Giappone
- Hideo-san,
dovreste...
- Chi c’è dietro lo shoji,
Daisuke?
Il servo sospira,
attraversa la stanza e fa scorrere la porta sulle guide. - Nessuno,
Hideo-san.
Oltre c’è prima un
ballatoio vuoto e poi un giardino su cui si riversa la luce della luna.
Hideo-san fa un sorriso
furtivo. - Lasciami solo - ordina con dolcezza - e non chiudere. La
luna è
molto bella, stanotte.
Daisuke gli si inchina,
esce dalla camera; il rumore dei suoi passi si perde nel ventre scuro
della
casa. Ora, nella notte azzurrina, il vecchio ode un altro suono: un
ticchettio
di alti geta sul ballatoio; rimane
inginocchiato sui tatami, seguendo
con gli occhi il profilo di donna che si muove, lento e lieve, dietro
gli
schermi.
- Tsuki-to-mizu -
chiama piano, per non svegliare gli altri occupanti della casa che,
nonostante
sia bella e piuttosto grande, non è un palazzo; le pareti
sono di carta
sottilissima e tutto è talmente silenzioso che ogni parola
che non sia un
bisbiglio riecheggerebbe come un grido. Tsuki-to-mizu,
luna e acqua... pensa Hideo-san e ascolta il fruscio del
canneto e il
gorgoglio della cascatella, in fondo al giardino.
Ricorda la sua
giovinezza.
Tsuki-to-mizu ha il
viso stretto, gli zigomi levigati, le sopracciglia fini come una
maschera di geisha. Hideo-san la
invita ad entrare,
per poterla vedere al fioco lucore del braciere nell’angolo
più lontano dalla
soglia.
- Venite con me, danna-sama.
- Mia cara, la notte è
fredda: perché non entri a scaldarti?
Prova vergogna di se stesso:
una volta il suo
viso era piacente, i suoi muscoli gonfi, mentre la bella Tsuki-to-mizu
ha ora
davanti un povero vecchio con il petto incavato. Lei gli volta le
spalle,
scende dal ballatoio e muove qualche passo tra le pietre e i muschi del
giardino; lui ne guarda il collo d’avorio pallido.
Le pareti della stanza,
i tatami e gli alberi fruscianti
svaniscono
quando Tsuki-to-mizu si volge a guardarlo.
- State sognando,
Hideo-san.
Poiché sa che la donna
ha ragione, Hideo-san pensa di svegliarsi.
La luna splende
sull’acqua calma.
Lui, il giovane Hideo,
ha accompagnato una coppia di sposi sull’altra sponda della
laguna e ora sta
tornando alla sua casupola; rema stancamente, il capo che dondola a
destra e a
sinistra. La sua barchetta lascia dietro di sé una scia
arruffata.
Vede qualcosa di bianco
muoversi sulla riva.
- Buon uomo! - sente
gridare - Potreste trasportarmi sull’altra sponda?
Si avvicina con la sua
barchetta e scopre che quella cosa bianca è una donna; la fa
salire e sedere:
non è superstizioso come altri pescatori, anche le donne
sono ben accette sulla
sua barca. Nella testa assonnata ha la voce della sua vecchia madre: Se incontri una donna sola,
di notte, non può che essere una kitsune.
Non che ci creda:
questa ragazza, che indossa un kimono azzurro e grigio, ha solo
smarrito la
strada di casa; la osserva di sottecchi mentre guarda la luna con le
palpebre
abbassate. - Il mio nome - dice d’un tratto - è
Tsuki-to-mizu.
- Il mio, invece, è
Hideo - le risponde in fretta, arrossendo.
Tsuki-to-mizu china il
capo, come ad accogliere le sue parole, poi ricade in un silenzio
solenne.
Hideo la guarda, la
stanchezza che gli annebbia la mente si dirada come la nebbia
mattutina: per un
breve istante, quando due anitre volano via sbatacchiando le ali e
Tsuki-to-mizu, guardandole, si passa sulle labbra la lingua rosea,
sogna di
presentarla ai suoi vecchi genitori e chiedere loro il permesso di
farne la sua
onorevole moglie.
- Potete lasciarmi qui,
Hideo-san.
Vivrebbero in una
casetta dignitosa, anche se modesta, ben diversa dalla casupola nera a
cui sta
tornando. La donna lo ringrazia con un basso mormorio, guardandolo
appena; lui
sente un profondo terrore, terrore di averla spaventata. L’ha
forse guardata
troppo? Il suo viso ha forse lasciato trasparire più di
quanto lui stesso
credesse?
Si umetta le labbra, la
gola secca.
Lei si allontana tra le
fronde degli alberi, seguendo un sentiero illuminato dalla luna; Hideo
non
riesce a distogliere lo sguardo dal suo collo molto nudo, sottile come
quello
di un cigno, ma ha quasi l’impressione che Tsuki-to-mizu si
faccia sempre più
piccola. Il suo bel kimono ondeggia come se fosse vuoto.
