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Autore: marguerite_murcielago    18/11/2013    2 recensioni
Giro del mondo.
Grecia_Lui avvicinò le labbra e mi sussurrò all’orecchio: – S'agapó̱ , Athi̱ná mou.
Impressi a fuoco quelle parole che non conoscevo, e che tradussi più tardi, insieme alla guida. Ti amo, mia Atena. In seguito, lui negò di averle pronunciate, e non seppe tradurle.
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Giappone

 

(cliccami!)

 

- Hideo-san, dovreste...
- Chi c’è dietro lo shoji, Daisuke?
Il servo sospira, attraversa la stanza e fa scorrere la porta sulle guide. - Nessuno, Hideo-san.
Oltre c’è prima un ballatoio vuoto e poi un giardino su cui si riversa la luce della luna.
Hideo-san fa un sorriso furtivo. - Lasciami solo - ordina con dolcezza - e non chiudere. La luna è molto bella, stanotte. 
Daisuke gli si inchina, esce dalla camera; il rumore dei suoi passi si perde nel ventre scuro della casa. Ora, nella notte azzurrina, il vecchio ode un altro suono: un ticchettio di alti geta sul ballatoio; rimane inginocchiato sui tatami, seguendo con gli occhi il profilo di donna che si muove, lento e lieve, dietro gli schermi.
- Tsuki-to-mizu - chiama piano, per non svegliare gli altri occupanti della casa che, nonostante sia bella e piuttosto grande, non è un palazzo; le pareti sono di carta sottilissima e tutto è talmente silenzioso che ogni parola che non sia un bisbiglio riecheggerebbe come un grido. Tsuki-to-mizu, luna e acqua... pensa Hideo-san e ascolta il fruscio del canneto e il gorgoglio della cascatella, in fondo al giardino.
Ricorda la sua giovinezza.
Tsuki-to-mizu ha il viso stretto, gli zigomi levigati, le sopracciglia fini come una maschera di geisha. Hideo-san la invita ad entrare, per poterla vedere al fioco lucore del braciere nell’angolo più lontano dalla soglia.
- Venite con me, danna-sama.
- Mia cara, la notte è fredda: perché non entri a scaldarti?
Prova vergogna di se stesso: una volta il suo viso era piacente, i suoi muscoli gonfi, mentre la bella Tsuki-to-mizu ha ora davanti un povero vecchio con il petto incavato. Lei gli volta le spalle, scende dal ballatoio e muove qualche passo tra le pietre e i muschi del giardino; lui ne guarda il collo d’avorio pallido.
Le pareti della stanza, i tatami e gli alberi fruscianti svaniscono quando Tsuki-to-mizu si volge a guardarlo.
- State sognando, Hideo-san.
Poiché sa che la donna ha ragione, Hideo-san pensa di svegliarsi.

 

La luna splende sull’acqua calma.
Lui, il giovane Hideo, ha accompagnato una coppia di sposi sull’altra sponda della laguna e ora sta tornando alla sua casupola; rema stancamente, il capo che dondola a destra e a sinistra. La sua barchetta lascia dietro di sé una scia arruffata.
Vede qualcosa di bianco muoversi sulla riva.
- Buon uomo! - sente gridare - Potreste trasportarmi sull’altra sponda?
Si avvicina con la sua barchetta e scopre che quella cosa bianca è una donna; la fa salire e sedere: non è superstizioso come altri pescatori, anche le donne sono ben accette sulla sua barca. Nella testa assonnata ha la voce della sua vecchia madre: Se incontri una donna sola, di notte, non può che essere una kitsune.
Non che ci creda: questa ragazza, che indossa un kimono azzurro e grigio, ha solo smarrito la strada di casa; la osserva di sottecchi mentre guarda la luna con le palpebre abbassate. - Il mio nome - dice d’un tratto - è Tsuki-to-mizu.
- Il mio, invece, è Hideo - le risponde in fretta, arrossendo. 
Tsuki-to-mizu china il capo, come ad accogliere le sue parole, poi ricade in un silenzio solenne.
Hideo la guarda, la stanchezza che gli annebbia la mente si dirada come la nebbia mattutina: per un breve istante, quando due anitre volano via sbatacchiando le ali e Tsuki-to-mizu, guardandole, si passa sulle labbra la lingua rosea, sogna di presentarla ai suoi vecchi genitori e chiedere loro il permesso di farne la sua onorevole moglie.
- Potete lasciarmi qui, Hideo-san.
Vivrebbero in una casetta dignitosa, anche se modesta, ben diversa dalla casupola nera a cui sta tornando. La donna lo ringrazia con un basso mormorio, guardandolo appena; lui sente un profondo terrore, terrore di averla spaventata. L’ha forse guardata troppo? Il suo viso ha forse lasciato trasparire più di quanto lui stesso credesse?
Si umetta le labbra, la gola secca.
Lei si allontana tra le fronde degli alberi, seguendo un sentiero illuminato dalla luna; Hideo non riesce a distogliere lo sguardo dal suo collo molto nudo, sottile come quello di un cigno, ma ha quasi l’impressione che Tsuki-to-mizu si faccia sempre più piccola. Il suo bel kimono ondeggia come se fosse vuoto.
Più tardi, disteso sul suo futon, sogna che il profumo di sale di cui sono impregnate le assi sia quello di Tsuki-to-mizu, che si sta chinando sul suo giaciglio. Nuda.

