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Autore: Layla    25/11/2013    1 recensioni
“Vattene via, Hao!
Non voglio più avere a che fare con te!”
Per tutta risposta mi bacia con passione.
“Vuoi che me ne vada?”
“S-sì!”
Mi ribacia di nuovo e questa volta è quasi certo che cederò.
“Vuoi che me ne vada?”
“No.”
Lui sorride, ha vinto anche questa volta.
Anche questa volta la preda è sua, inizia di nuovo a baciarmi e presto i nostri vestiti sono sul tatami.
Mi porta in camera mia e mi adagia sul futon e poi ci sono i nostri respiri, ansiti e gemiti mischiati.

{MathildaxHao. MathildaxNuovo personaggio.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hao Asakura, Nuovo personaggio, Trio Hanagumi
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Epilogo: il grande abete bianco.

 

La macchina scorre tranquilla nel vialetto di ghiaia in mezzo ai campi. La chiamano strada, ma non è altro che un vialetto forse un po’ più grande rispetto agli altri e con dei sassi ai lati per evitare che la vegetazione lo invada.
Ora però non c’è nemmeno una pianta, c’è solo una distesa bianca di neve, che diventa un cumulo continuo vicino alla strada perché qualche anima di buon cuore è passata a spazzare anche questo posto in un angolo dimenticato di Inghilterra al confine con la Scozia.
Io e Benji ci siamo fermati a mangiare alla locanda dell’ultimo villaggio che abbiamo incontrato, certe cose non cambiano mai nei piccoli paesi e siamo stati squadrati tutti e due come alieni.
Il cibo – in compenso – era buono e ora siamo qui nel bel mezzo del nulla, per cercare il nostro abete carico di neve, come ci eravamo promessi quando abbiamo comprato il nostro di plastica.
In realtà forse volevamo scappare anche solo per un attimo da Londra e dal suo rumore, Londra non dorme mai, al massimo abbassa i toni, ma il silenzio è una musica difficile da sentire.
Ci sono sempre dei camion che passano, nottambuli, macchine di chi fa lavori notturni a disturbare la pace.
Certo, dopo un po’ ti ci abitui, ma vorresti sempre che ci fosse un po’ di silenzio vero.
Alla prima piazzola Benji si ferma. Sono le cinque e per le nove dobbiamo essere in un piccolo albergo in cui lui ha prenotato una stanzetta, abbiamo un po’ di tempo da perdere.
Scendiamo entrambi dalla macchina e io stringo immediatamente la mano del mio ragazzo.
“Eccoci, arrivati. Forza, cerchiamo il nostro abete carico di neve.”
Io sorrido.
“Va bene, iniziamo.”
Camminiamo – mano nella mano – nel campo coperto di neve, attorno a noi si sente solo il rumore dei nostri passi, solo quando guardo verso il bosco mi pare di vedere un’ombra che sparisce, probabilmente era una lepre o una volpe.
“Per te cos’era?”
“Io penso fosse una volpe, avviciniamoci.”
Detto fatto, siamo arrivati vicino al bosco, dietro a un cespuglio ci sono delle impronte, io le guardo senza capire cosa siano, poi arriva Benji.
“Sono impronte di una volpe.”
Sentenzia sicuro.
“Va bene.”
Torniamo nel campo e finalmente lo vedo.
Al limitare del bosco, a pochi metri dal cespuglio dietro cui noi abbiamo cercato le impronte. È grande, maestoso e colmo di neve.
È il nostro abete.
“Benji!”
Lo chiamo.
“L’ho trovato, è lui!”
Lui mi raggiunge e lo guarda.
“Sì, è lui. Brava, Match!”
Io sorrido, poi lui tira fuori qualcosa dalla tasca: un coltellino a serramanico.
“Che vuoi fare con quello?”
“Adesso vedrai.”
Con abilità incide una B, un + e una M, poi li contorna con un cuore.
“Ecco, adesso è il nostro albero.”
Io annuisco, e mi alzo sulle punte dei piedi per baciarlo, lui risponde impetuosamente come suo solito. A volte ho come l’impressione che lo faccia per ribadire a non si sa chi che io sono sua e lui è mio.
Non ce n’è bisogno, io so che lo amo e che lui mi ama.
Quando mi stacco passo delicatamente le dita sulla neonata incisione, mi piacerebbe portarci i miei figli e i miei nipoti un giorno e raccontare di come io e Benji ci amavamo.