Più tardi, disteso sul
suo futon, sogna che il profumo di
sale di cui sono impregnate le assi sia quello di Tsuki-to-mizu, che si
sta
chinando sul suo giaciglio. Nuda.
Fukanuma Hideo
ha
sposato Asahashi Junko, la sola figlia del ricco commerciante Asahashi
Iwao, ed
è stato nominato suo erede. Disteso accanto alla sua giovane
moglie, dopo aver
compiuto il proprio dovere di uomo e marito, già per
metà addormentato, sente
frusciare i fusuma. Due volte.
Pensa
che sia il signor Asahashi che vuole spiegarli altro sugli affari,
anche se è
notte fonda; volta la testa sul cuscino e posa gli occhi sui fogli di
carta di
riso che ha dimenticato su un basso tavolino: stanno scivolando sui tatami, uno alla volta, i kanji
sembrano lacrime e segni
ghignanti.
La luce rossastra di un
braciere dipinge sulla parete l’ombra di un animale
gigantesco ma, quando Hideo
abbassa lo sguardo, scopre che Tsuki-to-mizu è inginocchiata
lì accanto, con
un’espressione tristissima sul viso. Perché
mi hai abbandonato? sembra voler dire.
- Odoma bon-giri bon-giri,bon kara
sakya oran-do, bon ga hayo kurya,
hayo modoru - canta a bassa voce.
L’uomo scosta il
lenzuolo e le si para davanti; la sovrasta, ma la donna non sembra
neppure
intimorita.
- Non ti ho più visto,
Tsuki-to-mizu. L’onorevole signor Asahashi mi ha concesso di
sposare sua figlia
Junko; come avrei potuto sposare te,
se non ti ho più visto, da quella notte? - domanda, triste.
L’ha solo sognata,
nelle notti in cui il vento soffiava il sale fin sul suo futon
e in quelle in cui la neve cadeva attraverso le finestrelle.
- Ho sognato che tu fossi una donna delle nevi, ma non mi hai mai fatto
visita.
- Vi ho fatto visita
stanotte, perché non vi dimentichiate di me, danna-sama.
Lui le scioglie il nodo dell’obi
dorato, scosta i lembi del suo kimono rosso: - È per il
vostro
matrimonio, danna-sama - e la bacia
sul petto, mentre Tsuki-to-mizu gli fa scivolare l’hanten dalle spalle. Le prende i seni
tra le mani, facendola
mugolare, la fa distendere sotto di sé. Non può
persuadersi ad amare la povera
Junko, pur avendola sposata, così i suoi gesti prendono
un’urgenza tutta nuova:
le sue mani annaspano tra la stoffa, la graffia, ma lei non emette un
suono.
Spingendola giù la sua pettinatura si è disfatta
e
ora i capelli di Tsuki-to-mizu sono sparsi sul tatami;
Hideo indugia per un attimo, nel notare che in quella
penombra assumono riflessi rossi come il sangue, ma non ha la forza di
fermarsi.
Ha sempre pensato che
giacere con una donna assomigli al salire su una collina e sia
egualmente
faticoso, invece, se ne rende conto solo ora, si sente una goccia in
procinto
di cadere nel vuoto.
Il suo destino
è
rimanere solo. Sua moglie Junko è una kitsunetsuki;
la sente muoversi nella sua stanza proprio come un animale selvaggio,
fuggire
non appena la porta si apre e la luce del corridoio si riversa sui tatami sciupati. Non vuole che lui la
tocchi.
L’hanno condotta da un
sacerdote, in un tempio dedicato al dio Inari, ma non è
servito a nulla. Junko
sgattaiola davanti a lui per prendere la ciotola di riso e fagioli
rossi che le
ha lasciato, comincia a mangiarla con le dita, come una selvaggia o una
bambina.
- Assicurati che si
metta a letto - ordina ad una serva.
Ogni volta che la
guarda, sente una tristezza infinita: non la ama, non l’ha
mai amata, ma è la
donna con cui ha giaciuto per anni. Ora che lui sta invecchiando e lei
non gli
si concede più, sa che non avrà figli, nessuna
Fukanuma Megumi o Fukanuma
Ichiro. La volpe che è entrata in sua moglie non la
abbandonerà mai.
È
sempre stata minuta,
Junko. Così piccola e umile che a volte, per scherzare, le
diceva che avrebbe
dovuto chiamarsi Suzume, “passerotto”. Il suo volto
è livido e composto, lo yukata indossato
al rovescio per il
viaggio. Hideo prova ad immaginare cosa direbbe il suo onorevole
suocero, il
ferreo signor Asahashi: sicuramente proverebbe una profonda vergogna
nel sapere
che sua figlia è morta scioccamente, cadendo attraverso un fusuma, battendo la testa sul legno.
Ordina a Daisuke di far
riparare la parete e arieggiare la stanza, alle donne di pulire la casa
da cima
a fondo e di comprare dell’incenso per il suo altare. Si
ritira nella propria
camera con l’intenzione di scrivere una lettera ai suoi
fornitori, ma il
pennello rimane sospeso sul foglio.
Lo lascia cadere.
