfast e il viaggio in Norvegia, eppure mi si spezzava il cuore a lasciarla lì ad Aberdeen.

Sensi di colpa? Io?

Ad ogni modo, quando ci ritrovammo di fronte all'entrata della casa di Bright, il mattino seguente, avevo le lacrime agli occhi.

La abbracciai forte, raccomandandole di non preoccuparsi, che ormai il peggio era passato, e lei non fece che annuire, annuire e annuire ancora.

Quando mi scostai da lei, ero quasi a pezzi.

Duncan fu più bravo di me.

La strinse a sé con naturalezza, baciandola gentilmente sulle guance prima di prometterle che saremmo tornati entro breve tempo.

Il vero dramma fu con Alec.

Erin si morse il labbro inferiore mentre lui, corrucciato e con le mani in tasca, la sbirciò attraverso le lunghe ciglia mentre, borbottando un augurio di buona salute, non fece che curiosarsi i lacci delle scarpe da ginnastica.

Fu Erin a dover fare tutto il lavoro.

Annullò la distanza che li separava e lo strinse con forza, dichiarando: “Penny ti odierà a morte, se tornerai con un solo graffio visibile. Perciò, vedi un po' tu.”

Pur rigido come un bastone, Alec trovò la forza per sollevare un braccio e dare un paio di goffe pacche sulla schiena di Erin, asserendo: “Per fortuna che mi sono ferito alla pancia, sennò sai che casino?”

A lei sfuggì un risolino nervoso e, quando Alec si scostò, si asciugò in fretta una lacrima ringhiandogli in faccia: “Vale anche per me, sai? Ti odierò a morte, se ti farai anche un solo graffio.”

“Ho mal di denti. Conta?” ironizzò allora lui, allontanandosi da una Erin sbuffante e facendole un cenno di saluto da sopra la spalla, mettendo in mostra una sicurezza che di certo non provava.

Salì su uno dei SUV senza più voltarsi indietro ed io, nel seguirlo, feci in tempo a scorgere sul volto di Bright la più totale, sconcertata sorpresa.

Eh, già.

E chi se l'immaginava che Alec potesse stare così a cuore a qualcuno? E il contrario?

Ovviamente, quando il SUV fu colmo, tra lupi e berserkir, Alec si chiuse nel suo cupo e solito silenzio ed io, nel dargli una pacca sulla coscia, gli sorrisi.

“Non è il momento, streghetta. Sono incazzato nero” brontolò lui mentre Whilfred, uno degli alfa di Bright, metteva in moto per partire.

“Sai che non l'avevo notato?” ironizzai, lanciandogli un'occhiata divertita.

Alec allora si rivolse speranzoso a Duncan, esalando: “Ti prego, tienila occupata. Fate pure cosacce, se volete. Prometto di non guardare... ma falla tacere!”

Duncan ridacchiò a quel suggerimento, mentre io mi vendicavo prendendo a sberle un braccio di Alec e, con risolutezza, mi afferrò per un polso attirandomi sulle sue ginocchia.

Si udirono alcuni risolini tipicamente maschili ed io, vagamente accigliata, dichiarai: “Un solo commento, e giuro che mi vendicherò. Non so ancora come, ma ho molta inventiva.”

I risolini divennero autentiche risate grasse e piene ed io, appoggiato che ebbi la testa sulla spalla di Duncan, mugugnai: “E va bene, ho capito... mi stavo impicciando, eh?”

“Abbastanza, principessa. Abbastanza” ammise lui, cingendomi con le braccia mentre qualcuno gli propose di darsi da fare.

Io azzittii il lupo che si era permesso di dare un simile suggerimento e, rivoltami verso Alec, asserii spiacente: “Mi farò gli affari miei.”

“Sei una donna. Figurati se lo farai” ironizzò allora lui, scrollando le spalle.

“Guarda che un po' di volontà ce l'ho anche io!” lo rabberciai, pur sapendo che in parte aveva ragione.