Sarebbe bello, quasi un sogno a occhi aperti o un’ipotesi meravigliosa di realtà.
“A cosa pensi?”
Mi chiede lui abbracciandomi da dietro.
“Al futuro.”
Rispondo vaga.
“Ci vedi bene in futuro?”
“Lo spero, per ora il presente mi piace e presente dopo presente spero non cambi mai.”
“Anche io.”
Mi prende per mano.
“Ti va se andiamo in macchina?
Qui fa freddo.”
“Va bene.”
Salutiamo il nostro albero e risaliamo nella mia Mini, dentro fa caldo e la radio trasmette i blink a tutto volume.
“Abbiamo trovato il nostro abete!”
Ripeto allegra.
“Mi piacerebbe venire a trovarlo ogni anno.”
Lui sorride.
“Beh, se avremo soldi potremo farlo.”
Io rimango un attimo in silenzio, guardando il bianco che ci circonda, bianca è la neve e bianco è il cielo: presto nevicherà di nuovo.
“Benji, forse è meglio muoverci. Penso che nevicherà ancora e non so come se la caverà la mia macchinina sotto la neve.”
“Va bene.”
“Benji, l’anno prossimo verremo ancora a trovarlo e saremo insieme.”
La mia è una risposta implicita alla sua domanda, l’anno prossimo saremo ancora una coppia, lui mi piace davvero tanto e noi funzioniamo. Non pensavo potesse succedere, invece è miracolosamente successo e persino Hao si è dovuto rassegnare.
Ho visto un paio di volte la sua ombra giù in strada, ma non ho provato il desiderio di scendere, al contrario ho tirato la tenda, infastidita.
“Credi che per allora Hao sarà fuori del tutto dai tuoi pensieri?”
“È già fuori, è lui a non capirlo. Non so cosa farci.”
“Prima o poi si stancherà.”
Mi risponde conciliante, i primi fiocchi iniziano a cadere, Benji lo nota.
“Che palle, ha ripreso a nevicare!”
Lui accelera lentamente l’andatura della nostra macchina prima che la nevicata peggiori e diventi una bufera o chissà che cosa.
“Dici che ce la facciamo ad arrivare al villaggio prima che faccia buio?”
Mi chiede, io tiro fuori una cartina e la consulto.
“Uhm, credo di sì. Dovremmo essere abbastanza vicini, l’importante è che questa nevicata non peggiori.”
“Hai ragione, ma ce la dovremmo fare.”
La macchina procede a un’andatura costante e la neve per ora sembra decisa a non cadere in modo troppo fitto, forse stasera peggiorerà. Lentamente il cielo diventa più scuro e quando abbiamo ormai perso le speranze di arrivare al villaggio prima che faccia buio del tutto vediamo le prime case, illuminate dai lampioni.
Sospiriamo di sollievo, ce l’abbiamo fatto.
Dalle prime case arriviamo nella piazza principale, dove ci sono la chiesa e la locanda, lui parcheggia e poi scendiamo insieme.
Entriamo e veniamo accolti dal calore del fuoco che brucia nel camino in fondo alla stanza e dal profumo del cibo.
Una donna sui quarant’anni ci viene incontro sorridendo.
“Buonasera ragazzi, posso fare qualcosa per voi?”
“Abbiamo prenotato una camera a nome Matisse per il week end.”
Lei controlla e poi ci chiede dei documenti, controlla anche quelli e poi ci fa firmare.
“Si è scatenata una bella nevicata, volete che mandi qualcuno ad aiutarvi con i bagagli?”
“No, non si preoccupi, non è molta roba.”
Lei sorride.
“Va bene. questa è la chiave della camera. È all’ultimo piano.”
“Grazie mille.”
Io e Benji usciamo a prendere le valigie, ora la neve scende più fitta e si è alzato il vento, se fossimo arrivati un attimo più tardi avremmo avuto a che fare con una tempesta vera e propria.
Tiriamo fuori i bagagli e poi torniamo dentro la locanda, salendo fino all’ultimo piano, abbiamo la camera numero 5.
Infilo la chiave nella toppa, la faccio girare e ci troviamo in una stanza carinissima. Ha il tetto in legno e le tendine di pizzo alle finestre. Noi depositiamo i nostri bagagli, l’armadio è grande e di legno e il bagno è piccolo e pulito, con una la doccia.
“Che bella cameretta!”
Benji si butta sul letto sfinito.
“Bellissima, adesso spero di poter mangiare qualcosa e poi dormire, sono stanchissimo.”
Io mi siedo accanto a lui e allungo le gambe.
“Anche io. Mamma mia, che faticaccia.”
Lui ride.
“Ma ne vale la pena, no?”
