Passarono minuti, ore, giorni. Lui non si fece vivo per un
po’.
Ma, un giorno, sentii di nuovo quei
passi.
No, non i Suoi.
Era di nuovo quell’individuo sconosciuto.
L’ondata di luce mi colpii in viso, e
io mi coprii di nuovo. Mi faceva paura.
Non fu come la volta prima.
Si precipitò su di me, mi afferrò
per le spalle e mi tirò su in piedi, sempre tenendomi per non farmi cadere.
Era da tanto tempo che stavo seduta, o sdraiata. Non mi alzavo
ormai da non so quanti anni.
-“E’ finita.” Tentò di sollevarmi, ma con la poca forza che
avevo mi scansai.
Cominciai a piangere in silenzio.
-“Non abbiamo tempo!” Ricominciò ad
urlare.
Non volevo andare. Non volevo andarmene da Lui. Si sarebbe
arrabbiato.
Non sarebbe più venuto a trovarmi. Mi avrebbe fatto del
male, più del solito.
Mi diceva sempre che lui senza di me non viveva.
Mi diceva che ero importante, che non poteva lasciarmi
andare.
Mi diceva che sarei stata sempre con lui.
Mi diceva che non sarei vissuta più di un minuto là fuori.
-“Va bene ora basta!” L’uomo si avvicinò, avvolse la sua
mano sulla mia bocca per non farmi urlare e mi
trascinò fuori.
Non mi mossi. Non ci riuscii.
Le lacrime scorrevano sul mio viso, veloci, ma al tempo
stesso lente.
Le sentivo scivolare giù, portandosi dietro tutta la mia
amarezza, tutto il mio dolore.
Ma la paura era ancora lì, non se
ne andava.
Il cuore batteva veloce, e i pensieri vorticavano nella
testa.
Lui sarebbe tornato. Lui si sarebbe arrabbiato.
Non vidi nulla. Ero accecata dalle mie stesse lacrime, mi
annebbiavano la vista.
Mi spinse dentro una macchina.
Riuscii a mettere a fuoco tutto e lo vidi sedersi al posto
di guida e sfrecciare via.
Guardai attentamente i suoi lineamenti, i suoi capelli, i
suoi occhi. Rossi come il sangue.
Non sapevo chi, o cosa fosse.
Fermò bruscamente la macchina. Scese, prese uno zaino
poggiato sui sedili posteriori, aprì la portiera e, senza che io riuscissi a
capire cosa stesse facendo, mi infilò una felpa, dei
pantaloni, delle scarpe e un cappello. Mi fece scendere e mi
trascinò via.
Non capivo nulla. Non vedevo più nulla.
Non sapevo con chi ero, dov’ero, e soprattutto perché non
ero più nelle mie tenebre.
Con la vista offuscata vidi tante persone che mi venivano
incontro, senza guardarmi realmente, senza avere una vera meta.
Poi non so cosa successe, vidi l’individuo parlare con una
donna, vestita di blu.
L’unica parola che riuscii a sentire fu “Londra”.
_
I miei ricordi riprendono in uno strano luogo, non avevo
idea di dove mi trovassi.
Lui era sempre con me, mi teneva per un braccio e mi trascinava
via in mezzo alle persone.
Poi mi accorsi che si stava dirigendo verso una macchina, mi
ci spinse dentro e sfrecciò via.
Ci fermammo davanti a un’enorme casa, malandata e piena di
erbacce.
Lui scese, riprese lo zaino e venne ad aprire la mia
portiera. Mi prese delicatamente, come non aveva mai fatto dal nostro primo
incontro. Mise le sue mani sulle mie spalle e mi
guardò negli occhi.
-“Ora vai alla porta.” Tolse la sua mano destra per prendere
una lettera che aveva in tasca e me la diede.
–“Dai questa a chi ti aprirà.”
Afferrai la lettera e la guardai. Notai uno strano segno
rosso.
Lui mi riprese per le spalle.
-“E’ importante che tu non parli.
Mai. È fondamentale. Ricordatelo.”
Mi lasciò andare, rientrò in
macchina e se ne andò.
Rimasi a guardare il punto in cui era sparito
per non so quanto tempo; presi lo zaino, riguardai la lettera e mi incamminai
verso la porta, non avendo idea di dove stessi andando o di cosa stessi
facendo.
Bussai piano, tre volte.
Mi aprì una signora anziana,
ricordo che non mi fece una bella impressione.
Mi guardò dalla testa ai piedi.
-“Chi sei?” Mi chiese con una voce acuta e fastidiosa.
Io le porsi la lettera. Lei mi
guardò e la aprii titubante.
Quando i suoi occhi smisero di scorrere su quel foglio di
carta mi riguardò in viso.
Non fu uno sguardo di pietà, né di compassione. Mi sembrò addirittura infastidita.
Si spostò dalla porta e mi fece entrare.
Non potevo lontanamente immaginare tutto quello che accadde
poi.