Lo sente rotolare sul
tavolo e cadere sui tatami con un
tonfo lieve; Hideo si alza: sulla soglia c’è
Tsuki-to-mizu, che indossa un
kimono bianco come la neve. - Vi siete dimenticato di me, danna-sama? No, non credo. Ho saputo che
vostra moglie è morta.
- Era una donna buona,
ma per molti anni è stata malata.
Tsuki-to-mizu
non risponde: sembra impegnata a versare il tè in una tazza,
in religioso
silenzio. Lui non si era accorto della presenza della teiera, ma,
arrossendo,
non si stupisce: ha ancora il sapore del saké
sulla lingua. Accetta la tazza fumante che la donna gli porge senza
fiatare, lo
sguardo basso.
-
Chi sei tu? - chiede d’un tratto, in tono vivace.
-
Cosa vi sembro? - replica Tsuki-to-mizu. Hideo la guarda meglio:
dall’acconciatura
lucida ed elaborata, ai fermagli d’argento e seta che la
adornano, dal viso
attraente all’ottima fattura del kimono, dall’obi
blu notte agli zori bianchi. -
Siete forse... una geisha?
La
sua risata, che non ha mai udito prima d’allora, gli ricorda
una cascata di
perle; si nasconde la bocca dietro la mano. Ha le unghie lunghe.
-
Forse. Danna-sama ne sarebbe
offeso,
se così fosse? - gli si avvicina così tanto che
può sentire il suo fiato caldo
sulla bocca. Vede la sua bocca incurvarsi in un sorriso malizioso. -
Sono
venuta per non andarmene mai.
Hideo vede la
sua vita
passata srotolarsi dietro di sé come un nastro scolorito. La
sua giovinezza, la
sua bellezza sbiadiscono nel termine “dignitosa”:
sì, la sua vita è stata
dignitosa. Quella di un figlio obbediente, un buon marito, un
commerciante
accorto. Dalla morte di Junko, che coincide con il ritorno di
Tsuki-to-mizu, è
certo di aver provato una gioia piena, fluida, simile ad un fiume
carico di
acque.
È felice che la sua vita
non sia mai stata vuota.
Mentre segue
Tsuki-to-mizu lungo la strada silente con il suo passo incerto e il
fiato
corto, ripensa ai giorni in cui lei ha vissuto con lui. Ricorda le
notti in cui
l’ha portata sulla laguna, quando il cielo era limpido e il
clima già tiepido,
e le lunghe, tristi notti nevose: la luce delle candele si stendeva
fiacca sui tatami, Tsuki-to-mizu
suonava lo shamisen. Cantava per
lui. A volte
passeggiava nel giardino imbiancato, facendo roteare un ombrellino
laccato.
- Fermati, ti supplico
- geme.
Tsuki-to-mizu ha ancora
il viso della donna che ha conosciuto in quella notte lontana; potrebbe
essere
pacifico come quello di Buddha, ma c’è sempre una
fiamma lontana in lei, come
se avessero mescolato al bianco della sua pelle una goccia di fuoco.
- Avete scoperto tutto,
Hideo-san - dice con durezza.
I suoi lineamenti si
trasfigurano lentamente, si fanno appuntiti e sfuggenti. Lui pensa solo
che non
poteva farle sapere che lui sapeva. - È stato uno sbaglio...
dovuto alla febbre...
- sospira; tutte le ossa tremano.
- Non si sfugge al
destino. Ora che voi sapete, danna-sama,
devo abbandonarvi.
Tsuki-to-mizu allunga
la mano e gli carezza la guancia, dalla tempia al mento; Hideo chiude
gli
occhi: non ha pianto per la morte di sua madre e di suo padre,
né per quella di
Junko. Piange adesso, nel sentire le labbra tenere come boccioli di
Tsuki-to-mizu
premere sulle proprie.
- Addio, Hideo-san.
Quando riapre gli
occhi, il suo kimono è sporco e lacero. Alberi scuri e
antichi protendono i
loro rami sopra la sua testa. Si guarda intorno, dopo essersi asciugato
gli
occhi con le mani chiazzate dall’età: sa che la
strada di casa è quella che va
incontro alla luna, ma indugia ancora per un attimo.
Vede gli occhi
luccicanti della volpe nel sottobosco, prima che lei svanisca per
sempre.
Comincia a camminare,
ma la strada si snoda sinuosa fino all’orizzonte, e il freddo
dell’inverno gli
cala nelle ossa. Casa sua è terribilmente lontana.
Note:
[sperando di non
aver
scritto delle oscenità]
Tsuki-to-mizu:
Luna
e acqua
Hideo:
Splendido
uomo
Daisuke:
Grande
aiutante
Junko:
Bambino
obbediente
Fukanuma:
Profonda palude
Asahashi:
Basso
ponte
Iwao:
Uomo
di pietra
Megumi:
Benedizione
Ichiro:
Primo
figlio
La
ninnananna che canta
Tsuki-to-mizu è la cosiddetta “Ninnananna di
Itsuki”, il cui testo potete
trovare qui.