[L'autopsia,
chiamato anche
esame post-mortem,
è un esame
medico dettagliato e
attento del corpo e dei relativi organi della persona dopo la morte per stabilirne le cause, le
modalità ed eventualmente i
mezzi che l'hanno prodotta. Nelle autopsie a scopo giudiziario
è anche
richiesto di stabilire l'epoca della morte, desumibile dai cosiddetti fenomeni
cadaverici. Il termine deriva
dal greco αὐτοψία,
(composto di αὐτός
«stesso» e ὄψις
«vista») e significa "che vede con i propri occhi"]
Mi
chiamo Romy Romain ed ho quasi ventun anni. La cosa che mi manca di
più è
respirare.
Sentire l'aria che gira e gira per il naso e poi le tempie e poi ancora
scivola
giù in fondo alla gola e la laringe e giù ed
ancora più giù fino a bronchi,
brochioli, alveoli. Spazi infinitesimali di materia volta ad assorbire
aria.
L’ho studiato a scuola, tutto questo, ed adesso mi guardo e
posso verificare
che quello che c’è scritto nei libri è
tutto vero. E’ davvero tutto vero. Puoi
comprare il libro, non ci sono scritte dentro bugie, sono cose vere.
Per
sicurezza, ho controllato più volte.
I morti non sono quasi mai violenti, ma si dimenano spesso nei loro
lucidi giacigli
di acciaio inossidabile per innalzarsi verso il soffitto : vogliono
giocare con
il mondo totalmente nuovo in cui si ritrovano.
La luce dei neon – li hanno accesi tutti quanti - si riflette
sui lunghi tavoli
fino a renderli dei perfetti specchi, ma fatti di un materiale facile
da
pulire. Tutto è asetticamente illuminato.
Ma lì dove c’è una piccola ombra
c’è anche qualcosa che il disinfettante non
può disinfettare.
Perfino i colatoi insaziabili di sangue e liquidi biologici sono bocche
abitate
da esseri curiosi, ma chi li calpesta non lo sa. Si limita a passarci
sopra
facendo vibrare le grate. I colatoi sono una sepsi silenziosa.
Ma la luce
aiuta, aiuta parecchio. Chi
mai non cederebbe alla possibilità di guardarsi, guardarsi
dentro una volta per
tutte, rivoltato come un calzino in maniera chiara e scientifica.
Scoprire come si è fatti? Se
per caso la
nostra vita non lascia qualche traccia sui nostri organi, sulle nostre
arterie?
Io sono curiosa. Tu no?
Sono confinata nello scantinato e mi siedo nella gradinata,
lì dove ieri c’era
un po’ di amore, e mi guardo.
Dietro lo spesso portone della Sala Settoria accade l'indicibile ed il
mio
corpo diviene carne.
Ma non mi disturba neanche un pochino, e nonostante la mia coscienza mi
suggerisce che dovrei sentire del dispiacere non percepisco nessun
legame con
quella cosa che un tempo era me.
Non
più prigioniera della materialità e posso
fluttuare libera e soffermarmi sulle spalle dei presenti.
Mi
divertono i visi grevi dei dottori, le loro
protezioni per non contaminarsi con la morte e la loro fascinazione per
essa.
Loro
sono come falene attratte dal fuoco: si bruceranno.
È
questa la condizione umana, bruciarsi
comunque.
Vedo i più giovani, quelli capitati qui per un tirocinio e
non per loro volontà,
lottare per non vomitare. Qualcuno mi ha coperto il viso per non dover
subire
la mia espressione troppo serena.
Questi ragazzi se ne stanno un po’ discosti, e non sono come
quelli che son
venuti in visita ieri.
Sono piccoli e sudati come pulcini, non potranno essere più
grandi di me. Loro
sono più onesti.
Sbirciano, più che guardare. Tremano, perché
sanno che dovranno partecipare. In
un qualche modo.
La donna con gli occhiali di tartaruga, che chiameremo Prof da adesso
in poi, è
la capitana di una squadra bislacca in cui gli specializzandi
scalpitano per
porgere una informazione o un paio di forbicine.
Prof è molto bella nonostante non sia più
propriamente ragazza, sottile come un
giunco e severissima.
Ma quando si volta verso chi ha alla sua destra muta
l’espressione, che si
raddolcisce e si fa quasi materna.
Lucky Florio è la sua preferita. Una mano così
delicata per una mente sottile
ed attenta.
Prof vede in Lucky se stessa da giovane, quando credeva che avrebbe
potuto
dominare qualsiasi cosa.
Lucky non la tradirà. Lucky verrà al capo delle
cose, e le sezionerà fino all’osso.
Ma non me. Lo sapete che questa stanza è piena di corpi,
come se fosse festa?
Non è a me che tocca oggi.
Così rispetto la privacy della signora Smith, infarto
splenico e pace all’anima
sua, e volo verso i piani alti.
La medicina legale occupa il piano più intimo del Brothers
Bright, quello sotterraneo
e senza finestre.
Sopra di noi si muove la vita lenta dell'ospedale, ed il trafficare
tumultuoso
di quando c'è una emergenza.
Per una bizzarria dell’architetto che forse potrebbe anche
chiamarsi previdenza
sopra la sala settoria ci sono le sale ed i corridoi del pronto
soccorso. Il
reparto più animato e quello dove langue la noia hanno una
struttura quasi
simmetrica. Così si va di sotto senza passare una seconda volta dal via.
Nella saletta numero sedici una tirocinante si china a sentire lo
sbuffare di
un torace, e nella stanza accanto una donna conduce disperata il suo
bambino
che ha battuto la testa cadendo dal seggiolone.
Entrambi i pazienti se la caveranno, non hanno il nostro odore
addosso, non
hanno il mio.
Ho conosciuto la gente nei frigoriferi ed è molto garbata.
Però sono un po’
noiosi, sono vecchi morti per questioni loro, penso, scompensi. Gli
deve essere
partito il fegato o qualcos’altro. Non me lo hanno saputo
dire con esattezza. Probabilmente
si sono stancati e basta. Adesso stanno giocando a canasta in sala
d’aspetto e
non voglio disturbarli con troppo domande. C’è
tempo. C’è tantissimo tempo.
Sono stata anche un po’ sopra al museo, ma l’unico
ad accogliermi è stato il
cane a due teste.
Si chiama Ciccio, e se ne avesse avuto tre di teste si sarebbe chiamato
Cerbero
ma ne ha solo due.
Abbaia in maniera un po’ troppo stridula ma ci capiamo
perfettamente.
Ho scoperto che esiste un’unica lingua, quando si
è dall’altra parte dello
strappo.
Chi vive nelle vetrinette e nei barattoli è gente altezzosa.
Se la tirano
troppo perché è roba ottocentesca.
Ma Ciccio è un cane e gli piacciono le passeggiate. Lui
è rimasto al Brothers
perché cerca il suo padroncino da quasi un secolo ormai ma a
quanto pare non è
ancora ripassato qui. A Ciccio non importa. Lui aspetta. Ho intuito che
quando succedono
queste cose è come giocare a campana: tracci il disegno sul
pavimento, lanci il
sasso quando è il tuo turno, salti fra un quadrante e
l’altro stando bene
attenta a rispettare le linee, un piede, due piedi. Balzo.
Uno, due, tre.
Poi
ti volti, lasci il sasso a qualcun altro e devi aspettare.