 

Fukanuma Hideo ha sposato Asahashi Junko, la sola figlia del ricco commerciante Asahashi Iwao, ed è stato nominato suo erede. Disteso accanto alla sua giovane moglie, dopo aver compiuto il proprio dovere di uomo e marito, già per metà addormentato, sente frusciare i fusuma. Due volte. Pensa che sia il signor Asahashi che vuole spiegarli altro sugli affari, anche se è notte fonda; volta la testa sul cuscino e posa gli occhi sui fogli di carta di riso che ha dimenticato su un basso tavolino: stanno scivolando sui tatami, uno alla volta, i kanji sembrano lacrime e segni ghignanti.
La luce rossastra di un braciere dipinge sulla parete l’ombra di un animale gigantesco ma, quando Hideo abbassa lo sguardo, scopre che Tsuki-to-mizu è inginocchiata lì accanto, con un’espressione tristissima sul viso. Perché mi hai abbandonato? sembra voler dire.
- Odoma bon-giri bon-giri,bon kara sakya oran-do, bon ga hayo kurya, hayo modoru - canta a bassa voce.
L’uomo scosta il lenzuolo e le si para davanti; la sovrasta, ma la donna non sembra neppure intimorita.
- Non ti ho più visto, Tsuki-to-mizu. L’onorevole signor Asahashi mi ha concesso di sposare sua figlia Junko; come avrei potuto sposare te, se non ti ho più visto, da quella notte? - domanda, triste. L’ha solo sognata, nelle notti in cui il vento soffiava il sale fin sul suo futon e in quelle in cui la neve cadeva attraverso le finestrelle. - Ho sognato che tu fossi una donna delle nevi, ma non mi hai mai fatto visita.
- Vi ho fatto visita stanotte, perché non vi dimentichiate di me, danna-sama.
Lui le scioglie il nodo dell’obi dorato, scosta i lembi del suo kimono rosso: - È per il vostro matrimonio, danna-sama - e la bacia sul petto, mentre Tsuki-to-mizu gli fa scivolare l’hanten dalle spalle. Le prende i seni tra le mani, facendola mugolare, la fa distendere sotto di sé. Non può persuadersi ad amare la povera Junko, pur avendola sposata, così i suoi gesti prendono un’urgenza tutta nuova: le sue mani annaspano tra la stoffa, la graffia, ma lei non emette un suono.
Spingendola giù la sua pettinatura si è disfatta e ora i capelli di Tsuki-to-mizu sono sparsi sul tatami; Hideo indugia per un attimo, nel notare che in quella penombra assumono riflessi rossi come il sangue, ma non ha la forza di fermarsi.
Ha sempre pensato che giacere con una donna assomigli al salire su una collina e sia egualmente faticoso, invece, se ne rende conto solo ora, si sente una goccia in procinto di cadere nel vuoto.

 

Il suo destino è rimanere solo. Sua moglie Junko è una kitsunetsuki; la sente muoversi nella sua stanza proprio come un animale selvaggio, fuggire non appena la porta si apre e la luce del corridoio si riversa sui tatami sciupati. Non vuole che lui la tocchi.
L’hanno condotta da un sacerdote, in un tempio dedicato al dio Inari, ma non è servito a nulla. Junko sgattaiola davanti a lui per prendere la ciotola di riso e fagioli rossi che le ha lasciato, comincia a mangiarla con le dita, come una selvaggia o una bambina.
- Assicurati che si metta a letto - ordina ad una serva.
Ogni volta che la guarda, sente una tristezza infinita: non la ama, non l’ha mai amata, ma è la donna con cui ha giaciuto per anni. Ora che lui sta invecchiando e lei non gli si concede più, sa che non avrà figli, nessuna Fukanuma Megumi o Fukanuma Ichiro. La volpe che è entrata in sua moglie non la abbandonerà mai.