“Sììì, come no! Streghetta, la tua faccia è più limpida di uno specchio d'acqua, e si vede lontano un miglio che vorresti sapere un sacco di cose, su quel che mi gironzola per la testa. Ma ora, davvero, non voglio parlarne.”

Pur avendo cominciato con un tono scherzoso, Alec terminò di parlare con voce profondamente seria ed io, scesa che fui dalle gambe di Duncan, tornai a sedermi compostamente tra il mio uomo ed Alec.

Annuii con profonda comprensione e dissi solennemente: “Giuro che, per almeno un giorno, non ti chiederò nulla.”

“Amen” dichiararono all'unisono Duncan e Alec.

Un altro scoppio di risa seguì quel commento ed io, vagamente piccata, incrociai braccia e gambe, dicendo tra me: ma sono così tremenda?

Neppure Fenrir osò dire qualcosa.
***
 
Attraversammo Inverness senza neppure tentare di fermarci per il pranzo. Sarebbe stato un'autentica perdita di tempo intrufolarci nella caotica cittadina scozzese, alla ricerca di un posto in cui mangiare.

Sebbene il navigatore satellitare ci offrisse mille e più alternative, preferimmo proseguire oltre.

Meglio non obbligare i dodici berserkir, nostri compagni di viaggio, a confrontarsi con città così caotiche, vista la loro idiosincrasia nei confronti della civiltà.

Mi aveva stupito non poco scoprire che al villaggio di Elsa, a parte poche persone, i telefoni e la televisione erano quasi praticamente un'eccezione alla regola.

Lì, la vita era rimasta ferma a poco prima della Seconda Guerra Mondiale e, a parte le automobili, nessuno possedeva beni di consumo.

La vita scorreva placida, tranquilla, vivevano dei frutti della terra e dei guadagni che ottenevano dalla vendita di prodotti d'artigianato locale.

I più giovani, come Thor, erano andati all'università e si erano trovati un lavoro anche all'esterno di quella bolla temporale in cui vivevano i vecchi berserkir e, spesso e volentieri, abbandonavano i villaggi per stabilirsi in città più popolose.

Non tutti, però, sceglievano quel genere di vita, prediligendo lavori come lo spaccalegna o il guardiacaccia.

Quando, percorrendo la A9 per raggiungere Thurso – dove avremmo preso il traghetto per le Orcadi – comparve dinanzi a noi un cartello recante la scritta 'restaurant', fummo d'accordo che fosse giunto il momento di fermarsi.

Lì, in mezzo al nulla e con la placida corrente del mare che penetrava nell'entroterra fino a raggiungere Inverness, i berserkir si sarebbero sentiti a loro agio.

Mentre Wilfred posteggiava dinanzi a una piccola serie di casette gialle tipiche della Scozia, coi loro alti comignoli e i tetti spioventi su pareti stuccate grossolanamente, Thor terminò il lungo monologo che ci aveva impegnati fin a quel momento.

“E' triste ammetterlo, ma l'isolamento che ci siamo auto-imposti per non perdere le nostre radici ci ha indebolito, quando non ha stroncato del tutto intere famiglie, rendendole sterili.”

Noi lupi annuimmo, sapendo bene a quale problema si stesse riferendo.

In secoli passati, anche i licantropi avevano perso interi clan per il medesimo motivo e si erano visti costretti a prendere una drastica, quanto importante decisione.
Le mescolanze di sangue.

Unirsi agli umani era stato l'unico modo per salvare la razza, pur perdendo di fatto alcune caratteristiche salienti, come l'immunità totale alle malattie.

“Quindi, la genealogia dei berserkir è rimasta pura, fino ad ora” mi intromisi, mentre il motore veniva spento con un sordo brontolio.

“Esattamente. Ma molte delle nostre donne non sono più in grado di generare figli. Quando Ingrid rimase incinta di Magnus, tutti noi ne fummo immensamente lieti. Molti rappresentanti dei villaggi vicini giunsero a Gungnir per festeggiarla” ci spiegò Thor, scendendo dall'Escalade nero dove avevamo viaggiato fino a quel momento.

