Epilogo:
il grande abete bianco.
La
macchina scorre
tranquilla nel vialetto di ghiaia in mezzo ai campi. La chiamano
strada, ma non
è altro che un vialetto forse un po’
più grande rispetto agli altri e con dei
sassi ai lati per evitare che la vegetazione lo invada.
Ora però non c’è nemmeno
una pianta, c’è solo una distesa bianca di neve,
che diventa un cumulo continuo
vicino alla strada perché qualche anima di buon cuore
è passata a spazzare
anche questo posto in un angolo dimenticato di Inghilterra al confine
con la
Scozia.
Io e Benji ci siamo
fermati a mangiare alla locanda dell’ultimo villaggio che
abbiamo incontrato,
certe cose non cambiano mai nei piccoli paesi e siamo stati squadrati
tutti e
due come alieni.
Il cibo – in compenso –
era buono e ora siamo qui nel bel mezzo del nulla, per cercare il
nostro abete
carico di neve, come ci eravamo promessi quando abbiamo comprato il
nostro di
plastica.
In realtà forse volevamo
scappare anche solo per un attimo da Londra e dal suo rumore, Londra
non dorme
mai, al massimo abbassa i toni, ma il silenzio è una musica
difficile da
sentire.
Ci sono sempre dei camion
che passano, nottambuli, macchine di chi fa lavori notturni a
disturbare la
pace.
Certo, dopo un po’ ti ci
abitui, ma vorresti sempre che ci fosse un po’ di silenzio
vero.
Alla prima piazzola Benji
si ferma. Sono le cinque e per le nove dobbiamo essere in un piccolo
albergo in
cui lui ha prenotato una stanzetta, abbiamo un po’ di tempo
da perdere.
Scendiamo entrambi dalla
macchina e io stringo immediatamente la mano del mio ragazzo.
“Eccoci, arrivati. Forza,
cerchiamo il nostro abete carico di neve.”
Io sorrido.
“Va bene, iniziamo.”
Camminiamo – mano nella
mano – nel campo coperto di neve, attorno a noi si sente solo
il rumore dei
nostri passi, solo quando guardo verso il bosco mi pare di vedere
un’ombra che
sparisce, probabilmente era una lepre o una volpe.
“Per te cos’era?”
“Io penso fosse una volpe,
avviciniamoci.”
Detto fatto, siamo
arrivati vicino al bosco, dietro a un cespuglio ci sono delle impronte,
io le
guardo senza capire cosa siano, poi arriva Benji.
“Sono impronte di una
volpe.”
Sentenzia sicuro.
“Va bene.”
Torniamo nel campo e
finalmente lo vedo.
Al limitare del bosco, a
pochi metri dal cespuglio dietro cui noi abbiamo cercato le impronte.
È grande,
maestoso e colmo di neve.
È il nostro abete.
“Benji!”
Lo chiamo.
“L’ho trovato, è lui!”
Lui mi raggiunge e lo
guarda.
“Sì, è lui. Brava, Match!”
Io sorrido, poi lui tira
fuori qualcosa dalla tasca: un coltellino a serramanico.
“Che vuoi fare con
quello?”
“Adesso vedrai.”
Con abilità incide una B,
un + e una M, poi li contorna con un cuore.
“Ecco, adesso è il nostro
albero.”
Io annuisco, e mi alzo
sulle punte dei piedi per baciarlo, lui risponde impetuosamente come
suo
solito. A volte ho come l’impressione che lo faccia per
ribadire a non si sa
chi che io sono sua e lui è mio.
Non ce n’è bisogno, io so
che lo amo e che lui mi ama.
Quando mi stacco passo
delicatamente le dita sulla neonata incisione, mi piacerebbe portarci i
miei
figli e i miei nipoti un giorno e raccontare di come io e Benji ci
amavamo.
Sarebbe bello, quasi un
sogno a occhi aperti o un’ipotesi meravigliosa di
realtà.
“A cosa pensi?”
Mi chiede lui
abbracciandomi da dietro.
“Al futuro.”
Rispondo vaga.
“Ci vedi bene in futuro?”
“Lo spero, per ora il
presente mi piace e presente dopo presente spero non cambi
mai.”
“Anche io.”
Mi prende per mano.
“Ti va se andiamo in
macchina?
Qui fa freddo.”
“Va bene.”
Salutiamo il nostro albero
e risaliamo nella mia Mini, dentro fa caldo e la radio trasmette i
blink a
tutto volume.