 

È sempre stata minuta, Junko. Così piccola e umile che a volte, per scherzare, le diceva che avrebbe dovuto chiamarsi Suzume, “passerotto”. Il suo volto è livido e composto, lo yukata indossato al rovescio per il viaggio. Hideo prova ad immaginare cosa direbbe il suo onorevole suocero, il ferreo signor Asahashi: sicuramente proverebbe una profonda vergogna nel sapere che sua figlia è morta scioccamente, cadendo attraverso un fusuma, battendo la testa sul legno.
Ordina a Daisuke di far riparare la parete e arieggiare la stanza, alle donne di pulire la casa da cima a fondo e di comprare dell’incenso per il suo altare. Si ritira nella propria camera con l’intenzione di scrivere una lettera ai suoi fornitori, ma il pennello rimane sospeso sul foglio.
Lo lascia cadere.
Lo sente rotolare sul tavolo e cadere sui tatami con un tonfo lieve; Hideo si alza: sulla soglia c’è Tsuki-to-mizu, che indossa un kimono bianco come la neve. - Vi siete dimenticato di me, danna-sama? No, non credo. Ho saputo che vostra moglie è morta.
- Era una donna buona, ma per molti anni è stata malata.
Tsuki-to-mizu non risponde: sembra impegnata a versare il tè in una tazza, in religioso silenzio. Lui non si era accorto della presenza della teiera, ma, arrossendo, non si stupisce: ha ancora il sapore del saké sulla lingua. Accetta la tazza fumante che la donna gli porge senza fiatare, lo sguardo basso.
- Chi sei tu? - chiede d’un tratto, in tono vivace.
- Cosa vi sembro? - replica Tsuki-to-mizu. Hideo la guarda meglio: dall’acconciatura lucida ed elaborata, ai fermagli d’argento e seta che la adornano, dal viso attraente all’ottima fattura del kimono, dall’obi blu notte agli zori bianchi. - Siete forse... una geisha?
La sua risata, che non ha mai udito prima d’allora, gli ricorda una cascata di perle; si nasconde la bocca dietro la mano. Ha le unghie lunghe.
- Forse. Danna-sama ne sarebbe offeso, se così fosse? - gli si avvicina così tanto che può sentire il suo fiato caldo sulla bocca. Vede la sua bocca incurvarsi in un sorriso malizioso. - Sono venuta per non andarmene mai.

 

Hideo vede la sua vita passata srotolarsi dietro di sé come un nastro scolorito. La sua giovinezza, la sua bellezza sbiadiscono nel termine “dignitosa”: sì, la sua vita è stata dignitosa. Quella di un figlio obbediente, un buon marito, un commerciante accorto. Dalla morte di Junko, che coincide con il ritorno di Tsuki-to-mizu, è certo di aver provato una gioia piena, fluida, simile ad un fiume carico di acque.
È felice che la sua vita non sia mai stata vuota.
Mentre segue Tsuki-to-mizu lungo la strada silente con il suo passo incerto e il fiato corto, ripensa ai giorni in cui lei ha vissuto con lui. Ricorda le notti in cui l’ha portata sulla laguna, quando il cielo era limpido e il clima già tiepido, e le lunghe, tristi notti nevose: la luce delle candele si stendeva fiacca sui tatami, Tsuki-to-mizu suonava lo shamisen. Cantava per lui. A volte passeggiava nel giardino imbiancato, facendo roteare un ombrellino laccato.
- Fermati, ti supplico - geme.
Tsuki-to-mizu ha ancora il viso della donna che ha conosciuto in quella notte lontana; potrebbe essere pacifico come quello di Buddha, ma c’è sempre una fiamma lontana in lei, come se avessero mescolato al bianco della sua pelle una goccia di fuoco.
- Avete scoperto tutto, Hideo-san - dice con durezza.
I suoi lineamenti si trasfigurano lentamente, si fanno appuntiti e sfuggenti. Lui pensa solo che non poteva farle sapere che lui sapeva. - È stato uno sbaglio... dovuto alla febbre... - sospira; tutte le ossa tremano.
- Non si sfugge al destino. Ora che voi sapete, danna-sama, devo abbandonarvi.
Tsuki-to-mizu allunga la mano e gli carezza la guancia, dalla tempia al mento; Hideo chiude gli occhi: non ha pianto per la morte di sua madre e di suo padre, né per quella di Junko. Piange adesso, nel sentire le labbra tenere come boccioli di Tsuki-to-mizu premere sulle proprie.
- Addio, Hideo-san.
Quando riapre gli occhi, il suo kimono è sporco e lacero. Alberi scuri e antichi protendono i loro rami sopra la sua testa. Si guarda intorno, dopo essersi asciugato gli occhi con le mani chiazzate dall’età: sa che la strada di casa è quella che va incontro alla luna, ma indugia ancora per un attimo.
Vede gli occhi luccicanti della volpe nel sottobosco, prima che lei svanisca per sempre.
Comincia a camminare, ma la strada si snoda sinuosa fino all’orizzonte, e il freddo dell’inverno gli cala nelle ossa. Casa sua è terribilmente lontana.

 

 

 

 

 

 

 

 

Note:

[sperando di non aver scritto delle oscenità]

Tsuki-to-mizu: Luna e acqua

Hideo: Splendido uomo

Daisuke: Grande aiutante

Junko: Bambino obbediente

Fukanuma: Profonda palude

Asahashi: Basso ponte 

Iwao: Uomo di pietra

Megumi: Benedizione

Ichiro: Primo figlio

La ninnananna che canta Tsuki-to-mizu è la cosiddetta “Ninnananna di Itsuki”, il cui testo potete trovare qui.

   
 
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