“Uhm, sì. Ne vale la pena.”
Metto via un po’ di cose e poi scendiamo dabbasso, dove troviamo la padrona ad accoglierci e accompagnarci al nostro tavolo.
Ci sono già il pane e l’acqua e noi ci sediamo grati.
“Presto, vi porteremo l’arrosto che è il piatto del giorno.
Va bene?”
“Benissimo, signora.”
Benji ha già l’acquolina in bocca e io sono quasi al suo livello, anche io mi sono stancata durante questo viaggio.
Dieci minuti dopo una cameriera ci serve due abbondanti piatti di arrosto, noi li mangiamo avidi ed è davvero buono.
Mangiamo un po’ di frutta e la crostata che c’è come dolce e poi io inizio ad avvertire una certa sonnolenza, mi si chiudono gli occhi.
Facciamo i complimenti alla padrona e saliamo in camera, Benji si butta subito sotto la doccia, io invece decido di fumarmi una sigaretta ed esco sul piccolo balcone che dà sulla piazza del paese.
Ha uno strano fascino magico imbiancata dalla neve e la scelta di lasciare la fontana al centro contribuisce ancora di più a renderla un posto fuori dal tempo.
Il fumo della mia sigaretta si confonde con il vento e le neve e io sento una sensazione di pace invadermi e salire a ondate: erano secoli che non stavo così bene in un posto.
Sono così immersa nei miei pensieri che non mi accorgo del tempo che passa, Benji ha finito di fare la doccia e mi raggiunge sulla terrazza.
“Cosa fai qui?”
“Niente, guardo la piazza e penso.
Come mai ha scelto questo posto?”
Lui si stringe nelle spalle.
“All’istituto ho spiato il mio fascicolo, c’era scritto che ero nato qui e volevo vedere se avessi incontrato almeno una faccia simile alla mia.”
“E le hai incontrate?”
“Mi sono guardato attorno mentre cenavamo, ma non c’era nessuno che mi somigliasse, ma non mi importa. Non ho bisogno di ritrovare la mia famiglia o – per meglio dire – i miei genitori biologici, perché ho te.
Tu sei la mia famiglia.”
Una lacrima solitaria scende sul mio volto.
“Mi hai detto una frase meravigliosa.”
“Non ti è mai capitato di avere voglia di andare al tuo villaggio?”
Io rimango un attimo, ponderando la risposta.
“Sì, qualche volta sì.  Ci sono andata solo una volta per recuperare i documenti della mia famiglia, come il diario di mio nonno, ma non mi sono sentita a casa.
Casa mia è dove sono le persone a cui voglio bene, le ragazze e tu.
Ho capito che non aveva senso cercare quello che ho già lì.”
“Giusto, e ora torna dentro, sei gelata.”
Mi trascina in camera e dallo sbalzo di temperatura mi accorgo che fuori fa davvero freddo e che una doccia bollente non mi dispiacerebbe.
Prendo il necessario e mi infilo in bagno, mi spoglio e lascio che l’acqua scorra su di me cancellando la stanchezza, la nostalgia e qualsiasi altro sentimento negativo.
Quando esco trovo il mio ragazzo già sotto le coperte che guarda la tv, io lo raggiungo e lui mi attira subito nel suo abbraccio.
Immersa nel calore delle coperte e nel suo mi sento improvvisamente sonnolenta e al sicuro come non mai. A questa braccia affiderei la mia vita senza un ripensamento.
Lui mi accarezza dolcemente i capelli e io mi lascio andare, rilassandomi del tutto.
Sono scappata dal Giappone perché non volevo che il mio corpo diventasse solo un corpo qualsiasi con cui fare sesso e a Londra ho trovato l’amore. Quello vero.
Quello per cui basta stare sdraiati abbracciati per stare bene.
Quello in cui sai di essere alla pari dell’altra persona.
Quello che ti fa capire quanto sei bella, perché vedi la bellezza riflessa negli occhi dell’altro.
In Inghilterra ho trovato tutto quello che mi mancava in Giappone e non posso chiedere di più.
In questa notte, in cui fuori nevica e fa freddo, ma che per me è tiepida tra le braccia di Benji so di aver trovato la felicità.
Mi addormento sorridendo.
Domani quando mi sveglierò sarà ancora tutto qui, ormai la felicità è mia.
La strega perduta ha trovato la casa in cui vivere per tutta la vita.
Buonanotte.
 

 

   
 
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