“Abbiamo trovato il nostro
abete!”
Ripeto allegra.
“Mi piacerebbe venire a
trovarlo ogni anno.”
Lui sorride.
“Beh, se avremo soldi
potremo farlo.”
Io rimango un attimo in
silenzio, guardando il bianco che ci circonda, bianca è la
neve e bianco è il
cielo: presto nevicherà di nuovo.
“Benji, forse è meglio
muoverci. Penso che nevicherà ancora e non so come se la
caverà la mia
macchinina sotto la neve.”
“Va bene.”
“Benji, l’anno prossimo
verremo ancora a trovarlo e saremo insieme.”
La mia è una risposta
implicita alla sua domanda, l’anno prossimo saremo ancora una
coppia, lui mi
piace davvero tanto e noi funzioniamo. Non pensavo potesse succedere,
invece è
miracolosamente successo e persino Hao si è dovuto
rassegnare.
Ho visto un paio di volte
la sua ombra giù in strada, ma non ho provato il desiderio
di scendere, al
contrario ho tirato la tenda, infastidita.
“Credi che per allora Hao
sarà fuori del tutto dai tuoi pensieri?”
“È già fuori, è lui a non
capirlo. Non so cosa farci.”
“Prima o poi si
stancherà.”
Mi risponde conciliante, i
primi fiocchi iniziano a cadere, Benji lo nota.
“Che palle, ha ripreso a
nevicare!”
Lui accelera lentamente
l’andatura della nostra macchina prima che la nevicata
peggiori e diventi una
bufera o chissà che cosa.
“Dici che ce la facciamo
ad arrivare al villaggio prima che faccia buio?”
Mi chiede, io tiro fuori
una cartina e la consulto.
“Uhm, credo di sì.
Dovremmo essere abbastanza vicini, l’importante è
che questa nevicata non
peggiori.”
“Hai ragione, ma ce la
dovremmo fare.”
La macchina procede a
un’andatura costante e la neve per ora sembra decisa a non
cadere in modo
troppo fitto, forse stasera peggiorerà. Lentamente il cielo
diventa più scuro e
quando abbiamo ormai perso le speranze di arrivare al villaggio prima
che
faccia buio del tutto vediamo le prime case, illuminate dai lampioni.
Sospiriamo di sollievo, ce
l’abbiamo fatto.
Dalle prime case arriviamo
nella piazza principale, dove ci sono la chiesa e la locanda, lui
parcheggia e
poi scendiamo insieme.
Entriamo e veniamo accolti
dal calore del fuoco che brucia nel camino in fondo alla stanza e dal
profumo
del cibo.
Una donna sui quarant’anni
ci viene incontro sorridendo.
“Buonasera ragazzi, posso
fare qualcosa per voi?”
“Abbiamo prenotato una
camera a nome Matisse per il week end.”
Lei controlla e poi ci
chiede dei documenti, controlla anche quelli e poi ci fa firmare.
“Si è scatenata una bella
nevicata, volete che mandi qualcuno ad aiutarvi con i
bagagli?”
“No, non si preoccupi, non
è molta roba.”
Lei sorride.
“Va bene. questa è la
chiave della camera. È all’ultimo piano.”
“Grazie mille.”
Io e Benji usciamo a
prendere le valigie, ora la neve scende più fitta e si
è alzato il vento, se
fossimo arrivati un attimo più tardi avremmo avuto a che
fare con una tempesta
vera e propria.
Tiriamo fuori i bagagli e
poi torniamo dentro la locanda, salendo fino all’ultimo
piano, abbiamo la
camera numero 5.
Infilo la chiave nella
toppa, la faccio girare e ci troviamo in una stanza carinissima. Ha il
tetto in
legno e le tendine di pizzo alle finestre. Noi depositiamo i nostri
bagagli,
l’armadio è grande e di legno e il bagno
è piccolo e pulito, con una la doccia.
“Che bella cameretta!”
Benji si butta sul letto
sfinito.
“Bellissima, adesso spero
di poter mangiare qualcosa e poi dormire, sono stanchissimo.”
Io mi siedo accanto a lui
e allungo le gambe.
“Anche io. Mamma mia, che
faticaccia.”
Lui ride.
“Ma ne vale la pena, no?”
“Uhm, sì. Ne vale la
pena.”
Metto via un po’ di cose e
poi scendiamo dabbasso, dove troviamo la padrona ad accoglierci e
accompagnarci
al nostro tavolo.
Ci sono già il pane e
l’acqua e noi ci sediamo grati.
“Presto, vi porteremo
l’arrosto che è il piatto del giorno.
Va bene?”
“Benissimo, signora.”
Benji ha già l’acquolina
in bocca e io sono quasi al suo livello, anche io mi sono stancata
durante
questo viaggio.
Dieci minuti dopo una
cameriera ci serve due abbondanti piatti di arrosto, noi li mangiamo
avidi ed è
davvero buono.
Mangiamo un po’ di frutta
e la crostata che c’è come dolce e poi io inizio
ad avvertire una certa
sonnolenza, mi si chiudono gli occhi.
Facciamo i complimenti
alla padrona e saliamo in camera, Benji si butta subito sotto la
doccia, io
invece decido di fumarmi una sigaretta ed esco sul piccolo balcone che
dà sulla
piazza del paese.
Ha uno strano fascino
magico imbiancata dalla neve e la scelta di lasciare la fontana al
centro
contribuisce ancora di più a renderla un posto fuori dal
tempo.
Il fumo della mia
sigaretta si confonde con il vento e le neve e io sento una sensazione
di pace
invadermi e salire a ondate: erano secoli che non stavo così
bene in un posto.
Sono così immersa nei miei
pensieri che non mi accorgo del tempo che passa, Benji ha finito di
fare la
doccia e mi raggiunge sulla terrazza.
“Cosa fai qui?”
“Niente, guardo la piazza
e penso.
Come mai ha scelto questo
posto?”
Lui si stringe nelle
spalle.
“All’istituto ho spiato il
mio fascicolo, c’era scritto che ero nato qui e volevo vedere
se avessi
incontrato almeno una faccia simile alla mia.”
“E le hai incontrate?”
“Mi sono guardato attorno
mentre cenavamo, ma non c’era nessuno che mi somigliasse, ma
non mi importa.
Non ho bisogno di ritrovare la mia famiglia o – per meglio
dire – i miei
genitori biologici, perché ho te.
Tu sei la mia famiglia.”
Una lacrima solitaria
scende sul mio volto.
“Mi hai detto una frase
meravigliosa.”
“Non ti è mai capitato di
avere voglia di andare al tuo villaggio?”
Io rimango un attimo,
ponderando la risposta.
“Sì, qualche volta
sì. Ci
sono andata solo una volta per
recuperare i documenti della mia famiglia, come il diario di mio nonno,
ma non
mi sono sentita a casa.
Casa mia è dove sono le
persone a cui voglio bene, le ragazze e tu.
Ho capito che non aveva
senso cercare quello che ho già lì.”
“Giusto, e ora torna
dentro, sei gelata.”
Mi trascina in camera e
dallo sbalzo di temperatura mi accorgo che fuori fa davvero freddo e
che una
doccia bollente non mi dispiacerebbe.
Prendo il necessario e mi
infilo in bagno, mi spoglio e lascio che l’acqua scorra su di
me cancellando la
stanchezza, la nostalgia e qualsiasi altro sentimento negativo.
Quando esco trovo il mio
ragazzo già sotto le coperte che guarda la tv, io lo
raggiungo e lui mi attira
subito nel suo abbraccio.
Immersa nel calore delle
coperte e nel suo mi sento improvvisamente sonnolenta e al sicuro come
non mai.
A questa braccia affiderei la mia vita senza un ripensamento.
Lui mi accarezza
dolcemente i capelli e io mi lascio andare, rilassandomi del tutto.
Sono scappata dal Giappone
perché non volevo che il mio corpo diventasse solo un corpo
qualsiasi con cui
fare sesso e a Londra ho trovato l’amore. Quello vero.
Quello per cui basta stare
sdraiati abbracciati per stare bene.
Quello in cui sai di
essere alla pari dell’altra persona.
Quello che ti fa capire
quanto sei bella, perché vedi la bellezza riflessa negli
occhi dell’altro.
In Inghilterra ho trovato
tutto quello che mi mancava in Giappone e non posso chiedere di
più.
In questa notte, in cui
fuori nevica e fa freddo, ma che per me è tiepida tra le
braccia di Benji so di
aver trovato la felicità.
Mi addormento sorridendo.
Domani quando mi sveglierò
sarà ancora tutto qui, ormai la felicità
è mia.
La strega perduta ha
trovato la casa in cui vivere per tutta la vita.
Buonanotte.