“E' un problema che abbiamo avuto anche noi, a suo tempo” lo informò Duncan, incamminandosi assieme agli altri verso il vialetto che conduceva al The Store House, un ristorantino immerso nel verde e dall'aria davvero stuzzicante.

I profumini deliziosi che riempivano l'aria salmastra del luogo fecero brontolare più di uno stomaco e, tra sorrisi divertiti e ansia di mettersi a mangiare, ci recammo in branco verso l'entrata.

Quando una delle cameriere ci vide, sgranò lentamente gli occhi – sicuramente sorpresa di vedere un tale concentrato di testosterone tutto in una volta – prima di indossare la maschera da padrona di casa e asserire: “Benvenuti signori... signorina. Un tavolo per quanti?”

“Diciotto” dissi io, sorridendole complice mentre mi infilavo dietro di lei per raggiungere una lunga tavolata, rivolta verso lo stretto golfo che lambiva Inverness.

Gli uomini ci seguirono in silenzio, cercando di apparire il più docili possibile, cosa che ritenni un'autentica assurdità, visto che il più piccolo tra i presenti era Jonas, che era alto un metro e ottanta e pesava sì e no cento chili. Di muscoli.

La cameriera fece del suo meglio per non osservare quella collezione di splendori maschili con occhio languido ed io, nell'accomodarmi per prima, nascosi come meglio potei un sogghigno divertito.

Essere l'unica donna in mezzo a quel branco di braccia forti era abbastanza curioso e, di sicuro, la cameriera si stava domandando cosa ci facessi lì in loro compagnia.

Prese le nostre ordinazioni – carne alla griglia con contorni misti insieme a fiumi di birra, e acqua per me – e si involò verso la cucina con passo veloce, lasciandoci alle prese con degli stuzzichini davvero invitanti.

Mi sembrava paradossale pensare così tanto al cibo, sapendo bene cosa ci stessimo approssimando a fare, ma evidentemente non ero l'unica a farlo.

Tutti i presenti stavano ridendo e scherzando, facendo amicizia dopo tanta tensione covata sotto la cenere dell'ansia ed io, nell'osservarli tutti assieme, non potei che sorridere.

Ti fa sentire bene esserti riappacificata con loro?

“A te no? Non credi che avere Wotan dalla nostra parte sia una cosa buona?”

Sicuramente. Quel che mi incuriosisce, però, è sapere dove sia Tyr. Non ne percepisco la presenza perché è un figlio della Luce, perciò, per noi creature legate alla Notte è impossibile avvertirne l’aura. Vorrei rivederlo, parlargli. Chiarirmi con lui e chiedergli perdono per la mano.

“Ho idea che, se è destino, lo incontreremo sul nostro cammino. Visto che, fino ad ora, me ne sono successe di tutti i colori, non stento a credere che possa accadere ancora qualcosa.”

Non riesco a capire se sei fatalista o se, più semplicemente, vuoi punzecchiarmi.

“Rasoio di Occam. A parità di fattori, la soluzione più semplice tende ad essere quella giusta” ironizzai, distogliendo l'attenzione da Fenrir per tornare a guardare i miei compagni.

La carne era finalmente giunta e, di buona lena, si impegnarono tutti per divorarla con sommo gusto.

Sembrava essere diventata una rarità, per me, poter apprezzare semplici gesti come quello.

Ultimamente, avevo solo avuto brutte notizie, pericoli che mi inseguivano in ogni cantone io mi nascondessi, e sangue a rapprendersi sulle mie mani.

Ero stanca, lo ammettevo senza problemi. Stanca di dover sempre guardarmi alle spalle, di vedere le persone che amavo preoccuparsi all'inverosimile per me, di scoprire sempre nuovi nemici di fronte al mio cammino.

Arriverà il sereno, Brie, davvero.

“Lo spero, Fenrir. Davvero tanto.”


 
 
 
 
 
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1 a leannan (gaelico scozzese): mia cara.
  
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