Gli stivaletti da boxeur con la suola piatta che gli hai
regalato a Natale e che lui si ostina a portare slacciati.
I
pantaloni della tuta rossi con tre strisce chiare che delineano
perfettamente il suo sedere muscoloso.
La canotta bianca aderente che mostra con chiarezza i muscoli della schiena, frutto dell’intenso addestramento del corso Auror.
Le braccia sollevate e incrociate ai polsi, con gli avambracci appoggiati
alla gelida vetrata della finestra che dà sul giardino dei pavoni albini.
Puoi solo immaginare il brillare smeraldino dei suoi occhi attenti a seguire ogni tuo movimento attraverso il riflesso del vetro.
I capelli scuri, lucenti e così disordinati da costringerti ad amare ogni
singola ciocca scomposta.
La smorfietta imbronciata delle labbra quando è convinto che tu lo stia
trascurando.
La bruciatura mai guarita sul polso sinistro, provocata dalla fuga
precipitosa dall’Ardemonio, il fuoco maledetto, dopo averti afferrato e stretto a sé.
La cicatrice,
ma quella all’angolo della bocca, mai curata perché continui a essere il segno dell’ultimo pugno e del primo bacio che vi
siete dati, uno di seguito all’altro.
La fronte appoggiata al vetro gelato per lenire il furore causato da troppe
sofferenze, troppi lutti e troppi scontri in troppi anni di tormenti oscuri.
La lingua che disegna sulla finestra le cinque
lettere del tuo nome come ama fare sulla carne
sensibile della curva della tua schiena.
La sua nuca che reclama un bacio umido.
Il lieve tremore delle tue
mani diafane mentre togli gli anelli della tua stirpe e della tua Casa di appartenenza e li lanci lontano. Quando
sono finalmente libere, i tuoi palmi appoggiati sul vetro, ai lati del suo
volto per avvicinarti abbastanza al suo orecchio e fargli sentire chiaramente il
tuo sussurro emozionato nell’istante in cui affermi: